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STORIA DI OMARA ABDELAZIZ
OMARA è un ragazzo egiziano di 18 anni.
Due anni fa, in cerca di un futuro migliore rispetto a quello che poteva costruire nella sua terra, ha deciso di lasciare il suo Paese e la famiglia.
Il viaggio è stato difficilissimo e affrontato con molta paura.
Giunto a Catania è stato inserito nella Comunità Marianella Garcia, dove vive tutt’ora.
In Comunità si sente accolto e supportato, ma a causa della sua indole molto timida, non è facile abituarsi a questa nuova cultura e costruire relazioni tra i pari e adulti significative.
Omara, non ama molto parlare di sé, ma nel tempo ha imparato ad ascoltare e smussare questa sua rigidità nelle relazioni.
Un grande aiuto lo ha ricevuto dal graduale avvicinamento al laboratorio teatrale delle Milizie dell’Immacolata, tutto il gruppo gli ha lasciato tempo e spazi di adattamento, divenendo per lui un punto di riferimento e leggerezza, nonostante l’impegno massacrante delle prove, quando si avvicina la data dello spettacolo da mettere in scena.
Frequenta il CPIA, a giugno dovrebbe conseguire la licenza media
Da gennaio, come beneficiario del progetto Tempo al Tempo, ha finalmente iniziato il suo tirocinio lavorativo di 6 mesi presso "A Putia dell’Ostello", un luogo gestito da persone che credono fortemente all’inclusione tra le diverse culture, e per questo ben disponibili ad accogliere e offrire un’opportunità di crescita a questi ragazzi con vissuti difficili.
L'incontro con lo chef Sandun e l’aiuto cuoco Alexander è stato sin da subito positivo.
Omara racconta che che all’interno della cucina e della sala tutto ha un ritmo, lui si sta impegnando e cerca di imparare e svolgere le proprie mansioni con molta attenzione, un aiuto significativo lo riceve anche dai ragazzi della brigata, alcuni stranieri come lui e con la quale ha stretto bellissimi rapporti di amicizia.
Ad oggi le sue giornate sono molto intense, spera tanto di conseguire la licenza media e di svolgere il tirocinio nel migliore dei modi, non sa ancora cosa farà da grande e se rimarrà a Catania.
La sua nuova vita gli piace, se ripensa a ciò che ha affrontato e alle opportunità che ha ricevuto l'unica cosa che lo intristisce e la lontananza dalla sua famiglia.
LA STORIA DI ALEXANDER E SAMDUN- A PUTIA DELL'OSTELLO
Il ristorante “A Putia dell’Ostello” a Catania è un luogo magico, suggestivo che si affaccia sulla bellissima piazzetta Currò, nel cuore della città, circondata da palazzi e chiese barocche, nei suoi sotterranei vi scorre il fiume Amenano.
Antistante alla struttura troviamo allestito un accogliente spazio all’aperto, all’interno invece ci sono diverse sale, una di esse ricavata all’interno della Grotta dell’Amenano, risalente all’Imperatore Federico II di Svezia, resa fruibile circa 25 anni fa durante i lavori di ristrutturazione.
I nuovi gestori hanno ridato all’Ostello nuova linfa, ogni giorno i clienti molti dei quali turisti, possono trascorrere momenti piacevoli degustando buonissimi piatti in un ambiente accogliente, grazie ad uno staff di sala e cucina giovane e attento.
L'Ostello, propone una cucina mediterranea che guarda alle diverse culture, greca, normanna e araba, vengono inoltre preparati buonissimi aperitivi.
- Alexander è nato a Messina, Il suo sogno sin da piccolo era di lavorare in cucina, per inseguire questa sua passione a 15 anni ha lasciato la scuola, in seguito si è traferito a Catania, città che ha imparato ad amare per la sua generosità, bellezza e dove risiedono i suoi affetti più cari.
La grande occasione professionale gli è stata offerta dalla Putia dell’Ostello, affiancando in cucina nella preparazione dei piatti lo chef Sandun.
- Sandun, originario dello Sri Lanka, vive in Italia da 25 anni, ha iniziato subito a lavorare nelle cucine come lavapiatti e poi negli anni grazie alla sua passione e alle sue capacità è diventato uno chef.
Comanda la sua brigata con il supporto di Alexander, dividendosi quotidianamente spazi e incombenze, affinchè la loro cucina, trasmetta agli occhi e al gusto del cliente tutta la loro passione nel prepararli.
Anche lui ama ed è riconoscente alla città di Catania.
Qui si è formato e cresciuto grazie ai lavori che si sono susseguiti in tutti questi anni, fino a trovare la sua grande rivalsa come chef riconosciuto e apprezzato nella cucina dell’Ostello.
Nel poco tempo libero a disposizione si gode la famiglia, gli amici e il mare.
Entrambi con molto entusiasmo, seguono i ragazzi che arrivano all’Ostello per imparare l’arte della cucina, grazie ai tirocini-lavorativi proposti dai progetti dalle Comunità per MSNA del territorio.
Raccontano che in tutti questi anni nel loro ristorante che crede in una Comunità accogliente e inclusiva, hanno lavorato e lavorano diversi ragazzi stranieri, con storie difficili e dolorose.
Alcuni dei ragazzi conosciuti in questi anni quando erano ospiti delle Comunità, dopo i sei mesi di tirocinio hanno ottenuto un contratto lavorativo a tempo indeterminato, divenendo per la brigata elementi indispensabili, tra questi Cisse, Sheik e Mina ormai giovani adulti, ben integrati nel tessuto lavorativo e sociale.
Dal mese di gennaio nel loro ristorante, ha iniziato il suo tirocinio lavorativo Omara Abdelazziz, ospite della Comunità Marianella Garcia, beneficiario del progetto Tempo al Tempo.
Sandun e Alexander, sono molto contenti di Omara, puntuale e volenteroso, nonostante sia molto timido si spende molto nel lavoro e nel rapporto con gli altri ragazzi della brigata, osserva e cerca di eseguire al meglio i compiti che gli vengono affidati.
Il tirocinio si concluderà a fine luglio, entrambi sperano che in questi mesi possa acquisire le competenze di base e di entrare a far parte della grande famiglia della" A Putia dell’Ostello."
Kamis è nato in Egitto 18 anni fa. Nel 2022, la voglia di una vita migliore, anche se piena di paure e incertezze, lo ha spinto a lasciare il suo Paese e la famiglia per intraprendere un lungo e difficilissimo viaggio.
E’ giunto a Catania nel settembre dello stesso anno, ed è stato accolto e vive ancora oggi nella Comunità per minori stranieri, Marianella Garcia a San Giorgio.
Kamis, è un ragazzo allegro, educato, attento alle regole, ha instaurato un buon rapporto con gli educatori e gli altri ragazzi della casa, certo in tutti questi mesi ha vissuto momenti difficili legati alla lontananza dei suoi cari, alla difficoltà della lingua e all’approccio ad una nuova cultura, ma ha cercato di reagire e superarli, senza mai abbattersi. Catania gli piace, si è creato una fitta rete amicale, con la quale trascorre il suo tempo libero, ama andare al mare e fare sport.
Frequenta con ottimi risultati il CPIA, a giugno dovrebbe finalmente sostenere gli esami di licenza media.
Da marzo di quest'anno, dopo un lunghissimo iter burocratico, ha iniziato il suo tirocinio lavorativo di sei mesi presso Plante Lab, un laboratorio fast casual di cucina vegetariana.
Opportunità che gli è stata proposta come beneficiario del progetto TEMPO AL TEMPO, che Kamis ha accolto da con grande entusiasmo.
L’Incontro con MATTIA, uno dei soci fondatori di Plante Lab e gli altri ragazzi della brigata è stato sin da subito più che positivo. Racconta di imparare quotidianamente tante cose, si sente accolto e gratificato, il lavoro è impegnativo, richiede attenzione e precisione, ma l’atmosfera che si respira in cucina e in sala è sempre allegra e leggera.
Tra la scuola la mattina e il tirocinio il pomeriggio, di tempo libero ne ha ben poco, ma non gli pesa, imparare un mestiere, sentirsi parte attiva di un gruppo di lavoro e guadagnare dei soldi non solo lo gratifica, ma gli permette di aiutare la famiglia.
Da grande non sa ancora cosa farà è presto per decidere, si immagina cuoco o forse idraulico che è un' altra sua grande passione, sa solo che non vuole mollare.
Mentre si racconta e sogna ,sorride davanti la telecamera, si augura tanto di essere sempre felice, in qualunque parte del mondo la vita lo porterà.
Mattia, è un giovane imprenditore della ristorazione catanese.
Dopo gli studi, grazie alla sua grande passione per la cucina e per la ristorazione ha lasciato la sua amata Catania, spinto dalla voglia di conoscere e sperimentare nuove tecniche, nuove culture che potessero arricchirlo, non solo umanamente ma anche professionalmente.
Ha vissuto in diversi paesi europei, ma è soprattutto Londra, la città che gli ha dato nuovi stimoli, dove ha appreso nuove forme e tecniche di cucina ed è da esse che ha poi deciso di intraprendere nuovi percorsi culinari, non più legati al mondo animale, ma alla cucina vegetariana ed eco-sostenibile.
La svolta definitiva è avvenuta nel 2019, anno in cui dopo un lungo girovagare, è rientrato a Catania ed insieme ad un gruppo di amici storici, ha deciso di intraprendere una nuova avventura. Nasce cosi PLANTE, un home-restaurant, che organizza cene ed eventi privati, specializzato in “alta cucina vegetariana”.
Il loro focus sta nella ricercatezza della materia prima e nella sua trasformazione in qualcosa di unico, attraverso un percorso naturale ed estremamente sostenibile.
La città di Catania, attiva e sempre pronta alle belle novità, risponde alle loro proposte con grande attenzione e partecipazione, per cui in Mattia e i suoi soci nasce la voglia di evolversi e alimentare nuovi progetti.
Nel 2021, prende così vita il progetto PLANTE Lab. Un laboratorio fast casual di cucina vegetariana, moderna e gustosa, in una bellissima viuzza di Catania, via S. Anna, in pieno centro storico, vicino al Duomo e di fronte la Casa–Museo di Giovanni Verga.
Non più quindi solo eventi privati, ma un luogo dove quotidianamente i catanesi e i turisti, possano gustare piatti particolari, accolti con professionalità e gentilezza da tutto il giovane team.
Mentre si racconta, si evince subito che Mattia è una persona molto carina, gentile e piena di entusiasmo, crede molto nel lavoro fatto con cura e attenzione verso il prossimo, l’ambiente e il suo gruppo di lavoro.
In PLANTE lab, si respira un’aria leggera, goliardica ma non per questo poco professionale, come già detto precedentemente, in cucina troviamo un team giovane e di diverse nazionalità, ognuno porta la sua storia e la sua voglia di sperimentare e la “leggerezza” aiuta a dare il meglio di se.
Mattia, crede nell’inclusione tra le diverse culture e spera tanto che i giovani che vivono questa esperienza all’interno del suo locale, possano fare tesoro di ciò che quotidianamente imparano non solo a livello culinario ma soprattutto umano.
Racconta che durante le pause del pranzo o della cena, tutta la brigata si siede attorno al tavolo, mangia, ride e scherza come se si fosse una grande famiglia e nel contempo si organizzano turni e mansioni per offrire il meglio ai clienti che verranno.
Il locale è molto frequentato dai catanesi e dai turisti di varie età.
Da marzo, Mattia ha accolto nel suo locale come tirocinante KAMIS ELSEADY, un giovane egiziano, ospite della comunità Marianella Garcia e beneficiario del progetto Tempo al Tempo.
Kamis, gli è piaciuto subito per il suo bellissimo sorriso, educato, attento ed empatico, ogni giorno gli dimostra di avere tanta voglia di imparare, ha legato sin dai subito con gli altri ragazzi, accetta e mette in pratica con dedizione i compiti che gli vengono assegnati.
Spera e si augura tanto che in questi sei mesi, questa sua voglia di esserci, non scemi e gli possa far acquisire valide competenze di base, per poter chissà continuare il suo percorso lavorativo in questo luogo intriso di magia.
Per Mattia, tutti i ragazzi meritano attenzione, ascolto e gratificazioni, per diventare adulti responsabili, vogliosi di imparare, di sperimentare, di spendersi per gli altri e rispettosi dell’ambiente, tanto deturpato dall’incuria delle vecchie generazioni.
A conferma di ciò che siamo detti e raccontato PLANTE Lab, si è aggiudicato il premio di” MIGLIOR RISTORANTE ECOSOSTENIBILE”, durante la quarta edizione del “JUST EAT AWARDS 2023”.
Nel cuore del centro storico di Reggio Calabria, c’è una piazza multietnica che ormai è diventata luogo di incontro per i tanti stranieri che vivono a Reggio Calabria.
Qui da alcuni anni ci sono i volontari che insegnano, gratuitamente, italiano agli stranieri. Una scuola in piazza, a piazza Sant’Agostino, senza banchi, ma con le lavagne, le sedie e la voglia di stare insieme e creare relazioni.
Ida Triglia è la presidente della associazione Mondo in piazza nata nella primavera del 2023 con il nobile fine di aiutare chi arriva nel nostro territorio ad integrarsi al meglio.
Ida Triglia spiega però che l’associazione è nata dopo l’esperienza di un gruppo di docenti volontari, ad agosto del 2020, con l'obiettivo, centrato, di realizzare dei corsi di italiano all'aperto per stranieri. Due volte la settimana ecco che si svolgono le lezioni in piazza ma quando è inverno ecco che la scuola si sposta al chiuso. Nei mesi invernali le lezioni sono state svolte presso alcuni locali messi a disposizione dalla Chiesa degli Ottimati.
I volontari “stabili” sono circa una decina, cui si aggiungono di volta in volta persone che vogliono collaborare, e si occupano di didattica di italiano per stranieri e di attività culturali basate comunque sull’integrazione.
Dalla passione di Irene per il territorio biellese e la sua storia nasce l'associazione culturale White Rabbit.
L'associazione si pone lo scopo di portare informazione facendo conoscere alle persone che abitano il territorio e ai turisti la storia antica di Biella che nel tempo è stata dimentica o è diventata patrimonio di pochi. Dalla scrittura del suo primo romanzo Irene ha colto la passione e la curiosità crescente nei suoi lettori, traducendo questo bisogno in quella che oggi è White Rabbit, un luogo di incontri e scambi dove viene data la possibilità di partecipare a conferenze con ricercatori e scrittori, ma non solo. Attraverso la ricerca e mettendo insieme fonti scritte le attività principali sono i tour sia nel territorio biellese che fuori e tutte le domeniche Irene incontra i turisti nazionali e internazionali per portarli alla scoperta di misteri, storie dimenticate e luoghi ancestrali.
Dal 2020, con l'inaugurazione della sede, l'associazione organizza settimanalmente eventi a scopo formativo e didattico e ospita altri professionisti che si occupano del benessere della persona, è stata messa a disposizione dei soci una biblioteca, un'area relax e un aggiornamento continuo attraverso il sito web e i video su YouTube.
Malak è un ragazzo egiziano di 18 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 3 anni fa ed ha imparato ad essere responsabile del suo futuro. Inizialmente è stato affidato ad una Casa Accoglienza per MSNA poi è stato trasferito in una comunità per maggiorenni. Ha avuto l’opportunità di studiare e formarsi, concludendo la licenza media. Attualmente vive un’esperienza di coabitazione con altri ragazzi e si impegna nel lavoro che ha sempre fatto: il macellaio.
Sin da quando era in Egitto ha lavorato in macelleria ed anche qui, grazie alla sua pregressa esperienza, ha iniziato a lavorare come macellaio intraprendendo un percorso lavorativo che gli ha permesso di imparare nuove tecniche e maturare esperienza per il suo futuro. Malak, nel corso della sua permanenza a Reggio Calabria, ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi si sente cambiato, più cresciuto e responsabile delle azioni che fa. Ha degli amici con cui condivide parte del suo tempo libero e che lo supportano e lo aiutano nelle scelte da prendere.
Gli piace lavorare, giocare a calcio e soprattutto studiare perché la cosa più importante è la lingua italiana che può aiutarlo ad inserirsi, ancor di più, nelle dinamiche relazionali e lavorative. Malak ha dei sogni nel cassetto, aprire una macelleria o un ristorante. Con la sua audacia non si arrenderà ma farà di tutto pur di raggiungere i suoi sogni.
Nuurta è nata in Somalia ma vive in Italia da moltissimi anni. Quando è arrivata aveva ventuno anni ed ha subito trovato lavoro in un albergo: “erano tempi diversi anche in Italia – ci dice, era più facile trovare lavoro”. Ha poi sperimentato diversi impieghi, tra cui babysitter, badante e operatrice sanitaria in una casa di cura. Ora lavora come mediatrice culturale e interprete e traduttrice per il tribunale, per cui fa da mediatrice ad alcuni ragazzi rifugiati che non conoscono la lingua, oltre a lavorare come volontaria in un centro di accoglienza.
Da qualche anno Nuurta ha fondato l’associazione “Shukran Somalia Onlus”, che ha partecipato a diversi progetti nazionali con enti no profit come Fondazione Ismu oppure l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, per l’inserimento lavorativo di giovani somali e somale. L’associazione è nata per fornire un sostegno ai rifugiati somali in Italia, sia linguistico che burocratico (ad es. per il disbrigo di pratiche legate al permesso di soggiorno). L’associazione organizza anche delle attività culturali volte a far conoscere la cultura somala, come la Milan Somali Week, che affronta ogni anno un tema di attualità differente e che coinvolge istituzioni pubbliche, scrittori ed altre personalità di rilievo somale – tra cui molte donne- e notiziari internazionali.
Il desiderio di Nuurta è però quello di ampliare il raggio d’azione dell’associazione e promuovere delle iniziative anche in Somalia. La Somalia è un paese devastato da trent’anni di guerra civile. Lei è potuta tornare per la prima volta nel 2013, diciassette anni dopo esser partita per l’Italia, ed ha visto molta povertà: chi non ha soldi non può mandare i figli a scuola e difficilmente può pagare le cure mediche. Così l’associazione ha promosso l’iniziativa “adotta un insegnante”: pagando lo stipendio degli insegnanti, possono garantire la scuola gratuita per una trentina di famiglie povere. Ora Nuurta vorrebbe acquistare un terreno ad una sessantina di kilometri da Mogadiscio, per costruirvi un ospedale con anche un reparto per donne incinte: a differenza della capitale, molti villaggi non hanno infatti né ospedali né scuole.
A Milano l’associazione opera in diversi municipi, anche se è basata alla Casa delle Associazioni in Municipio 5. Si tratta di una bellissima iniziativa – ci dice- perché molte piccole associazioni non possono permettersi di pagare l’affitto e la scarsità di spazi per le attività ricreative e culturali è un problema molto sentito. Il fatto di condividere i locali favorisce inoltre il lavoro in rete e la nascita di iniziative comuni. E’ poi importante riuscire a coinvolgere i giovani nelle iniziative e far vivere il quartiere, un po’ come all’occasione della festa delle associazioni che si tiene ogni anno al parco di Chiesa Rossa. L’associazione Shukran promuove quindi anche diversi momenti di incontro e socializzazione, in cui le persone ballano, cantano, condividono un pasto. Se pensa ad una comunità, Nuurta pensa al paese dove abita, Baranzate: un piccolo paese dove sono presenti oltre settanta etnie. Per creare comunità ci vuole impegno, richiede essere presenti nel quartiere, organizzare delle attività coinvolgendo le persone, anche piccole iniziative di socializzazione. Sempre a Baranzate, l’associazione ha organizzato dei laboratori di cucito per donne che sono stati molto apprezzati e in molte le chiedono quando ne verranno organizzati altri.
Per concludere chiediamo quale consiglio si sentirebbe di dare ai giovani stranieri che arrivano in Italia. “Innanzitutto imparare la lingua e i tuoi diritti”: conoscere la lingua facilita molto, anche nella ricerca del lavoro, e conoscere i propri diritti è importante perché questi non vengano calpestati. Il consiglio è anche quello di mettersi a studiare: lei quando è arrivata ha preso il diploma di operatrice turistica. Avrebbe poi voluto iscriversi all’università ma non era conciliabile con gli impegni lavorativi. Per il futuro, oltre all’impegno per la costruzione di un ospedale in Somalia, Nuurta vorrebbe fare avviare delle iniziative nelle carceri. Ce n’è infatti un gran bisogno, perché molti migranti detenuti non hanno modo di contattare il proprio paese di origine, per cui è fondamentale prendere contatto con i consolati per informare le famiglie, che spesso non hanno notizie di dove si trovino i loro ragazzi.
Raffaella e Ida sono docenti di scuola secondaria di primo grado all’istituto Fabio Filzi e sono referenti di plesso del sostegno e della funzione strumentale dell’inclusione. Hanno scelto questo istituto perché qui viene sperimentato un progetto innovativo per l’inserimento di alunni con autismo e altri disturbi del comportamento, per cui alunni che altrimenti sarebbero difficilmente scolarizzabili altrove, qui possono frequentare l’orario scolastico completo come i compagni. Il progetto si chiama “Differente non da meno” e nasce nel 1999 grazie all’impegno di una loro collega della scuola primaria, per favorire l’inserimento di un bimbo autistico nella scuola primaria dell’Istituto Filzi sito in Via Ravenna.
Il progetto nella scuola secondaria di primo grado dove Raffaella e Ida insegnano, nasce per creare una continuità e garantire che i ragazzi della scuola primaria potessero proseguire il loro percorso di apprendimento con il passaggio alla secondaria.
I ragazzi frequentano la scuola come i compagni, ma dispongono di aule dedicate, in quanto partecipano a diverse attività laboratoriali, di musica, motoria, arte e attività manuali, e nei processi di apprendimento viene favorito l’utilizzo di immagini e supporti tecnologici come delle applicazioni. Gli alunni beneficiano anche di momenti di apprendimento uno a uno, oltre a percorsi volti a stimolare le loro autonomie. Si tratta di un progetto molto ricercato, che poche scuola hanno in Italia. Per questo ricevono molte richieste dalle famiglie, provenienti da tutte le zone di Milano e hinterland , che però non sono in misura di soddisfare, in quanto le classi non possono essere troppo numerose. In molti docenti hanno scelto l’istituto e questo ha permesso di garantire continuità ai ragazzi, per i quali è importante avere figure di riferimento stabili.
L’istituto è anche capofila della una rete “Differente non da meno” volta a condividere le buone prassi: fare rete quando si lavora con le disabilità è infatti fondamentale. Oltre a collaborare con altri istituti, i docenti e gli educatori hanno instaurato una relazione proficua con le famiglie dei ragazzi e gli istituti sportivi e ricreativi da loro frequentati nel doposcuola, perché quando una strategia si rivela funzionale, è importante che venga applicata dall’insieme delle persone che si interfacciano con i ragazzi.
Negli anni l’istituto ha saputo tessere legami con il territorio in cui è situato: in seno al progetto è nata ad esempio l’associazione Fabula Onlus che si è radicata nel quartiere e che può contare su educatori ben formati. Il Comitato Genitori è anche molto attivo – organizza infatti una festa di fine anno che coinvolge tutto il quartiere- e attento ai bambini più fragili, sostenendo ad esempio l’acquisto di materiali. I ragazzi che Raffaella e Ida seguono hanno bisogno di fare molto movimento, per cui attualmente stanno cercando chi possa donare tapis roulant e cyclette, attrezzi a circuito e da palestra. La Dirigente e il consiglio d’istituto sono molto ricettivi rispetto alle istanze da loro portate, motivo per cui preoccupa il ridimensionamento dell’istituto ed un possibile cambio di Dirigenza. E’ infatti previsto che l’istituto venga scorporato e che il plesso dove ci troviamo di Via dei Guarneri venga accorpato ad un altro istituto più piccolo, con conseguenze sul progetto che vede una continuità tra la scuola primaria e quella secondaria, permettendo di seguire i ragazzi con fragilità fino alle superiori. Immaginare di creare il progetto ex novo in un altro istituto non è scontato, perché richiede tempo, risorse umane ed economiche e spazi fisici dove poter svolgere i laboratori dei ragazzi. L’auspicio è quindi che il progetto possa continuare e che arrivino risorse e persone che abbiano voglia di dedicarvisi.
Chiedendo infine come dovrebbe essere la comunità secondo la loro esperienza: “inclusiva, trasparente … e pronta all’ascolto”.
Achille è nato in Via Rogoredo il 24 dicembre del 1928. Ha seguito la scuola qui in quartiere e poi ha frequentato la scuola dei lavori in Via Daverio, da cui è stato espulso assieme a due suoi compagni perché, in occasione della visita alla scuola del Ministro del Lavoro del Terzo Reich, erano stati indisciplinati … non è un caso se ancora oggi lo chiamano monello!
Una volta espulso dalla scuola, Achille ha costituito assieme ad altri amici, tutti giovanissimi, un piccolo nucleo partigiano qui a Rogoredo: si ritrovavano in una officina qui in quartiere e leggevano L’Osservatore Romano, che all’epoca era un giornale di orientamento politico differente rispetto al governo. Si erano infatti riproposti di voler informare le persone, per cui distribuivano i giornali nelle strade e organizzavano dei comizi nelle fabbriche, stando attenti a non essere scoperti dalle brigate fasciste (in quartiere ce n’erano un paio). Si procuravano anche i medicinali per soccorrere i compagni feriti, come ricorda nel caso di un compagno che si era ferito alla mano e che avevano medicato a casa di un pittore di Rogoredo. Organizzavano poi dei disarmi, in cui portavano via le armi ai fascisti per darle ai partigiani ma, durante uno di questi disarmi avvenuto in Piazza Medaglie d’Oro, ci fu uno scontro a fuoco ed alcuni partigiani furono catturati. Sotto tortura, i prigionieri hanno “cantato”, facendo i nomi dei compagni che avevano partecipato all’operazione e così, il 24 dicembre del 1944, i fascisti hanno circondato il posto dove Achille ed altri si erano nascosti e sono stati catturati. In quella occasione gli hanno rotto il naso con il caricatore di un mitra, da cui l’appellativo di “il nason” con cui lo chiamano. Portati a Como Borghi, sono stati presi a bastonate ed è stato indetto un processo, a seguito di cui cinque suoi compagni sono stati condannati a morte e sono stati fucilati, uno dei quali era giovanissimo, aveva ventuno anni. Achille invece è stato condannato a sedici anni di prigione ed è stato portato nel carcere di Como, poi a San Vittore a Milano e infine nel carcere di Alessandria.
Il 24 Aprile del 1945 i partigiani assaltarono il carcere di Alessandria e Achille riuscì a scappare. Non sapendo dove andare ed essendo la zona pattugliata dalle SS, fu ricatturato dai nazisti e portato in carcere, dove riuscì nuovamente a scappare quando la città venne liberata il 25 Aprile. Finita la guerra, Achille ha fatto parte per qualche tempo della Militar Police americana: gli Americani avevano infatti bisogno di persone che conoscessero il territorio per controllare la situazione.
Poi Achille è tornato a Rogoredo ed ha trovato lavoro in una piccola officina, poi alla Caproni e infine alla Redaelli, dove è rimasto per venticinque anni. Quando la fabbrica è stata chiusa, è stato Achille, in quanto rappresentante del sindacato, a gestire la vertenza di chiusura e ci dice con orgoglio che tutti gli operai della Readelli sono stati ricollocati in altre fabbriche e nessuno è rimasto senza lavoro. Si sono poi costituiti in cooperativa ed hanno acquistato dalla fabbrica le case dove abitavano gli operai e le hanno rivendute ai lavoratori che hanno quindi potuto rimanere a vivere nel quartiere.
Quando c’era la fabbrica, “c’era un certo non so che” - ci dice Achille: quasi tutti gli abitanti di Rogoredo erano infatti lavoratori delle fabbriche (oltre alla Readelli e la Caproni ve ne erano alcune altre nel quartiere) e si ritrovavano dopo il lavoro al Mondini, al Cral o alla Rogoredo84. Con la chiusura delle fabbriche è stato come se si fosse sfasciata una casa e il quartiere è cambiato: un nucleo di lavoratori è rimasto grazie all’acquisto delle case con la cooperativa ma sono arrivate nuove persone. E’ stato costruito il quartiere di Santa Giulia sul terreno della fabbrica dismessa, è arrivato Sky, il quartiere si è popolato di famiglie ed è in qualche modo migliorato, diventando un bel quartiere per il ceto medio. Oramai il terreno è stato tutto edificato, ricoperto da case … mentre Achille vorrebbe vedere più spazi verdi, curati. Anche di luoghi di ritrovo non ce ne sono più, a parte i bar e le pizzerie.
Quando gli chiediamo un suo auspicio per il futuro, Achille ci dice che il suo unico desiderio è quello di passare gli ultimi anni della sua vita qui, a Rogoredo.
Storia AZIENDA FAMILIARE- SUPERMERCATO in COOP
Il Supermercato "in COOP" , con la sua sede di Montepalma, quartiere periferico di Catania, nasce nel 1989, grazie all’intraprendenza della famiglia Cipriano, che sognava di creare una piccola impresa familiare, in un quartiere per certi versi difficile, ma pieno di voglia di riscatto e dopo 35 anni anche se il supermercato ha assunto varie insegne, l'attività è sempre più riconosciuta e vissuta come punto strategico dagli abitanti del quartiere
Alla in Coop, prima di tutto si viene accolti, ci si sofferma e ci si racconta il proprio quotidiano e si condividono gioie e dolori, come le “vecchie botteghe di un tempo”, si creano e si organizzano azioni ed eventi per il bene della comunità e naturalmente si acquistano ottimi prodotti.
I proprietari della in COOP, circa 20 anni fa iscrivendo la loro prima figlia nella nostra struttura, hanno conosciuto la Cooperativa Marianella Garcia e i suoi operatori, a suo tempo eravamo l'unica realtà che suppliva con i nostri servizi rivolti ai più piccoli e le loro famiglie, l'assenza e l'insufficienza nella zona di strutture e asili nido comunali.
Negli anni, oltre ad ingrandire la loro attività, hanno instaurato un rapporto sempre più significativo e di fiducia per il nostro lavoro rivolti ai minori e al quartiere, che pian pianino ha cambiato immagine, preso vita e messo in atto azioni e servizi per tutta la comunità
Divenendo essi stessi, i paladini dell’ INCLUSIONE SOCIALE.
Grazie alla loro attenzione verso i più deboli è stato naturale proporre e collaborare con i nostri progetti, che avevano come azione l’inserimento di minori stranieri nella loro azienda come tirocinanti.
Tra le varie borse lavoro istituite, quella di MAKANDIAN, minore straniero non accompagnato della nostra comunità, ad oggi è la loro esperienza più bella e significativa.
Makandian, in questi 12 anni,, con la sua timidezza, educazione e voglia di fare, è divenuto un giovane adulto, che conosce bene il suo lavoro, è ormai un bravissimo magazziniere, ha una sua casa nel quartiere, una fitta rete amicale e un contratto con l'azienda a tempo indeterminato.
Per questo, quando si è ripresentata l’opportunità di inserire un altro minore straniero come tirocinante, hanno subito accettato e accolto DOAOUDA DIALLO, beneficiario del progetto Tempo al Tempo.
Il suo tirocinio dopo il faraginoso l’iter burocratico affrontato insieme ai colleghi di idea lavoro, ha avuto inizio il 4 settembre, e avrà la durata di 6 mesi cosi come da progetto.
Sono contenti di DIALLO, soprattutto Makandian che lo ha seguito e lo segue tutt’ora come tutor,
Diallo è dolce, educato, puntuale e si spera possa diventare durante questi mesi un bravo magazziniere.
Come ho già scritto, negli ultimi mesi, il supermercato in Coop, si è ingrandito, ha acquisito una immagine più elegante, moderna, offre molti servizi, quali edicola e telefonia, ma la cosa più significativa è che le persone che lo gestiscono e ci lavorano da anni sono sempre accoglienti e non hanno mai smesso di rivolgere la loro attenzione a chi ne ha più bisogno e a tutto il quartiere di Montepalma.
Barbara e Andrea lavorano rispettivamente per il Centro di ascolto Caritas a Morsenchio – presso la parrocchia della Beata Vergine Addolorata- e Rogoredo – presso la parrocchia della Sacra Famiglia. Si tratta di luoghi fisici situati all’interno dei locali delle rispettive parrocchie, che si rivolgono alle persone che attraversano momenti di difficoltà. I Centri di ascolto svolgono in primis un ruolo di ascolto rispetto ai bisogni immediati, come richieste di aiuto alimentare o urgenze economiche, e di reindirizzamento ai servizi del territorio … ascolto che gli operatori trasformano poi in progetti individuali integrati volti a far uscire le famiglie dalla condizione di fragilità. A seconda delle situazioni, il sostegno dei Centri può variare da un accompagnamento per la regolarizzazione dei documenti e per la ricerca di un lavoro o di una soluzione abitativa, ad un indirizzamento per l’apprendimento della lingua italiana … Lavoro che richiede agli operatori anche di saper essere creativi nel trovare le soluzioni ai problemi. In questi ultimi anni si è rilevata una diminuzione del numero delle persone che si rivolgono ai centri d'ascolto ma l’accompagnamento per la soluzione delle situazioni è diventato più duraturo e continuativo nel tempo.Certamente si tratta di un lavoro difficile, ma le situazioni a lieto fine sono quelle che spingono gli operatori a continuare il loro lavoro. Ad esempio, un ragazzo che ha trovato lavoro ha scritto una bellissima lettera di ringraziamento ed il papà di una famiglia che hanno aiutato per tempo con i pacchi alimentari si è poi presentato da loro carico di borse della spesa dicendo: “Mi avete aiutato per tanto tempo, ora aiuto io voi!”.Oltre ai pacchi alimentari, che i Centri distribuiscono grazie alle donazioni parrocchiali ed alla collaborazione con il Banco Alimentare, le rispettive parrocchie ospitano servizi di doposcuola e corsi di Italiano per stranieri. Il problema abitativo è uno dei più urgenti. Nei rispettivi quartieri di Rogoredo e Morsenchio, la rivalutazione immobiliare ha fatto schizzare i prezzi degli affitti, mettendo molte famiglie in difficoltà, in alcuni casi lasciandole per strada … Barbara e Andrea ricordano ancora le difficoltà legate agli sfratti durante il periodo della pandemia, dove le persone non sapevano dove andare, ma la collaborazione con i servizi del Comune e la generosità di tanti parrocchiani hanno permesso di aiutare queste persone anche in questa situazione.Rispetto a chi si rivolge a loro, affermano che si tratta per la maggior parte di stranieri ma che in questi anni sono aumentati anche gli italiani in situazione di difficoltà: da chi non ha né un lavoro né una pensione, a chi ha problemi di debiti. Per poter dare una risposta efficace, oltre a fare rete con le altre realtà della Caritas Ambrosiana, fanno rete con le scuole e le associazioni del territorio: in particolare con l'aggravarsi della situazione economica e occupazionale, è diventato urgente che tutta la società civile si occupi maggiormente delle povertà, supportando gli sforzi delle diverse realtà del terzo settore che operano nel territorio.In quanto parrocchia, si definiscono una comunità accogliente e, dalla loro esperienza, le persone hanno ancora sete di relazioni vere e comunità che accolgono. Motivo per cui la parrocchia è frequentata da molte famiglie che arrivano per la catechesi dei bambini e poi si affezionano alle persone ed ai luoghi e continuano a frequentarli. Allargando alla comunità del quartiere, Rogoredo è una realtà ricca di associazioni che organizzano diverse iniziative culturali e sportive e lavorano in rete. Per chi vuole, ci sono diverse possibilità di rendersi attivo partecipando alla vita del quartiere, anche se nel tempo si è rilevato che la partecipazione alle iniziative è un po’ calata: questo probabilmente perché nella società di oggi, frenetica e disgregata, è difficile trovare del tempo oltre alla vita lavorativa e familiare. Rogoredo è rimasta una realtà a misura di persona, un paese, e l’auspicio è che rimanga un luogo dove è possibile mantenere dei rapporti umani, dove resti in vita lo spirito di comunità, dove questo spazio di relazioni che esiste ancora oggi non venga soffocato dall’efficientismo milanese, dove il tutto viene ridotto alla sua utilità e funzionalità.
Rouben si occupa di progettazione sociale e comunicazione orientata al fundraising: ovvero, sviluppo di progetti in ambito sociale e ricerca di finanziamenti. In passato si è interessato di inclusione di persone con disabilità e progetti artistico - culturali: nello specifico, Rouben è appassionato di community music, movimento ancora poco conosciuto in Italia che valorizza la musica in quanto ‘strumento’ per far incontrare le persone e fare comunità. Ora Rouben è il legale rappresentante dell’associazione Trottola Urbana, che ha come obiettivo quello di promuovere il gioco, da intendersi come pratica umana universale diffusa in tutto il globo e quindi adatta a tutte le fasce d’età. E’ infatti riconosciuto come il gioco possa avere benefici a livello fisico come anche contrastare lo sviluppo di malattie neurodegenerative negli anziani. Tuttavia, per l’associazione il gioco è innanzitutto uno strumento di coesione sociale e di dialogo intergenerazionale e interculturale.
Il gioco può svolgere un ruolo importante in una comunità in quanto veicola valori che stanno alla base di qualsiasi convivenza: nel gioco infatti ci si affronta nel rispetto delle regole, in quanto si riconosce il valore del proprio avversario, senza il quale il gioco non potrebbe esistere. Il gioco è inoltre uno strumento di coesione sociale, in quanto fa incontrare le persone: nel progetto Itinerari unici, l’associazione ha infatti creato una ludoteca mobile in cui si può sedere a giocare con persone che non si conoscono.
Pur rivolgendosi a tutto il Municipio 4 ed alla città nel suo insieme, l’associazione nasce a Rogoredo per ragioni sentimentali, in quanto la compagna di Rouben e socia fondatrice dell’associazione è cresciuta qui, da cui il desiderio di restituire qualcosa al quartiere. Oltretutto, il quartiere è un terreno vivace, con molte possibilità: un luogo ricco nonostante abbia subito uno stigma da parte della città di Milano. Negli anni il quartiere si è allargato con la costruzione di Santa Giulia e Merezzate e Rouben auspica che ci sia una maggiore continuità tra i quartieri: continuità non solo urbanistica ma anche di persone, che vivano il territorio come un unico grande quartiere. Il conservatorio in costruzione, che sorgerà tra la Rogoredo vecchia e Santa Giulia, svolgerà a tal proposito un ruolo importante. Il desiderio è anche che i luoghi vengano vissuti maggiormente, con più eventi all’aperto: se infatti da un lato l’isolamento di Rogoredo è da sempre stato una sua caratteristica, questo potrebbe diventare una potenzialità. Si potrebbe infatti immaginare di chiudere il quartiere per un paio di giorni, giocare nelle strade e poi riaprirlo.
Per il futuro, l’augurio è che l’associazione possa essere costruttrice di legami e di tempo di qualità, di esperienze e di possibilità per il territorio, anche lavorative. Quindi, che Trottola Urbana possa crescere con Rogoredo, diventando un punto di riferimento e di orgoglio per il quartiere perché si dica che a Rogoredo si fanno cose belle.
LABorà è una bottega di prodotti sfusi situata in Via Melotti a Santa Giulia: prodotti locali, etici e … sostenibili! Il nome si rifà alle parole “Lab” e “Agorà”: la prima sta ad indicare la vocazione della bottega ad ospitare nei suoi spazi laboratori di recupero e di sensibilizzazione sul tema ambientale, la seconda invece fa riferimento alle agorà greche, piazze che nell’antichità erano luoghi di incontro e socializzazione. In bottega si possono trovare alimenti sfusi - come cereali, legumi, farine, pasta … e tante spezie, tisane ed infusi - e poi detersivi alla spina, detergenti per il corpo, shampoo e bagnoschiuma tutto zero waste, oltre ad un ottimo caffè macinato che ci viene calorosamente offerto.
In negozio ci accoglie Sabina, architetto di interni e designer, che ha ristrutturato ed arredato il negozio con un tocco unico ed un’attenzione alla sostenibilità. Diventata mamma ha visto come, con l’allargarsi della famiglia, sia aumentata anche la produzione di rifiuti, ed essendo da sempre sensibile ai temi ambientali, ha iniziato a frequentare i negozi di prodotti sfusi fino alla decisione di aprirne uno nel suo quartiere, a Santa Giulia. Sabina è infatti un’abitante storica: si è trasferita qui quando il quartiere era ancora un cantiere, per cui il suo primo ricordo sono le strade sterrate e senza nome. Quando poi sono comparse le targhe delle vie, la sua gioia è stata grande, in quanto Melotti è uno scultore che lei apprezza molto, come anche il movimento artistico del Futurismo a cui è dedicata un’altra via. Quello che la lega a Santa Giulia è quindi un legame molto forte con il territorio: il desiderio di fare qualcosa per il suo quartiere ed un substrato fertile, con molte famiglie giovani e sensibili ai temi ambientali. Della Santa Giulia odierna apprezza particolarmente la promenade dove fare gli aperitivi, mentre di Rogoredo il suo posto preferito è la piazzetta centrale antistante alla chiesa.
Da sempre Sabina è attiva nel quartiere: appena arrivata, si è attivata subito per creare delle reti social tra abitanti, volte ad aiutarsi l’un l’altro, ed ora partecipa all’organizzazione di ronde di pulizia al Parco Trapezio. Ha fatto anche parte del GAS di quartiere per diverso tempo, da appassionata di cibo sano: suo papà produce infatti dell’ottimo olio extravergine d’oliva! Il suo contributo alla comunità potrebbe quindi essere quello di prendersi cura del quartiere con delle iniziative di pulizia, oltre a promuovere attivamente la riduzione di rifiuti con i suoi prodotti zero waste.
Per Sabina una comunità dovrebbe essere innanzitutto coesa e attenta al bene comune: in questo vede che a Santa Giulia ci sono molti cittadini che hanno a cuore il decoro urbano del proprio quartiere. Tuttavia ci vorrebbe una maggiore consapevolezza rispetto all’impatto ambientale di alcuni nostri gesti, come buttare i mozziconi di sigarette a terra, oppure le cartacce.
L’augurio per il futuro è che le persone vengano numerose a visitarla, anche solo per scambiare due chiacchiere. Quello che apprezza maggiormente del suo lavoro è infatti la relazione personale instaurata con i clienti, che lei consiglia e che poi passano in negozio a ringraziarla perché, ad esempio, “questa tisana che mi hai dato mi ha proprio sgonfiato!”. L’invito è quindi quello di venire a scoprire i suoi prodotti: sani e scelti da una filiera corta ed etica, da persone che all’ambiente ci tengono come lei.
Silvia ha aperto il negozio Sbarluccico in Via dei Guarneri da poco più di un anno. Ha scelto questo posto perché vicino casa -non deve quindi fare lunghi viaggi per andare e tornare da lavoro- e perché è una zona tranquilla, con belle persone. Precedentemente ha fatto diversi lavori: ha lavorato in ufficio come tecnica al merchandising e, dopo una pausa dovuta alla nascita dei suoi figli, ha iniziato a lavorare in un negozio che vendeva componentistica per bigiotteria, dove si è specializzata nelle diverse tecniche e dove teneva dei laboratori.
La bigiotteria è da sempre stata la sua passione, da quando era ragazza. Ora, all’alba dei cinquant’anni, ha coronato il sogno di aprire una sua attività. Oltre ad avere dimestichezza con la gran parte delle tecniche di bigiotteria, ultimamente si è data al cucito da autodidatta: passione che le sta dando delle grandi soddisfazioni con la realizzare di borse artigianali. Oltre a trovare le componenti sfuse per la realizzazione di gioielli, in negozio si può partecipare a dei laboratori di bigiotteria che Silvia tiene su richiesta, come le è capitato recentemente con una mamma e una figlia che hanno realizzato un gioiello assieme. Oltre a ciò, Silvia realizza gioielli su misura, fa restyling di bigiotteria e riparazioni. In occasione delle festività -come Natale, Halloween e Pasqua- ha tenuto diversi corsi per i bambini.
Prima di aprire il negozio qui, Silvia ha frequentato un po’ il quartiere grazie ad un’amica che lavora a scuola e l’ha colpita subito la bella atmosfera. Ora le molte ore passate a lavoro, non le consentono di vivere a pieno il quartiere, anche se le è capitato di fare degli aperitivi nei bar della zona e l’anno scorso ha partecipato alla festa di fine anno della scuola antistante al negozio donando un pacco regalo per la lotteria. La festa ha rappresentato un bel momento che ha coinvolto l’intero quartiere. A parte ciò, apprezza la tranquillità, anche se dove si trova lei non è un punto di passaggio e per il futuro auspica che ci siano più negozi a rallegrare la via. Tuttavia il passaparola sta funzionando molto bene, ed è è stata ben accolta sia dai commercianti vicini che dai clienti, che si sono mostrati contenti che in quartiere abbia aperto un’attività un po’ diversa dal solito.
Il desiderio è che le persone vengano ad acquistare in negozio, che il quartiere rimanga com’è - bello e con persone gentili- e che gli abitanti dei palazzi nuovi si integrino con il resto del quartiere. Che sia quindi una comunità in cui regna l’armonia e unita.
Tiziana ha tre figli ed è maestra di scuola primaria. Fin da piccola ha sempre desiderato fare la maestra ed ha iniziato ad insegnare appena finite le superiori. Da studentessa non amava particolarmente l’Italiano, la materia che ora insegna, motivo per cui con i bambini ha un approccio di insegnamento differente ed è contenta che loro non debbano sentire lo stesso imbarazzo che sentiva lei di fronte ad un foglio bianco. Le piace molto insegnare ai bambini e nel suo lavoro si diverte, anche se riconosce che è un mestiere impegnativo, in quanto ci si porta a casa le storie dei bambini e delle loro famiglie, motivo per cui suo marito, scherzando, spesso la rimprovera di avere la testa altrove. Quando ha iniziato, non aveva molta fiducia nelle proprie capacità, mentre ora riconosce il contributo importante che in quanto insegnante può dare alla sua comunità. Da insegnante per lei è importante stimolare le capacità intellettive dei bambini ed accettarli così come sono, nelle loro diverse sfaccettature.
Tiziana abita nel Vigentino dal novanta e del quartiere apprezza il verde e la dimensione da grande paese dove in poco tempo si possono conoscere molte persone. Venire a vivere qui ha quindi capovolto lo stereotipo che descrive Milano come una città chiusa e poco accogliente: specialmente grazie al lavoro a scuola, ha infatti conosciuto molte persone, stretto legami importanti ed è entrata a far parte dell’associazione di genitori della Wolf Ferrari con la compagnia dei “Geniattori”, anche se per poco tempo. Questo è un posto dove, chi vuol dare il proprio contributo, ha l’occasione di farlo e di attivarsi: attualmente stanno infatti organizzando le ramazzate, occasioni in cui si puliscono gli spazi pubblici con sponsor che forniscono gadget ai bambini che partecipano. C’è poi la festa di fine anno della scuola con moltissimi giochi e laboratori che coinvolgono gli abitanti ed i commercianti del quartiere. Ha poi partecipato alla firma del patto di collaborazione sul sentiero della biodiversità, in cui i bambini si sono fatti protagonisti nel reinventare gli spazi in cui vivono. A tal proposito, la principale necessità che era emersa da queste coprogettazioni con i bambini è stata quella di disporre di spazi di ritrovo all’aperto come al chiuso, per quando fa freddo o c’è brutto tempo. Purtroppo, specialmente dopo il Covid, gli spazi della scuola non sono di facile accesso fuori dall’orario scolastico, per cui mancano dei luoghi di aggregazione per i giovanissimi ed i giovani, al di là della scuola, dell’oratorio e dei centri sportivi. Ad esempio, i suoi figli che sono adolescenti si ritrovano sotto i portici del palazzo, generando il malcontento dei condomini. I bar del quartiere infatti ad una certa ora chiudono, per cui gli unici posti in cui ritrovarsi sono gli spazi all’aperto.
Per Tiziana ci vorrebbero quindi degli spazi di aggregazione al chiuso, come una biblioteca, una ludoteca, oppure uno spazio come quello dove ci troviamo, lo spazio comune Living, dove gli adolescenti possano passare del tempo tra di loro sotto la supervisione degli adulti. Guardando questo grande spazio comune, Tiziana immagina anche delle attività ludiche di educazione all’utilizzo degli strumenti grafici per i più o meno piccoli, essendo lei specializzata in educazione al gesto grafico.
Quando invece chiediamo come dovrebbe essere una comunità, Tiziana ci risponde accogliente, empatica e positiva, ovvero capace di valorizzare le proprie risorse. L’augurio per il futuro è perciò che le persone siano più partecipi e capaci di lavorare assieme, in quanto ognuno può fare qualcosa nel suo piccolo. Rispetto invece alle esigenze più sentite, oltre alla mancanza di spazi di aggregazione, Tiziana ritiene che il Vigentino abbia un po’ perso la sua identità: prima vi era infatti la festa del tartufo che si teneva in autunno e primavera in via Ripamonti ed era molto partecipata. L’impressione è quindi che il quartiere stia diventando un po’ un dormitorio, in cui si costruiscono nuovi palazzi ma per fare delle attività bisogna spostarsi altrove. A tal proposito questo grande spazio comune per le attività fa molto ben sperare.
Andiamo alla Casa delle Associazioni e del Volontariato situata a Gratosoglio, nel Municipio 5. Troviamo un ambiente familiare ed accogliente, con una biblioteca, un salottino e diverse sale polifunzionali.
Le Case delle Associazioni sono realtà aperte a tutta la cittadinanza, luoghi dove incontrarsi, fare rete e sviluppare progettualità condivise. Nella loro idea originaria, le Case sono state pensate per fornire degli spazi gratuiti per le tante associazioni di quartiere che non dispongono di una sede fisica e non hanno luoghi dove incontrarsi. Nel tempo, le Case sono diventate luoghi dove anche i cittadini attivi possono mettersi a disposizione della cittadinanza, valorizzando i loro saperi. E’ il caso di molti pensionati che si sono proposti di tenere attività e laboratori gratuiti, fornendo un servizio agli altri e a loro stessi, in quanto si sa che il volontariato fa bene innanzitutto a chi lo fa! Attualmente sono ottantasette le associazioni iscritte alla Casa e che a rotazione usufruiscono degli spazi. Tra le attività a cui è possibile partecipare, ci vengono menzionati corsi di ballo (liscio, mazurca, tango, balli caraibici e balli etnici), corsi sportivi (yoga, ginnastica dolce), corsi di arte terapia, corsi di informatica, doposcuola per ragazzi provenienti da famiglie fragili e laboratori di lingua italiana dove poter fare pratica per le situazioni del quotidiano. Diverse sono poi le iniziative volte a creare integrazione, come i laboratori di cucina dal mondo, in cui si prepara il cibo e poi, una volta cotto, lo si consuma assieme. Tra i servizi offerti, vi è il sostegno ad adulti con fragilità psichiatrica ed uno sportello di sostegno psicologico per familiari e persone affetti da Alzheimer.
La Casa è aperta tutti i giorni, anche al di fuori degli orari d’ufficio, in quanto viene data la possibilità alle associazioni che firmano il patto di collaborazione di usufruire in autonomia degli spazi, nel rispetto delle regole del condominio dove ci troviamo. Chiediamo perché la Casa sia situata qui a Gratosoglio e ci viene detto che lo spazio era ideale e, diversamente da altri che necessitavano di ristrutturazioni per essere fruibili, questo è potuto essere attivato in breve tempo. Diverse iniziative, come Prendiamoci cura della Casa, coinvolgono i cittadini e le associazioni nel prendersi cura del luogo, ritinteggiando i locali e personalizzando gli spazi.
Rispetto al quartiere, Gratosoglio è molto popoloso, quasi una piccola città nella città. Tra le criticità, ci vengono menzionate la mancanza di spazi di aggregazione come questo e la difficoltà nel coinvolgere le persone in periferie come questa, dove alcune famiglie vivono in una situazione di disagio economico e “non hanno tempo” per partecipare alle attività. Fortunatamente loro possono contare su di un numero cospicuo di associazioni con un forte legame con il territorio e con le molteplici comunità straniere presenti in quartiere. L’auspicio per il futuro sarebbe quello di farsi maggiormente conoscere: il Comune investe già delle risorse nella comunicazione ma il passaparola rimane la migliore pubblicità.
Samuele è stato un quadro funzionario per Regione Lombardia. Attualmente in pensione, è attivo con diverse associazioni di volontariato, tra cui Quei del Tredesin, Auser e Anteas. Con Quei del Tredesin ha curato un progetto, in convenzione con il Comune, per la realizzazione di orti all’interno delle scuole, tra le quali anche quelle del quartier Vigentino. Si tratta di un momento laboratoriale all’area aperta molto apprezzato dai bambini, un momento di educazione ambientale a contatto con la natura. Con Anteas e Auser invece partecipa ad un’iniziativa di pedibus per cui lui e quella che definisce “una banda di nonni e nonne” accompagnano i bambini all’ingresso di scuola e li vanno a prendere all’uscita. In questo modo offrono alle famiglie un servizio sociale completamente gratuito, oltre a trarne beneficio loro stessi. Molti sono infatti i nonni che si sono mostrati grati di questa esperienza perché permette loro di essere a contatto con i più giovani e di tenersi aggiornati sui tempi che cambiano. Con Anteas hanno anche un’attività nelle scuole in cui raccontano delle favole ai bambini in occasione delle feste natalizie e pasquali, secondo un tema che viene scelto annualmente: quest’anno il tema era quello della diversità e delle disuguaglianze.
Nel Vigentino Samuele frequenta le scuole per l’attività degli orti ed ha tenuto degli incontri nelle classi di sensibilizzazione sulla raccolta differenziata. Sorridendo ci dice di avere poi avuto un feedback da un genitore che si è lamentato scherzando in quanto i bambini adesso sono molto ligi nel fare la raccolta differenziata a casa. Quest’esperienza gli ha dato quindi la convinzione che se si fa educazione ambientale con i bambini, questi assimilano facilmente i contenuti.
Il quartiere Vigentino sta molto cambiando, con progetti di riqualificazione come quello di scalo romana o come quello che prevede il rifacimento dello spazio antestante alla chiesa di Sant’Andrea, con un giardino dove zia Carla potrà sedersi a “ciacolare” con le amiche finita la messa. Samuele ritiene che l’esigenza più grande per il quartiere sia quella di avere delle strutture ricreative e formative per i giovani, oltre alle scuole e agli oratori.
Rispetto alla comunità, Samuele ritiene che debba innanzitutto saper integrare. I bambini di adesso crescono in ambienti multiculturali e con una mentalità diversa dagli adulti della sua generazione. Samuele ricorda anche con piacere un evento in Via Bligny in cui, all’interno di un condominio, è stata organizzata una festa in cui ognuno portava un piatto del proprio paese e tutti i continenti erano rappresentati. Si è trattato di un bel momento ricreativo di incontro tra culture. In questa comunità inclusiva anche i nonni come lui possono dare un loro contributo, trasmettendo i loro saperi ai più giovani. Tuttavia, dice Samuele, non tutti i nonni hanno le energie per dare, in quanto i più han bisogno di assistenza perché con l’età si diventa fragili.
L’augurio per il futuro è che si intensifichino i momenti di dialogo, integrazione e accoglienza, “perché ne abbiamo bisogno tutti, per sentirci più umani”. Il desiderio è anche quello di vivere una vita piena al di là dell’affanno per il lavoro e dei problemi economici che attanagliano le molte famiglie che non arrivano a fine mese.
Salvatore e Letizia sono proprietari del bar Angolo 24 e del parrucchiere e centro estetico Leclò Style, situati in Via dei Guarneri. Salvatore è arrivato in quartiere nel 2001 mentre Letizia è nata e cresciuta nel Vigentino, motivo per cui hanno deciso di stabilire la loro attività qui. Il quartiere è cambiato moltissimo negli anni: quando è arrivato Salvatore qui era tutta campagna, non c’erano questi palazzi e anche attorno alla chiesa c’era solo prato. Tempo fa questo era un quartiere non molto sicuro, poi negli anni la zona si è molto rivalutata, anche se recentemente è tornato un po’ di degrado.
Nonostante le nuove costruzioni, è rimasta la dimensione da grande paese ed è quello che a Salvatore piace di più: ci si conosce un po’ tutti e anche lui che vive qui da pochi anni, in poco tempo ha conosciuto molte persone. Non è quindi un quartiere dormitorio, ma un quartiere di persone che vivono i luoghi anche di giorno, forse in ragione dell’età media degli abitanti che è abbastanza elevata. E’ anche un posto ricco di servizi: molte sono le scuole – nidi, asili, elementari e medie, ci sono supermercati, ed in poche fermate di tram si arriva in centro. Più che immaginare cose nuove, ci sarebbe quindi da migliorare quello che già c’è nel quartiere: le aree giochi per bambini e le aree cani, un po’ trascurate, le piste ciclabili, … sarebbe bello tornassero anche i vigili di quartiere che ora non girano più e che contribuirebbero a migliorare la sicurezza.
Salvatore ricorda con nostalgia le vecchie sagre del tartufo che si facevano in Via Ripamonti: momenti di convivialità, occasioni di incontro in cui si scambiavano due chiacchiere anche con i vicini di casa con cui generalmente si parla poco. Fare comunità è questo: divertirsi assieme, organizzare dei momenti ludici in cui si mette da parte la politica, che invece divide le persone.
Per il futuro Salvatore auspica la salute ed il lavoro. I negozi di quartiere come il suo sono fondamentali in una comunità, in quanto svolgono un ruolo sociale che le grandi superfici commerciali, per quanto ricche di offerta a buon prezzo, non fanno. Un esempio è stato durante il Covid, quando i suoi clienti, con cui ha instaurato un rapporto personale, gli inviavano le ordinazioni su WhatsApp che lui, munito di mascherina, andava a consegnare a domicilio.
Elena è educatrice e coordinatrice socio-pedagogica per la Cooperativa Lo Scrigno, che da oltre vent’anni opera nel quartiere di Gratosoglio con progetti per giovani, bambini, adulti ed anziani. Tra le iniziative della cooperativa, vi sono infatti dei centri di aggregazione per ragazzi delle medie e delle superiori, progetti di socializzazione per mamme con bambini, attività di doposcuola, progetti di assistenza domiciliare per minori, oltre ad attività di assistenza sanitaria e sociale domiciliare per anziani e disabili. Recentemente la sede della Cooperativa ospita al suo interno uno Spazio WeMi: uno sportello attivo quindici ore a settimana che rappresenta un interfaccia del Comune sul territorio, in quanto fornisce supporto nel disbrigo di pratiche amministrative ed orientamento ai servizi del territorio. Oltre al presidio fisico, uno spazio accogliente allestito visivamente secondo il format degli spazi WeMi, il servizio è attivo anche con uno sportello online. Gli spazi WeMi offrono inoltre la possibilità di sviluppare dei servizi condivisi sulla base delle esigenze della cittadinanza, come ad esempio dei doposcuola a prezzo calmierato.
La Cooperativa Lo Scrigno fa anche parte della rete QuBì, un’iniziativa nata qualche anno fa con il contributo di Fondazione Cariplo ed algtre Fondazioni del territorio, per fornire sostegno ai minori in situazione di povertà con proposte educative e socializzanti, oltre a promuovere sistemi integrati di presa in carico dei beneficiari e realizzare azioni specifiche di contrasto alla povertà alimentare. Elena è la referente per la rete QuBì Gratosoglio da cinque anni e si occupa quindi di promuovere le sinergie tra le diverse realtà che si occupano di contrasto alla povertà infantile, come i centri di ascolto, le società sportive, gli enti del terzo settore, i comitati genitori, gli operatori sociali.
Il Municipio 5 tiene da diversi anni dei momenti di confronto tra associazioni e gruppi informali di cittadini, con un Tavolo Territoriale che si svolge una volta al mese e che si organizza in diversi sottotavoli tematici, come il tavolo minori, il tavolo disabilità, il tavolo lavoro, il tavolo delle pari opportunità ed il tavolo povertà che Elena coordina. Il tavolo povertà , tavolo storico del Municipio, si riunisce anch’esso con cadenza mensile, al fine di scambiarsi informazioni sulle risorse del territorio, condividere delle chiavi di lettura sulla povertà e far nascere nuove progettualità condivise. Il Municipio mette inoltre in campo delle risorse materiali, come delle tessere cultura e delle tessere per la spesa, che le realtà aderenti al tavolo distribuiscono poi sul territorio a seconda dei bisogni.
Rispetto al quartiere, Elena apprezza la presenza di servizi e scuole, le aree pedonali e le aree verdi, oltre alla ricchezza di iniziative locali. Vi sono ad esempio diversi presidi educativi e sociali, come un centro per anziani, mentre ci sarebbe bisogno di maggiori proposte per i giovani: il doposcuola ad esempio, è un bisogno molto sentito e per il quale ci sono lunghe liste d’attesa. Nonostante la ricchezza di proposte, quello di Gratosoglio è un quartiere in cui il decoro urbano è peggiorato negli ultimi anni e in cui la percezione della sicurezza ha portato le famiglie a chiudersi negli spazi privati. E’ un quartiere molto popoloso, con un buon numero di case popolari di edilizia pubblica e con una parte della popolazione che vive una situazione di fragilità. Per questo diventa ancor più fondamentale saper lavorare in rete, ottimizzare le risorse evitando sovrapposizioni di proposte e, soprattutto, costruire delle progettualità che abbiano una continuità nel tempo.
Secondo Elena, in una comunità è importante che ci siano dei riferimenti anche informali, come dei professionisti che possano ascoltare e orientare le persone più fragili, e che questi riferimenti garantiscano una continuità, cosa non sempre possibile nel settore sociale.
Chiudiamo la nostra chiacchierata con un auspicio: quello che rimanga tra i cittadini e le associazioni una sensibilità per le fragilità e che si continui a lavorare in rete, in quanto l’unione fa la forza e soltanto assieme si può superare il sentimento di solitudine e impotenza di fronte alle tante difficoltà portate dai cittadini. Rispetto al luogo in cui ci troviamo, si tratta di uno spazio molto amplio e polifunzionale, che potrebbe offrire molte possibilità alle diverse fasce d’età.
Il nome “anima e corpo” evoca la filosofia degli antichi Greci, per i quali entrambe queste dimensioni erano fondamentali per l’essere umano ed intrinsecamente connesse: allenare il corpo ha benefici sull’anima, così come allenare l’anima ha benefici sul corpo. Il nome riprende inoltre quello di un’associazione storica del territorio e poi chiusa, riprendendone in qualche modo la tradizione ed il legame con il quartiere.
Caterina, tra le fondatrici dell’associazione sportiva dilettantistica “anima e corpo”, si è occupata per diversi anni di marketing e vendite ed ora insegna economia e commercio. Si è avvicinata allo sport dopo un incidente che le ha procurato un trauma alla caviglia e per il quale, dopo l’operazione, si è reso necessario un percorso di recupero. L’allenamento ha cambiato la sua vita, facendole realizzare che allenarsi non fa solo bene al fisico ma rende anche le persone più felici.
La possibilità di aprire una palestra a Merezzate si è presentata quando, uscendo dalla Lidl, ha visto l’apertura di una nuova pasticceria. Caterina si è quindi informata se ci fosse la possibilità di spazi commerciali, ha poi presentato un progetto ed oggi ci troviamo a pochi giorni dall’apertura della palestra. La palestra si ripropone di colmare un vuoto nei quartieri di Rogoredo – Santa Giulia – Merezzate - Ungheria, ovvero la mancanza di un posto dove potersi allenare in sicurezza.
La palestra offrirà una sala pesi con macchinari di ultima generazione attenti all’ambiente, in quanto l’energia sarà prodotta dalle persone stesse senza necessità di fonti di energia altre, una sala campus dedicata a corsi musicali, cardio, gag, pilates, yoga ed approfondimenti legati ad una corretta alimentazione ed una sala cross per allenamenti di impatto maggiore volti a sviluppare forza e resistenza. Ci saranno anche dei gruppi di mutuo aiuto in quanto la comunità è innanzitutto aiuto reciproco.
Ci saranno abbonamenti diversi dedicati a donne, over sessantacinque e teenager, con attività e fasce orarie mirate. L’auspicio è quello di poter attrarre i giovani ed offrire un’alternativa sana, di allenamento e di sfogo, al fine di prevenire devianze e dipendenze che talvolta interessano i giovani.
Il desiderio è quindi che l’attività prenda piede nel quartiere e diventi più di una palestra, un luogo dove condividere esperienze di vita sana e momenti di felicità. A tal proposito l’associazione ha partecipato alla giornata sportiva del quartiere, animando gli attrezzi con lezioni di trazione, gag e allenamento funzionale ed ha avuto una buona risposta dagli abitanti. Il quartiere offre molti spazi verdi pedonali per cui nel periodo primaverile ed estivo l’idea è di poter organizzare degli allenamento all’aria aperta.
Per Caterina una qualità del quartiere è sicuramente quella di essere multietnico e, siccome la passione per il cibo accomuna tutti, vorrebbe ci fossero occasioni di scambi culinari tra cucine dei diversi paesi, oltre a degli approfondimenti di cucina salutare e naturale e, perché no, magari una gelateria.
STORIA DI DIALLO
Diallo è un ragazzo che viene dal Senegal, ha 20 anni, nel suo paese ha lasciato tutta la famiglia, per costruirsi una vita migliore
Con questo desiderio, nel 2018 ha infatti intrapreso un viaggio lungo e difficile ed è giunto a Catania
Qui è stato accolto nella comunità per MSNA, della Cooperativa Prospettiva, divenuto maggiorenne è stato poi trasferito nello Sprar adulti, dove vive tutt’ora.
Allo Sprar si trova benissimo, ha un ottimo rapporto con Laura, responsabile della struttura e con gli operatori.
Si è creato la sua cerchia di amici, ama molto questa città e continua a sentire regolarmente la sua famiglia.
E’ un ragazzo timido ed educato, con tanta voglia di vivere e imparare.
Sorride spesso.
Frequenta con ottimi risultati il quarto anno dell’ERIS, una scuola di formazione con indirizzo- cucina.
Nonostante la scuola, aveva espresso più volte il desiderio di lavorare per poter aiutare la famiglia, ma anche per crearsi un futuro, dopo la fine del suo percorso all’interno della struttura che lo accoglie.
L’occasione si è presentata e concretizzata grazie al progetto Tempo al Tempo, che tra le tante azioni prevede per i beneficiari l’attivazione di tirocini-lavorativi, presso le aziende del territorio.
Dopo tutto l'iter burocratico, Diallo il 4 settembre ha iniziato il suo tirocinio di tre mesi, rinnovabile a sei, presso la COOP 3 C, una azienda familiare che ha sede a Lineri.
E' felice di questa opportunità, gli piace il lavoro di magazziniere, ogni giorno grazie al supporto dei colleghi, impara cose nuove e diventa sempre più autonomo.
Il supermercato gli piace, si sente accolto, riconosciuto e voluto bene da tutti.
Sente di aver fatto la scelta più giusta anche se dolorosa, sogna un giorno di ritornare nel suo paese, ma solo per rivedere la famiglia.
E' a Catania che vuole lavorare e creare nel tempo una sua famiglia.
Roberta è insegnante di religione nei tre plessi scolastici di Via Wolf Ferrari, Via Toscanini e Via Ravenna. Negli anni passati lei ed altre maestre sono state molto attive in iniziative di contrasto alla dispersione scolastica a Vaiano Valle, dove erano presenti famiglie in condizione di grande fragilità, senza patente o macchina, che avevano difficoltà ad accompagnare i loro bambini a scuola con percorsi in sicurezza. L’iniziativa “costruiamo un ponte” si riproponeva quindi di costruire un “ponte” per far arrivare i bambini a scuola attraverso il parco della Vettabbia. L’idea di costruire un percorso attraverso il parco, che collegasse anche i tre plessi scolastici, è nata dal progetto del “giardino dei desideri”, co-creato con Spazio Pensiero nell’ambito dell’iniziativa La città intorno finanziato da Fondazione Cariplo. Questo progetto prevedeva uscite didattiche nel quartiere e l’individuazione di luoghi che necessitavano di cura, luoghi da rigenerare. I bambini hanno scelto il parchetto antistante al plesso di Via Ravenna, molto frequentato, provando a re-immaginarlo. Con la scuola sono stati fatti dei piccoli interventi nel giardino, che poi però sono stati oggetto di diversi atti vandalici volti a danneggiare i giochi, il canestro, i murales, la recinzione … ed ogni volta i bambini venivano coinvolti in azioni collettive volte a risistemare i danni, accompagnati dagli adulti. Si è trattato di una vera prova di educazione alla non violenza, in cui i bambini hanno appreso a reagire in modo costruttivo, lavorando assieme. Rispetto invece alla seconda iniziativa ideata dai bambini, l’idea di un percorso nel verde che unisse i plessi attraverso la Vettabbia, si è arrivati alla firma di un patto di collaborazione con diverse associazioni ed il Comune, che si impegnava ad aprire una recinzione perché i bambini non dovessero camminare sul ciglio della strada e mettere sicurezza un vecchio ponte: azioni che necessitano di un finanziamento e per cui si sta cercando uno sponsor che abbia interesse per la cura del verde pubblico. Con alcune classi pilota hanno iniziato a fare eventi con altre associazioni volti a vivere il parco, con iniziative come la piantumazione di fiori e di grano, la costituzione di un pollaio sociale che permette di adottare delle galline e azioni di pulizia.
L’idea del percorso era nata anche dalla necessità di facilitare l’accesso a scuola delle famiglie del campo rom di Vaiano Valle, col fine di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica, problema molto sentito in questa zona. In pandemia è poi caduto un ulteriore filtro tra le famiglie e la scuola, in quanto Roberta ed altre insegnanti si son trovate a recarsi fisicamente al campo, facendo porta a porta per distribuire tablet ed altro materiale didattico. In quell’occasione, caffè dopo caffè, hanno avuto modo di conoscere meglio le famiglie ed instaurare un rapporto di fiducia con loro. Così si sono accorte di altri bisogni che necessitavano di risposte, come la necessità di una mediazione linguistica e culturale, per cui loro insegnanti si sono trovate a leggere insieme dei documenti che allora riguardavano la possibilità, offerta dal Ministero, di un ricollocamento dei bambini con i loro nuclei familiari in delle case, cosa che poi è avvenuta. Roberta è stata poi referente per l’intercultura e la dispersione scolastica per diverse anni e, lavorando in molte classi, ha avuto modo di ricompattare il corpo docenti e fare gruppo, per cui, nell’affrontare i temi della grave marginalità, si è sentita supportata dalla scuola, oltre che dalle istituzioni e dalla Caritas per cui è volontaria.
Da questa esperienza Roberta ha appreso l’importanza che i bambini si approprino del proprio quartiere, conoscendolo e vivendolo. L’istituto scolastico ha poi il vantaggio di essere situato in prossimità del verde, un luogo di frontiera fra città e campagna. Rispetto al parco della Vettabbia, è un luogo di cui la cittadinanza si sta riappropriando pian piano, con le famiglie che ora portano qui i bambini e diverse associazioni che presidiano il territorio. Questo ha fatto sì che siano calati in questi ultimi tempi gli sversamenti di rifiuti.
Rispetto all’idea di comunità che ha Roberta, questa dovrebbe essere formata da adulti autorevoli ed educanti, oltre ad essere aperta, interculturale e sufficientemente eterogenea, perché nella diversità si possono trovare soluzioni innovative a problemi complessi. Nella comunità la scuola ha un ruolo centrale, in quanto unisce le persone attorno ad un interesse comune, quale il bene supremo del bambino, e rappresenta il primo presidio educativo e di legalità. L’auspicio per il futuro è che possa essere completato il percorso nel parco e che si trovi una soluzione creativa che tenga uniti i tre plessi di Wolf Ferrari, Toscanini e Ravenna in seguito alla recente riorganizzazione scolastica che prevede la separazione dei tre plessi con l’accorpamento a due istituti scolastici differenti.
Stefania è nata e cresciuta nel Quartiere Vigentino e da due anni è Consigliera Delegata alle Pari Opportunità per il Municipio 5. Segue quindi il Centro Milano Donna sito in Via Savoia, che definisce un presidio di empowerment femminile, un luogo per le donne e delle donne, una “casa” aperta alle donne che propone servizi di accoglienza e orientamento, occasioni di incontro e socializzazione, iniziative, corsi di formazione rivolti a donne di tutte le età. Per quanto riguarda il reinserimento nel mercato del lavoro, il Municipio 5 ha attivo anche lo Sportello Rete Lavoro Cinque, che si rivolge a quanti, donne e non, abbiano difficoltà ad orientarsi nella ricerca del lavoro, rappresentando un punto di accoglienza in grado di seguire le persone e riorientarle sul territorio con l’organizzazione di diversi colloqui individuali. Presso la sede del Municipio in Viale Tibaldi è anche attivo lo Sportello Aiuto Donna, uno sportello che si rivolge alle donne vittime di violenza e che lavora in rete con i diversi Centri Antiviolenza della rete antiviolenza del Comune di Milano.
Il Municipio 5 è quindi un territorio ricco di iniziative volte a promuovere il lavoro in rete con i diversi servizi e associazioni del territorio. Ne è un esempio il Tavolo Territoriale, un tavolo di politiche sociali a cui afferiscono tutte le associazioni del Municipio 5 che si occupano di diverse fragilità: dalle povertà, agli anziani, ai minori, alle persone con disabilità e problemi di salute mentale, alle pari opportunità. In questo il Municipio 5 rappresenta un modello: per la ricchezza di associazioni, ma anche per la collaborazione instaurata tra associazioni e istituzioni, di cui l’efficacia del Tavolo Territoriale ne è un esempio. Nel tempo il Tavolo Territoriale si è poi suddiviso in diversi sotto-tavoli che trattano tematiche specifiche, come la salute mentale, il lavoro, i disturbi del comportamento alimentare, etc. I Tavoli rappresentano quindi un luogo dove far rete e far nascere delle nuove idee e dei nuovi progetti condivisi.
Il Vigentino è un quartiere in forte evoluzione ed espansione, anche chiamato “South Pra”, il quartiere a Sud di Fondazione Prada. Stanno nascendo infatti nuovi insediamenti, come quelli in Via Antegnati e in Via Amidani: delle concezioni di urbanistica comunitaria dove si condividono esperienze e competenze. Trattandosi però di un quartiere in espansione, bisognerà pensare a nuovi servizi: come scuole, centri di aggregazione e centri polifunzionali. Del Vigentino Stefania ha sempre apprezzato l’abbondanza degli spazi verdi e la sua vicinanza al centro, qualità che lo rendono un quartiere vivibile e perciò abitato da molte famiglie: qui infatti è meno sentito che altrove il problema del calo delle nascite. E’ anche un quartiere abitato dai tanti nonni che si occupano dei propri nipoti e si attivano anche nelle attività extrascolastiche organizzate dalle scuole dell’infanzia, elementari e medie, presenti qui. E’ quindi un quartiere residenziale, abitato da lavoratori e lavoratrici, e questo spiega forse perché il Vigentino sia meno ricco di associazioni di altri quartieri del Municipio 5, in quanto le associazioni nascono laddove vi sono delle fragilità con l’obiettivo di rispondere a determinati problemi. Nel Vigentino gravitano diverse associazioni legate al mondo della scuola ed associazioni sportive, oltre all’oratorio della Madonna di Fatima che è molto attivo in quartiere e organizza diverse attività di doposcuola.
Chiudendo con un auspicio per il futuro, Stefania si augura che le persone si investano maggiormente per migliorare il proprio quartiere e che emerga ancora di più la cittadinanza attiva che è in noi.
Maria gestisce una lavanderia e sartoria situata in Via dei Guarneri, nel Vigentino, da otto anni. Tuttavia Maria abita nel Vigentino da molto più tempo: nata in Romania e poi arrivata in Italia dal 2004, è sempre vissuta in questa zona. Qualche mese fa ha avuto la possibilità di avere un appartamento a canone concordato nel complesso residenziale di 5Square, dove si è trasferita ed abita attualmente. Maria è a conoscenza delle diverse iniziative promosse dagli abitanti – si tratta infatti di un complesso dove si promuovono forme di abitare collaborativo- anche se ha avuto modo di partecipare solo ad un’attività sportiva nella palestra comune. E’ tuttavia inserita in una chat di condominio e questa settimana parteciperà ad un aperitivo di scala per conoscere i suoi vicini. Alcuni dei suoi vicini li ha conosciuti qui in lavanderia: il suo è infatti un negozio conosciuto in quartiere ed abbastanza frequentato.
In questi anni il Vigentino si è ampliato con nuovi stabilimenti, pur avendo mantenuto una dimensione da piccolo paese. E’ infatti rimasto un posto tranquillo e la tranquillità è un aspetto che Maria apprezza molto del quartiere e che lo contraddistingue, ad esempio, da quello in cui viveva prima di venire qui e che invece definisce molto affollato. Vede poi che ci sono diverse iniziative promosse in zona (di fronte a noi c’è infatti la scuola media), anche se, essendo sola in negozio, lavora molto e non ha tempo per partecipare. Quando ha del tempo libero preferisce poi spostarsi in altre zone per fare nuove conoscenze, vivendo ed abitando nello stesso quartiere.
Rispetto alla sua attività, le piace la relazione personale che ha instaurato con i suoi clienti: li chiama infatti per nome e li conosce tutti, diversamente da quanto succede ad esempio nelle grandi superfici commerciali. L’auspicio per la sua attività è quello di poter sviluppare il suo progetto personale, ampliando la parte di sartoria, e di pubblicizzare meglio la sua attività. Spera anche che gli affitti della zona si abbassino: sono infatti molto alti, per cui diventa difficile sopravvivere per i piccoli commercianti. Fortunatamente dove vive beneficia di un canone calmierato, per cui spera che lì il costo degli affitti rimanga lo stesso in futuro. Per quanto riguarda la comunità che si sta creando a 5Square invece, vede che gli abitanti sono molto propositivi ed apprezza molto questa idea di abitare collaborativo che per lei rappresenta una novità.
Bruno ha 50 anni e vive all’interno della Comunità di Progetto Persona da più di un anno. L’impatto con il nuovo contesto di 5Square è stato per Bruno positivo e piacevole, e anche con gli altri membri della comunità dice di trovarsi bene.
Bruno è originario del Vigentino quindi conosce bene il quartiere, di cui apprezza la ricchezza di servizi di prossimità. Dopo che il papà è mancato e la mamma ha cambiato casa si è trasferito nella comunità di Via Bazzi. Prima dell’invio in comunità, racconta Bruno, usciva e si muoveva in autonomia: esperienza questa che gli piacerebbe riprendere.
In passato ha svolto corsi da elettricista, percorsi formativi specializzati nel restauro di mobili e un tirocinio presso il Bar Micrò vicino alla Biblioteca Chiesa Rossa. Accanto alla passione per attività manuali e artigianali, Bruno custodisce svariati interessi: ama uscire, passeggiare e ogni tanto fare un salto in qualche bar di Via Ripamonti. È un grande fruitore di cinema e musica. Tra i suoi attori preferiti ci sono Lino Banfi (nel commissario Logatto), Renato Pozzetto, Carlo Verdone, Paolo Villaggio, Gerry Calà, Bud Spencer e Terrence Hill. Per quanto riguarda la musica, è molto affezionato ai dispositivi analogici che conserva in cantina, come dischi, cassette e compact disc: il suo cantante preferito è Celentano.
Per Bruno il senso di comunità si esprime nello stare insieme ad altre persone: interessante e complesso l’equilibrio tra condivisione con gli altri e autonomia individuale.
Nello Spazio Living di via Antegnati 7 Bruno immagina che parteciperebbe volentieri ad eventi e laboratori centrati sulla musica e sul ballo.
Per il futuro desidera un lavoro, una casa propria e un maggiore senso di libertà.
Andrea ha 58 anni ed è un maestro elementare. Specializzato in filosofia e da sempre impegnato nel mondo del volontariato, si occupa di immigrazione, lotte e diritti attraverso il lavoro con adulti e bambini. Vive da più di vent’anni nel quartiere Stadera e circa sei anni fa, dopo diverse esperienze all’estero, rientrando a Milano ha conosciuto e collabora tutt'oggi con il collettivo che sarebbe poi diventato l’Associazione Baia del Re.
La Baia del Re nel quartiere Stadera è un’associazione che, attraverso il lavoro dei volontari, offre alla zona una vasta proposta di attività e che (a partire anche da un tesseramento annuale di 10 euro, oltre ad altre iniziative) cerca di autofinanziarsi. Tra le attività:
Durante l’anno vengono organizzate e proposte feste, uscite e attività non solo con i ragazzi ma anche con le loro famiglie e con gli istituti scolastici del quartiere, per garantire un lavoro di continuità educativa e relazionale che favorisca partecipazione, accoglienza ed inclusività. Un esempio riuscito di questo lavoro di rete con il quartiere è il rapporto ormai consolidatosi con un gruppo della comunità filippina che spesso utilizza lo spazio della sede e si è prodigato anche per la sua ristrutturazione, diventando un esempio positivo di mutuo scambio e condivisione.
Il quartiere Stadera si caratterizza come un contesto multiculturale, con numerose famiglie provenienti da Egitto, Bangladesh, Tunisia, Marocco, etc. In linea generale Andrea rintraccia tra gli abitanti grande solarità, disponibilità e gratitudine, insieme anche ad un bagaglio di ansie burocratiche spesso imperanti nelle istanze quotidiane delle famiglie.
Tra gli aspetti di fragilità identifica la mancanza di spazi aggregativi e condominiali (che consentano ai bambini del quartiere di giocare con sicurezza e spontaneità), un diffuso atteggiamento di trascuratezza e abbandono degli spazi comuni urbanistici e una parziale povertà culturale. In questo senso assume un valore ancora più significativo il tentativo dell’Associazione di coinvolgere i ragazzi e le famiglie in attività culturali e didattiche dentro e fuori dalla città perché, dice Andrea, <<uscire dal quartiere è salute>>, incentivando un’appartenenza al mondo e non solo ai propri confini personali. Alimentare quindi il senso di comunità sfidando le iniziali resistenze e timidezze, con la consapevolezza che si tratta di un processo in cui più che i luoghi, sono i tempi a fare la differenza. Già in passato la comunità di Stadera ha dimostrato vicinanza e solidarietà all’Associazione, stringendosi intorno a valori comuni e attivandosi con affetto <<come (si trattasse) di una casa da difendere>>.
Per Andrea il senso di comunità è mettersi in cerchio, disporre e disporsi nell’ottica dello scambio e della qualità relazionale. Comunità è la partecipazione attiva di tutti, è rispetto e ascolto reciproco. Costruire il senso di comunità significa scardinare i luoghi comuni e le aspettative, provando a sorprendere e a sorprendersi. Il contrario della comunità è la rigidità dei ruoli.
Sono tanti gli auspici e i desideri per il prossimo futuro: in primis che gli utenti dell’associazione (soprattutto i giovani) diventino a loro volta prosumer, fornitori cioè di servizi e risorse all’interno di un processo di reciprocità. In secondo luogo che si allarghino e si infoltiscano le fila di volontari presenti sul campo e durante le attività proposte. Ma anche che la sede si apra e si connetta sempre di più al contesto circostante. Infine, ma non per minor importanza, c’è il desiderio particolarmente sentito che l’Associazione riceva maggiore riconoscimento e sostegno da parte delle istituzioni.
Un sogno per il futuro è anche la creazione di un documento, un passaporto, che sia uguale per tutti. Un gesto che ricordi la necessità di prendersi cura della libertà.
Il signor Michele è il proprietario, insieme ad un altro socio, della ditta VA.NA.MEC. che si trova a Masio, un paese a pochissimi chilometri da Felizzano.
La ditta è nata 27 anni fa e inizialmente si occupava di realizzare macchine per la falegnameria e assemblaggio serramenti di legno. Nel corso degli anni la ditta ha subito cambiamenti per concentrarsi sull'automazione, in particolare sulla torneria e sulla fresatura meccanica di precisione, sulla carpenteria leggera e sulla saldatura a filo continuo e TIG, costruzioni meccaniche, costruzione di macchinari a controllo numerico e costruzioni di saldatura.
Attualmente lavorano i 2 soci e 5 dipendenti, diplomati e con qualifiche professionali. Il signor Michele spiega che partendo dai disegni tecnici forniti dai clienti, sono in grado di lavorare materiali grezzi per ottenere i particolari richiesti utilizzando torni e frese a controllo numerico e di sviluppare lavorazioni di carpenteria personalizzata. Hanno una buona clientela, seria, allargata anche a multinazionali. I prodotti vanno all'industria, alle automazioni e ai nastri trasportatori.
Il sig. Michele, da quando ha 16 anni, ha sempre lavorato nel campo della meccanica, inizialmente da dipendente, ad un certo punto ha pensato di fare "qualcosa di più" e ed è rimasto a lavorare in questo ramo aprendo una propria ditta insieme ad un socio. Questa attività ha dato molte soddisfazioni, soprattutto a livello personale.
Passione, voglia e tanta esperienza sono requisiti fondamentali per svolgere questo lavoro, il sig. Michele sottolinea che questo tipo di lavoro richiede sacrificio, impegno e voglia di imparare, è molto difficile trovare personale motivato e competente, che abbia le capacità e le conoscenze per poter utilizzare in maniera corretta i macchinari che sono sempre più sofisticati e precisi. Con soddisfazione ed orgoglio il sig. Michele mostra l'officina e le macchine utilizzate dagli operai specializzati, i lavori eseguiti richiedono massima precisione e vengono impiegati in vari settori.
C'è stato un periodo di rallentamento dovuto dal Covid, anche ora si risente della crisi di mercato, nonostante tutto ci sono richieste e la produzione continua. Ci sarebbe la necessità di assumere del personale ma non si trovano figure adeguate a ricoprire il ruolo richiesto, il consiglio che viene dato è quello di fare corsi professionalizzanti che preparino all'utilizzo delle macchine a controllo numerico, esiste la necessità di assumere operai che sappiano usare il tornio a controllo numerico.
Il sig. Michele si augura che i giovani si dimostrino volenterosi, interessati e motivati e abbiamo voglia di fare e crescere professionalmente.
Gabriele è innovation manager in Nexteria e si occupa quindi di tutte quelle innovazioni tecnologiche e di processo che possono essere inserite dai loro committenti nella relazione con i clienti in ambito customer care. Daria invece è psicologa del lavoro e delle organizzazioni e collabora stabilmente con l’azienda nell’ambito delle risorse umane.
Più che un’azienda, Nexteria potrebbe essere definita una “fabbrica di sinapsi”. Nasce nel 2011, un periodo difficile in ragione della crisi economica, in cui, per le aziende che si occupano di customer care, la tentazione di andare fuori dall’Italia era forte. La scommessa è stata quindi quella di aprire un’azienda basata in Italia, nello specifico a Milano, in grado di offrire ai clienti la qualità e la vicinanza come alternativa all’outsourcing a basso costo. Attualmente contano di tre sedi - a Milano, Verona e Roma- ed hanno committenti sia italiani che internazionali di diversi settori, quali quello finanziario, energetico, sanitario e dell’automotive. In questi anni l’azienda è cresciuta molto ed è stata inserita tra le aziende che crescono maggiormente in Italia e in Europa in diverse classifiche pubblicate su Financial Times e Sole24Ore, essendo riuscita a creare un modello italiano virtuoso di creazione di business congiunto, capace di creare valore anche dalla rete e dalle relazioni instaurate tra i diversi committenti.
Il poter offrire una continuità nel tempo nella relazione professionale con i clienti è uno dei valori di Nexteria, che per questo investe nelle risorse umane con dei percorsi di crescita che vanno dalla possibilità di tirocini per chi si affaccia sul mondo del lavoro alla stabilizzazione a tempo indeterminato per quanti hanno invece maggiore esperienza. E’ quindi un’azienda fatta a misura di persona, che considera il numero di nascite tra i collaboratori come un KPI – un indicatore di performance- fondamentale. Ad oggi sono sessanta i nuovi nati in azienda, dato di cui Nexteria va molto fiera perché riflette la dimensione umana dell’azienda che è interamente di proprietà di soci fondatori e non di fondi, diversamente da altre.
L’azienda si è sempre trovata nel quartiere Vigentino, anche se nel 2022 si è trasferita in una nuova sede in prossimità del complesso residenziale di 5Square. Si sono quindi stabiliti qui, apprezzando le aree verdi di cui il quartiere è ricco, trovandosi al limitare del Parco Agricolo Sud, così come il tessuto sociale tipico del piccolo paese, in cui ci si conosce ed è possibile creare delle relazioni. E’ quindi un posto che è rimasto vivibile e che si rivaluterà nei prossimi anni, con grandi investimenti dovuti alle Olimpiadi del 2026. Un quartiere nel pieno di un percorso di cambiamento in cui l’azienda vuole essere presente, inserendosi in progetti di rigenerazione urbana e continuando il lavoro già intrapreso di tessitura di relazioni con gli enti locali, quali il Municipio 5, e con le associazioni di quartiere. A tal proposito, Nexteria ha recentemente sponsorizzato la festa delle associazioni del Municipio 5 che si è tenuta in Ottobre al Parco Chiesa Rossa e che ha visto la partecipazione di moltissimi enti del terzo settore. In tale occasione l’azienda ha anche aperto le proprie porte alla cittadinanza, ospitando un evento nella sua biblioteca al pian terreno. Nexteria ha inoltre avviato una collaborazione con la Rete Lavoro del Municipio 5 oltre che con le scuole del territorio, al fine di farsi promotrice di percorsi formativi e di orientamento professionale aprendosi ancor di più al territorio.
Rispetto alle esigenze del quartiere, l’impressione è che manchino dei presidi di socialità e dei luoghi di aggregazione, problematica comune ad altri quartieri della città. E’ stato inoltre segnalato un impoverimento del tessuto delle attività commerciali e artigianali dovuto alla difficoltà di questi ultimi a sopravvivere. Rimane poi un problema maggiore di viabilità e di mobilità che rende il quartiere ancora oggi meno accessibile di altri. Trattandosi di un quartiere dalla memoria storica -essendo stato un borgo indipendente da Milano fino a cento anni fa- ma in forte espansione edilizia, l’auspicio è che non diventi un quartiere dormitorio ma che sia invece un luogo in cui si vive e si lavora, un posto ricco di servizi, dove abitanti e tessuto produttivo vivono in osmosi, un luogo ibrido dove realtà aziendali e sociali sono in costante dialogo … tematiche che sono oggi alla base della scommessa di una città come Milano che deve poter essere a misura di tutti.
L’associazione Puecher prende il nome da Giancarlo Puecher, personaggio legato alla storia della resistenza in Italia. La famiglia Puecher era una famiglia milanese poi sfollata a Lambrugo quando la loro palazzina milanese di Via Broletto è stata colpita dai bombardamenti americani. Il padre di Giancarlo era di origine triestina, un territorio che all’epoca faceva parte dell’Impero Asburgico, ed è morto di stenti al campo di concentramento di Mauthausen dopo essere stato arrestato per futili motivi. Giancarlo aveva vent’anni quando ha creato il gruppo della resistenza di Ponte Lambro, con cui si riuniva in parrocchia con il favore del parroco, arrestato anch’egli e poi liberato grazie all’intercessione dell’Arcivescovo Schuster. Quello di Ponte Lambro è stato il primo gruppo organizzato di giovani della resistenza, a cui Puecher ha dato un grande contributo. Per questo motivo si è procurato l’inimicizia del capo fascista della Provincia di Como e, dopo un processo farsa, il giovane Puecher è stato immediatamente fucilato. Lo stesso processo che segnò la sua morte venne poi annullato dal Ministro della Giustizia della Repubblica Sociale Italiana Piero Pisenti, per cui i compagni di Puecher vennero liberati.
L’associazione Puecher ha oltre sessant’anni ed è stata fondata da persone molto note a Milano, come l’avvocato Luigi Meda. Nel 2008 si è poi rinnovata con un cambio nella direzione. Giuseppe è oggi il presidente dell’associazione ed è stato per oltre trent’anni insegnante al Centro Puecher di Via Dini: il primo centro scolastico onnicomprensivo d’Italia, munito di teatro e di un palazzetto dello sport. Con i suoi studenti si è interessato al personaggio di Puecher a cui era dedicato l’edificio scolastico ed ha poi partecipato con gli alunni ad un concorso indetto dalla Regione Lombardia sul tema della resistenza, vincendo il primo premio. Giuseppe ha poi continuato ad approfondire gli studi su Puecher, pubblicando la terza delle biografie esistenti su Puecher nel 2013.
Andrea invece è il vicepresidente dell’associazione ed ha anch’egli contribuito al suo rilancio degli ultimi anni. A Puecher è legato anche da motivi personali: sua moglie infatti, che non c’è più da diversi anni, è l’architetto che ha progettato l’edificio scolastico di via Dini. Recentemente è andato in pensione ed ha trovato così il tempo da dedicare alle attività culturali della sua zona, il Municipio 5, organizzando presentazioni di libri ed attività cultuali a tema scientifico: grazie a lui, la cultura scientifica ha trovato casa presso l’associazione Puecher. A tal proposito Andrea sottolinea l’importanza della divulgazione scientifica in quanto, diversamente da quanto si pensi, il sapere scientifico è per tutti e quindi non prerogativa esclusiva degli specialisti. A Dicembre Andrea presenterà il suo ultimo libro, intitolato “Matematica per poeti” , in cui dimostra come vi sia molta poesia nella matematica così come vi è molta matematica nella poesia. La presentazione avverrà alla Biblioteca di Chiesa Rossa, dove i “giovedì del Puecher” sono diventati un appuntamento fisso che attrae persone da tutta Milano e provincia.
Rispetto al luogo in cui ci troviamo, raccontano che è stato per tempo abbandonato e che, nelle discussioni sul cosa farne, si fosse pensato di farne un parcheggio sotterraneo. Un comitato di cittadini si è quindi costituito ed ha fatto pressione affinché il luogo fosse restituito alla cittadinanza come lo è oggi, con una biblioteca pubblica, un’area giochi, un bar, un porticato dove organizzare eventi e dove si è recentemente tenuta la festa delle associazioni. In questo luogo c’è anche un monumento ai caduti della resistenza della zona ed effettivamente ci troviamo alle porte del quartiere Stadera, un quartiere popolare creato in epoca fascista dove le resistenza ha avuto però uno sviluppo enorme, tant’è vero che si tratta di uno dei quartieri di Milano con il più alto indice di caduti. L’associazione ha avuto modo negli anni di raccogliere le testimonianze di ex operai ed impiegati che hanno rischiato la loro vita per opporsi al fascismo, storie che altrimenti sarebbero svanite con la scomparsa dei testimoni viventi: “la storia – dicono - dovrebbe essere scritta dal basso, partendo dalle storie delle persone invece che da quelle di generali ed imperatori”.
In questo quartiere ogni anno, per il 25 aprile, viene organizzata una manifestazione partecipatissima, a cui recentemente partecipano sempre più famiglie straniere. Si tratta infatti di un quartiere molto variegato e popolato da diverse comunità, che l’associazione ha voluto coinvolgere con il progetto “la resistenza degli altri”, in cui chiedono ai cittadini stranieri di raccontare la storia della resistenza del loro paese di origine.
Quando chiediamo di salutarci con il loro auspicio per il futuro, Giuseppe ed Andrea ci dicono con orgoglio che questo è un quartiere molto vivace, ricco di associazioni e di iniziative cittadine … difficile quindi desiderare di più! L’augurio riguarda quindi il valore della resistenza, affinché venga fatto proprio anche dalle nuove generazioni in quanto pilastro della vita repubblicana, senza di cui il rischio di sconfinare in valori opposti è molto elevato. Il desiderio è inoltre che la cultura sia sempre più partecipazione e inclusione.
Laura è la responsabile della Biblioteca Chiesa Rossa dal 2016. La biblioteca, sita all’interno del Parco di Chiesa Rossa, fa parte di un complesso monumentale, comprendente un’antica cascina del 1600, un portico con abbeveratoio utilizzato attualmente come spazio eventi ed il complesso di Santa Maria alla Fonte, una chiesa antica ora abitata dai Frati Cappuccini che durante un recente restauro ha svelato dei reperti di epoca romana. Questo sito ha versato in uno stato di degrado ed abbandono fino agli anni novanta, quando un comitato di cittadini molto attivo ha insistito fortemente con le autorità pubbliche perché questo luogo fosse restituito alla cittadinanza ed ospitasse una biblioteca, inaugurata poi nel 2004. Questa biblioteca è quindi stata fortemente voluta dai cittadini e per questo è da sempre molto partecipata, dai cittadini e dalle associazioni locali, che qui hanno la possibilità di organizzare eventi, come il Centro Comunitario Puecher che organizza presentazioni di libri ed incontri culturali.
In ragione della sua ubicazione all’interno di un parco, la Biblioteca Chiesa Rossa ha caratteristiche stagionali, per cui tra aprile e ottobre si intensificano gli eventi all’aperto, comprensivi di festival che coinvolgono tutte le aree del parco, mentre in inverno è molto attivo lo spazio centrale della biblioteca adibito agli eventi e che è fruibile in orari diurni come serali, così come nei weekend su richiesta. Tra gli eventi di maggior rilievo, Laura menziona la festa delle associazioni, la festa dello sport e la festa delle abilità, a cui partecipano artisti con diverse abilità e che sottende l’idea che tutti abbiamo dei limiti che l’arte ci permette di valorizzare. La biblioteca fa anche parte della rete QuBì, che si occupa di contrasto alla dispersione scolastica, con la quale ha organizzato delle distribuzioni di libri in periodo Covid. Infatti, grazie alle distribuzione dei pacchi alimentari, è stato possibile raggiungere delle fasce di popolazione che frequentano poco la biblioteca, aggiungendo ai pacchi alimentari dei libri nuovi per bambini a seconda delle fasce d’età. Con la Cooperativa Zero5 la biblioteca ha inoltre organizzato delle distribuzioni di libri nei cortili delle case, per poi portare le famiglie in biblioteca con le feste di QuBì che ogni volta vedono la partecipazione di circa duecento persone. Attualmente la biblioteca ha attivo un altro progetto con la rete QuBì per la valorizzazione dell’area giochi interna al parco, area che è accessibile ai bambini con disabilità. A tal proposito, la biblioteca si sta specializzando nell’area dell’inclusività, anche con dei libri specifici per bambini con diverse abilità.
Oltre all’area eventi e all’area studio, la biblioteca ha allestito al suo interno uno spazio morbido, libero e accessibile, per genitori con bambini 0-18 mesi, promuovendo anche delle letture per bambini grazie alla collaborazione con la Cooperativa La Dea. Si tratta di un’iniziativa che hanno portato anche nei consultori e nei nidi e che ha avuto un riscontro importantissimo, in quanto la maternità porta spesso con sé una grande solitudine per le mamme, che hanno bisogno di luoghi di confronto libero con altre mamme. Assieme ad alcune scuole della zona ed al Centro Comunitario Puecher, la biblioteca si è fatta promotrice del progetto della Biblioteca dei Giusti, che vorrebbe creare un presidio fisico in memoria dei giusti anche nell’area Sud di Milano, oltre al giardino dei giusti già esistente situato in Zona Otto. Hanno quindi promosso delle attività nelle scuole in cui i ragazzi hanno modo di riflettere e discutere su cosa sia giusto, producendo degli elaborati visivi e letterari. La biblioteca aveva anche allestito nei suoi spazi esterni un giardino dei giusti con dei pannelli creati da una giovane grafica che però sono stati smantellati con un atto vandalico. Negli spazi esterni come anche nell’area studio sono anche presenti dei murales, prodotti di un progetto di arte partecipata che ha coinvolto diverse fasce d’età: dai bambini, ai giovani, agli adulti, e persone con diverse abilità, tra cui dei pannelli multisensoriali in braille. Vi è anche un’insegna al neon che recita “giorno dopo giorno”, ad indicare che la cultura si costruisce giorno dopo giorno con la partecipazione di tutti. Il neon rimanda invece a quella fragilità di cui sta a tutti noi prenderci cura.
A tal proposito Laura ci piega la sua idea di biblioteca pubblica, che deve essere di tutti e per tutti: un luogo in cui ognuno possa trovare degli strumenti di conoscenza e informazione accessibili e che deve riflettere le esigenze del territorio, proponendo del materiale anche per le comunità straniere laddove presenti. In quest’ottica inclusiva della cultura, la biblioteca ha attualmente attivi quattro gruppi di lettura corrispondenti a diversi livelli. Nell’esperienza di Laura la biblioteca, in quanto presidio culturale accessibile, è in grado di cambiare la qualità del territorio, con un forte impatto di prevenzione anche di quelle malattie psicologiche che possono nascere o aggravarsi da profondi stati di solitudine. Questo in quanto la biblioteca, diversamente da altri sportelli in cui vi è una barriera all’ingresso, è un luogo aperto e di libero accesso, in cui è possibile scambiare due parole con i bibliotecari oppure leggere in autonomia, e non necessita quindi di dover arrivare con un bisogno precostituito. La biblioteca è inoltre un luogo di integrazione di famiglie straniere e con fragilità, che crea comunità e che rappresenta un presidio di sicurezza, essendo illuminata anche la notte e spesso aperta in orari serali. Laura ci racconta che per molti stranieri la tessera della biblioteca è motivo di orgoglio, in quanto per loro è un simbolo che li riconosce a pieno titolo come facenti parte di quella comunità.
Ci vorrebbe quindi una biblioteca in ogni quartiere della città e a tal proposito molte iniziative dal basso sono nate in quei quartieri dove non c’è una biblioteca, come le biblioteche condominiali dove si svolgono delle iniziative di bookcrossing e di prestito libri per cui il sistema bibliotecario fornisce delle consulenze gratuite su come organizzare i libri. Per il futuro l’auspicio è che le biblioteche riescano a mantenersi come un presidio sociale, grazie al sempre maggior coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni come parte attiva della biblioteca. Senza il contributo attivo della cittadinanza infatti, la biblioteca riuscirebbe solo a garantire un servizio base di prestito libri, motivo per cui coprogettare con i cittadini e con la rete di realtà del territorio è quanto permette alle biblioteche di mantenere quel ruolo sociale fondamentale che ancora oggi hanno.
Francesca ed Erica lavorano per la Cooperativa Zero5. Francesca è educatrice professionale di formazione ed è oggi responsabile della comunicazione e coordinatrice delle équipes operative, Erica invece è teatro terapeuta e lavora per la cooperativa come progettista e amministratrice dei progetti per adolescenti e pre-adolescenti. Al momento dell’intervista ci troviamo al “Nebula Space”, uno spazio che si trova all’interno della scuola media Toscanini e a cui la cooperativa ha ridato vita grazie al progetto Teencity. Lo spazio funge da centro contro la dispersione scolastica, con progetti per ragazzi e famiglie di accompagnamento allo studio, laboratori e percorsi con i genitori. In particolare, il centro è frequentato da un gruppo di ragazzi delle medie e un gruppo di adolescenti tra i quattordici e i vent’anni che sono accompagnati in un percorso di autonomia.
La cooperativa nasce e cresce nel Municipio 5, tra Chiesa Rossa e Gratosoglio, anche se in questi anni ha saputo tessere una rete di nuove relazioni anche nel quartiere Vigentino. A tal proposito, il Vigentino è un quartiere ricco in cui però si fatica a mettersi in rete e costruire collaborazioni di amplio respiro e strutturali. Vi è poi, come negli altri quartieri a Milano, il tema della sicurezza nelle strade legata alla questione di genere e la mancanza di spazi liberi dagli adulti, ma protetti, dove i giovani possano relazionarsi in sicurezza. Rispetto all’importanza di una riappropriazione, da parte dei ragazzi, di spazi liberi e destrutturati, in cui quindi non serve necessariamente fare o attivare qualcosa, essa risiede nel restituire ai ragazzi la capacità di immaginare partendo dai loro desideri, obiettivi e bisogni e nel dare loro la possibilità di esprimerli, muovendo con processi partecipati che partono da azioni di ascolto per realizzare ciò che loro stessi hanno immaginato. A tal proposito lo spazio condiviso di 5Square, che è amplio e protetto, potrebbe essere un luogo di iniziative per i ragazzi, con attività leggere e non di presa in carico, uno spazio di autonomia per gruppi di cittadini, tra cui i giovani, in quanto la sfida è oggi quella di accompagnarli all’autonomia e all’autogestione con l’appropriazione degli spazi in contesti e situazioni protette.
Rispetto al tema della riqualificazione delle periferie anche con iniziative culturali, si tratta di un tema molto discusso a Milano. Se infatti sono da accogliere favorevolmente iniziative volte a contrastare le marginalità e restituire ai cittadini, rendendoli fruibili, degli spazi pubblici, dall’altro la gentrificazione, con il conseguente aumento dei prezzi, sposta le popolazioni più fragili ancora più in periferia. Zero5 ha lavorato a dei progetti di riqualificazione, come quello al parco di Via Coari, che è partito da un lavoro fatto con i ragazzi che li ha portati ad identificare il parco come luogo di aggregazione ma lasciato all’incuria, da cui il desiderio di spendersi in un piccolo intervento di rigenerazione urbana alla loro portata, con la creazione di una galleria di sportivi ritratti sulle pareti dei terrapieni come riconoscimento del valore sociale dello sport. In questo, il progetto è stato in grado di restituire ai ragazzi la visione della possibilità, dando loro il potere di fare la differenza, incidendo sulla partecipazione, sul senso civico e sulla responsabilità che hanno in quanto cittadini.
Per il futuro, l’auspicio è quello di vedere costituirsi nel Vigentino una rete di associazioni che riesca ad essere incisiva, riunendosi anche attorno a momenti informali di divertimento, come delle cene sociali, per ritrovare la dimensione di convivenza e comunità. Rispetto a quest’ultima, l’immagine che ci lasciano è quella di una tavolata di cinquanta metri al parco con ragazzi e famiglie, associazioni e commercianti.
Jimmy ha ventisei anni e quando lo intervistiamo è arrivato a 5 Square da appena una settimana. Si definisce un “nomade obbligato”, perché nell’arco della sua vita ha dovuto cambiare diverse volte città: nato a Firenze, ha poi vissuto tra Prato, Milano e Poggio Rusco.
La sua grande passione sono la natura e gli animali: sua mamma dice che l’amore per gli animali è nato quando da piccolo ha fatto amicizia con un cagnolino, anche se Jimmy ricorda di essere poi stato morso da un altro cane e di come questo gli abbia causato un piccolo trauma. Lamenta che a Prato c’era più verde, anche se vicino a dove abita c’è il Parco della Vettabbia, dove è stato con la sua educatrice. Piacendogli passeggiare all’aria aperta, vorrebbe scoprire le aree verdi di cui il quartiere è ricco. A Jimmy piacciono anche i giochi di squadra, come la pallavolo, palla prigioniera e palla avvelenata. Ad esempio, questa estate in spiaggia passava volentieri il tempo a guardare i ragazzi giocare a beach volley.
Pur essendo arrivato da poco, Jimmy ha molte aspettative rispetto all’abitare collaborativo promosso nell’Housing. Il giorno dopo il suo arrivo ha partecipato ad una grande cena tra condomini e vorrebbe partecipare anche alle prossime attività. Per lui una comunità è un posto dove persone diverse hanno la possibilità di conoscersi e fare amicizia e, pensando a quale potrebbe essere il suo personale contributo alla comunità, pensa a delle attività rivolte ai bambini per incuriosirli rispetto alla natura, in quanto i bambini sono gli adulti del futuro, coloro che dovranno avere cura della natura e proteggerla. Jimmy fa comunque già educazione ambientale “a modo suo”: ogni tanto gli capita infatti di fermarsi a parlare con le persone sul bus o per strada per sensibilizzarle su temi ambientali. Il suo sogno sarebbe quello di poter viaggiare e visitare dei posti naturali. Rispetto al quartiere, gli va bene così com’è, magari vorrebbe un po’ più di allegria e, perché no, qualche cinese in più!
Jimmy racconta di aver fatto esperienza in una comunità prima del Covid, in un percorso di autonomia in cui dice di aver imparato molte cose. Tornare a vivere a casa ha però significato per lui tornare indietro, o “essere rispedito a zero”. Adesso ha la possibilità di fare un percorso più lungo, della durata di tre anni, in cui spera di poter imparare più cose e di avere il tempo di assimilarle. Sta anche seguendo un percorso di orientamento al lavoro per giovani come lui, ancora un po’ indecisi. Sta quindi “trovando un modo per iniziare a piccoli passi, a modo suo”. Spera comunque di riuscire ad avviare un percorso nell’ambito che lo appassiona, quello della natura: sa che è difficile ma ci vuole comunque provare. “La vita è una sola, non lasciamoci delusioni alle spalle”.
Michela è educatrice di professione e mamma di una bambina di dieci anni. Due anni fa circa ha fondato Milano Sospesa, assieme a Cristina e ad altri volontari. Si sono conosciuti per caso ad una raccolta beni per gli sfollati del palazzo bruciato in Via Antonini e per due mesi hanno assistito le trenta famiglie sfollate con l’allestimento di un charity shop in cui sono confluite moltissime donazioni. Si sono quindi spostati nella parrocchia di Santa Maria Liberatrice, dove hanno organizzato la distribuzione di alimenti alle famiglie e sono poi rimasti lì in quanto nel tempo sono diventati il punto di riferimento per moltissime famiglie del quartiere e non solo. Quando poi è scoppiata la guerra in Ucraina hanno organizzato moltissimi punti di raccolta e, nel Marzo 2022, sono stati i primi ad entrare in Ucraina con diciassette mezzi e sono poi diventati i capofila di diverse “odissee per la pace” in cui organizzavano dei viaggi in Ucraina assieme ad altri gruppi, cosa che continuano a fare tutt’ora.
In questi due anni la voce si è sparsa a macchia d’olio e l’associazione ha avuto moltissimo seguito sui social. Oltre a costituire un riferimento per moltissime famiglie, tra cui molte che vengono fin da fuori Milano, hanno costruito una rete con moltissime associazioni che anche si rivolgono a loro quando necessitano del materiale. Raccolgono principalmente materiale usato ma in buono stato, allungando la vita di cose che altrimenti andrebbero buttate, e raccolgono anche materiale nuovo da aziende che fanno donazioni. Ad esempio in ottobre hanno distribuito oltre duecento kit per la scuola e, dato l’aumento dei prezzi del materiale scolastico, vi era moltissima gente in coda. Li chiamano “i miracoli di Milano Sospesa”, in quanto grazie al passaparola riescono sempre a soddisfare le richieste: ad esempio, nell’ultimo appello sui social per raccogliere dei pannolini, in un’ora sono arrivate oltre venti offerte! Per una migliore organizzazione, chiedono di essere contattati prima su Facebook o Whats App, in modo da organizzare i matching tra domanda e offerta e non far venire le persone a vuoto. Quello che fanno è comunque la prova che c’è moltissima solidarietà e, a tal proposito, una comunità dovrebbe essere per loro innanzitutto solidale, accogliente e aperta.
Cristina è nata nel Vigentino e ci racconta dei suoi primi ricordi del quartiere: negli anni novanta loro ragazzi avevano la compagnia e ci si trovava davanti all’oratorio, che era un punto d’incontro. C’erano ancora dei capannoni industriali che poi sono stati convertiti o demoliti. Oggi andrebbe soprattutto migliorata la viabilità di via Ripamonti e rafforzato il servizio dei mezzi pubblici. Rispetto a 5Square, ritengono che non sia ancora molto conosciuto nelle zone limitrofe, nonostante gli ampli spazi si presterebbero a molte attività, come delle piccole feste, una portineria solidale oppure delle iniziative di raccolta e distribuzione. L’auspicio per il futuro è quello di riuscire a raggiungere ancora più persone nella loro attività e di diventare un punto di riferimento della Milano solidale.
Antonella è vicedirettrice del Teatro PimOff e si occupa della programmazione artistica del teatro. Il PimOff non è solo un teatro che offre spettacoli di danza e teatro, ma si potrebbe definire un incubatore dove si sviluppano progetti artistici durante tutto l’arco dell’anno. E’ infatti stato fondato da Maria Pietroleonardo con l’intento di dare una casa agli artisti, uno spazio dove poter creare e sperimentare senza la necessità di andare immediatamente in scena e negli anni ha ospitato moltissime produzioni nella loro fase iniziale. Per gli operatori del settore, disporre di un luogo per le residenze artistiche è fondamentale e PimOff offre quindi la possibilità di usufruire di un periodo di residenza con uso della sala teatrale e della sua strumentazione, oltre ad un supporto economico, organizzativo e promozionale. Per accedere, è necessario partecipare al bando “Citofonare PimOff” sul loro sito. Il nome del bando è stato ispirato dal fatto che il teatro si trova in una ex cartiera situata all’interno di un condominio, per cui per accedere al teatro è effettivamente necessario citofonare!
Il teatro predilige la drammaturgia contemporanea ed ospita diversi linguaggi, che vanno dalla prosa alla danza ed alle arti visive. Al suo interno ospita anche una collezione privata di opere d’arte provenienti da tutto il mondo. Il teatro aderisce inoltre ad una serie di iniziative come la “Dance Card”, volta a promuovere la danza contemporanea, ed un progetto di affido culturale promosso dall’associazione Mitades, che permette alle famiglie più svantaggiate di usufruire gratuitamente del teatro.
Il PimOff si trova tra il quartiere residenziale di Milano Terrazze e quello più popolare di Gratosoglio, oltre ad essere a ridosso del Parco Agricolo Sud. Il quartiere Gratosoglio si è sviluppato negli anni settanta accogliendo molte famiglie dal sud Italia ed ha recentemente conosciuto un’ondata migratoria di famiglie straniere, mentre Terrazze è un quartiere sorto negli anni ottanta ed è più residenziale. Questi quartieri sono separati dalla lunghissima Via dei Missaglia, solcata dalla linea tramviaria del quindici che porta fino in centro. A mancare è una vera integrazione tra queste due comunità, queste due anime del quartiere. Loro han provato a coinvolgere le famiglie con dei progetti mirati, come quello rivolto alle centottanta nuove famiglie di Via Selvanesco 77. Hanno anche avviato dei progetti nelle scuole, con percorsi di avvicinamento allo spettacolo come quello promosso all’interno di “Milano è viva”, che ha coinvolto quindici ragazzi della zona che andranno in scena in ottobre. A tal proposito Antonella è convinta che il teatro possa avere un ruolo fondamentale in contesti complessi come quello di Gratosoglio, motivo per cui hanno organizzato delle campagne di sensibilizzazione con lo slogan “cosa me ne faccio del teatro”.
In città come Milano l’offerta culturale si concentra prevalentemente in centro, per cui diventa fondamentale mantenere dei presidi culturali nelle periferie. Per loro rimanere nel loro “off” ha rappresentato una risorsa, in quanto ha consentito di usufruire di spazi ampli pur essendo collegati al centro con i mezzi pubblici. Naturalmente la loro offerta si rivolge a tutta Milano e, essendo diventati una realtà conosciuta, attraggono persone provenienti anche dalle province. L’auspicio per il futuro è quindi quello di instaurare un legame più solido con il quartiere in cui sono situati, in quanto, trattandosi di un quartiere popolare, le persone hanno meno l’abitudine di andare a teatro. Il desiderio è quindi che chi abita in zona venga a conoscerli e partecipi maggiormente alle loro iniziative, sapendo di trovare qui uno spazio aperto che organizza anche degli aperitivi serali a prezzi popolari.
Conosciamo Angelo un venerdì mattina al mercato settimanale di Via dei Guarneri nel Vigentino quando, colte da un acquazzone, ci ripariamo sotto ad un tendone in attesa che spiova. Iniziamo così a chiacchierare con il Signor Angelo, abitante del Vigentino e frequentatore assiduo del mercato, e gli chiediamo se è disponibile a rispondere a qualche domanda sul quartiere.
Angelo abita nel Vigentino dal novantaquattro: si è trasferito qui da Brugherio dopo essersi sposato. A lavoro si occupa di impianti d’aria condizionata, per cui ci spiega che, per deformazione professionale, prima di acquistare casa verifica sempre che ci sia la predisposizione per l’impianto, in quanto non gli piace vedere le canaline esterne.
Lui abita in una strada chiusa, quindi molto tranquilla. In quartiere si è trovato benissimo: lo definisce infatti uno dei quartieri più belli di Milano, con moltissimo verde. Da quando è arrivata la Fondazione Prada il quartiere è poi migliorato moltissimo e si è molto riqualificato. Si rammarica però che il Vigentino abbia perso quella dimensione da piccolo paese che lo aveva caratterizzato in passato: ora si sente infatti maggiormente la presenza della metropoli. Per lui una comunità dovrebbe essere invece più intima, come nei piccoli paesi per l’appunto. Nel tempo libero, otre a frequentare il mercato di venerdì, gli piace vivere gli amici.
Quando gli chiediamo se sia mai stato a 5Square dove lavoriamo, risponde che si era informato per acquistare casa. Iniziative come queste, che offrono case a prezzi calmierati, sono molto importanti soprattutto per i giovani, che han poche possibilità e dovrebbero essere maggiormente aiutati.
Per il futuro si auspica che apra un supermercato che manca nel quartiere, per cui loro sono costretti a spostarsi all’inizio di via Ripamonti.
Stefano ha iniziato la sua attività da giornalista come volontario per il giornale “Milano Sud”, verso la fine degli anni novanta. Quando poi il direttore ha lasciato il giornale una decina di anni fa, lui ne ha preso la direzione, avviando una collaborazione con un altro giornale del territorio, “La Conca”. I due giornali si sono poi uniti dando vita a “Il Sud Milano”, che nasce lo scorso aprile edito dalla cooperativa di giornalisti “Free media”. Il giornale ha una edizione online ed una cartacea, stampata mensilmente in tredicimila copie e distribuita nell’area sud di Milano, coprendo un vasto territorio che va da Lorenteggio a Porta Romana.
Oltre ad essere animato dalla passione per il suo lavoro (come a noi a Stefano piace infatti raccontare storie), da giornalista è anche consapevole del ruolo importante che i giornali locali come il suo svolgono nelle zone periferiche della città, restituendo loro importanza e contribuendo così allo sviluppo di un’identità e di una appropriazione di quei luoghi da parte degli abitanti. “Il Sud Milano” dà infatti voce a quelle storie di cui difficilmente le grandi testate si occupano, oltre a dar spazio alle iniziative locali ed all’attività delle tante associazioni di quartiere. Quest’anno ad esempio, in occasione della ricorrenza dei cento anni dall’annessione dei borghi milanesi e dei centocinquanta anni dall’annessione dei Corpi Santi, il giornale sta raccontando cosa resta degli antichi borghi milanesi, affinché, attraverso la consapevolezza di un’identità, si sviluppi una maggiore attenzione e cura del territorio.
Stefano è arrivato a Gratosoglio una quindicina di anni fa e come prima impressione è rimasto colpito dalle tante case popolari, alcune delle quali un po’ trasandate. Quando poi ha conosciuto meglio il quartiere, è rimasto colpito anche dalla ricchezza della proposta associativa e dalla voglia di partecipare e di prendersi cura del territorio di una parte di abitanti, seppur minoritaria. Vi sono inoltre ampli spazi verdi, trovandosi al limitare del Parco Agricolo Sud, diversi teatri e associazione culturali presenti in zona, anche se persistono dei problemi oggettivi di cui le associazioni non possono farsi carico e che richiederebbero un maggior coinvolgimento delle istituzioni, come ad esempio la gestione delle case popolari. Come esempio della vivacità del territorio, Stefano menziona la Festa delle Associazioni che si è tenuta nel mese corrente di Ottobre al Parco di Chiesa Rossa e ha rappresentato un bel momento di partecipazione ed aggregazione. Queste iniziative e l’entusiasmo che generano sono una prova di come la qualità della vita sia anche legata alla misura in cui i cittadini vivono e si appropriano del territorio.
Per il futuro del quartiere Stefano auspica che vengano realizzati interventi di cui si parla da anni, come la riapertura del Teatro Ringhiera e del Centro Sportivo Carraro, oltre alla riqualificazione delle fabbriche dismesse e delle cascine abbandonate. Rispetto al giornale invece, il desiderio è che aumenti ancora di più la penetrazione nel territorio e la capacità di raccontarlo, coinvolgendo sempre più persone nella redazione. A questo proposito sta facendo ben sperare un laboratorio di giornalismo recentemente avviato grazie al sostegno di Fondazione Cariplo che sta coinvolgendo molte persone interessate ad impegnarsi nel racconto del territorio.
Luca Maiocchi è il responsabile dell’Associazione Alveare dal 2012. Alveare è una realtà no-profit nata dal consiglio pastorale della Parrocchia in risposta alla crisi economica di quegli anni che ha colpito soprattutto le famiglie mono reddito. I bisogni principali con cui si interfaccia l’associazione sono quindi di carattere economico ma senza ridursi ad un’azione assistenziale: l’idea diventa infatti di offrire nuove occasioni di espressione e di sostentamento per gli abitanti più in difficoltà attraverso un progetto di baratto sociale. Un discreto compenso economico in cambio della cura verso il quartiere. Alveare perché l’idea è che ciascuno con il proprio contributo possa prendersi cura della comunità a cui appartiene.
Il progetto si è avviato e continua anche oggi con, ad esempio, la pulizia dei marciapiedi e delle strade del quartiere Stadera, storicamente svantaggiato e progressivamente trascurato, confessa Luca – nato e cresciuto in questa zona. Dedicarsi a queste attività di manutenzione, in un periodo di profonda crisi, è diventata per le persone un’occasione per sentirsi utili, riconosciuti e partecipi della vita comunitaria. L’ impegno civico viene inteso quindi come strumento di coesione sociale, di valorizzazione della dignità personale e della fiducia in sé stessi. Il lavoro non ha solo una finalità economica ma è un mezzo con cui riappropriarsi della propria autodeterminazione e della propria autostima.
L’arma vincente del quartiere, spiega Luca, è la tendenza a fare rete e sostenersi: se Alveare è <<l’ospedale da campo>> , altre realtà più strutturate (come SIR e L’impronta) si occupano di percorsi più articolati e integrati. La funzione di Alveare è di offrire ascolto e ospitalità, in un momento storico in cui le persone hanno bisogno di raccontarsi. Il dialogo e la cura dell’altro hanno bisogno di tempo e dedizione, racconta Luca.
Il Centro Parrocchiale è da sempre un punto di riferimento per il quartiere. Altre realtà, come il Centro Milano Donna in Via Savoia e il Consorzio SIR, sono fortemente inseriti nel contesto anche se legati soprattutto al servizio e al progetto immediato. Grazie al lavoro di rete, comunque, è possibile abbracciare tutti gli aspetti della vita della persona.
Il senso di comunità per Alveare è radicato nella sua origine religiosa pastorale; comunità è condivisione, fiducia, reciprocità, solidarietà
Per il futuro Luca si augura un radicale cambiamento di cultura trasversale nel quartiere, dove il bene comune venga prima del singolo bisogno personale. Desidera maggiore dialogo e collaborazione ma, soprattutto, che si impari a guardare alla bellezza sapendo che siamo tutti legati.
L’Istituto Comprensivo Statale Fabio Filzi si compone di tre plessi: una scuola primaria ed una scuola secondaria di primo grado nel quartiere Vigentino ed una scuola primaria nel quartiere Corvetto. Il fatto di trovarsi in due quartieri differenti non ha rappresentato un limite, ma è stata anzi occasione per i docenti di confrontarsi con realtà aventi bisogni differenti e sviluppare delle progettualità che stimolassero una maggiore unità delle due comunità scolastiche.
Un esempio è il progetto del sentiero della biodiversità, un percorso nella natura che dovrebbe unire i tre plessi dell’istituto attraverso il Parco della Vettabbia. L’idea del sentiero, come anche quella della riqualificazione del parco adiacente al plesso di Via Ravenna, è partita dai bambini e gli adulti e le istituzioni si sono poi impegnati a dar seguito ai loro desideri con la firma di un patto. Queste iniziative sono state un modo di mettere i bambini al centro, considerandoli dei cittadini attivi a tutti gli effetti.
Claudia è dirigente dell’istituto da cinque anni ed è arrivata nell’anno della pandemia. In questi anni la scuola, che aveva già avviate una serie di collaborazioni con i municipi e le associazioni, si è ulteriormente strutturata, identificando degli ambiti di progettualità aventi delle finalità precise ed intensificando le collaborazioni con le associazioni dei quartieri Corvetto e Vigentino al fine di poter offrire delle attività extrascolastiche, come corsi di sport e teatro. L’apertura della scuola al territorio, l’impegno a valorizzare il quartiere e a stimolare una cittadinanza responsabile è quindi parte integrante della mission dell’istituto.
E’ importante che la scuola rappresenti un riferimento culturale, un presidio di legalità nel quartiere, in quanto i bambini che frequentano l‘istituto devono, attraverso di loro, acquisire fiducia nelle istituzioni così come la speranza nella possibilità di miglioramento del loro contesto sociale di appartenenza. A tal proposito le periferie delle grandi città sono realtà complesse, trattandosi di quartieri in continua trasformazione, con differenze culturali e sociali tra le famiglie e bisogni formativi differenti, a cui la scuola deve saper rispondere, ad esempio, garantendo un sostegno a quei bambini che necessitano di un supporto particolare.
L’auspicio è che la scuola continui a migliorare la propria offerta formativa, grazie alla formazione continua di docenti sempre più preparati e capaci di rispondere alle trasformazioni della società, e che sia davvero inclusiva, realizzando l’articolo 3 della costituzione che conferisce alle istituzioni il compito di rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Danilo è professore associato di economia agraria all’Università degli Studi di Milano. Nato e vissuto in Vigentino, ha avuto la fortuna di crescere in un quartiere circondato dalla campagna. Ricorda infatti di quando andava con sua nonna a vedere le cascine e le tante stalle che ancora c’erano in quartiere e pensa che sia nata così la passione che l’ha poi portato a specializzarsi in economia agraria. Ha avuto quindi la fortuna di conoscere l’agricoltura a Milano, che, diversamente da quanto si pensi, è una città agricola con migliaia di ettari coltivati e moltissime aziende funzionanti ancora oggi e convertite all’agricoltura multifunzionale.
Il padre faceva il negoziante in Via Ripamonti, che allora era un’arteria commerciale vivissima e animata da sagre molto partecipate come quella del tartufo. Spesso passavano in negozio degli anziani a lamentarsi che, al momento del rinnovo della carta d’identità in comune, avevano dovuto indicare di essere nati a Milano, mentre loro erano orgogliosamente nati a Vigentino, che all’epoca faceva comune a sé. Da questa sua capacità di osservazione è nata la seconda passione di Danilo: quella dello studio della storia e del territorio. Per anni infatti Danilo ha cercato di ricostruire la storia del suo quartiere, il Vigentino, portando avanti campagne di divulgazione nelle scuole, nelle parrocchie e nei CAM, con immagini e documenti del quartiere. Quando poi recentemente è stata costituita l’associazione degli Antichi Borghi Milanesi, lui è entrato in qualità di “storico dilettante”, curando alcune iniziative per la commemorazione del centenario di quei comuni autonomi che, come il Vigentino, nel 1923 furono inglobati nel comune di Milano diventando “periferie”. Questa commemorazione vuole essere però innanzitutto un rilancio per il futuro: è dal recupero della nostra identità e dalla conoscenza della storia di un luogo che ne nasce quell’affezione che ci porterà a voler bene a quel posto e valorizzarlo in quanto patrimonio comune.
Chiediamo poi a Danilo di raccontarci qualche elemento saliente della storia del Vigentino, partendo dal suo nome. L’ipotesi più accreditata – ci spiega- è che il nome derivi da “vigenti”, ovvero da un miliare che stesse ad indicare che mancavano venti miglia romane a Pavia, che in epoca medievale era un centro ben più importante di Milano. Il fatto storico più rilevante è poi il passaggio di Federico Barbarossa la notte del tre dicembre del millecentosessantatre, che qui fu implorato dai profughi Milanesi di Porta Ticinese accolti in Vigentino in seguito alla distruzione di Milano da parte del Barbarossa, di poter tornare Milano, cosa che fu loro concessa in cambio del pagamento di una coppa piena d’oro. Rimane poi la leggenda del “Monastero fantasma” di Castellazzo, sito nell’attuale Via Campazzino e luogo di primaria cultura durante l’umanesimo, che scomparve completamente dopo essere stato depredato in seguito alla soppressione dell’ordine dei gerolamini. Dopo essere stato per secoli una zona rurale abitata da soli duemila abitanti, verso la fine dell’Ottocento nel Vigentino si sviluppa la grande industria, fino ad arrivare poi recentemente alla dismissione delle fabbriche negli anni ottanta.
Oggi il quartiere sta vivendo una fase di nuova rivalorizzazione con l’arrivo di grandi marche della moda e con il progetto del villaggio olimpico. Danilo guarda con un po’ di nostalgia alla memoria industriale del quartiere che sta scomparendo, come anche al Vigentino rurale delle stalle di quando era bambino. Del quartiere di oggi apprezza comunque il verde e la vicinanza con la campagna, facilmente raggiungibile in bicicletta. Apprezza anche la dimensione di paese della zona Fatima, con i giardini, le scuole e i negozi di quartiere che si sviluppano attorno alla parrocchia. Gli piace anche il fatto che ci si saluti ancora per strada, cosa di gran valore perché dà il senso di una comunità non ancora caduta nell’anonimato. Vorrebbe tuttavia che il territorio fosse maggiormente valorizzato, con la ristrutturazione delle cascine, lo sviluppo di piste ciclabili e la riqualificazione del Parco della Vettabbia. Se poi da un lato auspica un rafforzamento dei mezzi che colleghino il quartiere al centro, come la metropolitana, dall’altro teme che questo possa accelerare l’urbanizzazione già in corso del quartiere.
Agata è la presidente dell’Associazione Genitori Wolf Ferrari e Toscanini, nata un paio di anni fa con l’obiettivo di promuovere il diritto allo studio e rafforzare il senso comunitario nel quartiere grazie al coinvolgimento delle famiglie. L’associazione nasce dal Comitato Genitori della scuola Fabio Filzi, già molto attivo in quartiere con la compagnia dei Geniattori, una compagnia teatrale di genitori volontari, e l’organizzazione delle biciclettate di fine anno che coinvolgevano fino a mille persone.
L’associazione genitori è stata anche molto attiva nel periodo del Covid, con la creazione della WT Card, una carta pensata per le famiglie della scuola a cui hanno aderito oltre ottanta esercenti del quartiere, offrendo sconti fino al 10%. Nel periodo pandemico, in cui gli acquisti online hanno avuto un’impennata e di grande difficoltà economica per le famiglie, la carta ha avuto il merito di rimettere in contatto gli abitanti con gli esercenti e promuovere il commercio di prossimità.
La principale delle attività dell’associazione rimane però quella di finanziare le quote di solidarietà per garantire il diritto allo studio e al divertimento per i bambini delle famiglie più fragili, ad esempio finanziando una parte delle gite scolastiche che possono essere anche molto dispendiose. Altre attività sono legate alla promozione degli orti scolastici, iniziativa del comune di Milano a cui la scuola ha aderito grazie al sostegno dei nonni di quartiere e a cui loro danno un contributo. Recentemente l’associazione ha introdotto un progetto nella scuola elementare di via Wolf Ferrari che prevede l’introduzione di un corso di lingua inglese con un/a madrelingua, finanziato per l’80% con i fondi raccolti dall’associazione.
Negli anni l’associazione ha instaurato un ottimo rapporto con la classe docente e con la comunità: i due plessi in Vigentino possono infatti contare sulla partecipazione delle mille famiglie dei ragazzi e questo rappresenta da sempre la loro forza. La massima espressione di questa partecipazione è rappresentata dalla festa di fine anno, in cui i genitori si mettono in gioco con l’organizzazione di attività e laboratori : dai “papà para rigori” che si mettono a disposizione a parare i rigori dei bambini, al laboratorio di origami tenuto da un papà giapponese designer, al laboratorio di scienza tenuto da una mamma ricercatrice. La lotteria ha inoltre permesso di raccogliere oltre diecimila euro, distribuiti in cento premi da spendere nei commerci di quartiere come i centri estetici, le palestre, etc.
Rispetto alla comunità del Vigentino, è un quartiere che ha ancora delle logiche da paese, con una sua limitazione geografica, costituita dal Parco a Sud e dal ponte delle ferrovia a Nord, ed una sua identità che si è sviluppata molto attorno alla Chiesa della Madonna di Fatima. Molti dei genitori attuali hanno a loro volta frequentato le scuole qui: non sono infatti poche le persone che, nate e cresciute in quartiere, mettono poi su famiglia qui. Molti sono anche gli ex alunni che mantengono un legame con la scuola mettendosi a disposizione per attività di volontariato. Una qualità del quartiere sono poi i moltissimi spazi verdi ed il forte senso civico dei genitori, attenti alla cura degli spazi comuni, così come la presenza di esercenti storici che danno un’identità al quartiere. Per il futuro l’auspicio è una maggiore attenzione alla viabilità ed un rafforzamento del trasporto pubblico: visti i numerosi progetti per il quartiere e le poche vie di collegamento alla circonvallazione, il rischio è che le arterie di scorrimento diventino molto trafficate, come la via Ripamonti. Ci vorrebbe quindi una maggiore attenzione con zone a velocità 30 nei pressi delle scuole, trattandosi di un quartiere con molti bambini e famiglie.
Bianca Reina è la direttrice dei Gruppo di Volontariato Vincenziano, realtà storica del territorio che dispone attualmente di 10 centri di ascolto e di 5 centri di aggregazione giovanile. Nella sede di Via Neera sono ospitati diversi servizi:
Tra sei mesi inizierà il progetto New Varietà nel quartiere Stadera, su ispirazione di un progetto attivato a Baggio. Dal taglio interculturale e intergenerazionale con focus sulle famiglie, il progetto si rivolge agli anziani ma anche a tutte le persone in situazioni di solitudine, emarginazione e fragilità, e si avvale della collaborazione anche di altre realtà del territorio (es. Piccolo Principe e lo Scrigno).
Il Formagiovani, nato nel 2013, è un servizio del Centro Educativo coordinato da Marco Savio da ormai tre anni. Marco racconta come il servizio all’inizio si occupasse principalmente dei NEET e con il tempo si sia poi sviluppato di fatto come centro di aggregazione che accoglie ragazzi dai 10 ai 20 anni. Tra le attività proposte vi sono proposte di aiuto-compiti (all’interno del progetto Batti5 in rete con altre associazioni del territorio) ma anche iniziative di azioni individuali (come laboratori di lingua e laboratori di narrazione). Educatori, tirocinanti e volontari sono i professionisti che accompagnano l’evoluzione del lavoro.
All’interno del progetto Formagiovani, i compiti sono uno strumento simbolico, il contenitore di una domanda nascosta che può essere esplorata e accolta. Il centro è quindi un luogo aperto al territorio che offre opportunità di studio e di relazioni, all’interno di una cornice più flessibile di quella scolastica.
Oltre al sostegno scolastico il Centro Educativo di via Neera si occupa anche di promuovere gite e progetti sportivi.
Il quartiere Stadera si caratterizza per una grande eterogeneità culturale, una propensione al lavoro di rete, una divisione socio-economica tra fragilità e ricchezza.
Bianca e Marco concordano nel descrivere il senso di comunità: un girotondo tutti insieme, mettersi in cerchio e coinvolgere, accogliere tutte le persone che hanno bisogno di incontrarsi.
Per il futuro Bianca si augura che il Progetto The New Varietà possa trovare successo e accoglienza tra gli abitanti del quartiere; Marco desidera invece che il Centro diventi presto accreditato come luogo di aggregazione per ampliare il ventaglio di servizi e prospettive all’interno del territorio.
Filly è una assistente sociale e una educatrice della Cooperativa Marianella Garcia.
E’ anche una mamma e una nonna molto dedita alla famiglia, nonché mia collega da decenni.
Ama moltissimo il suo lavoro, nel corso degli anni, prima come dipendente e poi come socia della Cooperativa ha svolto il suo ruolo insieme ad una equipe di professionisti, nei diversi servizi e progetti del privato sociale rivolti ai minori e alle loro famiglie.
Filly, da sette anni svolge il ruolo di referente nel nostro centro aggregativo, Punto A Capo, ubicato a Trappeto, quartiere periferico e degradato di Catania, con un basso tasso di scolarizzazione e un alto tasso delinquenziale.
Il Centro di Aggregazione, offre ampi spazi esterni dove i ragazzi si ritrovano per socializzare e svolgere i laboratori di calcio e pallavolo e diverse sale interne, adibite ad aula studio per la prima parte del pomeriggio e poi in base alla programmazione settimanale, ai vari laboratori artistico- ricreativo, come la danza e il teatro, con l’ausilio dei maestri d’arte.
Ed è proprio nel Centro di Aggregazione, Punto a Capo, che le hanno proposto di accogliere come animatore del centro, Ahmed Salama, ospite della Comunità per minori stranieri Marianella Garcia dal 2015 e beneficiario del progetto Tempo al Tempo, per svolgere il suo tirocinio lavorativo di tre mesi, avendo lui stesso espresso durante la presa in carico e i vari colloqui con il facilitatore e in precedenza con i responsabili della comunità ,il desiderio di volersi approcciare nel modo del lavoro in strutture del privato sociale che si occupano di minori.
Nonostante gli studi presso la scuola Archè e il titolo di chef, gli anni trascorsi nei campi di Rugby, come giocatore e poi arbitro e il suo essere divenuto nel tempo una figura importante all’interno del laboratorio teatrale, affiancando quotidianamente il suo fondatore nella gestione delle prove dei più piccoli, ha subito il fascino e acquisito la consapevolezza che occuparsi dei minori e ciò che vorrà fare da grande
Dopo l’equipe integrata con i colleghi e il facilitatore del progetto, i colloqui con il beneficiario e il disbrigo farraginoso di tutta la parte burocratica, Ahmed, ha potuto finalmente iniziare a novembre 2022 il suo tirocinio-lavorativo, come Animatore del Centro di Aggregazione “Punto a Capo, che si è poi concluso nel gennaio2023.
Filly e gli operatori del Centro Punto a Capo, durante l’intervista hanno tessuto solo elogi per Ahmed, che fin da subito si è saputo porgere con gentilezza e rispetto sia nei confronti dei bambini che dei “colleghi” che lo hanno affiancato durante i tre mesi nelle varie attività che sono state svolte.
Ha saputo osservare, ascoltare e agire, pian pianino il suo ruolo è stato riconosciuto anche dai più piccoli, ha saputo dettare e mettere in pratica le regole del centro, ha organizzato e affiancato gli educatori durante i tornei sportivi e il laboratorio teatrale con molta naturalezza e professionalità.
Filly, conclude la sua intervista raccontando di quanto sia stato difficile alla fine del tirocinio il saluto tra loro, i bambini e le loro famiglie.
Anche se poi aggiunge Filly, non è stato un saluto definitivo, Ahmed per questa sua voglia di imparare e far suo questo delicatissimo lavoro, ha preso parte come volontario alle varie attività estive organizzate nei centri di aggregazione della Marianella Garcia.
Ed è grazie alla bellissima esperienza lavorativa svolta da Ahmed durante il suo tirocinio e non solo, che il nostro operare durante questi mesi ha come obiettivo il suo inserimento definitivo nella nostra realtà lavorativa, che dopo tanti anni dal suo arrivo a Catania. egli sente come CASA.
STORIA DI SERENA GIANNONE - AUTOSCUOLA UNIVERSALE
Serena è una giovane imprenditrice catanese, nasce ad Enna, ma da 40 anni vive e lavora a Catania, città che ama e nella quale oltre al lavoro, si gode la famiglia, gli amici e il suo cane, l'amore più grande.
Ha vissuto e lavorato in vari quartieri della cosiddetta “Catania Bene”, ma venti anni fa insieme ai suoi fratelli ha deciso di avviare un’ impresa familiare nel tanto bistrattato e difficile quartiere di San Giorgio.
E’ nata cosi la loro prima Scuola Guida.
I primi tempi sono stati difficilissimi, nonostante la preparazione in questo campo di entrambe le sorelle, nessuno dei clienti in quanto donne, rivolgeva loro qualunque tipo di attenzione tecnica, l'unica figura riconosciuta era Marco.
Con gli anni questo non riconoscimento, ha pesato sempre più su Serena e Alessia, cosi nel 2018 hanno sciolto la società con il fratello è avviato la loro Impresa tutta femminile, creando l’Autoscuola Universale delle sorelle Giannone.
I tempi erano finalmente più maturi, la loro scuola oggi è un importante luogo di riferimento nel settore.
I principi e i valori sui quali si basa il loro operato sono: professionalità, capacità di ascolto, di inclusione, gentilezza e attenzione verso il mondo femminile in un quartiere fino a qualche anno fa prevalentemente maschile e patriarcale.
Da qualche anno, hanno iniziato una collaborazione con la Comunità per minori stranieri, Marianella Garcia, accogliendo i ragazzi che volevano conseguire la patente, durante la loro permanenza in struttura.
Percorsi sicuramente lunghi e tortuosi, alla quale le due insegnanti hanno dedicato molto del loro tempo, ma spesso poi interrotti a causa delle difficoltà dei quiz e della lingua italiana.
Da fine aprile tra i loro iscritti c’è Salama Ahmed, ospite della comunità e beneficiario del progetto Tempo Tempo.
Per Serena, Ahmed è un ragazzo splendido, educato, volenteroso, attento anche agli altri e determinato nel raggiungimento dei suoi obiettivi.
Sicuramente anche per lui il percorso intrapreso non è semplice e nonostante la costanza nella frequenza delle lezioni e il suo esercitarsi con l’insegnante, ancora oggi non è riuscito a superare la paura di affrontare i fatidici Quiz.
Ma Serena è fiduciosa, sostiene che il buon lavoro svolto darà al più presto i suoi risultati premiando cosi i sacrifici di entrambi.
Oltre ai successi dei suoi allievi, spera che le nuove generazioni possano sempre più credere e lottare per raggiungere i loro obiettivi, i loro sogni e che la società che li vede protagonisti possa dare senza distinzione di ceto sociale e sesso le stesse opportunità di vita ad ognuno di loro.
V
Giulia è la presidente dell’Associazione Atelier Teatro; Ruggero si occupa della coordinazione artistica della compagnia. Atelier nasce nel 2008 e attualmente porta avanti due attività prevalenti:
1) l’atelier dei ragazzi: un progetto di spettacoli interattivi nelle scuole (primarie e superiori)
2) Il Festival le mille e una piazza: nato nel 2020 durante periodo Covid, si tratta di un festival di teatro popolare gratuito aperto a tutti che si svolge nei luoghi di aggregazione spontanea e, per questo motivo, si configura come profondamente radicato nell’identità e nella quotidianità dei territori.
Gli obiettivi fondanti del lavoro di Atelier teatro hanno un profilo chiaro, potente: portare in giro per la città un’offerta culturale facilmente accessibile e incentivare, rafforzare, i momenti di comunità. La relazione appassionata con il contesto territoriale emerge in maniera evidente: Atelier non dispone di una sede fissa e questo ha consentito alla compagnia di esplorare, attraversare i municipi e i quartieri che li compongono, entrando nei luoghi significativi e incontrando le persone all’aperto, senza confini. È forse per questa posizione privilegiata e speciale che Giulia e Ruggero, quando parlano di comunità e di territorio lo fanno con uno sguardo ampio, capillare, dettagliato. Con l’esperienza accumulata negli anni hanno imparato a riconoscere gli oratori e i mercati comunali come incubatori di relazioni comunitarie, ma al contempo si sono confrontati con realtà molto diverse tra di loro anche se geograficamente limitrofe. Nel Municipio 5 si respira in generale una forte propensione al lavoro di rete. Ma al suo interno ci sono sfumature spesso anche molto differenti: dai contesti privilegiati, sicuri e puliti in prossimità di parco Guareschi, alla trasformazione di luoghi in passato inaccessibili e trascurati come i Giardini di Via Boeri, dalla sofferenza attuale di quartieri come Gratosoglio (che richiederebbe maggiori risorse e che, dal punto di vista di Ruggero, sta andando incontro ad un graduale peggioramento delle condizioni generali) alla tranquillità di Chiesa Rossa e alle impressioni globalmente positive suscitate dal Vigentino.
Un elemento di fragilità nello sviluppo e nella crescita dei quartieri è, sempre secondo Ruggero, nell’imposizione artificiale di trasformazioni urbanistiche radicali che non considerano e non si integrano con il naturale evolversi dei quartieri ma che al contrario frammentano i territori. Ma anche il generale scarso investimento rivolto alle comunità delle periferie è un aspetto critico che alimenta la marginalizzazione dei più poveri e l’estraneità tra le persone. In questo senso il teatro può diventare un’occasione di incontro e familiarizzazione in cui riscoprirsi e conoscersi.
Per Giulia e Ruggero il senso di comunità si esprime in modo di guardare agli altri e al mondo: comunità significa guardare al bene comune e non agli interessi strettamente individuali. Significa coltivare l’interesse verso qualcosa che sia di tutti, predisporsi all’incontro e allo scambio (le comunità del condominio ad esempio, racconta Giulia, sono piccole esperienze di condivisione dal respiro globale). Comunità è possibile solo trattando tutti i cittadini con la stessa dignità e la stessa cura.
Problemi: scarso investimento delle comunità delle periferie, marginalizzando settori più poveri. Investimento sulla bellezza, sulla pulizia degli spazi,
Per il futuro si augurano che <<sia innanzitutto un pensiero: il futuro non di domani ma quello dopo di noi>>, che diventi un progetto a lungo termine attraverso la capacità di interrogarsi e porsi domande. Per l’Associazione desiderano continuare il progetto del teatro itinerante, così come fare cultura in un movimento di crescita e cultura integrata e generalizzata.
Il mondo, come il teatro, è fatto di tante voci e tutte devono avere il diritto e l’opportunità di esprimersi.
ENJOY è un'associazione presente sul territorio di Borgo Vittoria dal 2012, un centro di aggregazione, punto di riferimento per la comunità locale che offre molteplici attività.
Alessio, Danny, Emanuele, Simone e Giulio, un’allegra compagnia di giovani uomini, propongono teatro, soprattutto comico, con spettacoli che li portano nei teatri cittadini e non solo. Offrono corsi di formazione teatrale su vari livelli, aiuto compiti, corsi di italiano; svolgono molte attività nelle scuole del territorio e provincia; corsi teatro, musica, arte, con esperienze continuative con le medesime classi. Il loro centro si presta inoltre ad ospitare feste per ogni genere di celebrazione.
Artisti poliedrici, si propongono come animatori per feste private e pubbliche e durante la stagione estiva si occupano centri per i ragazzi che rimangono in città.
Un filone importante della loro attività è rappresentato dai progetti europei. Spesso la compagnia teatrale viene invitata presso manifestazioni festival internazionali. La loro conoscenza della progettazione europea li porta inoltre a partecipare a bandi relativi alla formazione e ad altri campi relativi alle attività artistiche.
Rachel è nigeriana ed è in Italia dal 2008, all'inizio ha vissuto per 3 anni a Bari e successivamente si è trasferita a Torino. In Nigeria ha imparato da autodidatta a suonare la chitarra e a cantare insieme al gruppo di suoi amici, con cui improvvisava esibizioni canore e musicali, e questa passione l'ha seguita fino a qui anche se attualmente è stata messa un po' da parte a causa di un incidente al braccio destro. Quando è arrivata a Torino è stata accolta dalle ragazze di un Gruppo che si occupa di accoglienza di donne straniere in difficoltà e con particolari fragilità e, grazie a questo incontro, ha conseguito il diploma di terza media e ha fatto due corsi di computer che le hanno permesso di imparare a navigare e muoversi su questi dispositivi. Rachel ha esperienza come lavapiatti e come assistente in cucina in un ristorante e il suo sogno più grande è quello di aprire un negozio di cibo africano.
Hawo è originaria della Somalia. Arriva in Italia nel 2013 approdando dapprima in Sicilia e poi trasferendosi a Torino nel 2014. La sua famiglia è molto bella e numerosa: ha 4 figli, 2 femmine e 2 maschi che frequentano l'asilo e le scuole elementari. La più grande passione di Hawo è la creazione di vestiti partendo da sue stoffe ed è proprio per questo che è interessata a un corso di sartoria che le permetta di acquisire maggiori capacità e conoscenza nell'ambito. Le esperienze lavorative di Hawo sono principalmente nel campo delle pulizie: ha lavorato per un paio di mesi in un albergo ma anche in case private e uffici ed è in questo ambito che vuole continuare a cercare lavoro. Frequenta la Portineria di Porta Palazzo da qualche anno, luogo a cui si era rivolta per poter far partecipare i suoi bimbi all'aiuto compiti settimanale.
Tre anni fa circa, la Cooperativa La Strada ha colto l’opportunità offerta dal bando aperto da Fondazione Housing Sociale per richiedere l’assegnazione di appartamenti a 5Square per l’accoglienza di mamme con bambini e neomaggiorenni.
Il Servizio Casa Mia è stato pensato per mamme che arrivano da comunità di prima accoglienza su segnalazione dei servizi sociali e dei comuni. In buona parte queste donne hanno intrapreso un percorso di uscita da situazioni di maltrattamento, per cui, da una prima accoglienza, passano poi ad alloggi di autonomia a bassa soglia, che prevedono sei ore educative a settimana in cui vengono affiancate dagli operatori sociali della cooperativa nei loro progetti per il futuro, come trovare lavoro, una soluzione abitativa a lungo termine e ricostituirsi una rete di sostegno. In questa fase diventa quindi fondamentale la conoscenza del territorio e delle sue risorse, per orientarle nella ricerca di servizi come il doposcuola, i campi estivi, i corsi sportivi ... L’aspetto della socializzazione è ugualmente fondamentale, in quanto si tratta di donne che spesso non hanno alle spalle una rete familiare o amicale, motivo per cui l’inserimento in condomini solidali dove si organizzano feste ed eventi, o iniziative come gli orti comuni, rappresenta una grande opportunità. La risocializzazione, l’uscita da uno stato di isolamento, può essere talvolta un percorso faticoso, in quanto implica l’abituarsi a relazionarsi con persone che non sono operatori specializzati. Anche per i bambini, che nelle comunità si interfacciano principalmente con professionisti, come gli educatori e gli operatori, può avere un impatto estremamente positivo il relazionarsi con i vicini, con figure maschili positive che li facciano giocare. Attualmente la cooperativa ha inserito due nuclei familiari, incoraggiando le donne a partecipare alle iniziative comuni, con un riscontro molto positivo. Per i bambini ad esempio, il doposcuola organizzato nello spazio comune e le diverse feste hanno rappresentato un’occasione per conoscere altri bambini del condominio.
Per quanto riguarda l’accoglienza dei neomaggiorenni, sono ugualmente importanti lo sviluppo di progetti di vita individuali e l’aspetto della socializzazione. A tal proposito, la nascita spontanea di iniziative, con la creazione di gruppi di interesse tra condomini, è estremamente incoraggiante. Attualmente le attività comuni hanno riguardato principalmente momenti conviviali, come aperitivi e feste, e attività sportive, anche se la contaminazione del condominio con il quartiere esterno genererà sicuramente altre iniziative che possano intercettare anche fasce d’età che oggi trovano meno risposta. Per questo è necessario tuttavia del tempo, perché le persone abbiano modo di conoscersi, di scoprire e farsi scoprire. Anche una maggiore conoscenza del territorio e delle realtà qui presenti sarà utile per capire quali proposte si potrebbero avanzare anche con gli altri enti, partendo da una lettura dei bisogni.
Per chiudere con un auspicio, l’augurio è che l’entusiasmo iniziale non si esaurisca ma che restino costanti la partecipazione delle persone alle iniziative comuni e la creatività delle proposte: cosa che richiederà impegno e costanza. Il desiderio è anche quello che Antegnati non diventi una piccola comunità chiusa in se stessa, ma che invece si integri al quartiere che la circonda.
Klisman ha 25 anni, è di origini albanesi e, arrivato in Italia, dopo aver vissuto in provincia di Padova per un breve periodo si è poi trasferito in zona Chiesa Rossa. Milano e nello specifico questo quartiere sono per lui realtà stimolanti e comode, in grado di offrire diverse opportunità a chi vi abita. << C’è una bella comunità ed è una bella zona >>, dice, ricca di servizi e senza particolari elementi da migliorare.
Klisman Studia statistica all’Università Bicocca e frequenta ormai da diversi anni l’associazione UILDM, occupandosi in particolare del tempo libero e dello sport. Pratica infatti hockey in carrozzina da 10 anni, coltivando personalmente questo interesse e cercando di condividere con i ragazzi più giovani la bellezza di questo sport, coinvolgente ed inclusivo.
Attraverso lo sport Klisman sente di aver lavorato sulla propria timidezza e alimentato la proattività verso gli altri, grazie anche alle responsabilità verso i più piccoli di cui si occupa. Anche i videogiochi e i giochi da tavolo (come monopoli e risiko) sono attività che lo interessano e lo divertono molto.
Per lui UILDM è come membrana di contatto e relazione tra realtà eterogenee presenti sul territorio.
Tra i sogni e i progetti per il futuro, Klisman vorrebbe continuare la vita associativa all’interno di UILDM per poter aiutare sempre più persone grazie all’esperienza accumulata negli anni. Crescere e diventare un punto di riferimento per le future generazioni. A loro Klisman suggerisce di non soffermarsi sulle difficoltà e sui limiti della vita ma di guardare sempre, con ottimismo, agli orizzonti di possibilità che ci circondano << darsi da fare perché tutto si può fare>>.
Il senso di comunità, osservato attraverso la lente dello sport, per Klisman trova potente espressione nella determinazione condivisa dalla collettività, nell’armonia positiva e nella solidarietà, mentre si discosta dalla competizione negativa, dall’indifferenza e dalla separazione rigida tra le persone.
Per il futuro del quartiere si aspetta un continuo sviluppo in direzioni sempre più positive.
Massimiliano è il referente pedagogico delle attività sociali di ATIR e socio dell’omonima compagnia da circa 3 anni. Max nasce come educatore e ha lavorato per molto tempo in una cooperativa sociale. Il suo percorso inizia attraverso i laboratori teatrali per giovani e adulti all’interno delle cooperative << con il teatro emergevano elementi inediti della relazione>> racconta. Il Teatro è uno strumento potente per ampliare lo sguardo introspettivo anche verso l’altro.
ATIR ha portato avanti la formazione degli educatori con gli attori della compagnia e si occupa ancora oggi di una serie di progetti rivolti al sociale, oltre e all’interno delle sue rassegne: lavoratori di teatro integrati (per persone con fragilità fisiche e psicologiche) e laboratori di gruppi misti, per anziani, adulti e realtà sociali che si avvalgono del teatro come strumento di cura. La prerogativa della compagnia è infatti la cura dell’altro e della relazione, attraverso l’incontro e la valorizzazione della diversità e della fragilità. Un punto di svolta significativo coincide con la vincita di un bando che affida ad ATIR la gestione di un teatro di ringhiera immerso tra Chiesa Rossa, Stadera e Gratosoglio, dove “la piana”, il piazzale di via Boifava 17 rappresenta un crocevia di storie, territori ed identità. << Un paesaggio lunare>> è come Max descrive il primo impatto con il piazzale trascurato di fronte alla sede, luogo che ha ospitato non solo la crescita della compagnia ma anche un movimento di rigenerazione urbana, sociale e culturale a cui in moltissimi hanno partecipato.
Per Max il quartiere è un contesto ricco di iniziative, volontari, spinte artistiche e culturali. È caratterizzato da orientamento al lavoro di rete che bene si esplica nei tavoli territoriali del Municipio 5. Il teatro si è inserito in questo tessuto, lo ha nutrito ed è diventato incubatrice di relazioni e incontri.
Nel 2017 il teatro è stato chiuso permanentemente per lavori di ristrutturazione, anche se alcuni ex uffici vengono ancora oggi adoperati per il proseguimento di alcuni laboratori. Nel lavoro della compagnia convivono sempre l’etica della relazione e dell’inclusione e l’estetica del gesto artistico. Arte non si ferma e si spende sempre per l’altro.
Per descrivere il senso di comunità Max rievoca un ricordo del passato, quando insieme ad una ragazza con disabilità – dall’energia strabordante – si prese un caffe in compagnia di una drag queen. <<Stare in ascolto, prendersi cura, senza giudizio e con responsabilità profonda>>.
Per il futuro Max spera nella riapertura della sede del teatro ma, soprattutto, in una sempre maggiore apertura verso la diversità come un elemento di ricchezza.
Roberto si definisce uno scrittore che come hobby fa l’insegnante.
La passione per la scrittura è nata alle scuole elementari dall’ascolto che ha trovato in famiglia, in quanto per essere scrittore devi avere qualcuno che ti legge in cui riporre la tua fiducia. Così, quando c’erano ospiti a casa, Robertino poteva leggere qualcosa: spesso un racconto satirico sulla famiglia, in parte inventato e in parte basato su cose reali.
Figlio di un maresciallo dei carabinieri, Roberto ha vissuto in diverse regioni d’Italia: motivo per cui, parlando bisiacco, ebolitano, napoletano e un po’ di milanese, ha un accento difficilmente identificabile … a parte quando si arrabbia, in quel caso vien fuori il dialetto napoletano. Dopo aver passato l’infanzia in Friuli e l’adolescenza in una piccola città campana, è sbarcato nella grande città di Napoli a quindici anni, dove è rimasto fino alla fine degli studi universitari. Di Napoli ha apprezzato la dimensione cittadina e la vivacità culturale, per cui Napoli può vantare ancora oggi un istituto di studi filosofici tra i più importanti d’Italia. Tuttavia, attratto dalle grande case editrici del Nord, una volta conseguita la laurea in Filosofia e Lettere Moderne, Roberto si è trasferito qualche anno sul Lago di Garda e infine a Milano.
Da quando si è trasferito a Milano, oltre ad occuparsi di sé e dei suoi romanzi e racconti, nel novantaquattro Roberto ha fondato un Salotto letterario: un cenacolo di intellettuali, poeti, narratori, filosofi e psicologi che si riuniscono due volte al mese per la presentazione di un libro, cui segue un convivio con dibattito e cena. Il Salotto si tiene nell’intimità della casa, dove Roberto ha ospitato personaggi quali Giuseppe Pontiggia, Massimo Recalcati, Giampiero Neri. L’idea di costituire un salotto è nata dalla consapevolezza che per uno scrittore non è facile farsi conoscere : devi infatti trovare uno sponsor che ti pubblicizzi, oltre ad un editore che ti pubblichi il libro. C’è quindi un sottobosco di scrittori in erba che desiderano essere letti e ascoltati, cosa sempre più difficile in una contemporaneità in crisi di ascolto, dove tutti parlano e scrivono ma pochi ascoltano quello che hanno da dire gli altri. Vi sono altri salotti letterari a Milano, come il Salotto Augusto Bianchi, ma a Milano c’è più sete di cultura che acqua da bere, per cui il Salotto Caracci negli anni si è consolidato fino a diventare una realtà conosciuta a Milano. Il Salotto ha continuato a riunirsi anche durante la pandemia con degli incontri online: se da un lato questo ha permesso a persone distanti geograficamente di partecipare – per la prima volta il Salotto ha avuto una persona collegata dal Texas!- un convivio in cui si mangia e chiacchiera davanti ad uno schermo perde la sua ragion d’essere, motivo per cui si è tornati a riunirsi in presenza appena possibile.
Rispetto al suo hobby di insegnante, Roberto ci racconta di come la scuola sia cambiata in questi anni, di come si sia burocratizzata, motivo per cui gli insegnanti di oggi sono meno sereni di quelli di una volta. Roberto ci racconta anche di un progressivo disinteresse dei ragazzi per la lettura, motivo per cui nei primi anni di insegnamento consigliava le letture, mentre oggi dà letture obbligatorie.
Rispetto al Vigentino Roberto ricorda che quando si è trasferito qui anni fa lo ha trovato un quartiere meno caotico di molti altri a Milano. Lo definisce quindi un quartiere tranquillo in cui si è sempre trovato bene, anche se a viverlo manca qualcosa: forse dei luoghi culturali e delle attività nelle zone più decentrate rispetto a Porta Romana, per cui ben vengano tutte le iniziative che facciano da carburante culturale e coagulino le persone. Rispetto alla comunità, Roberto pensa di aver dato il suo contributo con il Salotto letterario e desidererebbe poter accogliere più persone se trovasse uno spazio grande, aperto e accessibile … come questo del Living a 5Square! Per chiudere, Roberto ci regala la sua immagine di comunità: un convivio con cultura e divertimento, una festa con musica e ballo, dove si balla la mazurca tutti insieme, grandi, giovani e piccoli.
Incontriamo Gianfranco dietro al bancone del bar dell’oratorio di Santa Maria Liberatrice. Gianfranco fa il volontario in parrocchia dal 2017 ed una volta a settimana viene qui al bar a servire bibite, bevande e snack alle tante famiglie che frequentano i corsi sportivi e ai tanti anziani che qui in oratorio si ritrovano a giocare a carte.
Gianfranco è nato e cresciuto nel Vigentino, come anche sua mamma che è nata nel Comune del Vigentino, in quanto a inizio novecento il Vigentino faceva ancora comune a sé. Già suo nonno abitava in Via Ripamonti, dove teneva anche un orticello. I suoi primi ricordi del quartiere sono quindi i campi (prima c’erano molte meno case), i fossi d’acqua dove ci si faceva il bagno, perché l’acqua era pulita, e il cinema all’aperto. Il tram 24 c’era già, anche se faceva capolinea in via Noto, e in Via dell’Assunta c’era una fabbrica di vetro con attorno delle casette abitate dai dipendenti. Negli anni sessanta la fabbrica ha chiuso, le case sono state demolite e sono stati costruiti i palazzi. Con i suoi amici si ritrovavano nella piazzetta vicina alla Forza e Coraggio, dove prima c’erano tanti negozietti: il ciabattino, il salumiere, l’ortolano … e poi c’era una latteria che era il ritrovo di loro ragazzi.
Del quartiere di oggi Gianfranco apprezza soprattutto il verde: dove abita suo figlio ad esempio, hanno fatto un bel parco giochi per i bambini, per cui quando tiene lui i nipoti li porta sempre ai giardinetti a giocare. La mattina invece va al bar a bere un caffè e fare due chiacchiere con qualche amico che incontra. Altrimenti sta a casa oppure esce con sua moglie per delle commissioni. Sa che c’è in quartiere un posto per anziani che però non ha mai frequentato, mentre in parrocchia ci viene volentieri: per uscire e non stare sempre a casa sul divano o davanti al pc. Oltre a fare volontariato al bar dell’oratorio, Gianfranco dà anche una mano a preparare i pacchi per le persone che hanno bisogno.
Per Gianfranco la comunità è un posto dove regnano armonia e rispetto reciproco, un posto dove si ha cura del bene comune e si rispettano delle regole di buona convivenza. Il suo auspicio per il quartiere è che continui ad attirare i giovani e che la parrocchia continui ad essere un centro di aggregazione perché non prendano cattive strade. Vorrebbe vedere anche un maggior presidio da parte dei vigili di quartiere perché c’è esigenza di una maggiore sicurezza in seguito ad alcuni casi di scippo.
Carmelo è guida escursionistica con una passione per la fotografia e il videomaking. Di Catania, si è trasferito a Milano nel duemiladodici, dove si occupa di esplorazione metropolitana. Gianluca è architetto e guida montana, ha viaggiato il mondo a piedi e da qualche anno collabora con Carmelo, avendo creato uno studio che si occupa di esplorazioni di metropoli in sinergia con altre realtà europee. Georama è nata ufficialmente un anno fa, anche se il processo che ha portato alla sua costituzione è partito quarant’anni fa. La pandemia ha rappresentato una svolta, in quanto ha generato l’occasione per lasciare il precedente lavoro e dare concretezza ai propri progetti personali.
Georama è un laboratorio di geografia e biografia che si interroga sulla metropoli, da intendersi come un Ambiente al cui interno si intrecciano natura e relazioni, raccogliendo oggetti e storie che costituiscono la narrazione di un luogo. Quando viaggiamo infatti, andando a curiosare in altri luoghi, creiamo delle relazioni per cui lasciamo un po’ di noi e ci portiamo via un po’ di quanto abbiamo raccolto, sotto forma di oggetti souvenir oppure storie e biografie.
Georama non ha ambiti territoriali, in quanto vi sono metropoli in tutto il mondo, anche se si rivolge principalmente al limitrofo: anche Milano permette esperienze esotiche! Bisogna infatti interrogarsi sul significato di esplorare al giorno d’oggi: c’è chi esplora posti lontani, dove per arrivare deve prendere aerei, bus, treni. “E’ un po’ come prendere un libro e cominciare dal ventitreesimo capitolo. Cosa succederebbe se invece cominciassi dal primo capitolo: apro la porta di casa e inizio il mio viaggio”. E’ stato quindi interessante percorrere a piedi la strada dalla città all’aeroporto, luoghi che generalmente attraversiamo ignorandoli e che sono invece ricchi di comunità vegetali e animali, oppure andare a piedi da Milano a Genova, passando per il passo dello Spluga. E’ stata una rivelazione esplosiva camminare fino a Genova in undici tappe e poi tornare in treno in meno di mezza giornata: sperimentare con il proprio corpo che la velocità cambia lo spazio è stata una rivelazione. Interrogarsi sulle relazioni che tengono insieme una metropoli significa anche interrogarsi su da dove venga l’elettricità che alimenta il nostro frigo: oggi in pochi sanno dove sono le raffinerie che alimentano il Nord, eppure è responsabilità di noi che abitiamo in questa città interrogarci sulle relazioni che garantiscono l’apporto energetico di cui abbiamo bisogno nel quotidiano.
Altra necessità fondamentale è rallentare e per chi abita in metropoli come Milano rallentare è contro natura. Eppure proprio in queste città generarsi del tempo significa acquisire benessere : oggi si parla infatti della città dei quindici minuti, immaginando che si debba tornare ad un equilibrio tra le diverse mobilità, a piedi o con i mezzi, che ci permetta di abitare il limitrofo e spostarci in altri luoghi quando lo desideriamo. Quest’anno hanno lavorato molto con i bambini, in quanto è grazie a loro se avverrà la mutazione della metropoli: il futuro è ricchissimo di possibilità se riusciamo a trovare un equilibrio tra mondo naturale e minerale, tra la velocità imposta dalla modernità e dai suoi schemi economici e la necessità di prenderci del tempo per perderlo, per capire. Viviamo infatti in una complessità che non capiamo, in quanto la velocità fa restare in superficie. La lentezza riacquisita va quindi di pari passo con l’esplorazione della complessità, la quale lentezza diventa altrimenti un esercizio fine a se stesso: se ci limitiamo a rallentare la domenica per trasportarci in un’altra dimensione dove poter fruire della lentezza, stiamo consumando un prodotto che è l’idea stessa di natura. Invece natura è relazioni e complessità, come la complessità delle radici che si snodano sotto terra tessendo relazioni con l’ecosistema circostante.
Rispetto a 5Square, è un luogo di ricchezza incredibile in quanto frutto di uno sviluppo edilizio che ha calpestato la realtà agricola ma al contempo di borghi storici tra i più antichi d’Italia. Se chi abita qui imparerà a conoscere questo luogo e farlo proprio, allora avrà cura di quello che rimane di un presidio mondiale dell’agricoltura urbana, acquistando ad esempio frutta e verdura a kilometro zero. Questa è anche una terra di confine, da intendersi non come una demarcazione, ma come uno spazio dove le cose si uniscono trasformandosi. Una opportunità quindi dove possono nascere nuovi paradigmi dell’abitare del futuro, in cui rimangono visibili le tracce dello sviluppo precedente. Interessante è anche l’esperienza di abitare collaborativo di 5Square in un luogo come Milano, che vive di un centro in cui tutto si concentra ma che allo stesso tempo espelle verso la marginalità. Con questi interventi sociali, le marginalità, chiamate periferie, riacquistano centralità, scombussolando le dinamiche percettive di Milano, per cui se vado a 5Square sto andando in una centralità dove ci sono dinamiche di coinvolgimento comunitario a cui mi interessa partecipare. La comunità deve quindi essere policentrica, policomunitaria, con continue relazioni non solo tra gli abitanti umani ma anche tra comunità umane, animali e vegetali, costruendo un modello non più basato sulla verticalità ma sull’orizzontalità, muovendosi come fanno le radici, con una forza pacifica, curiosa, esploratrice, che ci impone di ricavarci del tempo per esplorare con gli altri il proprio territorio e incappare in altre comunità.
Un venerdì mattina facciamo una passeggiata al Mercato dei Guarneri, mercato storico del Vigentino che si tiene settimanalmente in Via dei Guarneri. Cerchiamo di parlare con diversi commercianti, per farci raccontare come è cambiato il loro lavoro negli anni e quali cambiamenti hanno visto nel quartiere.
Davide frequenta il mercato da una decina di anni e vende prodotti di gastronomia. In questi anni il mondo è cambiato: con i rincari dei prezzi ed un sostanziale appiattimento delle pensioni e degli stipendi, le persone spendono meno e con fatica, perché i soldi non bastano più. Prima di fare acquisti quindi, le persone ci pensano bene, motivo per cui il lavoro è calato un po’ a tutti nel mercato. Prima i loro migliori acquirenti erano i pensionati, ma ora anche loro spendono meno. Davide pensa che per trovare il contatto umano si debba uscire da Milano ed andare nei piccoli paesi dove vi è ancora la propensione ad aiutarsi a vicenda, mentre nelle città si fatica a salutare il proprio vicino di casa.
Poco più avanti troviamo invece una polleria. Davide frequenta il mercato da tredici anni e la sua attività è quindi storica. Lui è di fuori Milano e frequenta il quartiere solo in occasione del mercato settimanale. Dal suo punto di vista, il quartiere è come un piccolo paese all’interno di Milano, un paese nella città quindi, dove ci si conosce, le persone si salutano … un posto dove si vede che ci sono ancora dei legami comunitari. Lui frequenta diversi mercati e questo è uno dei migliori: il livello culturale è più alto degli altri mercati e i suoi clienti parlano tutti un buon italiano, per cui quando si ha a che fare con persone del genere il lavoro diventa più facile. L’auspicio per il futuro è quello di star bene e che il lavoro vada bene.
Gianfranco ha invece un banco di ortofrutta. Anche lui è di fuori Milano e frequenta il quartiere solo in occasione del mercato il venerdì mattina. Il quartiere sembra un paesino in cui ci si conosce un po’ tutti e per questo si trova bene e gli piace lavorare in questo mercato … averne di mercati così! I mercati centrali oramai sono mal frequentati- ci dice. Prima il quartiere non era una bella zona: la sera era un po’ pericoloso e si aveva maggiormente l’impressione di trovarsi in periferia. Negli anni il Vigentino si è molto riqualificato, con case nuove e belle persone. Lui frequenta il mercato fin da bambino, per cui molti clienti anziani lo hanno visto crescere, anche se purtroppo alcuni sono venuti a mancare nel tempo. Vorrebbe quindi vedere più giovani frequentare il mercato, anche se da quando si è diffuso il lavoro ibrido, ha ampliato la sua clientela grazie agli smart workers. Gianfranco vive in campagna e gli piace la quiete, per cui per lui la qualità della vita è legata al fatto di avere i propri spazi, la propria privacy, la libertà di non dover avere le tende in casa perché fuori c’è la campagna. Non apprezza quindi la vita nei condomini, dove alle volte tra vicini manca il rispetto reciproco. Per lui la comunità ideale è quindi quella in cui ognuno sta a casa propria: dovendosi alzare alle tre della mattina, la quiete e il riposo sono per lui fondamentali. L’auspicio è che ci sia benessere un po’ per tutti, da intendersi sia come benessere materiale si, ma anche come benessere mentale.
Giorgio ha sessantatre anni ed abita nel Vigentino da quando si è sposato nel 1985. Allora, dove ora c’è l’oratorio, c’erano i campi: poi la Diocesi è riuscita ad acquisire i terreni circostanti alla Chiesa ed han potuto costruire l’oratorio come lo vediamo ora, con i campi sportivi e gli appartamenti per i sacerdoti.
Giorgio è stato dapprima educatore in parrocchia, poi l’otto marzo del 2006 ha deciso di creare un’associazione sportiva assieme ad un gruppo di mamme: non a caso la data scelta è la giornata internazionale della donna. L’associazione è infatti nata da un gruppo affiatato di ragazze che si trovavano a giocare a pallavolo e dall’occasione colta dalle mamme di proporre degli allenamenti e fornire occasioni di incontro per le ragazze e i ragazzi del quartiere. Se quindi la pallavolo femminile è rimasta il cuore dell’associazione, nel tempo l’offerta sportiva si è allargata al basket e al calcio. Dal 2006 l’associazione si è ampliata, passando da sessanta a quasi quattrocento tesserati nel periodo pre-covid.
Durante i due anni di pandemia, l’associazione è venuta incontro alle difficoltà delle famiglie, proponendo una quota di iscrizione di cinquanta euro per l’intera annualità. Le attività sono state discontinue, con continui ‘stop and go’, ma le famiglie hanno apprezzato l’impegno dei volontari, che hanno proposto allenamenti online come anche corsi di pittura e cucina pur di star vicini ai ragazzi in un momento così delicato. Finite le restrizioni, la voglia di partecipare è stata grandissima, così come il desiderio di ritrovarsi e stare assieme.
Giorgio è presidente dell’associazione dal 2009 e si occupa prevalentemente della parte burocratica, che negli anni è diventata sempre più asfissiante per le piccole associazioni. Tuttavia, quando può sostituisce volentieri gli allenatori di basket costretti ad assentarsi, in quanto il sorriso dei ragazzi è quello che da sempre lo motiva ad impegnarsi per l’associazione. L’associazione può contare oggi sulla motivazione di una cinquantina di volontari in quanto nessuno, dagli allenatori agli arbitri e al segretario, percepisce uno stipendio.
L’offerta sportiva va dall’ultimo anno d’asilo, con il mini basket e i primi calci, fino agli over sessanta. Recentemente l’associazione ha infatti allargato l’offerta ad una squadra di genitori che portavano i figli qui, anche se la maggior parte dei corsi è per i giovani delle elementari e delle medie: alle superiori si fa infatti più fatica a coinvolgere i ragazzi nelle attività sportive, anche se ci sono attualmente due squadre di pallavolo per i ragazzi sopra i diciotto anni. L’auspicio è quello di far crescere umanamente e tecnicamente i ragazzi, perché raggiungano risultati sportivi come sta avvenendo e diffondere un agonismo positivo.
Per Giorgio la parrocchia Madonna di Fatima rappresenta un po’ il cuore del quartier Vigentino. La parrocchia organizza infatti momenti di convivialità, come la festa di fine anno della scuola che si teneva qui fino a due anni fa. Se pensa ad una comunità, Giorgio pensa quindi alla convivialità e ad uno spazio che include invece di buttare fuori: come si ripropone l’associazione nel suo statuto. L’auspicio è anche quello di prepararsi ad accogliere le nuove famiglie che arriveranno nel quartiere con una propensione all’ascolto e a dare una mano in caso di bisogno, con un’attenzione ai più piccoli e alle persone più fragili.
Filippo Cogliandro è uno chef di Reggio Calabria che ha fatto della cucina la sua passione, mettendo al centro il lavoro ma anche la volontà di aprirsi agli altri e offrire il suo aiuto. Sarà che lo chef Cogliandro mai avrebbe pensato di lavorare tra i fornelli visto che aveva intrapreso la via del seminario e dello studio per diventare sacerdote e proprio questa vocazione verso gli altri lo ha portato ad aprire il “suo regno”. Così ecco che nel suo ristorante L’A Gourmet L’Accademia che dal 2015 è nel centro storico di Reggio Calabria trovano spazio anche i ragazzi in difficoltà: minori stranieri non accompagnati, ragazzi che arrivano dal Tribunale per i minorenni, per la Messa alla prova, e chi ha qualche disabilità.
La cucina, e il suo ristorante, diventano così luoghi dove rimettersi in gioco e imparare, perché accoglienza non vuol dire carità ma offrire a questi giovani la possibilità di crescere e formarsi. Chef Cogliandro ha, infatti, in cucina da dieci anni, due ragazzi del Gambia.
Loro – spiega Filippo Cogliandro - hanno contaminato la mia cucina con la loro cultura e così io mi sono arricchito di sapori e di saperi.
L’A Gourmet L’Accademia è sempre aperta al territorio e alle istituzioni e c'è uno scambio costante ed è diventata punto di riferimento non solo per l'attività di ristorazione, ma anche per l'impegno sociale e culturale.
Laureato in economia, Andrea ha deciso di dedicarsi al sociale fin da ragazzo, avendo lavorato per anni in progetti di cooperazione internazionale in diversi paesi dell’Africa Occidentale e dell’America Latina. In questi anni ha imparato molto dalle comunità locali con cui lavorava, in quanto l’aiuto non è mai unidirezionale ma reciproco. Quattro anni fa ha incontrato il Gruppo L’Impronta e ha deciso di cogliere la sfida di lasciare il contesto internazionale per lavorare a progetti sociali qui in Italia. Andrea si occupa attualmente di comunicazione e fundraising e progettazione sociale, lavorando nelle periferie e nell’hinterland di Milano. Quello che lo appassiona del suo lavoro attuale è l’attenzione per il tema etico che il Gruppo ha saputo portare nel mondo aziendale, coinvolgendo diverse realtà profit del territorio nelle loro progettazioni.
All’interno dell’esperienza del Gruppo L’impronta hanno preso avvio diverse imprese sociali, caratterizzate tutte dall’attenzione alla qualità dei prodotti e all’inserimento lavorativo di persone con fragilità. A breve aprirà un’attività commerciale nel complesso di Housing Sociale di 5Square, che avrà una forte connessione con la cooperativa sociale agricola Agrivis, situata a Macconago nel Parco Agricolo Sud, che si occupa di agricoltura biologica e trasformazione dei prodotti agricoli. L’idea è quindi, vista la vicinanza del complesso residenziale con l’azienda agricola, di far fare agli abitanti delle esperienze in cooperativa, la quale dispone anche di un laboratorio di trasformazione e di un’aula polifunzionale.
L’auspicio per la nuova attività commerciale è che diventi un luogo di aggregazione vero all’interno del quartiere, dove vorrebbe veder nascere un bel clima di collaborazione anche grazie alle numerose associazioni presenti. Per il futuro vorrebbe anche che il complesso residenziale di 5Square fosse meglio collegato urbanisticamente con l’area verde adiacente per una maggiore fruizione degli spazi verdi da parte degli abitanti.
Maschile Plurale nasce nel 2006 con la sottoscrizione del primo appello nazionale firmato da gruppi di uomini in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del venticinque Novembre. Si tratta del primo appello pubblico, sottoscritto da molti uomini, che prende posizione rispetto alla responsabilità maschile nel sistema patriarcale e maschilista, di cui la violenza fisica e i femminicidi sono solo la punta dell’iceberg. Per la prima volta gli uomini hanno quindi deciso di esporsi contro questa cultura diffusa, dicendo di sentirsi altro rispetto al modello di maschilità proposto.
Nel corso degli anni novanta in Italia sono nati diversi gruppi di autocoscienza maschile impegnati sul tema della violenza contro le donne. Si tratta di gruppi eterogenei tra loro, tra cui ci sono gruppi più informali, che si ritrovano per discutere di determinate tematiche, e gruppi più professionali, che lavorano con progetti finanziati, fanno attività educative nelle scuole o si occupano di uomini maltrattanti. In totale in Italia esistono attualmente una ventina di questi gruppi.
Maschile Plurale è quindi una rete di uomini appartenenti a questi diversi gruppi. Tra i suoi fondatori vi è Stefano Ciccone, che ha scritto la prefazione al libro “Maschilità smascherata” pubblicato recentemente dal gruppo milanese GNAM, Gruppo di Autocoscienza Maschile. Tra le personalità di spicco vi è anche Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista autore di diversi libri, quali “Perché il femminismo serve anche agli uomini”, “Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni”, “Non sono sessista ma…”, "No. Del rifiuto, di come si subisce e di come si agisce e del suo essere un problema essenzialmente maschile".
Negli anni Maschile Plurale ha anche sviluppato rapporti e collaborazioni con la galassia dei gruppi femministi e con femministe di rilievo come Lea Melandri. Uno o due volte l’anno l’associazione organizza delle assemblee nazionali in cui ci si confronta e si danno vita e diverse iniziative e progetti condivisi.
Prima di congedarsi, chiediamo a Marco e Michele la loro opinione sul termine “femminicidio” e sulla necessità di mantenere un termine distinto da quello generico di omicidio. A questo proposito Marco e Michele ci spiegano dell’importanza delle parole e quindi di utilizzare il termine “femminicidio” che in sé chiarisce l’esistenza di una cultura maschile violenta nei confronti delle donne e che si poggia su di un retroterra culturale di possesso nei confronti delle donne. Relazioni di potere nelle quali, se la donna cerca di sfuggire, l’uomo maschilista si sente in diritto di esercitare la sua forza fisica per impedire alla donna di esercitare la sua libertà, perché, come dicono le statistiche, la stragrande maggioranza dei femminicidi è perpetrata da compagni o ex compagni che non accettano la fine di una relazione.
Anasse è nato in Marocco ed è in Italia dal 2018. Ha sempre vissuto a Milano: prima con la famiglia a Corvetto ed ora in una comunità a 5Square, dove condivide l’appartamento con altri ragazzi.
Originario di Casablanca, torna in Marocco tutte le estati : la sua famiglia infatti è qui a Milano mentre i parenti sono rimasti in Marocco. Della sua nuova vita in comunità apprezza di poter avere un stanza tutta per sé e anche di poter partecipare a dei momenti di convivialità nello spazio condiviso Living, come mangiare e ballare … la musica italiana gli piace infatti molto. Apprezza anche l’aspetto comunitario dell’Housing, per cui si è offerto di fare la spesa per una persona anziana che non può camminare, e desidera in futuro partecipare all’iniziativa degli orti condivisi. Nel tempo libero va a giocare a calcio, frequenta il centro di riabilitazione ed il sabato gli piace andare a ballare.
Dopo che è arrivato in Italia ha frequentato la scuola per due anni ma ora non sta più studiando e gli piacerebbe invece lavorare e imparare a fare il parrucchiere: per ora ha fatto pratica in casa, ma vorrebbe lavorare in un negozio. Anasse parla Arabo e Marocchino, un pochino il Francese e l’Italiano, anche se ancora non sa leggere bene. Tra qualche anno vorrebbe comprarsi casa qui a Milano perché gli piace vivere qui.
Francesca abita nel quartiere Vigentino da trentadue anni. Prima di avere figli si occupava di ufficio stampa per aziende e organizzava congressi. Con l’arrivo dei figli ha smesso di lavorare e si è dedicata di più al suo quartiere, con diverse iniziative di volontariato. Da qualche anno ha anche ripreso l’attività lavorativa facendo la tata.
Tra le associazioni per cui Francesca fa volontariato da più tempo vi è Opera Cardinal Ferrari, che ha l’unico centro diurno a Milano per senza fissa dimora e persone fragili, con servizio docce e guardaroba. Lei si occupa di smistare i vestiti che le persone donano assieme ad altre volontarie. In seguito è stata tra le fondatrici del Comitato Vigentino per Milano, per il quale ha seguito l’iniziativa di bookcrossing, che è diventata un momento importante di aggregazione nel quartiere. Cinque anni fa ha poi deciso di costituire un gruppo informale di persone con l’obiettivo di coinvolgere più cittadini e far vivere il suo quartiere. Il gruppo si chiama VigentiAmo, un’abbreviazione di “Vigentino ti amo” che ha dato vita ad un nuovo verbo, una sorta di esortazione a prendersi cura del quartiere.
Tra le iniziative promosse da VigentiAmo in questi anni vi è il baratto di giochi per bambini di elementari e medie che si tiene al CAM Verro ogni due mesi e durante il quale i bambini possono donare dei loro giochi e prenderne degli altri. Nella scelta dei giochi viene chiesto ai genitori di non intervenire, perché i bambini fanno una scelta emotiva, senza dare un prezzo alle cose. Recentemente hanno provato uno swap party alla festa delle medie, in cui i ragazzi potevano scambiarsi dei vestiti. Hanno poi aderito all’iniziativa “Viva Vittoria,” per cui si ritrovano per lavorare ai ferri o all’uncinetto dei quadrotti che poi raccolgono e cuciono assieme per realizzare delle coperte colorate. Oltre ad essere una bellissima occasione di aggregazione, quella di ritrovarsi e sferruzzare insieme a maglia, il ricavato viene devoluto ad un’associazione che si occupa di donne maltrattate. Organizzano poi dei momenti di fitwalking, in cui camminano assieme per tenersi in forma e conoscere meglio il quartiere. Hanno anche aderito a diverse edizioni di “Puliamo il mondo”, giornate che solitamente riscuotono un grande successo, e organizzato dei workshop ai giardinetti di Via Verro con un’associazione che si occupa di aggiustare biciclette. Hanno anche creato un gruppo di lettura che però, non avendo una sede fissa e non essendoci una libreria, si ritrova a casa.
Francesca si ricorda ancora delle prime volte che è venuta nel Vigentino: lei abitava in un quartiere centrale di Milano e veniva qui a trovare una sua compagna del liceo che abitava in zona. Allora le sembrava di venire nel nulla, mentre quando poi si è trasferita qui ha apprezzato moltissimo le grandi aree verdi, dal parco del Ticinello al cammino nel verde per Chiaravalle. Quando aveva i bambini piccoli che portava a spasso in carrozzina, munita di stradario si prefiggeva ogni giorno di scoprire un nuovo pezzo di quartiere e così pian piano ha imparato a conoscerlo. E’ inoltre un quartiere con una sua storia, di cui chi è nato e cresciuto qui è molto orgoglioso. Si è anche molto espanso – trent’anni fa molte case non c’erano – e Francesca vorrebbe capire quanto sarà gentrificato in futuro con l’arrivo delle grandi aziende della moda ed i progetti per le olimpiadi. Un aspetto critico secondo Francesca è che si è continuato a costruire nel quartiere pur senza ampliare i servizi: non c’è una metropolitana ma solo il tram ventiquattro e mancano luoghi di cultura. “Siamo però pieni di supermercati … per cui di fame non moriremo, semmai moriremo di cultura” scherza Francesca. La chiusura di molti negozi che non hanno riaperto dopo il Covid pone anche dei problemi di sicurezza in un quartiere in cui non ci sono luci accese la sera. Vorrebbe quindi veder nascere centri di aggregazione, come delle biblioteche o semplicemente degli spazi dove poter bere un caffè e sferruzzare con altre persone. In alcune zone di Milano esistono delle Case delle Associazioni … qui hanno solo un CAM che però pone problemi di agibilità per cui hanno dovuto interrompere il cineforum estivo.
Per Francesca una comunità dovrebbe essere aperta a tutti e laica. Una comunità per tutti quindi: trasversale per ceto ed età, dove i bambini possano interagire con gli anziani, dove non ci siano conflitti generazionali per cui ci si lamenta che “i giovani fanno casino”, dove ci si sente a casa e dove poter fare attività assieme ad altre persone.
L’auspicio per il futuro è di continuare con questo entusiasmo, che si riesca a collaborare con altre realtà anche trovando una sede condivisa perché la mancanza di luoghi fisici rappresenta un freno per le attività.
Storia Youssef è un ragazzo nato in Egitto nella città di Sharkia. La sua famiglia è composta dalla madre, dal padre che ha problemi di salute e non lavora, 2 fratelli maggiori: Mustafà 23 anni che studia e fa il fotografo e Abdelsalam 21 anni fa l’imbianchino. Il ragazzo racconta che da piccolo ha vissuto a El Giza per un certo periodo di tempo, città in cui vivono anche i suoi parenti, poi si è spostato con la famiglia a Sharkia quando aveva 13 anni. Youssef ha frequentato la scuola dai 6 ai 12 anni, poi ha continuato con un corso di scuola superiore fino ai 16 anni, dopodiché ha avuto inizio il suo lungo viaggio prima di arrivare in Italia. Il ragazzo, con il consenso dei genitori, ha lasciato l’Egitto insieme ad altri 2 amici per arrivare in Russia dove è stato pochi giorni per poi raggiungere la Bielorussia dove è rimasto per più di 5 mesi, è stato in Germania per quasi un mese. Durante questi spostamenti non sono mancati momenti di preoccupazione in cui il ragazzo, insieme ad altri giovani, hanno dovuto passare i vari controlli delle forze di polizia e muoversi nelle fredde pianure e attraversare boschi innevati. Il 15 aprile 2023 Youssef ha raggiunto l’Italia, è arrivato a Venezia e poi raggiungere Milano dove ha soggiornato 15 giorni ed è stato condotto a Pavia in un centro di accoglienza, successivamente è stato accolto presso la struttura per minori stranieri non accompagnati “Il Galletto” di Felizzano Al. Il ragazzo dice di trovarsi bene in Italia, gli piace questo paese, si è ben inserito all’ interno della struttura collaborando e andando d’accordo sia con gli altri ragazzi sia con gli operatori. In Egitto Youssef ha avuto qualche esperienza lavorativa: è stato barbiere/parrucchiere per un breve periodo ed è stato imbianchino e decoratore per diversi mesi, il ragazzo è interessato a questo tipo di attività tanto che presso la struttura che lo sta ospitando ha tinteggiato e messo in pratica tecniche decorative da lui apprese riuscendo a creare lavori ben eseguiti e di notevole impatto visivo. Il ragazzo per il futuro si augura di trovare un lavoro, avere una casa, farsi una famiglia ed essere felice.
La storia di Ignazio e Pina inizia quando loro figlia si è ammalata di un disturbo psichiatrico all’età di diciannove anni e, assieme ad altri familiari, hanno intrapreso un percorso al fine di capire la malattia e sapere come comportarsi in modo adeguato con loro figlia, oltre ad aprire un dialogo permanente con i servizi del territorio. Così è nata l’associazione, di cui entrambi sono fondatori.
“Fare assieme” è il nome dell’associazione ma è anche un principio fondamentale per loro, ovvero la necessità di creare un intreccio tra comunità competente per esperienza, quindi i familiari e le persone prossime, e comunità competente per professione, ovvero i professionisti che erogano le cure. E’ fondamentale che queste due comunità dialoghino, in quanto negli ultimi dieci anni la famiglia è stata riconosciuta come parte integrante dei processi di cura. La persona con disturbi psichiatrici vive infatti in famiglia ed è quindi necessario lavorare con essa in un percorso di consapevolezza, che richiede costanza e assiduità. La salute mentale è infatti impegnativa anche per i familiari, che talvolta fanno fatica ad accettarla e devono in primis imparare a gestire se stessi e le proprie aspettative, perché più esternalizzano la loro frustrazione e disperazione, più il malato si percepirà come perdente. E’ infatti dimostrato che minore è l’emotività negativa espressa dai familiari e maggiore sarà la possibilità di recupero del malato. In questo il mutuo aiuto tra famiglie è un altro principio cardine dell’associazione, al fine di trasformare il dolore dei familiari in energie positive e combattere l’isolamento in cui molte famiglie si chiudono in ragione dello stigma sociale legato alla malattia. In questo l’associazione si definisce un modello di welfare generativo collaborativo, in cui le persone portatrici di problemi e sofferenze diventano protagoniste del proprio percorso di recupero del benessere.
Si rifanno alla psichiatria territoriale del Basaglia, ovvero l’idea che si possa curare la malattia mentale in spazi di libertà e non di contenzione, in quanto la contenzione porta alla regressione. Ognuno di noi è portatore di energie resilienti che ci aiutano a far fronte ai problemi e che devono essere facilitate ad emergere. Il loro è quindi un luogo che permette di far emergere le risorse resilienti delle persone e dar spazio alle passioni schiacciate dalla malattia. La psichiatria inglese degli anni settanta già spingeva a creare dei luoghi di socializzazione gestiti da familiari e utenti con degli operatori che vengono di tanto in tanto, in quanto chi ha una malattia mentale necessita di avere un piede dentro il sistema ospedaliero ed uno fuori, per ritrovare equilibrio e autostima. Altro elemento fondamentale già sperimentato da anni con successo in Trentino, Toscana ed Emilia Romagna, è quello di responsabilizzare gli utenti. Nei servizi di queste regioni lavorano infatti dei familiari e degli utenti esperti che, avendo vissuto la problematica, hanno una maggiore empatia e sanno come comportarsi. Anche l’associazione nel suo piccolo cerca di responsabilizzare alcuni utenti a cui dà anche un compenso economico quando si vincono dei progetti. In generale il loro è uno spazio amicale, in cui ci si sente in famiglia, al punto che parlano di “adozione”, ovvero l’idea che ci sia un prendersi cura collettivo degli utenti in quanto alcuni non hanno nessuno.
Il servizio pubblico infatti ha visto nel tempo un restringimento significativo delle risorse, per cui gli utenti vengono seguiti fino ai trentacinque/ quarant’anni e poi vengono abbandonati: proprio nella fascia d’età più critica in cui i loro care givers, che sono spesso i genitori, vengono meno. Nel Municipio Cinque, dove ci troviamo ad esempio, loro sono l’unica associazione che si occupa di salute mentale e si stima che ci siano circa duemila cittadini con una malattia psichiatrica cronica. C’è quindi molta ospedalizzazione e pochi servizi sul territorio: loro si occupano di seguire le persone nel tempo fuori dall’ospedale, organizzando dei momenti di convivialità, delle attività come l’arteterapia e recentemente anche un coretto. Possono offrire questi servizi grazie al lavoro dei volontari perché i progetti non assicurano la continuità delle risorse, oltre a richiedere che ci siano persone specializzate dedicate al lavoro di raccolta fondi.
Il loro auspicio è quindi quello di far sapere nel territorio che ci sono associazioni che si occupano di salute mentale e far conoscere quello che fanno, in modo da avere più volontari e poter assicurare i loro servizi gratuiti.
Elisabetta è la presidente dell’Associazione C.I.A.O. “Camminare Insieme con Amore verso Opera”, fondata da sua mamma nel 1995 assieme ad altri volontari del carcere di Opera. Sua mamma faceva infatti la volontaria all’interno del carcere e negli anni di volontariato si è resa presto conto della necessità di disporre di spazi dove i detenuti potessero recarsi durante i permessi premio, da cui l’idea di costituirsi in associazione. Dal 2000 l’associazione ha sede in una vecchia scuola concessa dalla parrocchia dei santi quattro evangelisti a loro adiacente, edificio che l’associazione è riuscita a ristrutturare ricavandone degli appartamenti. Oltre agli appartamenti nella sede principale, che accolgono mamme detenute con bambini, l’associazione dispone di altri quattro appartamenti in zona Giambellino, Porta Genova e 5Square, che ospitano mamme in condizioni di fragilità. Elisabetta spiega come il vivere in comunità sia fondamentale per il reinserimento in società di mamme ex detenute con bambini. A 5Square, un Housing Sociale in cui si sperimentano delle forme di abitare collaborativo volte alla costruzione di legami comunitari, è stato inoltre possibile inserire le mamme all’interno di un contesto di solidarietà e condivisione e l’associazione stessa si è fatta promotrice di iniziative di quartiere quali il gioco danza, laboratori di fiabe per bambini e dei momenti di convivialità come delle merende il sabato pomeriggio. Per Elisabetta una comunità si basa sull’accoglienza, che passa per il conoscersi, il condividere dei momenti assieme e l’accettarsi al di là dei percorsi passati. Comunità è anche aiuto reciproco e reciprocità, per cui anche le mamme possono essere d’aiuto portando la loro esperienza e mettendo a disposizione le loro competenze. Comunità è quindi l’immagine di un abbraccio, da intendersi anche come il sentirsi parte di qualcosa.
Elisabetta ha iniziato a lavorare per l’associazione nel 2007, occupandosi della gestione dei detenuti in permesso premio e visura alternativa che venivano accolti nelle strutture per poter trascorrere del tempo con i loro familiari. Si è poi occupata di progettazione, raccolta fondi e amministrazione e dal 2016 è presidente dell’associazione, anche se mantiene una forte operatività.
In questi anni Elisabetta ha fatto tesoro di molte storie. Molte sono le immagini di gioia delle mamme che arrivano in detenzione domiciliare e che finalmente sono libere di uscire. Molti sono anche i momenti di fatica e debolezza: momenti in cui generalmente si crea una forte solidarietà tra le mamme della comunità e ci si fa coraggio a vicenda, nonostante le diversità caratteriali e culturali. Elisabetta ricorda ancora molto nitidamente la prima mamma detenuta che lei ha seguito. Questa mamma viveva all’Icam, l’Istituto di Custodia Attenuata per Madri, una sorta di sezione distaccata di San Vittore per mamme con bambini. Aveva dodici ore di permesso e la sua bimba, che stava per compiere tre anni, non era mai uscita con la mamma. Per cui sono andate al supermercato a comprare le cicche e una pizza da mangiare in struttura: quello che per noi rappresenta la normalità, per loro rappresentava l’eccezionalità. In quel momento Elisabetta e le altre operatrici han deciso di affrontare la sfida, in primis economica, di prendere in carico le mamme con bambini. Ricorda anche di una mamma che è dovuta tornare in carcere, per cui han dovuto dire al bambino che lo avrebbero riportato in carcere perché l’appartamento di C.I.A.O. doveva essere ristrutturato. Quando è stato possibile riportare la mamma e il bambino da loro in struttura, lui ha esclamato: “Finalmente son tornato a casa”!
Elisabetta confessa che il suo lavoro non è sempre facile, eppure anche nei momenti di fatica, c’è sempre qualcosa che spinge loro operatori ad andare avanti: l’affetto e la passione per le mamme e i bambini, il senso del lavoro che stanno facendo che è quello di dare la possibilità ai bambini con mamme detenute di uscire dal carcere e vivere la normalità.
L’auspicio è di riuscire a proseguire la loro attività aumentando le proprie capacità, in quanto di case famiglia protette per mamme detenute con bambini ne esistono solo due in tutta Italia.
Tiziana è insegnante di scuola primaria da oltre quarant’anni. Di formazione scientifica, la passione per l’insegnamento l’ha spinta poi a prendere da privatista l’abilitazione magistrale, in quanto le piace il mondo dell’infanzia. Ha iniziato ad insegnare in Barona, in un contesto di famiglie che abitavano in case occupate. Poi nell’ottantatre ha iniziato a lavorare nel Vigentino: prima nella scuola di Via Antonini e poi in quella di Wolf Ferrari. Dopo qualche anno si è poi trasferita qui nel Vigentino, che definisce il suo quartiere di elezione. Qui infatti ha conosciuto così tanti bambini che sente di avere un’identità in questo posto, per il quale ha un legame emotivo e dove pensa di aver inciso, spera positivamente. Tiziana ha iniziato a lavorare molto giovane ed ha preso la laurea in Scienze Politiche con indirizzo sociologico quando già aveva avuto una figlia. Il suo lavoro continua ad appassionarla dopo tanti anni, anche se sente di dover rallentare e dedicarsi maggiormente a sé stessa: tra un po’ andrà in pensione ed ha tanti progetti.
Quello che l’appassiona del suo lavoro è l’idea di poter incidere positivamente sulla vita delle persone e di poter diventare un punto di riferimento in molte situazioni problematiche. A scuola si è occupata tre anni di lotta alla dispersione scolastica nella zona di Vaiano Valle, dove si trova un campo Rom. Ha iniziato quindi a frequentare il campo per riportare i bambini a scuola ed ha scoperto un mondo. In alcuni casi lei e le sue colleghe sono riuscite a riportare i bambini a scuola: alcuni hanno poi completato la scuola secondaria di primo grado, sono diventati cittadini italiani ed hanno trovato un lavoro. Insegnare è un lavoro di relazione sempre nuovo, in quanto gli alunni cambiano e per cui non si fanno mai le cose allo stesso modo. E’ anche un lavoro creativo: vi è infatti un margine per proporre cose nuove e metterci del proprio. In questo è un lavoro molto gratificante, anche se negli ultimi anni si è troppo burocratizzato. E’ però un lavoro che ti porti a casa, perché si prendono a cuore le storie dei bambini e, con loro, delle loro famiglie. E’ un lavoro che ti mantiene giovane, perché essere sempre in contatto con i giovani è un bel modo di tenersi al passo con i tempi.
Tiziana ha iniziato a frequentare il Vigentino dall’età di quattordici anni, quando veniva qui a giocare a basket. Il suo primo ricordo del quartiere è quindi di quando i ragazzi venivano all’uscita degli allenamenti per vedere loro ragazze nella divisa in pantaloncini corti. Allora era un quartiere popolare, con molte case popolari. I bambini crescevano all’aperto giocando nei cortili: dopo il pranzo, i ragazzi facevano i compiti nell’ora del riposino e poi scendevano a giocare, con i genitori che davano un occhio dal balcone di tanto in tanto. Negli anni in cui ha insegnato qui, Tiziana ha visto tre fasi: una prima fase di case popolari di ringhiera che avevano i bagni comuni nei ballatoi, abitate principalmente da famiglie dal Sud, con la presenza di alcune famiglie in situazioni di disagio; una seconda fase in cui è diventato un quartiere di gente semplice, che vive del proprio lavoro ; una terza fase in cui è diventata visibile la presenza di famiglie straniere di madre lingua non italiana, a cui è seguita una fase recente di bambini nati in Italia e di madrelingua italiana anche se da famiglie straniere.
Il Vigentino è un quartiere che ha tutti i servizi a portata di mano: la comodità è importante per poter dedicare il tempo libero ai propri interessi. E’ un quartiere in cui vi è un connubio tra la vivacità della città e delle iniziative culturali, che è il motivo per cui a Tiziana piace Milano, e il verde e la campagna. E’ poi un quartiere che ha una storia, abitato ancora oggi da persone che hanno dei ricordi antichi del luogo. A lei piace molto la campagna andando verso Chiaravalle e si sposta volentieri in bici. A questo proposito la Via Ripamonti è un po’ pericolosa perché stretta e molto trafficata. Le piace fare una vita di quartiere, per cui va volentieri in un bar sotto casa dove è possibile giocare a scacchi. Per le attività culturali, a parte il salotto letterario Caracci che è diventato una realtà importante nel quartiere, bisogna spostarsi in zona Barona e Corvetto, dove ci sono teatri e il Centro Internazionale di Quartiere. Anche per trovare delle biblioteche bisogna spostarsi a Corvetto oppure in Chiesa Rossa o in Viale Tibaldi. Ultimamente sta pensando di riprendere a giocare a basket nella nazionale over ciquantacinque e le piacerebbe trovare qualcuno in zona con cui fare due tiri.
Per Tiziana una comunità dovrebbe essere solidale e creativa. Un luogo dove ognuno mette in gioco le proprie competenze al servizio degli altri, in cui ha di più da di più. Un luogo anche organizzato, altrimenti il rischio è che si rimanga nell’astratto. Luogo spirituale ma anche fisico, in quanto perché le persone si incontrino e nascano dei legami è necessario ritrovarsi fisicamente.
Per il futuro l’auspicio di Tiziana è quello di poter conoscere in zona persone con interessi a lei comuni e che la comunità sappia integrare le persone nuove nel quartiere al di là della loro provenienza. Rispetto al quartiere invece, le piacerebbe ci fosse una libreria e dei luoghi di socialità e aggregazione, dove leggere, organizzare feste e incontrarsi in momenti conviviali.
Giovanni Pitrolo è presidente della cooperativa sociale “ La Casa di Miryam”: nata nel novembre del 2001 su iniziativa di un gruppo di operatori della Comunità Terapeutica "La Casa del Sole" di Reggio Calabria e di ex utenti che avevano concluso il programma di recupero, per rispondere alle esigenze di reinserimento socio-lavorativo in un contesto sociale certamente difficile per lo stato diffuso di disoccupazione. La missione de "La Casa di Miryam" è il reinserimento lavorativo degli utenti svantaggiati al fine di favorire la crescita dei rapporti sociali e lavorativi con i soggetti privati e pubblici del territorio, in modo da evitare che gli utenti stessi sperimentino una condizione di abbandono e fallimento. La Cooperativa, puntando sulle diverse professionalità e competenze acquisite nel corso degli anni, ha avviato attività di ristrutturazione, giardinaggio, manutenzione varia, vendita e assistenza di hardware e software. Dal 2010 è attiva anche la distribuzione pubblicitaria rivolta alla grande distribuzione ed altre medie e grandi imprese del territorio nazionale. Giovanni offre opportunità a chi sogna un futuro nel nostro territorio affinché ognuno si costruisca la propria strada.
Andrea si occupa di inserimento al lavoro di persone fragili ed è il responsabile della cooperativa sociale agricola Agrivis. La cooperativa esiste già da qualche anno, anche se i lavori della cascina sono stati completati meno di due anni fa, permettendo alla cooperativa di far decollare a pieno le proprie attività. Agrivis si occupa di agricoltura biologica ed ha ottenuto la certificazione BIO nel gennaio 2019. Si coltivano principalmente orticole- con oltre quaranta tipologie di verdure- ed in piccola parte frutti destinati principalmente al laboratorio di trasformazione - come fragole, lamponi e more. Nel complesso Agrivis dispone di quattro ettari di terreno di sua proprietà e mezzo ettaro di terreno in comodato d’uso, la maggior parte dei quali dedicati a coltivazione in pieno campo ed in piccola parte alla coltivazione in serre non riscaldate.
La cooperativa si trova all’interno del Parco Agricolo Sud, nel Municipio 5 di Milano. La posizione è ideale in quanto si è immersi nel verde ma il centro città dista solo una ventina di minuti. Agrivis fa parte del gruppo L’Impronta, motivo per cui tutte le sue attività hanno come missione l’inserimento al lavoro di persone fragili. Oggi l’équipe di Agrivis è coordinata da un agronomo e si compone di sei ragazzi fragili tra migranti, detenuti a fine pena e ragazzi con disabilità fisica o psichica. A questi si aggiungono al bisogno borse lavoro e tirocini per quanti vogliano imparare il mestiere nel campo o in laboratorio.
Il completamento della cascina ha permesso anche di allestire al primo piano due appartamenti in grado di accogliere dieci ragazzi in situazione di precarietà e che non potrebbero quindi accedere al mercato degli alloggi : oltre alla casa, i ragazzi ricevono assistenza nell’espletamento di pratiche burocratiche quali l’ottenimento del permesso di soggiorno e della tessera sanitaria. Ia cascina ha inoltre permesso di avviare un nuovo ramo d’impresa, con l’apertura di un laboratorio per la trasformazione dei prodotti freschi in conserve, confetture e succhi: oltre ad utilizzare i prodotti del proprio campo, che per forma e dimensioni non sono atti alla vendita, la cooperativa ha avviato un dialogo con l’ortomercato di Milano in ottica di contrasto allo spreco alimentare, in quanto si calcola che ogni giorno vengano buttate al mercato tra le nove e le dieci tonnellate di frutta e verdura.
La cooperativa dispone anche di un’aula polifunzionale dove ospitare le scuola per laboratori a tema agricolo e sostenibilità ambientale e sociale. Inoltre, il sabato la cascina è aperta a tutti quanti desiderino venire ad acquistare i prodotti freschi, offrendo anche la possibilità di raccoglierli direttamente dal campo. A breve la cooperativa aprirà anche un punto vendita all’interno dell’Housing Sociale di Via Antegnati, a pochi kilometri dalla cascina, dove L’Impronta sarà presente con un panificio pasticceria. Fondamentale per Agrivis come per tutte le attività del gruppo L’Impronta sarà il raggiungimento di una sostenibilità economica dopo una prima fase di start up. A tal proposito fondamentale è la relazione che L’Impronta ha saputo instaurare negli anni con molte aziende del territorio milanese.
La Cooperativa Sociale La Strada nasce una quarantina di anni fa per rispondere al grave problema delle tossicodipendenze di quegli anni. Inizialmente si trattava di un gruppo di giovani animati da Don Giancarlo Cereda che poi si è strutturato dando vita alla cooperativa. Nel tempo La Strada si è specializzata in alcune macroaree: quello della domiciliarità, con operatori ed educatori che si recano a domicilio da persone che necessitano di un intervento sociale ed educativo; l’area della territorialità, con servizi legati ai bisogni del territorio dove La Strada ha sede, come centri diurni e di aggregazione per i giovani, l’assistenza ai minori in situazioni di fragilità, percorsi formativi per contrastare l’abbandono scolastico, lo Sportello WeMi ed il Centro per i Servizi al Lavoro; la residenzialità, con servizi di accoglienza abitativa negli housing e con le comunità per sieropositivi; i servizi di cura a supporto di minori e adulti che presentano una sofferenza post-traumatica grazie al supporto di psicologi e psicoterapeuti.
Lia è arrivata in cooperativa nel 2005, lavorando inizialmente nel centro diurno per le comunità per sieropositivi e malati di aids di cui è diventata coordinatrice, e poi nell’area dell’accoglienza abitativa. Prima di arrivare qui, Lia aveva già fatto esperienza in comunità di mamme con bambini, comunità per persone con disagi psichici e nelle scuole, essendo lei educatrice. Quello che ha fatto sì che decidesse di restare a lavorare per La Strada è il fatto di sentire di poter fare la differenza e di poter dare effettivamente risposta alle emergenze dal punto di vista sociale. In questo, la cooperativa ha saputo cogliere l’evoluzione dei bisogni ed adattare la propria offerta di servizi. Ad esempio, anni fa il tema abitativo non rappresentava un bisogno importante, mentre oggi rappresenta una vera emergenza in città come Milano in ragione della difficoltà ad accedere ad un alloggio dignitoso e sostenibile economicamente. L’emergenza abitativa oggi non riguarda infatti solo gli anziani soli e le persone sfrattate, la prima accoglienza delle mamme che escono dalle comunità e le case rifugio per donne maltrattate, ma sempre più quanti non hanno semplicemente i mezzi per poter pagare un affitto. Anche l’area dell’orientamento al lavoro è diventata particolarmente rilevante ed ha portato la Strada ad aprire un Centro per i Servizi al Lavoro accreditato. In ogni caso, il principio che guida il lavoro della cooperativa è quello di fornire gli strumenti perché le persone possano trovare la loro strada in autonomia, con uno sguardo ed un’attenzione ai bisogni del singolo, quindi senza uniformare la risposta.
Rispetto al periodo del Covid, Lia ricorda l’impegno degli operatori nel raggiungere le persone accompagnate per accertarsi che padroneggiassero le informazioni sanitarie e nel sostenere i ragazzi e le famiglie rispetto ai nuovi bisogni emersi con la DAD, fornendo ad esempio device per il lavoro scolastico. Nel caso delle donne maltrattate poi, il periodo del Covid è stato particolarmente drammatico in ragione della coabitazione forzata e della maggiore difficoltà nei percorsi di autonomia. Con il ritorno alla ‘normalità’, la cooperativa è stata poi particolarmente attiva nel sostenere le persone a reimmettersi nel mercato del lavoro.
Rispetto al quartiere Corvetto, si tratta di un territorio ricco di associazioni e quindi vivace. Alcune di queste associazioni hanno una storia radicata nel quartiere e con queste la cooperativa ha sviluppato una relazione consolidata. L’arrivo di nuove realtà ha permesso invece di sviluppare progettualità innovative, con esperienze in cascina nelle aree verdi della Vettabbia e di Chiaravalle. In ogni caso, la tendenza crescente tra le associazioni di quartiere è quella di sviluppare collaborazioni e di lavorare in rete. Negli ultimi tempi si è vista anche una maggiore attenzione alle zone periferiche da parte del Comune, con la nascita di piste ciclabili ad esempio, anche se rimangono delle situazioni di forte disagio nei quartieri popolari.
Filippo si occupa di sicurezza e per molti anni ha lavorato nell’azienda di famiglia. Ha dovuto iniziare a lavorare quando è mancato suo papà, portando avanti allo stesso tempo gli studi. Da scienze politiche ha deciso di cambiare percorso di studi per poter disporre di strumenti giuridici e economici per lavorare in azienda ed ha concluso gli studi con un master in corporate governante. Dopo dodici anni ha poi deciso di cambiare vita, lasciando l’azienda di famiglia e iniziando a lavorare in Confcommercio.
Prima di trasferirsi qui viveva a Buccinasco, dove è presidente di una onlus che si occupa dei bisogni delle famiglie con servizi di ostetricia a domicilio, un gruppo di acquisto solidale, un Alzheimer caffè per gli anziani, e molto altro. A Buccinasco abitava in una grande casa abitata da più famiglie, per cui è abituato a condividere gli spazi e gli piace l’idea di abitare collaborativo dell’housing sociale di 5Square. Ha fatto domanda appena uscito il bando, in quanto i prezzi delle case a Milano sono abbastanza proibitivi. Con i vicini ha fatto amicizia velocemente, avendo trovato persone disponibili e cordiali. Diverse sono poi le occasioni di incontro: oltre all’iniziativa degli orti condivisi che hanno sul tetto, a cui molti condomini hanno aderito, la sua scala organizza regolarmente degli aperitivi nello spazio condiviso Living e con alcuni si ritrovano anche per delle cene a casa. Al Living si organizzano diverse attività, a cui non sempre riesce a partecipare per motivi di tempo: come il coworking, lo yoga, l’allenamento funzionale e recentemente degli incontri volti alla costituzione di una associazione di quartiere. Rispetto al Living, lo immagina come un luogo aperto anche a chi viene da fuori purché si dia priorità a chi vive a 5Square, trattandosi dell’unico spazio grande condiviso di cui dispongono i condomini per ritrovarsi. A breve il quartiere si completerà di negozi e servizi per cui inizierà ad essere vissuto anche da persone esterne.
Rispetto al Vigentino, Filippo non ha ancora avuto modo di percorrerlo a piedi, anche se gli piacerebbe farlo e conoscerlo meglio, in primis gli spazi verdi e le cascine di cui in molti gli hanno parlato. Frequenta comunque alcuni negozi, come la tintoria e il supermercato. Gli sembra comunque sia un quartiere dove si possano trovare i commerci e servizi che servono nel quotidiano anche se, da celiaco, gli piacerebbe trovare un posto che faccia prodotti per celiaci nelle vicinanze.
Per Filippo una comunità è innanzitutto condivisione, da intendersi anche come condivisione degli spazi per attività comuni, ed inclusione, sia delle diverse culture ma anche delle diverse esperienze, dalla cui condivisione possono nascere occasioni di crescita personale. Comunità è quindi un luogo per tutti: coppie, single, famiglie.
Marco è il Presidente del Comitato Vigentino per Milano, associazione nata tredici anni fa con l’obiettivo di sviluppare socialità nel quartiere, con l’organizzazione di iniziative volte a far incontrare le persone attorno a tematiche culturali e sociali.
Il Comitato organizza infatti il bookcrossing: un baratto di libri che si tiene una volta al mese presso la scuola elementare di Via Antonini. Si tratta di un’iniziativa consolidata, che in tredici anni è cresciuta diventando un appuntamento fisso per le persone del quartiere: un momento di socialità per famiglie, anziani e persone che amano leggere in generale. Ad ogni evento partecipano infatti dalle centocinquanta alle duecento persone.
Una volta al mese il Comitato organizza anche delle conferenze che si tengono al CAM Verro, unico punto di aggregazione per il quartiere oltre alle parrocchie. Nel CAM si tengono infatti diverse attività, come corsi di ginnastica dolce per anziani, bische di carte e doposcuola per ragazzi. Le conferenze posso riguardare la presentazione di libri, temi sociali come la salute pubblica, le migrazioni, le elezioni europee, oppure temi culturali come conferenze sul continente africano o sulle tradizioni popolari, essendo un membro del comitato un appassionato del tema. L’idea del Comitato è comunque quella di stimolare la partecipazione degli abitanti e una cittadinanza attiva in generale.
Marco si è trasferito nel Vigentino appena laureato, quando ha trovato il suo primo lavoro. Si è trasferito in una casa di edilizia convenzionata che quando è arrivato lui era ancora in costruzione. Tra gli abitanti è nata subito una coesione che raramente gli è capitato di vedere a Milano: il palazzo dispone infatti di una sala comune dove si tengono assemblee, feste e corsi di fotografia e ballo. Di quando si è trasferito ricorda che Via Verro era quasi in campagna e poi negli anni il quartiere si è sviluppato con la costruzione di nuovi palazzi. E’ un quartiere sicuro e tranquillo, che rimane prossimo alla campagna, anche se si è persa quella dimensione tipica di paese. A Marco piace fare delle passeggiate verso Chiesa Rossa o Chiaravalle passando per il Parco della Vettabbia, dove c’è anche una bella pista ciclabile. Nel quartiere mancano dei luoghi di socializzazione soprattutto per i giovani, che si ritrovano per lo più al bar o ai giardinetti. Gli piacerebbe che anche nel Vigentino nascesse un posto come a Chiesa Rossa, con una biblioteca o un altro spazio dove poter fare delle iniziative culturali e sociali, coinvolgendo i giovani per non abbandonarli ai giardini (il CAM è infatti molto piccolo). A tal proposito lo Spazio Living di 5Square è un posto molto interessante e l’auspicio è che si riempia di contenuti e che si sviluppi qualcosa che dia un contributo a tutto il quartiere, non solo a 5Square.
Paola è architetto ed ha lavorato per molti anni nel settore pubblicitario. E’ entrata poi in contatto con Scacco Matto nel momento in cui è stato aperto il centro diurno a San Donato. A San Donato vi è infatti un’associazione di familiari molto attiva, per cui l’associazione è partita lavorando con questo gruppo e si è poi ampliata accogliendo persone da tutta Milano. Paola è molto sensibile al settore della salute mentale in ragione della sua storia familiare, motivo per cui ha colto volentieri la sfida di aprire una sede dell’associazione nella provincia di Milano.
Jacopo invece è arrivato a Scacco Matto circa un anno fa occupandosi di lavori manuali legati alla ristrutturazione dello spazio, mentre oggi sta imparando il lavoro da copyrighter e sta lavorando in ufficio gestendo le persone e facendo promozione. “Scacco Matto non è per tutti, ma è per le persone pronte per Scacco Matto”, ci dice. Lui è arrivato qui dopo aver fatto un percorso in comunità e nel centro diurno si è subito trovato bene, in quanto ha trovato persone con cui passare la giornata, ritrovando una dimensione di normalità. La vita in comunità è stata per lui “de socializzante”, in quanto si ha a che fare con persone in terapia e con un malessere molto accentuato, per cui era difficile instaurare dei rapporti umani sani. Qui ha quindi riesercitato la sua capacità di interagire e socializzare con gli altri: “Saper instaurare dei rapporti di amicizia con le altre persone necessita infatti di tempo, dedizione e volontà. Ogni luogo ha la sua peculiarità”, ci spiega. La comunità serve a far fronte ad un momento di disturbo, il percorso ospedaliero crea un equilibrio che, una volta raggiunto, mette le persone in misura di intraprendere poi un percorso come quello con Scacco Matto, in cui si ridiventa protagonisti della propria vita, scoprendo e facendo emergere le proprie attitudini ed il proprio carattere. Chi arriva qui ha quindi superato la fase più acuta della malattia ed entra in una nuova fase di uscita dall’isolamento a cui spesso la malattia porta, e di risocializzazione.
Quando Jacopo è arrivato qui per la prima volta, gli è stato chiesto cosa gli piacesse fare. A lui piace scrivere per cui ha aiutato gli altri ragazzi a esprimere le loro esperienze e a fare teatro, scrivendo anche degli articoli. “Mentre in comunità cumulavo una piramide di piccole sconfitte, qui sto cumulando una piramide di piccole vittorie. Per le persone con un disagio mentale è importante essere riconosciute e riconoscersi in qualcosa che ha valore”. A tal proposito Paola ricorda di quando hanno partecipato ad un corteo con le associazioni di Corvetto, in cui i ragazzi e le ragazze di Scacco Matto si sono rivelati una risorsa utile: “Il passaggio da chi necessita di essere accudito a chi può invece essere un aiuto importante è stata una presa di coscienza importante anche per loro”. Tra le altre soddisfazioni vi è anche la vincita, lo scorso anno, di un concorso sul racconto di episodi autobiografici: Jacopo ha infatti una grande propensione all’ascolto per cui persone anche reticenti si sono aperte con lui raccontando la propria vita. “Raccontarsi ha rappresentato un momento importante di presa di consapevolezza rispetto al proprio passato”. Jacopo cita un paio di esempi di persone con mutismo selettivo e agorafobia che qui hanno ritrovato la loro dimensione.
Recentemente Scacco matto ha aperto un centro diurno anche in zona Corvetto, dove, grazie alla partecipazione ai patti di sussidiarietà, ha instaurato collaborazioni con altre associazioni che si occupano di fragilità. Attualmente loro si autofinanziano con le rette di iscrizione, per cui l’auspicio è quello di poter ricevere aiuti in modo da poter fornire il servizio gratuitamente.
Liliana è cresciuta in Via Macconago e ricorda di quando andava e veniva da scuola in Via Noto a piedi, tornando a casa nel pomeriggio con una fame tremenda. Ha cominciato la scuola a otto anni, perché prima c’era la guerra. Liliana aveva tre anni quando è cominciata la guerra e di quegli anni si ricorda ancora di quando c’erano i tedeschi nelle campagne. Era infatti una zona limitrofa alla campagna: suo papà faceva il mungitore e la sua famiglia lavorava i campi di grano. Dopo la quinta elementare Liliana è andata a lavorare. Ha però sempre continuato a leggere e si è fatta una cultura da sola, perché è una persona di natura curiosa e le piace imparare cose nuove. A sedici anni ha conosciuto suo marito e a ventidue anni si è sposata. Suo marito abitava nelle case popolari di Via Ghini, in un monolocale con otto persone. Da sposata si è poi trasferita a Gratosoglio per poi tornare in Vigentino, dove ha vissuto fino ad oggi.
Liliana ha lavorato per un importante importatore di vini e liquori dall’estero, per cui spedivano Cognac, Whisky e Champagne provenienti da Francia e Inghilterra in tutta Italia. Ha anche viaggiato molto per passione: le piace infatti visitare posti nuovi, vedere come vivono le persone, perché ogni paese ha le sue caratteristiche. Ha fatto quindi ben trentacinque crociere in giro per il mondo: dalla Tunisia – la sua prima vacanza all’estero, al Brasile, al Sud Africa e ai Caraibi. Ha fatto poi la commessa in un panificio del quartiere, motivo per cui ha conosciuto moltissime persone che ancora oggi la salutano se la incontrano per strada.
Di quando era giovane ricorda che c’era una fiera dove loro ragazzi andavano a divertirsi. Ricorda anche di quando sono arrivati in quartiere i primi tram … una vera rivoluzione! La vita in quartiere è cambiata: prima ci si conosceva e tra vicini ci si aiutava. Questa dimensione di paese le manca e pensa che si vada sempre più perdendo con le nuove generazioni. Ricorda anche di quando in quartiere c’era un cinema … poi ha chiuso, probabilmente perché da quando si è diffusa la TV i film si vedono anche a casa. Del quartiere le piace il verde, per cui nel tempo libero esce a fare delle passeggiate. Il suo posto di ritrovo preferito ora è l’oratorio, dove nel pomeriggio viene a giocare a carte per passare la giornata in compagnia. Prima seguiva anche un corso di ginnastica in oratorio che ora purtroppo non organizzano più. Viene però in occasione dei pranzi che alle volte organizzano … essendo rimasta sola, preferisce venire qui e stare in compagnia, per non restare tutto il giorno davanti alla tv. Si dispiace delle tante persone sole che passano le giornate in casa e vorrebbe che si facesse di più per raggiungere queste persone e farle uscire. Rispetto all’idea di comunità, rimpiange le comunità di una volta, in cui si era più uniti. Ora le sembra che le persone non si ritrovino più come una volta, a parte forse le persone di una certa età.
Djurdja, o Giorgia, è psicologa e lavora da tre anni per la cooperativa Officina Lavoro. Quando è arrivata qui erano in otto: ora sono più che raddoppiati e la cooperativa si è allargata moltissimo. Inizialmente lavorava come operatrice sociale e si occupava di progetti per i giovani e varie fragilità psico-sociali ed economiche. Prendeva quindi in carico dei giovani con varie fragilità che poi accompagnavano con dei percorsi a misura di persona della durata di uno o due anni. Questi percorsi prevedevano un sostegno psicologico, formativo e di orientamento al lavoro. Ora Giorgia è responsabile della sede di Milano e, in quanto cooperativa, ciascun socio può proporre ed avviare delle nuove progettualità: in questo vi è un forte spirito imprenditoriale che viene molto apprezzato dai soci che sono per lo più giovani under trentacinque.
Nel loro lavoro si rivolgono al Municipio cinque e non solo: fanno infatti parte di diversi tavoli territoriali, tra cui il tavolo lavoro, e di diverse reti, come la rete di QuBì Gratosoglio, che si occupa di povertà minorile. Sono quindi uno spazio aperto a tutta la cittadinanza: vocazione che si è rafforzata con l’apertura dello sportello WeMi, anche se il loro target primario rimane quello dei giovani adolescenti e adulti con diverse fragilità. Un esempio sono i laboratori per i giovani sulla motivazione, l’autostima e la gestione delle emozioni oppure il progetto “Officina dell’io” per minori con messa alla prova dell’area penale e che loro accompagnano in percorsi di volontariato e riabilitazione. Hanno poi sei sportelli di orientamento situati in diversi comuni, in cui si occupano di accompagnamento e inserimento lavorativo, e dispongono di un appartamento dove possono ospitare temporaneamente persone in grande difficoltà.
Dal gennaio 2022 hanno aperto una Spazio WeMi nella loro sede di Via Giovanola nel Municipio Cinque, uno spazio in cui confluiscono tutte le persone che han bisogno di orientamento rispetto ai servizi del territorio oppure supporto per delle pratiche online. All’interno di questa proposta hanno lanciato un corso di cittadinanza digitale per over sessanta che è stato molto apprezzato ed ha permesso alla cooperativa di capire meglio le esigenze di questa fascia d’età ed aprire a delle nuove proposte ad hoc. Altri esempi riguardano il supporto per l’espletamento di diverse pratiche del comune, come il sostegno al reddito, il voucher zero diciotto, la richiesta di case popolari o la misura B2. Fanno anche orientamento rispetto alle associazioni ed alle attività commerciali del quartiere e ricevono molte richieste rispetto alla necessità di trovare colf e badanti, richieste che trattano riorientando al WeMi specializzato. Trattandosi di uno spazio aperto a tutta la cittadinanza, seguono quindi gli utenti nelle loro diverse esigenze: da un accompagnamento per la richiesta di soggiorno, all’iscrizione all’università, alla richiesta di dote scuola e dote sport, all’assistenza nelle traduzioni per i cittadini stranieri.
Rispetto al quartiere, Giorgia apprezza che le associazioni abbiano una forte predisposizione a fare rete e lavorare assieme, così come la presenza di spazi molto vissuti dalla cittadinanza come la Biblioteca a Chiesa Rossa e lo spazio antistante. Apprezza anche la voglia di fare dei cittadini che si fanno portatori di proposte, per cui le associazioni non sono chiamate solo a fornire assistenza ma anche a mettere a disposizione le proprie risorse per delle iniziative. L’auspicio per il futuro è che i cittadini e le associazioni del quartiere riescano a portare avanti le istanze dei giovani di cui oggi c’è grande necessità.
Pietro è originario di Matera. E’ venuto a Milano nell’ottantacinque ed ha iniziato a lavorare nel quartiere Vigentino da quando aveva venticinque anni. Una decina d’anni fa ha deciso di comprare casa qui: il quartiere è tranquillo, abitato da persone oneste.
Da qualche anno è diventato imprenditore del Bar per cui lavorava da dipendente e, con l’abolizione delle licenze dei bar prima e con il Covid poi, si è sentito poco tutelato. Durante il Covid hanno infatti ricevuto pochissimo sostegno: seicento euro al mese nonostante avessero dei dipendenti con famiglia a cui han deciso di continuare comunque a pagare lo stipendio. Ha quindi sentito sulle proprie spalle il peso della responsabilità, al punto da non riuscire a dormire la notte. Pensa quindi di abbandonare l’imprenditoria prima di arrivare alla pensione. I politici dovrebbero girare maggiormente il quartiere, per capire le difficoltà delle persone, e passare meno tempo alla scrivania. Le attività come la sua vanno infatti tutelate in quanto sono un presidio di legalità: il fatto di camminare la sera e vedere le luci accese dei locali nelle strade è una sicurezza per tutti gli abitanti del quartiere. Prima si vedevano dei poliziotti che giravano e passavano anche da lui a prendersi un caffè, mentre da qualche anno di poliziotti in giro non se ne vedono più.
Dispiace vedere che molti negozi di quartiere han chiuso in ragione della concorrenza delle grandi catene e dell’aumento degli affitti dei locali. Negli anni ottanta era diverso, si trovava facilmente lavoro. Oggi invece si convive con la precarietà, che però non permette di fare progetti o di metter su famiglia. Pietro lamenta anche una sempre minore partecipazione: qualche volta è andato a delle manifestazioni ma ha visto poche persone, diversamente da quando era giovane lui. “D’altronde anche io cosa faccio per migliorare le cose?”- si chiede. “Sono sempre stanco, sempre al lavoro”… Il suo lavoro comunque gli piace perché sta a contatto con le persone. Ogni tanto si trova però a dover gestire situazioni difficili, con persone che si ubriacano, anche se la maggior parte dei clienti sono persone cordiali per cui si trova bene.
Del quartiere Pietro apprezza il verde ed i negozi di quartiere che ancora resistono. E’ un quartiere che forse non offre molte attrattive ma è vicino al centro ed è un quartiere tranquillo. Il quartiere sta comunque cambiando, con i progetti per le olimpiadi di Milano Cortina e l’arrivo di aziende della moda come Prada e Moncler, e presto un grattacielo della A2A. Ci vorrebbe però una metropolitana, in quanto hanno solo una linea di tram. Mancano poi dei luoghi di aggregazione in quanto anche i bar la sera chiudono, per cui bisogna spostarsi verso il centro. Se pensa ad una comunità, dovrebbe essere basata sulla democrazia, sul rispetto, il confronto, il dialogo. L’auspicio per il futuro è che si continui a poter vivere bene: lui ha dei figli ed ha un po’ di pensieri... “cosa gli lasciamo”? Un lavoro precario, i debiti … bisogna quindi investire sui giovani ed offrire maggiori sicurezze, altrimenti molti ragazzi continueranno ad andare via.
Mattia è preparatore atletico professionista per il calcio e da quest’anno insegnante di educazione fisica alle superiori. Nel ‘tempo libero’ fa il personal trainer e nella palestra condivisa di 5Square si è proposto di tenere un corso gratuito di allenamento funzionale a corpo libero rivolto agli abitanti del quartiere: un’occasione per stare insieme e tenersi in forma.
Nato e cresciuto a Lodi, si ritiene fortunato ad aver trovato casa qui: il quartiere gli è infatti piaciuto subito, non solo per l’architettura ma anche per l’atmosfera che si sta creando tra gli inquilini. Ha infatti trovato delle persone aperte, con spirito di gruppo e iniziativa: questo lo ha invogliato a mettersi in gioco e proporre lui stesso delle attività. Il fatto di sapere di tornare a casa la sera e trovare delle persone piacevoli e poter contare su di una rete di amicizie per Mattia è un valore aggiunto.
Diverse sono le attività comuni a cui Mattia ha partecipato: oltre allo yoga e ai momenti conviviali, hanno organizzato momenti di pulizia del quartiere e attività di cucina. Rispetto allo spazio condiviso Living, è molto ben arredato e vi sono molte belle attività, per cui dovrebbe rimanere un posto principalmente ad utilizzo degli abitanti. Rispetto alle attività che vi vorrebbe veder nascere vi sono, oltre ai corsi di cucina, dei laboratori di chitarra e di lettura.
Per Mattia una comunità dovrebbe essere innanzitutto solidale: una solidarietà delle piccole cose, che va dal prestarsi il sale all’offrirsi per accudire il gatto o le piante. Il suo contributo alla comunità è quello di mettere a disposizione le sue conoscenze in materia di preparazione atletica e la sua simpatia.
Il Vigentino Mattia lo ha conosciuto durante il lockdown: ne apprezza il verde e le campagne che ha imparato a conoscere, gli orti condivisi, i negozietti in Val di Sole dove poter fare dei buoni aperitivi e i locali in zona Prada.
Il suo auspicio per il quartiere è quello che sia meglio collegato al centro città, magari con una metro, e che nasca una casa dell’acqua. Per la comunità invece il desiderio è che rimanga lo spirito di adesso e che con il tempo gli abitanti non si chiudano in se stessi.
Francesca è architetto, ha due figli, dedica molto tempo al lavoro ma è da sempre anche molto attiva nel suo quartiere: ha infatti fatto parte del comitato genitori ed è stata tra le fondatrici della compagnia dei geniattori. Quando alle medie suo figlio ha avuto un forte disagio sociale, ha scoperto l’associazione Hikikomori Italia Genitori e capito l’importanza di avere un’associazione di riferimento in una situazione del genere.
Il termine Hikikomori viene dal Giappone e significa restare in disparte. Le cause possono essere molte: dal bullismo, alla paura a rapportarsi con un gruppo, allo stato d’ansia derivante dall’ipersensibilità di fronte alle notizie della guerra, alla perdita di una persona cara o al trauma di una separazione dei genitori. Cause differenti ma che portano tutte all’isolamento, all’innalzamento di uno scudo di protezione da un dolore fortissimo. Marco Crepaldi è stato il primo ad approfondire questo argomento in Italia dandogli un nome, in quanto prima era classificato come depressione, ansia sociale o fobia scolastica.
L’associazione è esclusivamente su base volontaria ed è costituita da psicologi che affiancano le famiglie e i ragazzi e da molti genitori che hanno vissuto questa esperienza di isolamento con i figli, si sono avvicinati all’associazione e hanno poi deciso di fare sensibilizzazione. L’associazione non vuole essere un’alternativa all’approccio clinico, perché l’isolamento può portare a delle patologie per cui diventa necessaria una terapia farmacologica, ma si pone come un supporto alle famiglie, che diventa fondamentale in quanto rappresentano il primo anello attorno al ragazzo. Il primo lavoro da fare è quindi di consapevolezza con la famiglia perché cambi atteggiamento e riduca le aspettative. La prima reazione è infatti spesso quella di forzare: a venire a tavola, ad andare a scuola … perché non si capiscono i motivi per cui il ragazzo smette di fare quello che faceva prima. Se la famiglia riesce a creare la condizione ideale, di accettazione che il ragazzo in questo momento non può e non è obbligato a far niente, si crea il presupposto perché il ragazzo si apra e pian piano ritorni alla vita sociale. Nei ragazzi in età adolescenziale è forte il desiderio di fare felici mamma e papà, per cui se si vede nei genitori l’aspettativa rispetto a quello che loro dovrebbero essere in quel momento, il senso di colpa sarà devastante per non riuscire a farli contenti. Se invece i genitori si limitano a dire che ci sono e vogliono bene ai figli a prescindere da quello che riescono o non riescono a fare in quel momento, alleggerendo le aspettative, questo significa aiutarli ad alzarsi da soli. E’ quindi importante alleggerire il clima in casa, mostrarsi sereni, perché vedere il dolore e la delusione nei genitori, il loro mostrarsi affranti, aumenta i sensi di colpa dei ragazzi. Viviamo in una società molto prestazionale e individualista, in cui ognuno deve mostrare di essere intelligente, bravo, bello e i ragazzi più fragili non riescono ad avere questa prestanza. Forse quando eravamo giovani noi c’erano ragazzi meno bravi a cui non piaceva andare a scuola ma non era un problema, si poteva imparare un mestiere ed andare a lavorare. Non c’erano neanche i social, per cui i ragazzi di ora vedono cosa fanno gli altri anche quando loro sono chiusi in casa e quindi soffrono ancora di più a non uscire. D’altro canto però, i social sono anche uno strumento che permette ai ragazzi in isolamento di mantenere una socialità e interagire con i coetanei anche in questi periodi di chiusura.
Si stima che in Italia ci siano centomila ragazzi in isolamento sociale volontario. Chiediamo se ci sono dei primi segnali che i genitori devono stare attenti a cogliere. Francesca ci spiega che i primi segnali possono essere un cambiamento delle abitudini per cui i ragazzi vanno a letto più tardi, trovano delle scuse per non andare alle attività sportive o alle feste, oppure anche un disagio fisico, in quanto i ragazzi possono somatizzare con mal di pancia, emicranie, vomito, dermatiti, per cui è importante saper cogliere questi messaggi e chiedere aiuto. L’associazione può essere contattata via email a info@hikikomoriitalia.it oppure chiedendo di essere inseriti nel gruppo chiuso di Facebook.
L’auspicio è che tutti conoscano questo disagio, che sappiano che è reversibile e che prima ce ne si accorge e meno si cronicizza il desiderio di isolamento. L’auspicio è anche che nessuno si senta solo e che la scuola sappia intervenire tempestivamente con le famiglie per supportare i ragazzi. A lei personalmente vivere questa esperienza ha fatto scoprire un rapporto bellissimo con i propri figli perché si impara a guardare oltre, al bene che vogliamo ai figli e a chi sono come persone. Grazie a suo figlio ha capito anche quante pressioni riceviamo dall’esterno e che potremmo gestire in modo diverso, vivendo meglio.
Maurizio è sociologo dell’infanzia e dell’adolescenza e lavora per la società cooperativa Spazio Pensiero dal 2015. Spazio Pensiero è stata fondata nel 2006 occupandosi principalmente della gestione di asili nido e scuole materne e poi ampliando anche con uno spazio clinico, uno spazio formazione ed uno spazio biblioteca. Nel 2015 è stato avviato un nuovo percorso con la collaborazione del Comune di Milano, per promuovere la partecipazione dei bambini e dei ragazzi. Maurizio è il referente di questa progettualità che ha coinvolto ottanta scuole tra primarie e secondarie di primo grado di tutti i Municipi di Milano. A questa iniziativa ne è poi seguita una seconda dal nome “Idee bambine e pensieri bambini”, sostenuta da Fondazione Cariplo all’interno del programma La Città Intorno, di cui il Comune è partner istituzionale.
L’idea soggiacente a tutte queste iniziative è quella di promuovere la partecipazione sociale dei bambini, considerati a tutti gli effetti dei cittadini con dei diritti e dei doveri. Particolarmente significativa è stata l’esperienza all’interno della scuola Fabio Filzi, dove è stato chiesto ai bambini di intervenire nel parco adiacente alla loro scuola e di immaginare una riqualificazione di questo spazio sia fisica, con il rifacimento del campo da basket e da calcio, che sociale, attraverso una nuova concezione dello spazio pubblico. Questa esperienza dimostra non soltanto la capacità dei bambini di immaginare, ma anche la concretezza delle proposte emerse. Dal percorso avviato con i bambini del Fabio Filzi è infatti nata l’idea di poter rafforzare l’unione dei tre plessi facenti parte dell’istituto e situati in due quartieri differenti tramite la scrittura di un libro in comune, di una storia condivisa, ma anche con un corridoio che potesse unire le comunità scolastiche attraverso il Parco della Vettabbia.
Nel 2019 è stata quindi avviata una progettualità che ha portato alla firma di un patto di collaborazione del sentiero della biodiversità nel maggio del 2023. Progettualità nata per l’appunto dall’idea di un sentiero che potesse unire i tre plessi scolastici attraversando il Parco. Questa progettualità ha creato delle sinergie con associazioni dei Municipi 4 e 5 come Labsus e Italia Nostra e con il Politecnico di Milano, che si occupa di creare delle oasi di biodiversità in diverse parti della città. Sono quindi state create due oasi in due sedi della scuola ed è stato studiato un percorso che unisse i due quartieri. Attorno a questa iniziativa si sono poi aggregate altre associazioni del territorio che si occupano di educazione, biodiversità, promozione della cultura, salute mentale … una varietà di attori che si è unita per dar vita ad un progetto in grado di accrescere la conoscenza del territorio ed arricchirlo di nuove iniziative.
Spazio Pensiero promuove la conoscenza del territorio partendo dai luoghi familiari ai bambini, quelli circostanti la scuola e l’abitazione, i luoghi commerciali, i giardini. In un quartiere come il Vigentino, che può vantare di molte aree verdi, vi è infatti la necessità di rendere questi spazi pienamente fruibili e nelle progettazioni con i bambini è emerso molto chiaramente il desiderio di scoprire i luoghi di prossimità. L’autonomia di scoperta dei bambini è infatti sempre più ristretta, come la loro autonomia di movimento nel quartiere. Si stima che in Italia solo il 7% dei bambini percorra in autonomia il percorso da casa a scuola, contro il 70% della Germania. L’auspicio è quindi che il progetto avviato al Parco della Vettabbia si allarghi anche ad altre zone del quartiere, come anche 5Square dove ci troviamo, in modo da far conoscere questo luogo e farne fruire non solo chi vive qui, perché diventi uno spazio aperto.
Silvia è biologa e lavora attualmente in ambito farmaceutico. Si è trasferita da Roma a Milano dopo il dottorato con il sogno di lavorare nella ricerca scientifica. E’ poi entrata in azienda e del suo lavoro le piace l’idea di contribuire a migliorare la salute dell’uomo.
Nel tempo libero si dedica al volontariato per un’associazione che si occupa di mamme in difficoltà, oltre che ai suoi interessi: i viaggi, la fotografia e la cucina. Il volontariato le ha permesso di entrare in contatto con molte storie, alcune delle quali tristi, ma anche con i sorrisi di molti bambini. Da questa esperienza ha anche imparato l’importanza di dare una seconda possibilità alle persone. Le persone sono poi al centro dei suoi interessi, in quanto le piace fotografarle cogliendole in momenti di spontaneità, così come le piace la cucina in quanto strumento di condivisione e aggregazione.
Silvia si è trasferita qui un anno fa, dopo aver vissuto dodici anni in affitto. Le piaceva l’idea del cohousing, per cui ha subito fatto domanda. Il quartiere le ha fatto fin dall’inizio una buona impressione, ne ha infatti apprezzato il verde e la quiete. Lei è stata una delle prime persone ad arrivare, per cui ha visto il quartiere popolarsi e pian piano sono arrivati i vicini. Il Vigentino ha iniziato a conoscerlo e frequentarlo per necessità, non avendo all’inizio la cucina in casa. Del quartiere apprezza i negozietti in zona Fatima, anche se vorrebbe ci fosse una libreria e un piccolo supermercato di prossimità. Rispetto a 5 Square invece, c’è molta attesa rispetto all’apertura del bar.
Rispetto alle attività organizzate nello spazio condiviso Living, Silvia ha partecipato a diverse attività: dai corsi di yoga e allenamento funzionale, alle iniziative di pulizia del quartiere, allo swappami e agli aperitivi. Essendoci la cucina, vorrebbero si organizzassero più momenti conviviali oppure semplicemente ritrovarsi per un caffè. Vorrebbe poi condividere i suoi interessi con i propri vicini, con delle iniziative di bookcrossing, delle serata di musica jazz e classica, delle serate cinema, delle uscite per fotografare la natura o semplicemente dei momenti dove scambiarsi consigli sulle piante.
Per Silvia una comunità dovrebbe essere aperta, inclusiva di ogni età, genere e cultura, basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco e soprattutto in grado di fornire una rete di sostegno e supporto reciproco. Comunità implica poi la capacità di gestire il conflitto. Per questo è importante l’ascolto e la predisposizione a conoscersi, ognuno con la propria storia, senza pregiudizio. Il suo contributo per la comunità potrebbe essere quello di rendersi disponibile per delle commissioni, come andare in farmacia, dar da mangiare ai gatti … la sua porta di casa è sempre aperta. L’auspicio è che l’entusiasmo iniziale rimanga nel tempo, che si creino dei legami più stretti tra abitanti e che si crei una comunità vera e partecipata che non si riduca ad un numero ristretto di persone.
Giuseppe, originario di Bitonto, vicino a Bari, arriva a Milano tanti anni fa. Un giorno, dopo essere entrato in pensione, è vittima di un furto nella sua abitazione dove perde beni e ricordi dal grande valore affettivo. Cerca giustizia – racconta – una qualche forme di attenzione e rispetto per il danno ricevuto. Quello che ottiene però è scetticismo, << è normale che si venga derubati>> gli viene risposto, ma lui non lo accetta <<possibile che bisogna accettare queste condizioni senza poter fare niente?>>. È a partire da questo evento che decide di fondare un comitato di cittadini insieme ad alcuni amici.
Il “Comitato Sicurezza e Vivibilità Quartiere Forlanini” nasce come forma di impegno sociale e di attenzione verso quanto accade nel quartiere <<Essere volontario nel quartiere per la sicurezza personale, patrimoniale e per la vivibilità del territorio, intervenendo su effetti che deturpano le aree circostanti, come gli atti di delinquenza>>.
Il Comitato diventa Associazione nel 2019 e vede crescere notevolmente il numero degli aderenti, tutti volontari. Tramite l’ALER aprono una sede in comitato d’uso in Via Zante 30. Oggi sono una realtà di riferimento per anziani, adulti e ragazzi per quanto riguarda la sicurezza e la vivibilità del territorio: <<Noi non risolviamo automaticamente i problemi, ma ci poniamo come interpreti nei confronti delle istituzioni e delle forze dell’ordine>>.
Giuseppe abita nel vicino quartiere Monluè, primo esperimento dell’ALER di case a riscatto: qui vennero edificati grandi assembramenti abitativi adibiti per inquilini con una buona stabilità economica. Questo stimolò l’arrivo, a Monluè e a Forlanini, di una folta popolazione medio-borghese. L’identità del quartiere affonda le radici, secondo Giuseppe, in queste caratteristiche demografiche.
<< Non siamo un quartiere malfamato. Il motto è “fermiamo il degrado” impegnandoci verso i problemi>>.
Tra i temi più urgenti c’è quello della riqualificazione del quartiere: molte realtà risentono del passare degli anni, afferma Giuseppe. Il parco giochi di Piazza Ovidio è un esempio dell’impegno civile che, insieme a Fondazione Milano, ha portato al rinnovamento dello spazio e ad un suo ripensamento per i cittadini diversamente abili. Anche Piazza Artigianato ha attraversato una fase di trasformazione: in un passato lontano si configurava come un piccolo luogo di aggregazione, traboccante di servizi e commerci immersi in un’atmosfera da piccolo paese. È stata poi abbandonata, trascurata e usata come parcheggio per molti anni. Dopo svariate segnalazioni e pressioni il comune ha dato il via alla sua riqualificazione. L’obiettivo che ancora si cerca di perseguire è la sua evoluzione da piazza del commercio a piazza del benessere. L’auspicio è che vengano valorizzate le sue aree verdi e i cittadini partecipino sinergicamente alla sua cura <<Se i cittadini partecipano e sono coinvolti nel mantenimento della bellezza, essi stessi diventano più responsabili>>.
L’associazione si impegna anche nella promozione di attività culturali volte alla sensibilizzazione e alla riscoperta dei luoghi storici a rischio di abbandono.
Il tema della sicurezza è tra le fragilità da sempre più a cuore del Comitato: per questo motivo hanno privatamente attivato alcuni gruppi di controllo del vicinato (attualmente sono 4). In diversi raggruppamenti condominiali questi gruppi raccolgono persone che si occupano di monitorare, condividere e attivare eventuali allerte. C’è sì l’attenzione alle anomalie ma, racconta Giuseppe, anche una tendenza, una crescente propensione alla socializzazione.
Nel contesto della sanità, la forte mancanza di medici di base ha spinto l’Associazione ha richiedere formalmente l’apertura di una Casa di comunità nel complesso scolastico abbandonato di via Zama, affinché i cittadini ricevano un adeguato supporto di prossimità. È questa una questione calda, che accende gli animi degli abitanti e del comitato stesso: << Sì al dialogo e alle discussioni ma anche alle manifestazioni, se necessario. Per i progetti volti alla realizzazione dei cittadini siamo disposti a lottare e invitiamo gli abitanti stessi a manifestare perché il sistema sanitario del nostro quartiere è molto deficitario e la casa di comunità rappresenta una possibile risorsa>>.
Per il futuro gli auspici di Giuseppe si delineano in maniera chiara e concreta: il “Nodo tre ponti” (al fondo di Viale Forlanini, arrivando a est dall’aeroporto per entrare in città) è un luogo geograficamente e simbolicamente significativo: le tre arcate del ponte separano nettamente il centro della città dalla periferia. Questa conformazione genera o favorisce un trattamento di semi-abbandono da parte delle istituzioni. L’associazione ha come obiettivo la riqualificazione dell’area attraverso l’aumento delle aree verdi e il miglioramento della circolazione.
L’Associazione “Comitato Sicurezza e Vivibilità Forlanini” si rivolge a tutti i membri del territorio. Raccoglie le istanze, si impegna nel dialogo con le istituzioni e persevera nella cura della comunità, ponendo attenzione alla dimensione educativa. L’auspicio di Giuseppe è che rimanga un punto di riferimento dei cittadini e venga riconosciuta maggiormente dalle istituzioni politiche. A questo proposito aggiunge << Non ci interessa l’appartenenza partitica, ma l'unità concreta e solida tra le persone>>.
Il Caffè Promenade è una presenza consolidata nel boulevard di Santa Giulia da ormai dodici anni. Quattro anni fa è passato in mano ad alcuni conoscenti di Michele che hanno poi deciso di affidargli la nuova gestione qualche mese fa. Una ripartenza fresca in un territorio giovane, un progetto che sta carburando e affinando la sua identità commerciale.
Il bar si propone principalmente come locale per le famiglie ma rimane attento e in dialogo con tutta la popolazione del quartiere. Affinché si rafforzi la visibilità e la forza commerciale, Michele ha deciso di concentrarsi sulla qualità dei servizi e dei prodotti che offre: l’accettazione dei ticket, ricchi pranzi e colazioni, centrifughe e materie prime selezionate, eventi a cadenza settimanale come occasioni di aggregazione per il quartiere: l’English club aperitivo del giovedì che sta riscuotendo un ottimo successo, le serate karaoke e di musica live con apericena il venerdì, l’animazione per i bambini della domenica.
Nel boulevard di Santa Giulia, dice Michele, mancano ancora molti servizi e un’offerta commerciale eterogenea. Un aspetto che svantaggia allo stesso modo abitanti e commercianti: <<Un ambiente così dovrebbe essere pieno di gente e di negozi>>. Palestre, spazi verdi attrezzati per lo sport, il veterinario e un'edicola sono esempi di cosa si potrebbe implementare lungo la più grande arteria commerciale del quartiere. In termini più generali, sostiene Michele, occorrerebbe valorizzare e sponsorizzare meglio il territorio, migliorare l’accessibilità al quartiere e la sua viabilità, coordinare meglio l’offerta commerciale e favorire la vicinanza tra le persone. Per i giovani in particolare mancano luoghi e opportunità, al di là dei bar e dei locali in cui bere.
Michele però è ottimista. Ritiene che con le Olimpiadi del 2026 si raggiungerà una crescita significativa di affluenza e di risorse, con un miglioramento complessivo del quartiere.
Non rivela quali progetti ha in mente per il locale ma per sé stesso, ammette, desidera ritagliarsi maggiore spazio e tempo per riposarsi e coltivare meglio le sue passioni che, oltre al chiringuito, comprendono le macchine, le moto e il ciclismo.
Opoku è un ragazzo ghanese di 19 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 9 anni fa; è stato affidato ad una Casa Accoglienza per minori dove è rimasto fino al compimento dei 18 anni. Ha avuto l’opportunità di studiare e formarsi, concludendo la licenza media. Attualmente vive da solo ed in autonomia e aspetta di iscriversi alle scuole superiori.
Negli ultimi anni si è dato da fare: ha lavorato in una pizzeria per un po' di tempo come aiuto pizzaiolo ed attualmente invece lavora in una piadineria dove il clima e sereno e si trova molto bene ed ha costruito molte relazioni nonostante il suo essere timido.
Opoku ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi ha molti sogni e passioni. Dopo aver concluso tutti gli studi sogna di lavorare in un ristorante come cuoco perchè la cucina è la sua prima passione.
Don Marco festeggia quest’anno 30 anni di vita sacerdotale, spesi soprattutto nelle periferie della città. Bicocca, Vigentino e Rogoredo dal 2009. Del quartiere lo colpisce subito la propensione a fare rete, la vitalità associativa e la capacità solidale espresse tra le persone. Storicamente questa comunità si è sempre distinta per il cooperativismo, il monitoraggio del disagio sociale e fenomeni di migrazione complessa. Anche oggi queste caratteristiche rimangono. Tessere Legami è un esempio di lavoro di rete appassionato, nella gestione e nella promozione delle iniziative.
La Parrocchia della Sacra Famiglia mette radici in un tessuto sociale di forte estrazione operaia e di “reduci combattenti”, un paese nella città. Viene costruita nei primi decenni del ‘900, in seguito alla richiesta degli abitanti di un avere un luogo di culto, ed è da subito vicina alle necessità della gente. Viene infatti allestito l’oratorio per i giovani <<essere attenti alla realtà giovanile perché se c’è del positivo nella giovinezza poi rimane, come buon sapere, anche nell’età adulta>>. Negli anni 60/70 vive una fase complessa per la riorganizzazione della comunità intorno alle novità culturali.
Il grosso cambio di marcia, per il quartiere e la Parrocchia, inizia con gli sviluppi urbanistici di cui Santa Giulia (2009-2014) è stata testimonianza. L’aumento della popolazione, l’insediamento di grandi aziende, la rete di trasporti e servizi, i progetti futuri in via di sviluppo, afferma Don Marco, stanno contribuendo all’evoluzione del territorio. L’aumento demografico di giovani e famiglie è un dato positivo che invita a ripensare le offerte del territorio. Sono in crescita le opportunità lavorative per i giovani ma anche il costo della vita. Di fronte all’intenso processo di crescita e rinnovamento del territorio, la speranza di Don Marco è che l’identità storica del quartiere riesca in qualche modo a preservarsi e a integrarsi nel processo di modernizzazione in atto. Attualmente la Parrocchia della Sacra Famiglia accoglie uno degli afflussi più grandi della città, per questo in futuro aumenterà la sinergia con la Parrocchia di Morsenchio.
Le attività della Parrocchia, oltre al culto e ai sacramenti, si concentrano in particolare intorno alla dimensione educativa verso la realtà giovanile
La realtà parrocchiale è molto attenta anche verso il disagio, con la Caritas che in loco si occupa di un centro di ascolto e con il lavoro di un gruppo di giovani volontari che segue la raccolta alimentare da distribuire ai più fragili.
Una forte tradizione teatrale e cinematografica, soprattutto in passato, ha animato e coinvolto la comunità. Di grade rilevanza anche la sinergia con le associazioni nate all’esterno della Parrocchia, tra cui la scuola di italiano per stranieri, e le molteplici attività culturali che propongono, come ad esempio incontri e conferenze di carattere teologico o rivolte a tematiche salienti. Con un gruppo della terza età vengono svolti percorsi di formazione tecnologica, in risposta alla solitudine e all’isolamento emersi soprattutto durante il periodo del Covid. In collaborazione con l’Associazione Rogoredo Musica sono promossi diversi concerti (specialmente di musica classica) a cadenza mensile in altri spazi del quartiere, come occasione per fare rete.
In generale le attività quotidiane della Parrocchia si rivolgono alle fragilità e ai bisogni dei singoli e delle famiglie << sempre con accoglienza e mai con giudizio. Un sapore, una tendenza>> dice <<che ci caratterizza: andare oltre le barriere e gli steccati e carcare sempre una strada. Accogliere anche chi fa un più fatica per regalargli uno spazio in cui senta di contare e di essere importante>>. Un punto di forza della Parrocchia è infatti il suo essere una realtà non uniforme ma una frontiera, <<una membrana osmotica attraverso cui le sostanze entrano in una dimensione di interscambio>>. Le dimensioni di contatto, dialogo e “contaminazione” sono per Don Marco presenti anche nella relazione con la questione culturale: tenere insieme le differenze e lavorare con la complessità di storie e appartenenze diverse passa necessariamente dal conoscersi, dal capire chi è l’altro e quali valori porta. La Serata Etnica della Festa Patronale celebra il riconoscimento dell’altro nei suoi usi e costumi e valorizza la sua identità. <<Tutte le storie sono diverse, le culture sono diverse, la domanda è come poter preservare la bellezza che ne deriva: solo se la diversità non è paura e pregiudizio diventa opportunità>>. E aggiunge << Quando San Paolo dice "Non esiste più ne’ greco ne’ schiavo ne’ libero’" non intende che sono tutti omologati; ma che l’identità custodita da ciascuno non è determinante per generare differenze così marcate e radicali da diventare contrapposizioni>>.
Don Marco sostiene che nel quartiere non sono presenti particolari tensioni o conflitti perché è diffusa tra le persone la propensione a lavorare insieme e a collaborare. I ragazzi che frequentano la Parrocchia sono spronati a pensare, a interrogarsi verso gli altri, il proprio vissuto interiore, il vangelo e i temi del nostro tempo.
Tra i bisogni e le fragilità più significativi, identifica la necessità di essere ascoltati e riconosciuti nel proprio essere ed esistere come singoli e realtà aggregate; l’aumento della solitudine e dell’incertezza economica; la ricerca di nuovi orientamenti di senso; la mancanza di ambienti alternativi che offrano opportunità e stimoli diversi da quelli quotidiani, che favoriscano in sostanza incontri generativi. I giovani, ad esempio, svantaggiati sul piano numerico sono portatori di idee, qualità, valori e competenze tecnologiche in continua espansione: è importante garantire loro luoghi di espressione e propriocezione, dove al posto dell’omologazione possano ritrovare sé stessi, la loro individualità, affinché possano poi nutrire la collettività. Di fronte a potenzialità, bisogni e desideri dei ragazzi – sostiene Don Marco – gli adulti dovrebbero ascoltare di più: <<Una rete è buona se crea cose positive, importante è capire cosa possiamo fare insieme>>.
Per il futuro si auspica che quanto raggiunto finora continui a crescere e che la Parrocchia prosegua ad accompagnare la comunità, preservando la sua identità e le sue caratteristiche ma sapendo anche dialogare con le esperienze umane e spirituali che, anche se differenti, la fanno vivere. Il rischio del nostro tempo dice è <<in rete con tutti, in relazione con nessuno>>. Si augura che chi lo succederà sia contento di ciò che troverà, si impegni ad arricchirlo, mantenga le buone relazioni e il desiderio di fare comunione: che, in sostanza, continui a prendersi cura della comunità.
Marco vive a Rogoredo da tutta la vita.
Dopo il diploma ha fatto esperienza in tanti settori diversi costruendosi un ricco bagaglio di competenze: muratore, montatore elettromeccanico in una fabbrica, elettricista, vicedirettore di un supermercato, cameriere, autista privato di famiglie facoltose dell’hinterland milanese, specializzato in connettività e rete wi-fi, si è occupato recentemente di eventi in ambito moda. Ed è proprio in quest’ambito che conosce il suo attuale partner lavorativo presso la Cartoleria Livebridge a Rogoredo. Grazie a un poliedrico ventaglio professionale e al forte spirito di adattamento ha guadagnato il soprannome di “camaleonte” perché <<dovunque mi metti faccio>>. Una persona flessibile e propensa a raggiungere sempre qualcosa in più. Si reputa soddisfatto e fiero di sé stesso per gli obiettivi finora conquistati. Aggiunge che sente di appartenere ad una generazione diversa, per la quale il peso e il valore di una laurea erano diversi, quasi ad esclusività dei più facoltosi. Alla sua comunità di riferimento sente di poter offrire soprattutto uno spirito empatico e orientato al problem solving. Le sue più grandi passioni sono le macchine e i motori.
Il quartiere, racconta, è cambiato molto. Prima esisteva un’unica via mentre oggi è connesso con molteplici altre realtà del territorio, come Santa Giulia e Merezzate. È consapevole della narrazione stigmatizzante legata al fenomeno di tossicodipendenza che ha interessato la zona ma aggiunge <<Sappiamo che il boschetto c’è ma la situazione è molto cambiata. A Rogoredo ci sono nato e la difenderò sempre>>.
Cita il Tondo Cafè come unico bar storico rimasto nella zona. Il quartiere si sta evolvendo e con lui l’offerta di servizi per i cittadini. Forti sono i legami comunitari tra le persone, lui conosce tutti. L’età media però è sempre più alta e la maggior parte della popolazione giovane tende a frequentare soprattutto la zona di Santa Giulia.
Rogoredo nasce sul canale Redefossi, con le prime abitazioni - le case bianche - per gli immigrati del sud costruite in amianto. Un’ombra di tristezza attraverso lo sguardo di Marco, <<per l’amianto abbiamo perso molti amici purtroppo>>.
Un tema saliente nel processo di trasformazione del quartiere è, per Marco, quello della multietnicità e della riconfigurazione del tessuto sociale e culturale. Lui si descrive come un conservatore, uno che conosce ed è legato a tutti nel quartiere. Per lui la mescolanza etnica può rappresentare un problema quando esigenze diverse generano un conflitto reciproco. Ma Rogoredo non è nuova agli intrecci culturali: verso la fine del ‘900 il flusso migratorio dal meridione ha infoltito e ridisegnato l’identità del quartiere, il quale è arrivato poi ad una integrazione complessiva che supera le differenti appartenenze. Ora, dice, <<siamo tante etnie, c’è chi va d’accordo c’è chi no>>. Fa fatica a vedere orizzonti di integrazione interculturale ma per facilitare l’incontro e il dialogo tra culture diverse indica come possibile risorsa disporre di un circolo, un luogo di aggregazione aperto a tutti. Un’alternativa anche a realtà già esistenti (es. Circolo Mondini) che sono perlopiù frequentate da gente grande o anziana, e che tendono ad avere un carattere un po’ esclusivo verso i fruitori. Marco propone l’organizzazione di eventi freschi e dinamici, come il Carnevale che si teneva in passato quando il Parroco andava a coinvolgere direttamente i ragazzi che giocavano ai giardini e li invitava a partecipare. Iniziative, insomma, che siano stimolanti, proattive e si muovano in direzione delle persone senza limitarsi ad attenderle.
Tra le risorse di cui dispone il quartiere, oltre alla calorosa genuinità dei suoi abitanti, ci sono sicuramente i progetti legati alle Olimpiadi del 2006, che potrebbero potenziare il territorio nella sua totalità anche se attualmente sembra avvenire maggiormente nel quartiere di Santa Giulia.
Tra gli elementi di fragilità su cui lavorare, di primaria importanza è l’aumento di connessioni e relazioni tra quartieri affinché si indeboliscano le discriminazioni reciproche: <<Rogoredo è bella>> ripete più volte Marco <<piena di gente genuina, di signore che parlano milanese, pugliese… di qua invece>> in riferimento a Santa Giulia, in un cui bar stiamo svolgendo l’intervista <<si è trasferita anche molta gente che stava a Rogoredo, forse per avere più tranquillità. E tra di loro ho sentito che molti tendono a discriminare la vecchia Rogoredo>>. Anche arricchire e migliorare la gamma di servizi proposti (garantendo sportelli bancari) è un elemento di necessità.
Per Marco l’idea di comunità si esprime nell’immagine di una grande famiglia in cui tutti si conoscono.
Per il futuro si auspica una maggiore sicurezza nel quartiere e che si mantenga vivo un senso di fratellanza e coesione tra la gente, indipendentemente dalle singole differenze <<Siamo qui ormai, ci siamo e dobbiamo viverci>>. Per sé stesso desidera continuare a migliorarsi, proseguire l’attività della Cartoleria e magari espanderla, potenziarla, non per i soldi – spiega – ma per dare un buon servizio alle persone.
Maria Cristina è una psicoterapeuta e si occupa di gioco d’azzardo dagli anni novanta, quando ancora se ne parlava poco. Dalla costatazione che nei SerD, i servizi per le Dipendenze patologiche, arriva meno popolazione di quanta risulti avere dipendenze da gioco d’azzardo, è nata l’idea di aprire uno Sportello in un luogo neutro come l’ospedale, un luogo di cura e un luogo di passaggio, dove le persone entrano senza avere il timore di essere visti come in un servizio per le dipendenze. Attualmente ci sono tre sportelli aperti: al San Carlo, dove ci troviamo, al Niguarda e al Fatebenefratelli. Lo sportello è aperto da Aprile, dal lunedì al venerdì, e ci si può rivolgere in persona, oppure contattarlo via email o telefono per una maggiore privacy. I colloqui individuali avvengono in una sede riservata, in seguito ai quali la persona accetta di fare un percorso per cui verrà contattata dal SerD.
Lo Sportello è rivolto a tutti e, trovandosi in un luogo di passaggio, si prefigge di raggiungere in particolare i giovani e le donne, che sono la popolazione che più difficilmente arriva ai SerD. Sono infatti in aumento le donne e i giovani che sviluppano una dipendenza dal gioco d’azzardo. Se poi spesso gli uomini arrivano accompagnati da un familiare o dalla compagna, le donne vengono spesso sole, adducendo delle giustificazioni, come una crisi in famiglia o la solitudine. Lo stigma sociale è infatti ancora oggi più forte nei confronti delle donne, che nell’immaginario comune sono coloro che salvaguardano l’economia familiare. Anche il numero dei ragazzi che gioca è elevato, tra cui il numero di minorenni in quanto, sebbene il gioco sia vietato sotto i diciotto anni, per il gioco online è facile aggirare i controlli.
In questo il lockdown ha portato ad un grande cambiamento, perché ha aumentato di molto le giocate online ed il trend è rimasto in crescita anche con la riapertura delle sale. Al momento dell’intervista non erano ancora stati pubblicati i dati per il giocato del 2022 ma si possono stimare sui centoquaranta miliardi di euro giocati, di cui oltre la metà giocati online. Purtroppo da alcuni anni i dati non vengono più divisi per provincia ma si ha solo il dato nazionale: questa suddivisione era molto utile per sapere in quali province si concentrasse il maggior numero di giocatori ed adottare delle politiche conseguenti. Per cui l’auspicio è che si ritorni ai dati suddivisi per provincia.
Chiediamo a Maria Cristina se vi sia una differenza tra i termini gioco d’azzardo e ludopatia. Maria Cristina ci spiega che il termine ludopatia indica la dipendenza da qualsiasi gioco: anche per la dipendenza da videogiochi si può quindi parlare di ludopatia. Il gioco d’azzardo invece è stato proibito negli anni trenta in quanto può portare a grandi sofferenze con il dilapidarsi dei risparmi di una vita. Vi sono però state diverse deroghe e si è poi stabilito che il gioco diventasse monopolio di stato per sottrarre i soldi all’illegalità, anche se vi è un mercato parallelo illegale immenso in cui le mafie sono ben inserite. Rispetto al gettito nelle casse dello stato, si pensa quindi che non arrivi neanche al 10% del giocato … una cifra che non serve neanche a coprire le spese dello stato per far fronte alle conseguenze, fisiche e psicologiche, di chi sviluppa una dipendenza. I dati ci dicono che dei venti milioni di Italiani circa che giocano, circa cinque milioni giocano in maniera problematica e a rischio. I servizi di assistenza sono gratuiti e garantiscono l’anonimato, anche se spesso non si è a conoscenza di questi servizi e vi ci si rivolge quando ci si è già rovinati.
Spesso la dipendenza è legata ad una vincita iniziale e viene alimentata dai nostri errori cognitivi che sono usati per farci giocare di più: ad esempio l’idea di avere “quasi vinto” se escono dei numeri contigui al nostro oppure piccole vincite che in realtà non coprono neanche il nostro giocato. A tal proposito sono state avanzate numerose proposte, come delle interruzioni del gioco che non facciano perdere oltre ad una certa cifra, dei messaggi di allerta oppure l’obbligo di giocare con la tessera sanitaria. Ad oggi queste richieste sono rimaste inascoltate. La dipendenza è trasversale alle classi sociali, anche se è dimostrato che nei periodo di crisi e di difficoltà economica, di disperazione in cui si sente di non avere niente da perdere, si gioca di più. Per i cari, i campanelli di allarme sono dei cambi di umore, un atteggiamento di chiusura e delle bugie volte a coprire delle assenze al lavoro o problemi economici.
Lo Sportello sta portando avanti un’importante campagna informativa, con presentazioni in tutti i municipi e con sessioni di formazione rivolti agli assessori e agli operatori sanitari, inclusi i CPS. Molti disturbi infatti, dalle gastriti al forte stress, fino a dei tentati suicidi, sono riconducibili alla dipendenza da gioco d’azzardo. In questi primi due mesi hanno avuto un ottimo afflusso, con persone che quotidianamente si fermano a chiedere informazioni. Maria Cristina ci lascia quindi con un messaggio di speranza, per dire che loro sono qui e non danno giudizi e che l’importante è fare il primo passo e chiedere aiuto, in quanto con l’aiuto del personale esperto si può uscirne.
Marco è laureato in economia e commercio e nella sua vita ha fatto di tutto: organizzazione di eventi, progettazione, attività nelle scuole, corsi di teatro e ripetizioni private. E’ entrato in contatto con UILDM per la prima volta a nove anni, perché i suoi vicini di pianerottolo avevano la distrofia muscolare. E’ stato prima coinvolto in alcune attività, come l’hockey in carrozzina, e poi ha fatto il servizio civile ed è rimasto. Ora Marco è il Presidente di UILDM e in quanto tale si occupa di coordinare le sessantasei sezioni, così come di tessere collaborazioni con altre associazioni e di fare advocacy presso le istituzioni. In quanto figlio unico ha sempre apprezzato stare in compagnia, motivo per cui si è sempre occupato del sociale. Nel tempo libero gli piacciono il cinema, la lettura, il canto e in generale lo stare assieme agli altri.
UILDM, l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, segue le persone con distrofia muscolare dalla diagnosi alla morte, che oggi è più lontana grazie ai progressi scientifici. Accompagnano quindi le persone nelle diverse fasi della malattia, dando informazioni su come affrontarla e sui centri e servizi di riferimento, ma si occupano anche fornire un sostegno per le piccole cose del quotidiano, per esempio gli spostamenti oppure le commissioni. A Milano c’è anche l’Agenzia per la Vita Indipendente che si occupa di accompagnare le persone con qualsiasi tipo di disabilità in percorsi di vita indipendente. Recentemente UILD ha acquisito degli appartamenti nell’housing sociale di 5Square, dove ora ospitano due studenti universitari fuori sede. In estate, grazie all’aiuto di volontari, organizzano anche delle vacanze con i ragazzi.
Un altro importante filone di attività riguarda le attività di sensibilizzazione nelle scuole, dalle elementari alle superiori. Innanzitutto si presentano e lasciano che i ragazzi facciano domande in modo di abbattere le barriere: la distrofia muscolare è infatti una malattia poco conosciuta. Poi organizzano dei giri per le strade per sensibilizzare sulle barriere architettoniche oppure diverse attività in cui i ragazzi sono portati a calarsi nei loro panni: come chiedere ai bambini di disegnare con la mano sinistra oppure far giocare ai ragazzi l’hockey in carrozzina contro di loro. Hanno poi delle collaborazioni con diverse università a Milano per formare il personale a saper accogliere una persona con disabilità. Il lavoro di sensibilizzazione che loro fanno serve a tutti, perché educa ad un mondo inclusivo di tutte le diversità, non solo le disabilità.
Marco abita a Cenni e si ritiene fortunato in quanto durante il lockdown il condominio aveva fatto una chat in cui ci si metteva a disposizione e ci si aiutava a vicenda. E’ un modo di vivere un po’ come al tempo dei suoi nonni, dove ci si conosce e ci si interessa dell’altra persona, non è quindi solo un relazionarsi da “ho finito lo zucchero”. Guarda perciò con interesse alla comunità che si sta creando a 5Square, dove si aspetta partecipazione e inclusione delle persone con distrofia ospitate nei loro appartamenti. Sarebbe anche bello che i condomini si mettessero a disposizione per delle piccole commissioni. Dal canto suo, vorrebbe invece organizzare degli incontri con i bambini oppure delle partite di hockey in carrozzina. Rispetto allo spazio comune, è un grande spazio che deve quindi essere utilizzato al massimo per guardare assieme le partite, fare delle feste, dei corsi di teatro, delle attività con i bambini, una cena etnica o semplicemente una partita di scacchi. La comunità che si sta venendo a creare dovrebbe quindi essere vivace, positiva – deve migliorare la vita delle persone e non peggiorarla- e anche comprensiva e che si pone in ascolto.
Del suo lavoro a Marco appassiona il poter aiutare le persone, in quanto rivede se stesso da piccolo. Se dovesse però formulare un auspicio sarebbe quello di scomparire, in quanto vorrebbe dire che non c’è più bisogno dell’associazione perché la società è già sufficientemente inclusiva.
Antonio è nato alle porte di Milano da genitori di origini lucane. Si è poi trasferito a Milano Sud quando le sue due sorelle si son stabilite qui con i mariti e sono nati i nipotini. Ha quindi colto l’occasione per fare domanda per un appartamento nel nuovo quartiere di 5Square in modo da poter essere più vicino alla sua famiglia. Trasferitosi a 5Square da circa un anno, non ha ancora avuto modo di esplorare a piedi il quartiere Vigentino: motivo per cui per le commissioni ricorre frequentemente agli acquisti online, anche se preferirebbe conoscere e frequentare i negozi di quartiere. Del quartier Vigentino tuttavia apprezza molto le aree verdi, elemento per lui fondamentale per una buona qualità della vita, e vorrebbe scoprire le diverse cascine dove si producono prodotti a kilometro zero. Ha anche colto una certa storicità del Vigentino e una dimensione di quartiere, in cui le persone si conoscono e si salutano, che gli piacciono : il Vigentino è quindi un quartiere con un’anima, un luogo da esplorare.
Da libraio con una vera passione per i libri, pensa che una libreria sarebbe un bel servizio per un quartiere popoloso come il Vigentino. Vorrebbe anche ci fossero degli spazi di socializzazione per persone di tutte le età, per attività diurne e serali: dei presidi gestiti dalle associazioni in grado di intercettare le persone in difficoltà, ma anche dei posti dove poter passare la serata ascoltando musica dal vivo ma che siano economicamente accessibili.
La passione per i libri Antonio ce l’ha da quando era giovane e gli piaceva leggere le storie di persone, mosso da una naturale curiosità e anche da un desiderio di evasione dal presente. Lo appassionano poi la musica tradizionale, le feste popolari e i riti del Centro e Sud Italia e lui stesso suona i tamburi a cornice e vorrebbe imparare a suonare la zampogna. Alla domanda su come vorrebbe utilizzare lo spazio condiviso di 5square, il Living, Antonio risponde che vorrebbe vederlo colmo di libri che gli abitanti possano prendere in prestito e animato da corsi di danze popolari o altre attività, in ogni caso un luogo aperto, accessibile e dove poter venire a passare del tempo e fare due chiacchiere.
La sua idea di comunità è di un posto inclusivo, aperto e unito nonostante le diversità, così come solidale e che non lascia le persone sole, perché c’è molta solitudine in tutte le fasce d’età. Antonio è rappresentante di scala ed ha avuto modo di incontrare i suoi condomini: molti si trovano qui in ragione del canone calmierato vista la situazione di emergenza abitativa a Milano. Il desiderio però è che si realizzi a pieno quella dimensione sociale, anche se investirsi per la propria comunità richiede sacrifici di tempo. Per sé invece l’auspicio è di continuare quella evoluzione personale interiore che porti ai cambiamenti auspicati.
Federica lavora al Gestore Sociale di 5Square e segue anche lo Sportello di Spazio Aperto Servizi, uno sportello di orientamento ai servizi del territorio. Di formazione amministrativa, ha iniziato a lavorare qui a 5Square da circa un anno in quanto le interessa il settore dell’abitare.
Lo Sportello ha visto in questi mesi una maggiore utenza da parte degli abitanti di 5Square in ragione della prossimità fisica, ma i suoi servizi si rivolgono anche a quanti abitano nei quartieri limitrofi. Lo Sportello offre principalmente assistenza nell’espletamento di pratiche burocratiche, per esempio i diversi bandi e bonus della Regione Lombardia. L’idea è poi quella di adeguare l’offerta ai bisogni, allargando ad esempio a servizi di orientamento alla ricerca del lavoro.
Del suo lavoro a Federica piace l’ambiente familiare ed il rapporto di vicinanza con gli abitanti degli housing, per cui chi si rivolge al Gestore per questioni amministrative si ritrova poi a chiedere assistenza anche su altri livelli. Sta quindi scoprendo l’aspetto legato alla gestione della community all’interno dell’housing che nel condominio dove abita lei a Milano non esiste. Quello che si sperimenta qui è quindi un modello da replicare, in cui gli abitanti si fanno promotori di iniziative, come le attività sportive di yoga, zumba, allenamento funzionale e hip hop che si tengono in palestra, oppure gli aperitivi, lo spazio compiti e altre iniziative che si tengono nello spazio comune Living.
In questo luogo prima vi erano solo edifici abbandonati da decenni: si è trattato quindi di un notevole progetto di riqualificazione e di edilizia responsabile, per cui al posto di demolire si è voluto ristrutturare gli edifici esistenti. Il progetto deve ancora essere completato con la ristrutturazione degli edifici mancanti, l’ampliamento del verde, l’installazione di locker e di una casa dell’acqua. La recente deviazione della linea trentaquattro ha permesso una migliore connessione urbanistica tra 5Square ed il quartiere Vigentino. E’ quindi un quartiere in evoluzione, in cui presto apriranno degli spazi commerciali, come una panetteria, un bar, una cartolibreria, e dei servizi, come un asilo nido ed una scuola materna ed uno studio dentistico … oltre ai servizi già attivi come il poliambulatorio ed il consultorio.
L’auspicio è quindi che i lavori finiscano presto restituendo agli abitanti un quartiere bello e vivibile. Per la comunità invece il desiderio è che ancora più persone partecipino alle attività, nonostante tra gli abitanti vi sia già una buona partecipazione e voglia di mettersi in gioco.
Tessere Legami è una rete territoriale che unisce i quartieri di Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate. Nasce dal desiderio di costruire un calendario condiviso tra associazioni al fine di coordinarsi nell’organizzazione di eventi e far nascere possibili collaborazioni. La rete si riunisce regolarmente online, lo strumento informatico rendendo la partecipazione più semplice. Inizialmente si trattava di uno scambio di informazioni sulle attività proposte, poi la rete ha iniziato ad invitare associazioni esterne con progetti attivi sul territorio così come personalità di rilievo, quali l’assessore alla cultura del Municipio quattro. La rete è quindi a tutti gli effetti un luogo virtuale per coordinarsi e favorire la nascita di progettualità condivise.
Rispetto alla vivacità del tessuto associativo, in particolar modo a Rogoredo, Alberto spiega che la componente sociale ed associativa è stata storicamente sempre molto attiva. I lavoratori della Redaelli si erano infatti già costituiti all’epoca in un gruppo d’acquisto, così come gli abitanti di Rogoredo. Dall’unione negli anni sessanta di queste due cooperative assieme ad altre nasce l’embrione di COOP Lombardia. Gli stessi lavoratori della Redaelli si mettono assieme e negli anni trenta nasce la Cooperativa Edificatrice di Rogoredo, che ha costruito molti degli alloggi degli abitanti del quartiere, oggi divenuta Delta Ecopolis. Da un movimento cooperativo nasce anche il Circolo ARCI Mondini e diverse associazioni nazionali sono presenti a Rogoredo, come A.N.P.I., Auser, Caritas. Molte sono anche le associazioni di quartiere, come il Centro Icare, nato da un gruppo di genitori che si sono organizzati per attivare attività di doposcuola per i bambini.
La vivacità del quartiere si spiega in parte con il legame con il quartiere di molte persone nate e cresciute qui, da cui il desiderio di investirsi per migliorare il luogo dove si vive. Molte sono però le persone che sono arrivate in età adulta e qui han messo radici, integrandosi nella comunità. Il quartiere ha quindi saputo accogliere i nuovi arrivati, anche se la partecipazione oggi è minore che negli anni passati, così come minore è la voglia di investirsi in prima persona nell’organizzazione di attività.
La nascita di Merezzate ha collegato urbanisticamente i tre quartieri che rimangono però ancora oggi divisi. Le scuole e la parrocchia hanno anche contribuito allo spostamento delle persone da un quartiere all’altro. Le associazioni potrebbero poi dare un ulteriore contributo con progettualità condivise. Un esempio di attività che unisce i tre quartieri è la Strarogoredo, una manifestazione sportiva curata da quasi tutte le realtà locali, non necessariamente sportive, che per un giorno unisce Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate. L’auspicio per il futuro è che si riesca davvero a costruire un quartiere unico e che il progetto del quartiere Santa Giulia sia realizzato pienamente in una logica includente, con la riqualificazione delle aree ancora dismesse.
Damian ha 29 anni, è originario dell’Ecuador ed è arrivato in Italia quasi 16 anni fa. È nato con Spina bifida e Meningocele, patologia che colpisce la parte neuronale della schiena e che lo ha portato nel corso degli anni a svolgere una serie di interventi, l’ultimo dei quali lo ha compromesso sulla sedia a rotelle.
Inizia così il racconto di Damian, con voce squillante e sguardo sereno. Si ritiene fortunato, spiega subito. L’esperienza della sedia a rotelle è stata un’opportunità che gli ha consentito di scoprire altri mondi e conoscere ad esempio diverse discipline sportive a cui si è appassionato.
Si è sempre sentito libero, anche se nel suo paese di origine <<bellissimo, che consiglio a tutti di visitare>> aggiunge, ha spesso incontrato diverse barriere architettoniche e psico-culturali che hanno alimentato in lui il desiderio di trasferirsi e raggiungere la mamma che già viveva in Italia, << una mentalità diversa è già un grandissimo cambiamento>>.
Arrivato in Italia il processo di integrazione è stato impegnativo, segnato anche da esperienze di bullismo all’interno delle mura scolastiche. Vive nel quartiere di Chiesa Rossa ormai da 15 anni, dopo un primo periodo vissuto vicino ai Navigli. Si dice soddisfatto e profondamente affezionato a questa zona in cui, spiega, << sembra di essere fuori città invece sei ancora a Milano ma con un sacco di verde>>. Si descrive come una persona che ha bisogno di rimanere costantemente attivo e in movimento, << in casa non ci so stare>> dice; al di là dei numerosi spazi verdi e dei servizi di prima necessità presenti nel quartiere, secondo Damian mancherebbero però alcuni servizi e luoghi dedicati allo sport.
La sua famiglia gli è sempre stata accanto, esortandolo a fare qualsiasi cosa, senza esitazioni e senza timori: <<dalla vita in su non ho problemi, posso fare quello che voglio>>. Forse anche per questo il ventaglio di interessi e passion di Damian è particolarmente ricco: dalle uscite con gli amici, all’andare a ballare, dalla pasticceria allo sport. Di quest’ultimo si è dedicato principalmente al basket in carrozzina, alla pallanuoto, al rugby, al tennis, all’hockey e recentemente anche al sollevamento pesi (di cui è stato 5 volte campione italiano).
Lo sport per Damian è espressione di costanza e impegno; è uno spazio di condivisione gruppale ma anche di cura e valorizzazione individuale.
Pensando a quale contributo potrebbe offrire alla sua comunità, Damian sottolinea il suo animo intraprendente e stacanovista. Da quando è piccolo coltiva l’amore per la cucina e la pasticceria, passioni che durante gli anni delle superiori viene esortato ad abbandonare << perché le cucine non erano pensate e fornite per una persona in carrozzina>>. In assenza di strumenti e risorse Damian ha avuto la pazienza e la perseveranza di specializzarsi in una disciplina economica lontana dai suoi interessi e di coltivare contemporaneamente la passione per la cucina tra le mura di casa. Il suo sogno è aprire un giorno un ristorante e una pasticceria, offrendo alle persone con disabilità le risorse e gli strumenti con cui perseguire il loro sogno di lavorare in cucina. Il dolce con cui si descriverebbe è una torta al cioccolato con mousse e bignè di crema e cioccolato
Per il futuro si augura di poter aiutare sempre più persone che come lui stanno vivendo una situazione di disabilità; essere per loro un punto di riferimento, continuando a condividere l’entusiasmo, la passione e la motivazione a realizzare i propri sogni in piena libertà.
Mohamed è arrivato a Torino a dicembre 2022 ancora minorenne da una città a sud del Marocco. I suoi genitori in Marocco hanno due negozi di parrucchieri, uno per donne e uno per uomini ma Mohamed dopo gli studi scientifici delle scuole superiori è arrivato in Italia per cercare lavoro e allargare le sue opportunità ed esperienze. Adesso sta seguendo un corso di italiano per stranieri il pomeriggio mentre durante la mattina si incontra con gli amici per giocare a calcio o ascoltare della musica insieme dal rap all hip-hop. Torino gli piace moltissimo e con i suoi amici frequenta molto la città nei suoi spazi all'aperto per una partita a calcio e per ascoltare la musica insieme.L'idea di poter lavorare in un bar e diventare un master dei cappuccini lo alletta particolarmente, Mohamed è un grande amante del caffè e diventare un barman specializzato è qualcosa che lo renderebbe molto felice.
Amine è arrivato a Torino in cerca di un'opportunità per il suo futuro. Il suo viaggio comincia all'età di 19 anni quando decide di lasciare Casablanca per andare in Ucraina a studiare medicina. Ha iniziato con studiare la lingua ucraina, requisito fondamentale per accedere al corso universitario di medicina ma il suo percorso si è dovuto interrompere a causa dell'inizio della guerra nel 2022. Costretto ad andare via è riuscito a scappare dalla guerra arrivando così a Torino sempre però con il suo grande sogno nel cassetto : diventare medico. Sogno nato da una promessa fatta alla mamma e dal suo grande amore nel voler aiutare gli altri e salvare vite, missione che ogni dottore ha dentro di sé. Gli piacerebbe poter continuare gli studi universitari in Italia o in Francia per diventare così un chirurgo.Ad oggi Amine ha intrapreso un nuovo percorso nell'ambito del bar e della ristorazione e vorrebbe farlo diventare un lavoro che lo accompagna nel suo percorso di studi, un modo per essere totalmente autonomo ed indipendente.
"Sono una ragazza molto sorridente e molto felice sin da piccola, con la mia famiglia e con i miei amici"Rut inizia così la conversazione durante il nostro incontro, sin dal primo momento si capisce quanta energia, solarità e dolcezza emani. Una giovanissima ragazza peruviana dagli occhi scintillanti e pieni di voglia di vivere. In Italia si sente felice e tranquilla con la possibilità davanti a sé di poter scegliere cosa fare e seguire i suoi sogni. A Torino vive con il fratello gemello Abraham arrivato con lei da Lima e la mamma già residente a Torino da qualche anno, mentre i suoi fratelli si trovano ancora in Perù. Il suo sogno nel cassetto è quello di poter studiare per diventare infermiera, aiutare il prossimo e prendersi cura di chi ha bisogno è parte fondamentale della sua persona e desidererebbe moltissimo riuscire a realizzarlo.
Originario del Perù, Fernando José è in Italia da due anni ed è arrivato a Torino per raggiungere la mamma già residente in Italia da 13 anni.Appassionato di freestyle ascoltava diversi MC di rap e all'età di 11 anni andava ad ascoltare freestyle nelle piazze della sua città natale in Perù. Tra i suoi guru del rap ci sono Eminem 50 cent ma anche rapper originari del Sud America che gli danno grande fonte d'ispirazione e motivazione per coltivare la sua passione. Fernando José oltre essere appassionato di freestyle e quindi improvvisare rime con amici nei pomeriggi, scrive i testi delle sua canzoni che trattano temi sociali ma anche delle piccole cose della quotidianità che vive. Gli piacerebbe lavorare in un bar con musica dal vivo e legato alla cultura musicale dove poter socializzare e creare connessioni.
Eduard ha 18 anni ed è originario del Perù. E' arrivato in Italia all'età di sei anni per questioni sanitarie e dall'ora vive a Collegno vicino a Torino insieme alla sua famiglia. Il prossimo anno finirà gli studi superiori all'istituto tecnico industriale Ettore Majorana di Grugliasco con indirizzo elettronica automazione, gli piacerebbe avere un periodo di pausa dagli studi finito le superiori per lavorare nel campo della bar e della ristorazione per poi proseguire all'università gli studi in robotica. Grande amante della musica dal rock inglese alla classica al rock spagnolo anni '80, Eduard ha sempre la musica con sé mentre cammina cucina ed esce con gli amici, cuffie nelle orecchie o con cassa mentre è con gli amici. Da poco si è appassionato al ballo ed insieme a sua cugina sta iniziando a fare pratica di balli caraibici come la salsa e la bachata.
La dolcezza di Denis la si percepisce al primo sguardo. Giovanissimo arrivato a Torino da pochi mesi, Denis nato e cresciuto a Tirana in Albania è arrivato a Torino con l'intenzione ed il sogno di realizzarsi.Denis è il più giovane di quattro fratelli, due lavorano come elettricisti in inghilterra mentre sua sorella al momento si trova in Svizzera a studiare ingegneria. Il sogno nel cassetto di Denis è quello di fare il barbiere, in Albania ha lavorato in un negozio di barbieri e qui a Torino sta seguendo il corso triennale per parrucchieri presso la cooperativa Piazza dei Mestieri. Vorrebbe molto presto potersi ricongiungere con la mamma, al momento ancora a Tirana e perché no magari un giorno ritornare in Albania, terra che conserva strettamente nel suo cuore.
Abraham è un giovanissimo ragazzo di 19 anni arrivato in Italia da poco più di un anno con dei grandi desideri. Il primo era quello di stare vicino a sua mamma, in Italia per lavoro già da qualche anno e il secondo (ma non ultimo) quello di poter conoscere tutta la cultura italiana con i suoi luoghi e tradizioni. Si definisce un ragazzo timido ma molto curioso e grande amante della lingua Italiana, Abraham è rimasto molto colpito da Torino e dalla gentilezza delle persone, vorrebbe un giorno aprire un negozio gastronomia per cucinare prodotti tipici peruviani ma anche prodotti della cucina italiana per far conoscere ed incontrare le diverse culture. Il ritmo scorre nelle sue vene e ci racconta sorridendo che un suo grande sogno è quello di scrivere e cantare, un sogno che anche se lontano sente particolarmente vivo dentro di sé.
Matteo ha terminato da poco gli studi di Geometra e in pochissimo tempo ha trovato lavoro presso l’Azienda Delta Ecopolis che segue diverse iniziative tra le quali anche 5Square in Via Antegnati. Matteo lavora principalmente nell’area di competenza del Gestore Sociale, in particolare per quanto riguarda la manutenzione e la consegna degli appartamenti. Percepisce continuità tra il suo percorso accademico e la realtà professionale in cui opera. Del suo lavoro apprezza molto poter aiutare la gente a risolvere i problemi, così come le occasioni di confronto e partecipazione; in generale si dice soddisfatto e con il desiderio di dare il massimo: non ha ancora incontrato elementi problematici di complessità.
Matteo è operativo a 5Square da 6 mesi, un periodo di tempo recente rispetto all’arco di vita del progetto: “altri colleghi erano qui dai tempi del cantiere” ci tiene infatti a precisare. Rispetto alle “fondamenta” teoriche dell’iniziativa Matteo ci racconta come il complesso abitativo di 5Square abbia l’obiettivo di sostenere un vivere di comunità e non tra singoli individui separati: lo spazio living in questo senso rappresenta un luogo concreto di incontro “pensato per i cittadini e aperto a tutti”, dove si svolgono già attività come yoga e danza hip hop. Parlando di sport, anche Matteo ne è un appassionato: per molti anni ha praticato tennis, nuoto e calcio. Tra le altre passioni che porta avanti c’è anche il cinema, con i generi horror e d’azione.
Per Matteo il senso di comunità si esprime nell’aiutarsi a vicenda, non pensando solo a sé stessi ma tenendo sempre a mente anche il bagaglio interiore degli altri.
Alle future generazioni consiglia di seguire le proprie passioni già dal percorso di studi e poi anche nel lavoro, senza lasciarsi condizionare eccessivamente dalle aspettative dei genitori. Pensando metaforicamente a 5Square come esempio di processo trasformativo in cui potenzialità e sviluppo possono accompagnarsi anche all’incertezza per il futuro, Matteo ritiene che di fronte agli orizzonti inesplorati il miglior atteggiamento da mantenere sia sempre di apertura, calma e fiducia.
Yassine è un giovane ragazzo di 20 anni. E' arrivato a Torino nel 2005 dal Marocco insieme a sua mamma per raggiungere il papà che lavorava in un officina come meccanico. All'apparenza molto timido, Yassine ha molto da raccontare dalle passioni ai viaggi ai piccoli grandi sogni nel cassetto come quello di giocare a calcio. Simpatizzante per la squadra del Napoli, ci racconta che ha esordito in serie D nel ruolo di attaccante di destra ma per una serie di vicissitudini ha deciso di abbandonare. Ha svolto diversi lavori dall'aiuto cuoco in un ristorante giapponese all'operaio per Amazon. A Yassine non dispiacerebbe avere nuovamente la possibilità di esplorare il modo della cucina e ristorazione per specializzarsi in un lavoro che lo renda indipendente ed appagato.
Michele ha 23 anni e ha già una nutrita esperienza nel campo della ristorazione e del bar e anche come fattorino. La sua voglia di lavorare e conoscere nuove persone, per lui un aspetto molto importante, lo hanno portato ad appassionarsi a diversi ambiti lavorativi e a cimentarsi in occasioni diverse. Proviene da una scuola alberghiera che gli ha permesso di imparare tutto ciò che fino a oggi conosce di questo campo. Michele ci racconta quanto la famiglia, l'amore e la condivisione siano dei valori e degli aspetti della vita per lui molto importanti e a cui non potrebbe mai rinunciare tanto da, nonostante la sua giovane età, voler formare una famiglia con il suo compagno. Ama il campo artistico e performativo e sogna di poterci lavorare. Nel 2018 è iniziata la sua passione per le esibizioni e il mondo Drag Queen.
Intraprendenza e motivazione sono le due caratteristiche che spiccano al primo incontro con Martina, che ha 25 anni ed è torinese. Le piace precisare che è nata di venerdì 17 e ha un gatto nero. E' studentessa di scienze geologiche all'Università di Torino ed è sempre in cerca di cose da fare, tanto che ha sempre lavorato durante gli studi per sconfiggere la routine quotidiana. Si definisce un "terremoto" per la sua costante ricerca di attività che non la facciano stare ferma. Il suo obiettivo è quello di poter lavorare nel campo climatico e meterologico in Italia dopo il conseguimento della laurea. Ha il desiderio di avvicinarsi al mondo lavorativo della ristorazione proprio per la sua indole attiva e sempre in movimento. Chi si ferma è perduto è il suo motto.
Kozdo significa "maschio nato di lunedì" e come da tradizione dell'Africa Occidentale, è il nome che viene dato ai neo-nati maschi di lunedì. Kozdo Guillame è il nome completo di questo ragazzo di 29 anni, che gli amici chiamano Guy per facilità e praticità. Guy sta pensando di accorciare il suo nome ma non sa ancora come e con quale si identifica. Arrivato a Firenze nel 2016, ha raggiunto i suoi genitori già residenti da qualche anno e si è iscritto a un corso universitario di Firenze in letteratura e lingue straniere applicate. Per mantenersi ha lavorato nel campo della ristorazione e del cocktail bar affinando sempre di più le sue conoscenze fino all'arrivo a Torino per il conseguimento di un'esperienza lavorativa. La sua voglia di conoscere e sperimentare lo hanno portato a iscriversi a un corso online di programmazione software, lavoro che può permettergli di lavorare da qualsiasi luogo integrato eventualmente ad altro.
Claudia ha 19 anni, è nata a Torino ma ha origini venete. E' un'appassionata danzatrice e in passato ha gareggiato agonisticamente in competizioni caraibiche, oggi pratica l'hip-hop stile che ritiene più nelle sue corde e che la rappresenta totalmente nella sua espressività. Presa dallo studio e dai molti impegni, Claudia aveva momentaneamente scelto di sospendere questo sport a malincuore. Da quasi sei mesi ha ripreso a praticarlo con l'intenzione di non abbandonarlo più, per il benessere che le crea e per il sentimento che le genera. Il suo obiettivo, a oggi, è quello di entrare subito nel mondo del lavoro e di non continuare gli studi: ma mai dire mai. Da quando si è diplomata Claudia ha avuto la possibilità di sperimentare diversi lavori fino a capire che quello che più le interessa è nel campo della caffetteria e della ristorazione.
Lucas ha quasi 21 anni, è argentino e ha una grande passione per la caffetteria e la creazione di cocktail. A Cordoba aveva già lavorato nel campo della ristorazione come barman e a Torino ha ripreso questa passione come mezzo di sostentamento economico. Uno dei suoi desideri è quello di poter studiare il settore moda e più precisamente diventare stilista. Tutto il sapere acquisito fino a oggi nel campo della creazione di propri capi d'abbigliamento gli è stato tramandato dalla nonna, grande appassionata di cucito. Felice però di intraprendere questa nuova esperienza, Lucas è coraggiosamente pronto a conoscere la realtà lavorativa italiana senza dimenticarsi della sua yerba mate.
Candela viene dall'Argentina ed è in Italia da pochi mesi. Definisce il suo arrivo in Italia, e quello del resto della sua famiglia, come un ritorno perché i suoi tris nonni erano originari delle Marche e della Calabria. Candela è contenta di vivere a Torino e la definisce una città tranquilla ma nello stesso tempo attiva in tutti i suoi servizi, la considera una città multiculturale con persone che arrivano da tutto il mondo e che hanno voglia di creare legami. Candela ha studiato disegno in Argentina ed è parte integrante della sua quotidianità svolgendolo anche come lavoro su commissione, il suo stile è tra il comico e il cartone. Un'altra sua grande passione è il caffè, motivo per cui è salita a bordo del progetto di tripla AAA. Figlia d'arte, mamma scrittrice e papà attore, Candela è una giovane artista talentuosa, con tanta energia e voglia di mettersi in gioco.
Anthonia è originaria della Nigeria e ha 30 anni. Arriva in Italia nel 2016 e prima di approdare a Torino ha vissuto ad Ancona, luogo che le è piaciuto molto. Trasferitasi a Torino, ha lavorato per un periodo da Eataly a Monticello d'Alba ma non avendo trovato una dimora stabile vicino al luogo di lavoro ha deciso di concludere l'esperienza per cercare una nuova opportunità. In Nigeria ha studiato prendendo una facoltà legata all'ambiente e alla sanità, non le dispiacerebbe trovare lavoro in questo campo anche qui in Italia. Uno dei suoi grandi sogni è quello di viaggiare e conoscere nuove culture e paesi, tra cui Olanda e Belgio. Non appena ne avrà la possibilità, sarà la prima cosa che toglierà dalla lista dei desideri insieme alla ri-unione con la sua mamma.
Elena gestisce la Caffetteria Isabella da 35 anni, nome che deve al Ponte Isabella situato nei pressi di Corso Dante a Torino, tributo alla Principessa Isabella di Baviera. Casa e bottega, questa è la definizione perfetta per il suo locale che vede l'appartamento di Elena situato al piano superiore. Il bar apre alle 5 del mattino ed Elena, con l'amore e la costanza che la contraddistingue, è pronta ad accogliere i primi clienti. Elena si definisce una persona comprensiva e dinamica con i clienti ma anche con i suoi quattro collaboratori, una in cucina, un barista e due ragazze in sala che la aiutano nell'orario di punta del pranzo. Il quartiere dove sorge la caffetteria è principalmente fatto di uffici e abitazioni, la speranza di Elena è che presto lo smart working diminuisca per avere una maggiore affluenza come prima della pandemia. Alla Caffetteria Isabella si possono gustare bontà e specialità dalla prima colazione fino alla merenda. Il mantra di Elena è quello di avere un sorriso e un saluto per tutti, in modo che il cliente esca dal locale allegro e pronto ad affrontare una lunga giornata.
Davide è il direttore di Cascina Fossata, un luogo unico nel suo genere che ha l'obiettivo di essere un punto di incontro di qualità che intercetta i bisogni della comunità. Inaugurato nel 2019, il posto è nato dalla riqualificazione di una cascina abbandonata. Oltre a essere una residenza collettiva temporanea e un hotel è anche un ristorante, un luogo in cui vengono organizzati eventi musicali e per bambini. Una particolarità che possiamo trovare a Cascina Fossata è il giardino e l'orto urbano, messo a disposizione in comodato d'uso a chi lo richiede tramite la compilazione di un form online, un ottimo modo per sostenere la produzione alimentare biologica e apportare così valore alla comunità. Per essere parte dello staff di Cascina Fossata è senza dubbio importante condividere i suoi valori comunitari e la capacità di instaurare un rapporto con una clientela eterogenea. Il cliente deve sentirsi accolto e a casa anche in mezzo alla moltitudine di persone e attività organizzate.
Stefania è direttore responsabile del mensile Quattro (dal nome del municipio in cui operano) e presidente dell’omonima associazione che si occupa di promuoverne la pubblicazione. Quattro nasce nel 1997 dal desiderio condiviso di un gruppo di amici di creare un progetto culturale. L’iniziativa prende forma senza un obiettivo da subito definito: <<Andiamo avanti finché abbiamo le risorse e le forze per farlo>> era il motto iniziale. Dopo più di vent’anni l’associazione continua a crescere occupandosi di aree sempre più ampie e articolate.
Quattro si definisce un giornale di informazione e cultura di qualità e propone aggiornamenti mensili di ampio respiro: ricostruzioni storico-urbanistiche del quartiere, mappature e approfondimenti dettagliati dei luoghi significativi e la valorizzazione delle realtà sportive e culturali presenti nel territorio.
Per territorio si intende una zona molto ampia che coinvolge il Municipio 4 nella sua totalità. In questo senso il Dialogo con Stefania genera uno sguardo pluralistico, capace di abbracciare contemporaneamente molteplici storie. Ci avviciniamo così a Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate passando attraverso un sistema capillare di relazioni e interconnessioni identitarie - vive, vicine e dinamiche.
I materiali d’archivio e le indagini sul territorio sono strumenti preziosi per la narrazione del contesto.
La Rubrica sulle fabbriche della zona, ad esempio, è partita dall’esperienza della LESA (Laboratori Elettrotecnici Società Anonima; azienda all’avanguardia anche a livello internazionale nel settore dei giradischi e dei piccoli elettrodomestici) per arrivare ad un così alto numero di testimonianze che sono state in seguito raccolte nel libro “Storie Industriali”. Il libro sulla città dell’annonaria, centrato sulla realtà dei mercati (di Marinai d’Italia, dei polli, dell’Ex Macello, etc) accosta alla ricerca storica d’archivio anche le interviste di chi ci ha lavorato. Anche la zona a sud dello Scalo Romana, per molto tempo abbandonata e ora di nuovo in trasformazione, è oggetto di un’attenta ricostruzione storica.
Il Municipio 4 è un territorio ampio e popoloso, ricco di associazionismo e proposte culturali. Se nei primi anni 2000 la città mostrava un generale appiattimento, con EXPO si è attivato un processo di rinnovamento importante grazie anche ai progetti delle Fondazioni presenti sul territorio. Iniziative di cittadinanza attiva e cura dell’ambiente sono diventate sempre più centrali nel lavoro delle associazioni.
Del Municipio 4 Stefania identifica le seguenti peculiarità identitarie:
Dal punto di vista di Stefania, il quartiere di Rogoredo, la vecchia Rogoredo soprattutto, si configura come una realtà coesa che tende però a chiudersi al proprio interno. Nata accanto alle fabbriche Redaelli e Montecatini ha una popolazione – specialmente la più anziana – che continua a percepirsi appartenente ad una dimensione di piccolo paese. Con la dismissione delle vecchie fabbriche si sono liberate enormi aree attualmente in fase di rinnovamento. Queste trasformazioni urbanistiche hanno determinato un consistente cambio di utenza che, soprattutto oggi, tematizza e mette l’accento su tematiche di integrazione e settorializzazione tra quartieri.
La zona di Santa Giulia, moderna e di recente costruzione, presenta molte aree verdi, un grande boulevard e i buoni presupposti per diventare un polo di scambi e socialità.
Merezzate è un quartiere nuovissimo destinato a raddoppiarsi con il futuro insediamento residenziale nelle aree circostanti.
<< Se ora questi tre luoghi appaiono geograficamente come blocchi separati >> profetizza Stefania << con l’aumentare dell’espansione e dei collegamenti ci sarà sempre maggiore continuità e diventeranno insieme una grande città>>
Tra i bisogni emergenti del territorio vi sono il desiderio di mantenere vive la collaborazione e la partecipazione nella cura dei territori, così come l’urgenza di seguire e comprendere i futuri sviluppi trasformativi della città.
Per Stefania il senso di comunità è un sentimento di appartenenza che alimenta l’attenzione, la disponibilità, la solidarietà, la collaborazione e il prendersi cura tra persone.
Per il futuro l’auspicio dell’associazione è di proseguire nella stessa direzione. Desiderano aprire un nuovo sito web rinnovato e che la produzione editoriale continui la pubblicazione di temi specifici sul territorio e la sua storia locale.
Massimo Lucchini ha un’impresa di idraulica a Felizzano dal 2001, è subentrato il figlio recentemente diplomato, inserito nell’azienda come collaboratore famigliare. L’uomo ha iniziato a lavorare nel 1983, non ha terminato gli studi superiori, all’epoca c’era la possibilità di andare a lavorare molto giovani, di fronte a casa sua c’era una ditta idraulica ed è stato subito assunto. Da sempre la sua passione è stata quella del lavoro manuale e si sente predisposto a farlo, gli piace “lavorare e fare” direttamente con le mani. Solitamente i servizi di cui si occupa sono: l’installazione di impianti di riscaldamento, impianti idrici, sanitari, pannelli solari, la sostituzione/manutenzione delle caldaie e tutto ciò che concerne la parte idraulica. Gli interventi maggiormente richiesti dai clienti riguardano all’oggi in particolare la sostituzione delle caldaie, il rifacimento degli impianti idrici e di riscaldamento negli interventi di ristrutturazione di abitazioni, a seguito degli incentivi del Bonus 110. I lavori giornalieri vanno programmati ma possono variare molto, così spiega Massimo, le giornate possono essere molto impegnative, talvolta caratterizzate da imprevisti ed emergenze anche oltre l’orario stabilito, come ad esempio chiamate serali per problemi legati ad impianti di riscaldamento nel periodo invernale. Massimo cerca di garantire ai clienti un servizio efficiente, serio, professionale assicurando disponibilità negli interventi. Ultimamente sta lavorando molto nella zona dell’astigiano. Come consiglio riferisce di controllare e apportare la giusta manutenzione agli impianti di riscaldamento domestici, in modo da garantire un impatto ambientale molto basso. Svolgere questo tipo di mestiere implica fare molti sacrifici, bisogna essere sempre reperibili e disponibili telefonicamente e avere un continuo contatto con i clienti che chiamano per segnalare le proprie problematiche ed esigenze, con molte richieste di interventi. Tra le difficoltà maggiori incontrate si riscontrano soprattutto crearsi una clientela e rapportarsi con il cliente, essere onesto e saper fare bene il proprio lavoro. Per svolgere questa professione è necessaria una grande passione ed un certo interesse per la materia, dare spazio alla parte manuale e avere il tempo necessario da dedicare per “fare bene” il proprio lavoro. Viene consigliato ai giovani di provare a cimentarsi in questa professione, a patto che ci sia naturalmente voglia e impegno ad imparare. Massimo dichiara di essere soddisfatto e contento del proprio lavoro in cui investe giornalmente costanza, tenacia e responsabilità. Ammette di non avere particolari desideri, se non l’auspicio di poter aiutare qualcuno che ha bisogno.
Randy è il caposala del lounge bar Carpe Diem, uno dei locali più famosi e commercialmente affermati della Promenade di Santa Giulia.
Vive in Italia da sedici anni ma arriva da lontano. È originario della Jamaica, << un paradiso>> dice <<tanto verde, aria fresca, gente sorridente. Le persone non sono molto ricche, ma sono solidali, sorridenti. C’è sempre la musica>>. Per lui l’Italia offre senz’altro molte opportunità lavorative ma non sempre una qualità della vita altrettanto soddisfacente. Randy è nato in un piccolo paese di una zona turistica a ovest del paese <<13 km di spiaggia bianca, acqua sempre tiepida>>. Insieme ad una grande bellezza, però, nel suo paese ha osservato anche una fragilità economica che lo ha spinto a cercare strade alternative, più promettenti. La sua compagna è italiana e insieme hanno due figli, di sedici e tredici anni.
La strada che lo conduce al Carpe Diem è ricca di esperienze e sperimentazioni. Quando era più giovane, in Jamaica, ha iniziato a studiare giurisprudenza all’università. Ha lasciato gli studi per aiutare economicamente la famiglia, composta da dieci figli. Negli anni ’80 il padre di Randy, falegname di professione, portava ancora addosso i segni e gli effetti della schiavitù. Conduceva una vita faticosa, racconta, e affiancarlo nelle sue mansioni lo ha spinto a cercare un’emancipazione dalla precarietà che aveva conosciuto. Frequenta una scuola alberghiera perché la cucina è sempre stata una sua grande passione. Quando poi in Jamaica ha avuto l’opportunità di lavorare in un bar, ha capito – con entusiasmo - che avrebbe voluto trasformarla in un’attività redditizia.
A ventisei anni parte e si trasferisce in Italia. Lavora come cuoco, svolge per tre anni un apprendistato all’interno di una gelateria-caffetteria e inizia come barman nei turni serali presso il Carpe Diem. Adesso è il direttore di sala del locale.
I precedenti proprietari del bar hanno aperto l’attività nel 2009 quando <<qui intorno non c’era niente, era tutto un grande cantiere>>, racconta Randy.
Consolida un’esperienze e relazioni positive. Il lounge bar è specializzato in aperitivi e la maggior parte dell’attività si svolge nelle ore serali. È un’ambiente sicura, spiega Randy, << dove le famiglie possono venire, lasciare i bambini mentre fanno un giro o organizzare le feste di compleanno per i ragazzi>>.
Da quando è arrivato il quartiere si è trasformato molto e rapidamente, grazie soprattutto all’insediamento delle grandi aziende. Non tutti gli interventi però, secondo lui, sono stati dei miglioramenti. Come ad esempio l’eccessiva cementificazione del territorio che, da amante del verde, considera limitante per una gradevole fruizione degli spazi, << preferisco vedere alberi che palazzi>>.
Per Randy il senso di comunità è accoglienza, ospitalità, apertura e disponibilità verso gli altri. <<In Jamaica è tutto un ‘buongiorno’, un salutarsi. La gente è più povera ma anche più inclusiva, qua se non conosci una persona non ci parli. Sai cos’è… le persone qui tendono a mettere tanti scudi davanti, forse per proteggersi. A casa mia non è così. Quando sono in Jamaica mi sento più libero, di esprimermi e tutto>>. Ipotizza che ciò derivi e sia legato alla predisposizione delle persone verso uno stile di vita più semplice, genuino, orientato alla condivisione dei piccoli momenti di felicità.
Per Randy un modo di sollecitare la socialità può passare dai momenti di festa. Utile sarebbe predisporre maggiori luoghi di aggregazione affinché svago e leggerezza vengano vissuti anche al di fuori della dimensione famigliare <<bambini che giocano insieme, le mamme che si conoscono>>.
Oltre al tempo speso con la sua famiglia, la sua vita è primariamente incentrata sul lavoro e lo studio. Per questo in futuro vorrebbe ritagliarsi maggiore spazio di libertà e spensieratezza. Vorrebbe tornare in Jamaica un giorno, comprare una barca per andare a pescare. Restituire alla comunità di origine un aiuto concreto, costruendo opportunità lavorative per le persone meno fortunate <<così che non debbano cercare per mangiare e per pagare>>.
Per Randy è estremamente importante coltivare uno sguardo multiculturale aperto al mondo e alle sue differenze: <<Vedere cosa c’è altrove per capire cosa sia davvero importante. Molte persone invece, vivono e basta, senza sapere perché>>.
Nel cuore di Amine, un giovane dal carattere riservato, risiedevano sogni audaci destinati a spiccare il volo. La sua più grande ambizione è diventare un medico chirurgo, un'aspirazione che illumina le sue giornate e lo spinge a immergersi nello studio con tenacia. Il desiderio di indipendenza è altrettanto forte, poiché vorrebbe costruire il suo futuro con le proprie mani e la sua mente. Nonostante la timidezza, Amine trova gioia nell'essere circondato dai suoi amici, ama viaggiare e nelle sue esperienze, nonostante la giovanissima età, ha potuto conoscere. La storia di Amine è un mix affascinante di coraggio, ambizione, e gentilezza. La sua dedizione ed il costante impegno lo rendono un individuo straordinario, destinato a realizzare i suoi sogni e a lasciare un segno positivo nella vita di coloro che incrociano la sua strada.
Monica, Lauretta e Maurizio sono tra i primi abitanti della Rogoredo “vecchia” che ho il piacere di conoscere. Ci mettiamo in contatto tramite la pagina FB “Rogoredo siamo noi!” che raccoglie quotidianamente e in maniera informale, notizie, annunci e materiali d’archivio del quartiere. Presso i giardini di via Rogoredo (sede simbolica scelta dall’associazione, attiva soprattutto nelle strade e tra la gente), in un freddo pomeriggio di marzo, avviene così un incontro prezioso e illuminante da cui si svilupperanno tanti altri scambi, contatti e racconti.
"Rogoredo siamo noi! ALPOSTOGIUSTO" è un’associazione informale che nasce da un gruppo di volontari e abitanti del quartiere intorno al 2016, in seguito all’emergenza sociale sanitaria di tossicodipendenza in via Sant’Arianna (alias, il boschetto della droga), con l’obiettivo di sensibilizzare gli abitanti e la città circa la situazione in atto. Per richiamare l’attenzione delle istituzioni i volontari si impegnano in manifestazioni e iniziative locali, con il sostegno poi anche del Municipio. Musica, mercatini, streetfood, momenti di festa come “La primavera dei giardini” e “La sera delle lanterne”, iniziano così ad animare i luoghi del quartiere, invitando le persone a ritrovarsi in strada e nei giardini. Queste ultime, raccontano, furono due giornate di grande successo, un momento di luce durante un periodo buio: <<Qui la festa e di là la morte>> sospira Monica indicando lo spazio oltre il cavalcavia. Contrastare il dolore con uno spirito gioioso, affamato di vita. È stata questa una delle prime risposte della comunità.
Passato il picco emergenziale della tossicodipendenza i volontari dell’associazione si dicono “più rilassati” ma comunque attivi nel mantenere un presidio sensibile e continuo. Il problema della droga aveva destato grande preoccupazione, affermano, e ieri come oggi è sull’informazione e la prevenzione che è importante lavorare, soprattutto attraverso i canali scolastici educativi. Non solo verso le dipendenze ma per tutte le fragilità che possono interessare i giovani, come il bullismo, che i volontari evidenziano come una questione sempre più presente ed incisiva.
Rogoredo è molto più della narrazione circoscritta e stigmatizzante spesso perpetrata dai media. È un luogo vivo e pulsante che non ha bisogno di condizioni problematiche affinché si mantengano vive la partecipazione e la vicinanza tra i suoi abitanti.
Il quartiere, racconta Lauretta, nasce sulle vecchie fabbriche-acciaierie Montecatini e Redaelli e si fonda su una rete di famiglie operaie e di impiegati. Lei fino a 9 anni ha vissuto in una casa di ringhiera, il Rebuscin. In estate, ricorda nostalgicamente, si radunavano tutti insieme in cortile, le mamme ai lavatoi con i panni e i bambini poco più in là a giocare. Per Maurizio Rogoredo è un quartiere-paese e citando Iannacci spiega che è una realtà fatta di persone che vivono in maniera simbiotica ogni situazione. Aggiunge che in passato erano molti di più gli spazi adibiti all’aggregazione e allo svago, come le sale da ballo del Sud Est e il cinema Atlantico (prima ancora conosciuto come il Socula, dal rumore degli zoccoli a contatto con il pavimento) preso d’assalto nei fine settimana. Questo spirito associativo, dicono, è rimasto impregnato nell’aria: pur non disponendo di molte risorse o luoghi di aggregazione, i giovani riescono a portare avanti quella socialità semplice e spontanea tra le panchine dei parchi.
Orgoglio e commozione trapelano anche dalle parole di Monica. Lei arriva a Rogoredo dopo aver vissuto nelle vicine zone del Corvetto. Per lei il quartiere, la vecchia Rogoredo specialmente, è unica nel suo genere. È una piccola realtà, tutti si conoscono <<la gente mormora. Tutti sanno tutto di tutti>>. La disponibilità delle persone, le chiacchere sull’uscio dei negozi, gli anziani che si ritrovano ogni giorno al bar per il caffè o il bianchino in compagnia. Per loro, custodi di un sapere straordinario, in occasione di un Natale hanno allestito un albero con le vecchie fotografie d’archivio fornite dalla Società Sportiva Rogoredo84: emozionante, raccontano, è stato vedere gli abitanti più longevi avvicinarsi e riconoscersi in quelle immagini del passato. Ritengono che sarebbe bello dare spazio nelle scuole ad alcuni cittadini affinché tramandino la memoria storica e le tradizioni del quartiere, per preservarle e fornire modelli positivi di riferimento.
L’aspetto più significativo della comunità su cui ALPOSTOGIUSTO desidera porre l’accento è il carattere solidaristico e inclusivo dei suoi membri: durante la pandemia, ad esempio, tutti si sono uniti in supporto di chi si trovava in maggiore in difficoltà. Ciascuno, con le proprie possibilità, ha offerto quanto poteva in termini di tempo, risorse alimentari, aiuti economici e calore umano: <<Rogoredo si è sentita in dovere di aiutare chi in quel momento non aveva niente, nemmeno un tetto>>.
Per il futuro, sono tanti gli auspici: un potenziamento dei luoghi di aggregazione e delle possibilità di espressione per i giovani. Fornire un maggiore sostegno agli anziani. Costruire una reale integrazione del Palazzetto dello Sport e della nuova sede del Conservatorio (specializzata in musica jazz, elettronica e popolare) nel tessuto urbano, affinché si rafforzi un dialogo per e nel territorio. Il superamento delle settorializzazioni intra-territoriali (Rogoredo, Santa Giulia, Merezzate) riconoscendo e valorizzando la comune appartenenza storica e identitaria. Preservare il senso di comunità e uno stile di vita a misura d’uomo. L’educazione delle nuove generazioni alla cura delle tradizioni e dell’ambiente. Un maggiore supporto ai commercianti della zona.
Servizi come la Stazione ferroviaria, i centri sportivi e la presenza attiva della Parrocchia sono altri elementi di forza importanti per la comunità.
Arianna e Ikram stanno passeggiando tra le strade di Merezzate quando entrano incuriosite dentro lo spazio living dove condivideranno la loro storia. Sono due carissime amiche, conosciutesi qualche anno prima in università. Due anime affini e al contempo complementari, traboccanti di allegra simpatia.
Ikram, nata e vissuta in Marocco fino ai 3 anni, attualmente vive in zona Affori. È qui a Merezzate perché, con l’aiuto di Arianna, sta cercando di individuare dei bambini che possano entrare a far parte di un campione sperimentale con cui testare un App che sta sviluppando. Hanno studiato entrambe Informatica o, come ci tengono a precisare, Computer Science. Il progetto di tesi è centrato sullo sviluppo un applicazione web che aiuti le persone a mettersi in contatto tra di loro, avendo come target specifico gli anziani e i bambini. La recente esperienza del Covid ha infatti avuto un impatto drammaticamente disgregante sulle relazioni affettive familiari, impedendo per lunghi periodi a nonni e nipoti di trascorrere del tempo insieme. Questo progetto si prefigge, attraverso il potenziamento di scambi e contatti virtuali, di rafforzare dimensioni psicologiche quali l’umore e le reti sociali nei soggetti più sensibili, aumentando la percezione di vicinanza con gli altri significativi e contrastando al contempo gli effetti negativi della solitudine, che possono sfociare anche in forme depressive più o meno gravi.
Arianna vive invece vicino a San Martino, a Rogoredo, dove trascorre gran parte della sua quotidianità sin dall’infanzia. Fa parte della realtà oratoriale del quartiere, svolgendo attività di educatrice con i ragazzi delle medie e delle superiori. Frequenta la magistrale di Informatica con specializzazione in Intelligenza Artificiale e Machine Learning e, racconta, si avvicina a questo campo perché è da sempre attratta dalle materie scientifiche.
Ikram e Arianna condividono diversi interessi ma primo fra tutti c’è forse l’amore per il cibo e la cucina. Un cibo buono, di qualità, senza limiti geografici di provenienza. Insieme hanno anche frequentato alcuni Corsi gratuiti offerti dal Comune di Milano (presenti in tutti i Municipi) che considerano una bellissima opportunità sul territorio perché consentono a tutti di sperimentare liberamente e in maniera accessibile una gamma vasta di servizi.
Ikram si descrive come una persona timida e discreta, oggi più per scelta e propensione caratteriale, ma che in passato -soprattutto da bambina – ha dovuto affrontare esperienze dolorose legato al bullismo. Pone l’accento, con risoluto trasporto, sulla necessità - spesso disattesa da alcuni decenti e adulti – di proteggere i più piccoli in situazioni di fragilità e ingiustizia. Anche Arianna si descrive, soprattutto da bambina, come una persona timida e riservata. Frequentare l’oratorio l’ha aiutata a diventare più espansiva, allargare la sua rete relazionale e conoscere persone preziose. In oratorio, dove è animatrice, le piacerebbe trasmettere ai più giovani quel senso di attenzione, cura e dolcezza che faccia sentire meno soli. Entrambe sono animate da grande passione verso il contrasto all’isolamento, la tutela dell’infanzia e la responsabilizzazione in età adulta verso se stessi e il contesto.
Tra gli elementi di ricchezza del quartiere, Arianna identifica l’oratorio come punto di aggregazione per la comunità, anche se un cambio generazionale di mentalità e il post-Covid ne hanno diminuito la partecipazione. Anche la Strarogoredo e le feste di quartiere sono occasioni positive a cui partecipare. È importante, secondo lei, mantenere un approccio aperto e disponibile verso le iniziative del territorio e tra i suoi auspici c’è la rinascita dell’oratorio e della sua centralità per le persone.
Ikram è portatrice di una duplice appartenenza, quella marocchina e quella italiana, ed entrambe occupano uno spazio profondo e speciale da un punto di vista identitario. Il mantenimento delle tradizioni di origine viene portato avanti attraverso le festività significative, così come mediante il cibo e la cucina; strumenti però anche di integrazione e vicinanza con la cultura italiana: <<non so chi sia più italiano, se un italiano o mia mamma>> la quale, racconta Ikram ridendo, a volte dichiara intensamente <<voglio proprio preparare una buona pasta fresca con i pomodorini>>. Come spesso accade ai ragazzi di seconda generazione, elaborare la doppia appartenenza è un processo complesso e in continuo sviluppo: Ikram si definisce fortunata :<<ci sono due persone in me, quella italiana e quella marocchina. Tante persone hanno questa esperienza, chi invece no non sa cosa significa. Andare a vedere un paese come turista non è come viverlo o avere lì delle origini. (Avere una duplice appartenenza) è bello, perché ti senti unica>>.
Arianna immagina il senso di comunità come tante persone sorridenti insieme, una mano tesa pronta ad aiutare. Per Ikram le mani sono due e si battono il cinque, come nella pubblicità dei biscotti Ringo. Comunità è essenzialmente solidarietà. Per il futuro Arianna si augura che le nuove generazioni abbiano a disposizione ambienti accoglienti e stimolanti come è stato per lei l’oratorio (non un luogo esclusivo per i soli credenti, dice, ma una comunità che aiuti nella crescita e nell’introspezione) e per se stessa, di raggiungere presto l’autonomia economica e professionale che desidera. Anche Ikram spera di veder crescere vivibilità e iniziative di aggregazione. In generale credono nell’importanza di alimentare le occasioni di confronto e di garantire attività gratuite accessibili a tutti.
Nello Spazio Living di via Colorni 14 immaginano una vasta gamma di attività che si potrebbero organizzare o a cui parteciperebbero volentieri, come ad esempio: co-studying, co-working, serate e giochi di società, momenti culinari, ritrovo per gli anziani, tavoli tematici e una base per la radio dei giovani di quartiere.
Iryna è una ragazza energica, dalla voce squillante e lo sguardo intenso. Stacanovista, dolce, brillante. Ci siamo incontrate molte volte prima di girare ufficialmente la nostra intervista. Ogni volta, arrivando alla soglia del suo negozio, la trovavo indaffaratissima, sommersa di piumoni, camice e cappotti. <<Questa è la situazione qui>> commentava da dietro il bancone, con un sorriso stanco ma felice. Sembrava difficile concordare un appuntamento, trovare un lasso di tempo in cui parlare senza che entrasse qualche cliente a ritirare o portare qualche ordine. Alle sue spalle, lungo tutto il perimetro e le pareti del piccolo negozio in Via Monte Palombino 8, un’inquantificabile mole di lavoro si rinnovava via via ogni giorno che la incontravo, mantenendo intatta solamente la sua, davvero ingente, quantità. Da subito Iryna mi spiega che sembra tutto un caos questo ammasso di vestiti e coperte, ma in realtà c’è un ordine precisissimo per ogni cosa, un sistema capillare di organizzazione che le consente di muoversi e lavorare con grande efficienza. Ed in effetti, tra le prime sfumature che emergono di Iryna c’è proprio la sua dedizione al lavoro, un’indole organizzata ed efficiente, la capacità e in un certo senso il bisogno di occuparsi di tante cose, di restare sempre in movimento, di dare sfogo alla sua poliedrica creatività.
La Lavanderia Stireria H20 apre in un momento particolare, <<buffo>> dice lei, poco prima del covid e del periodo di chiusure che avrebbero interessato le attività commerciali nel paese. Nonostante le difficoltà, Iryna si dice soddisfatta di come si è evoluta la situazione e di poter seguire un’attività che le piace e la rende felice. Già durante i nostri brevi incontri nei mesi precedenti era affiorato un passato ricchissimo di esperienze. Iryna nasce infatti come pianista e per tredici anni della sua vita si dedica alla musica. In seguito si specializzerà come parrucchiera e aprirà un suo negozio. Lavorerà anche nel mondo dell’interpretariato grazie alle sue competenze linguistiche (nasce in Repubblica Ceca e vive poi in Ucraina fino alla maggiore età). A 19 anni parte per l’Italia e da subito si cimenta professionalmente perché, dice lei, <<stare ferma non mi piace>>. Un giorno, insieme al marito, decide di avviare l’attività della lavanderia e stireria che, in seguito alla chiusura di una sartoria di quartiere, si è poi specializzata anche in riparazioni e ricami.
Rogoredo le piace molto, la definisce “una famiglia gigantesca” nelle accezioni positive che questa immagine può evocare. Lo definisce un ambiente cordiale, sicuro, dove si lavora bene, caratterizzato da una buona sintonia tra le persone. Una peculiarità del quartiere e delle sue trasformazioni, per Iryna, è nel suo continuo ricambio dinamico di persone e attività commerciali. Non rintraccia aspetti di particolare fragilità che necessitino di miglioramenti, anzi si dice soddisfatta dei servizi e delle risorse che offre.
Passa un’abitante, la saluta, lei ricambia, mi guarda <<Qui è così, mi salutano tutti, io conosco tutti>>.
La familiarità costruita negli anni non si riflette sono nelle relazioni informali ma anche nel suo lavoro: ricorda e riconosce perfettamente i volti e i nomi di tutti i suoi clienti. Ma c’è anche un aspetto più profondo e meno performante: le contromarche numerate, mi spiega, servono a distinguere le cose, ma le persone non sono numeri sono persone. Ed è così che la meticolosità di Iryna diventa innanzitutto espressione di cura verso gli altri. È in questo atteggiamento serio e affettuoso che rintraccia l’origine di un’esperienza reciprocamente positiva con il quartiere e i suoi membri.
Per Iryna il senso di comunità corrisponde all’unità tra le persone, allo scambio di idee, all’aiuto reciproco, alla comprensione e alla tolleranza.
<<Senza sogni non si vive. Bisogna essere sognatrici e sognatori>> sospira guardando fuori dalla vetrata del negozio, anche se decide di non condividere quelli che si porta dentro, forse per scaramanzia o semplicemente per discrezione.
Per il futuro, augura a tutti di trascorrere delle buone vacanze, di stare bene, di fare scorta di energia per affrontare la frenesia della quotidianità e, in generale, una buona vita.
Annamaria, classe '42, nasce a Rogoredo nelle famose case dei ferrovieri oltre il cavalcavia, vicino a quello che oggi è tristemente noto come "bosco" della droga. Ricorda quegli alloggi come case bellissime, avanguardiste per l'epoca perché dotate di servizi igienici. La sera in cui è nata la città era squarciata dai bombardamenti: ottant'anni dopo, aggiunge con tristezza, ancora c'è la guerra e ancora nascono bambini nei rifugi. Ed è dall'immagine di un rifugio che inizia il racconto nostalgico di Annamaria, dei santini appesi ai muri durante la guerra e rinvenuti intatti durante le recenti ristrutturazioni.
Annamaria inizia come stenodattilografa in un'azienda privata e prosegue poi nelle ferrovie dello Stato tramite uno dei primi concorsi come capostazione, dopo che venne rimosso il divieto di accesso alle donne imposto durante il fascismo. Nonostante il cambio formale, le donne non erano comunque accettate all'interno degli impianti e venivano quindi mandate all'Ufficio Informazioni della Stazione Centrale. Tre donne, nessun computer moderno, folle lunghissime e una grande mole di lavoro.
Svolge volontariato in ospedale per molti anni tramite A.V.O. Quando entra in pensione, si occupa dei nipoti e affronta alcuni problemi di salute. Si mantiene in forma con un po' di attività fisica settimanale, frequenta il coro della chiesa ed è membro attivo del Centro di Ascolto della Caritas Parrocchiale.
Si definisce una persona fortunata, autonoma, propensa ad aiutare il prossimo, sempre desiderosa di ascoltare e scambiare due parole con chi incontra. Dopo la pandemia, spiega, c'è molta gente sola che ha paura. Sottolinea le fragilità familiari intorno a lei, specialmente delle mamme, verso le quali mostra una particolare sensibilità.
Essere una comunità, per Annamaria, è cambiato molto negli anni. Ricorda lo stare insieme di una volta, giocare all’aperto, i gelati, la condivisione di un’anguria, le “castagnate”, i festival dell’Unità e dell’Avanti, le commedie in oratorio. Attraverso i concerti in chiesa si cerca di rianimare il quartiere, ma secondo Annamaria con la Pandemia qualcosa si è spezzato.
Tocca il tema della sicurezza <<il periodo in cui andavi avanti e indietro da sola (per le strade) non c’è più>>, prende in considerazione il tema della multiculturalità ed evidenzia i principali mutamenti del quartiere. Tra tutti, è soprattutto la sempre più esigua frequentazione dei luoghi di aggregazione da parte degli italiani a rattristarla, la maggior parte sono stranieri. Secondo Annamaria, possibili problemi di integrazione interculturale si verificano laddove si protraggono limitazioni e svantaggi a carico delle donne, che ostacolano innanzitutto una piena partecipazione alle attività della comunità. In generale osserva una bassa partecipazione delle famiglie straniere agli eventi promossi in quartiere. Allo stesso modo però, riconosce una certa resistenza degli “autoctoni” a ricercare l’integrazione: tipica dei “rogoredesi”, secondo Annamaria, è un po' la difficoltà ad aprirsi alle novità e ai cambiamenti (prima con le migrazioni dal sud Italia, oggi con le migrazioni internazionali).
Una maggiore integrazione, a partire dall’infanzia, attraverso il gioco e tra le famiglie, è il primo desiderio che Annamaria auspica per il futuro. Ma anche un ritorno alla convivialità e all’aggregazione spontanea e gioiosa tra le persone, attraverso la musica e il cibo. Tante sono le iniziative e le risorse del territorio (capitanate ad esempio dalla realtà del Circolo Mondini), poca, talvolta, è però la partecipazione delle persone.
Per descrivere il vivere insieme del quartiere in cui è cresciuta e cosa sia per lei il senso di comunità, Annamaria sceglie un’immagine semplice, i ciliegi in fiore nel vialetto sotto casa sua. Quasi a voler sintetizzare la complessità di trasformazioni e significati di cui è stata ed è testimone, aggiunge:<<io ti dico la verità: tante volte alla sera, ad una certa ora d’estate, mi metto qua seduta da sola. C’è un volo di rondini, di su di giù, che squittiscono, che è uno spettacolo eccezionale. Poi ci sono gli aerei che vanno a Linate che sono il richiamo alla realtà>>.
Il nome "20138 Open Barre" nasce da uno “svarione”, una divagazione creativa in sostanza. Termine efficacemente evocativo di un’intuizione spontanea, fortemente radicata nell’appartenenza familiare del proprio contesto, e allo stesso tempo semplice, riconoscibile, come il CAP del quartiere, 20138. Un numero che raccoglie dentro un’intera comunità, senza distinzioni, e che vuole diventare simbolo di valorizzazione e di riscatto.
Si tratta di un progetto musicale che vuole provare a dare spazio e voce a chi non ne ha o non può permetterselo. Il progetto nasce da passeggiate in solitaria piene di riflessioni e di idee, si sviluppa attraverso strumenti basici come il telefono, insieme a conoscenze pregresse e a nuovi incontri per strada. I contenuti vengono pubblicati il venerdì e si accompagnano anche di materiale fotografico raccolto tra le strade del quartiere.
La musica è il cuore pulsante, non solo del progetto, ma delle passioni che animano Minu. È una passione, racconta, che lo rende felice e lo lega a chi, come lui, coltiva questo amore. Vi si avvicina dopo l’infanzia, in particolare con I Club Dogo e brani come “Killer Game” di Salmo, Madman e Gemitaiz, catturato dalle immagini del video. Con il tempo cresce in lui la connessione, il legame, con i testi e le parole dei brani che incontra: sentimento questo che continuerà ad aumentare ininterrotto, portandolo ad approfondire quanto più possibile tutto il materiale che incontra. La narrazione criminale insita in alcune sfumature del genere rap non è qualcosa che Minu apprezzi particolarmente; tra i nuovi artisti più popolari fa fatica a individuare qualcuno capace di raccontare storie interessanti e autentiche. L’ambiente musicale giovanile contemporaneo, secondo Minu, è caratterizzato sempre di più da uno spostamento verso il virtuale e le logiche economiche. Resistono tuttavia alcune iniziative di aggregazione e condivisione spontanee, simbolo di un fare musica collettivo e primariamente appassionato (il freestyle al muretto del Duomo, il barrios in Barona, i concerti, etc).
Anche a Rogoredo si possono incontrare situazioni simili: nascono, magari per caso, alle panchine di un parco. Ci si trova, si sta insieme, poi qualcuno tira fuori il telefono e mette su una base. Il potenziale c'è, scorre e accumuna molti ragazzi della zona. Sarebbe utile potenziare alcuni luoghi per favorire questi incontri ma la mancanza di fondi, commenta Minu, può essere un ostacolo. In questo senso "20138 Open Barre" si configura come una risorsa per la comunità: il progetto, infatti, comprende l'idea di un contest che offra sì visibilità, ma anche un punto di riferimento concreto, un luogo di ritrovo per gli artisti, uno studio di registrazione ben equipaggiato a cui accedere indipendentemente dal budget di partenza.
Minu nasce in Romania, vive per alcuni anni in un'altra zona di Milano e arriva a Rogoredo circa 15 anni fa. Con affetto mi dice che sono tante, per lui, le qualità del quartiere: piccolo, accogliente, pieno di zone verdi, dove la maggior parte delle persone è disponibile e socievole. "20138 Open Barre" vorrebbe valorizzare, attraverso la musica e gli artisti, proprio quelle dimensioni positive che nei contesti più periferici subiscono gli effetti delle settorializzazioni e delle stereotipizzazioni superficiali.
Comunità significa fare del bene con e per la gente, mi dice Minu. La musica diventa uno strumento prezioso. Ma anche i campi da Basket e i parchi diventano possibilità di incontro in cui fare festa e stare insieme. << Qui si tende spesso a stare insieme>>.
Non identifica particolari aspetti da migliorare nella zona, si tratta di un contesto piccolo senza troppi problemi, dove si respira sicurezza e vivibilità.
Per il futuro gli orizzonti del progetto hanno un retrogusto internazionale: Parigi potrebbe essere una possibile destinazione, ma anche rimanendo in quartiere l’auspicio è di collaborare con sempre più persone diverse, provenienti da tutte le parti della città e del mondo.
“Tutto il mondo è quartiere” di Ensi è per Minu una canzone molto bella, cruda, capace di raccontare il senso di comunità. Il messaggio, per Minu, è che basta poco, un pretesto qualsiasi, per condividere qualcosa di se stessi, parlare, fare amicizia, socializzare e sentirsi parte di un insieme più grande, al di là delle singole e reciproche differenze
Andrea ha 21 anni, è nato in Calabria e nella prima infanzia si trasferisce con la famiglia a Milano, nel quartiere di Città Studi. È andato da poco a vivere da solo in zona Pioltello.
Principalmente si occupa di video e grafica, ma lavora anche nell’attività dei genitori presso la Cartoleria Live Brige in via Monte Cengio 6. Esperienza questa che attraverso il contatto con il pubblico lo sta aiutando molto ad affinare le sue competenze socio-relazionali.
È un appassionato di sport, soprattutto di calcio, motori e di gokart; momenti che rappresentano per lui una piacevole valvola di sfogo. Anche la cucina è un’attività che coltiva con grande interesse: si dice aperto all’esplorazione delle proposte etniche di tutto il mondo, mentre ai fornelli si dedica alla sperimentazione di ricette e sapori principalmente mediterranei.
Rogoredo è per Andrea un punto di riferimento primariamente lavorativo: non lo vive come abitante ma lo conosce attraverso le mura della Cartoleria. Diversamente dall’atmosfera talvolta svuotata e dispersiva di alcune periferie o dalla frenesia e l’impersonalità del centro città – con un ricambio continuo di persone e la difficoltà a creare relazioni - in questo quartiere, dice, si respira un particolarissimo clima di paese in cui tutti si conoscono, dove facilmente si riesce a entrare nell’ambiente perché si viene coinvolti spontaneamente dalla comunità. Ed è proprio lo spirito aggregativo, il forte senso di comunità (che definisce come tranquillità e rispetto tra le persone) una delle caratteristiche che Andrea immagina nel descrivere la sua “città ideale”, insieme ad una ricca prossimità di servizi. Disporre di maggiori risorse sul territorio e migliorare le realtà urbanistiche e umane più “degradate”, sono per Andrea, i due maggiori elementi che richiedono cura e potenziamento all’interno del quartiere.
La vivace vivibilità, il calore, la coesione e la solidarietà tra le persone sono elementi che ha sperimentato sulla propria pelle durante un viaggio in Romania dove, in futuro, gli piacerebbe fare ritorno. Anche se con un bacino di servizi ancora in via di sviluppo, l’atmosfera da piccolo paese e i costi della vita più accessibili la rendono una realtà attraente dove immagina di poter aprire un giorno un suo studio pubblicitario.
Pensando alle nuove generazioni e a quali azioni possano incidere sul loro benessere, Andrea si sofferma sull’impatto positivo delle aree verdi come luoghi di ritrovo: un parco spazioso, tavoli all’aperto, un clima ideale per ritrovarsi, studiare o semplicemente rilassarsi.
“4Gatti” non è un’associazione, ma una compagnia teatrale che nel ‘99 inizia con i primi laboratori nelle scuole di teatro e si costituisce formalmente nel 2001. Un giorno, i quattro membri originari del gruppo seduti ad un tavolo scelgono di chiamarsi così come si sentivano “4Gatti”. In seguito due dei componenti prenderanno altre strade, tra cui Elisabetta che ha poi aperto la scuola di musica “Ottavanota”.
Momò e GB nascono come Clown e infatti si conoscono ad un corso di giocoleria e clownerie. Tra i due partner è stato <<amore a prima vista>> dice Momò, come due gocce in perfetta sintonia. L’essenza di 4Gatti è il lavoro con i bambini, la cura dei dettagli, la passione e l’autenticità che riescono a comunicare ai loro spettatori. Un amore che si esprime anche attraverso la realizzazione manuale dei costumi di scena e delle animazioni.
Nei quartieri Rogoredo e Taliedo avviano diversi laboratori teatrali nelle scuole. Dal 2014 mettono in piedi una rassegna teatrale di quartiere “Areoplanini di carta” dedicata alle famiglie, che si svolge ogni anno da ottobre a febbraio. La chiamano così perché a fine di ogni spettacolo costruiscono dei piccoli areoplanini insieme ai bambini, e, soprattutto perché il quartiere di Rogoredo nasce intorno all’Acciaieria Redaelli e vicino al il primo campo volo italiano della famiglia Caproni. Queste due realtà, racconta Momò, hanno fatto molto per il quartiere potenziandolo di scuole, presidi medici e cooperative. L’ingegnere Caproni, in particolare, si appassionò alla costruzione della Scuola Materna Caproni la cui peculiarità, osservata dall’alto, è la struttura a forma di biplano con corpo centrale, ali e coda. << È bellissimo perché vai in una scuola in cui ti insegnano a volare. Abbiamo voluto omaggiarlo nella rassegna>> spiegano.
Molte le collaborazioni con artisti di fama internazionale, come i Tre Chef legati al Cirque du Soleil, Vico Faggi, i Fratelli Caproni. Cura dell’autenticità e della tradizione, insieme al coinvolgimento appassionato della comunità sono due dei pilastri principali della compagnia. Anche se gli spettacoli didattici sono i più richiesti dagli insegnati, aggiungono, loro preferiscono dare spazio alla rappresentazione di temi quali il sogno, la vita, il gioco, l’amicizia, la condivisione di storie e il sapersi divertire. <<A volte ci dicono quanta poesia nei vostri spettacoli!>>
Moltissime le iniziative e i progetti attivati nel quartiere attraverso un lavoro di rete: animazioni, la partecipazione ad eventi come “Verde Festival” e in reti informali come “Tessere Legami”, l’ideazione di cacce al tesoro come “Prova a prendermi” per legare le associazioni agli spazi del quartiere attraverso l’uso del gioco, incentivare la cura del bene collettivo e l’esplorazione del territorio. Durante le riaperture post covid, grazie al sostegno del Parroco Don Marco Eusebio, hanno pensato di realizzare tre eventi all’aperto. 1) Insieme ad altri colleghi, tra cui una compagnia specializzata nei “Viaggi di Giovannino”, hanno permesso alle persone di assistere, partecipare e interagire lungo un percorso espositivo intorno agli spazi esterni dell’oratorio. 2) Con la compagnia e associazione culturale “La Corte della Carta” hanno poi organizzato dei laboratori centrati sulla produzione della carta con tecniche medievali. 3) Infine la “Biblioteca viventi degli artisti” realizzata in primavera dove le famiglie tramite QR Code potevano visionare alcune opere famose, assistere a diverse esibizioni e dialogare poi con il performer. Dopo il Covid e il clima restrittivo imperante, spiega GB, questo evento è stato un incontro commovente non solo per il pubblico ma anche per gli artisti. Alcuni spettatori <<alla fine sono usciti piangendo>>. Chi si è esibito ha potuto spiegare poi cosa significa prendersi cura di un luogo, cosa lo spinge ad attivare la cultura per quel quartiere e perché ha scelto di intraprendere questo tipo di carriera.
Per rispondere a questi quesiti, GB racconta che il suo percorso inizia nell’oratorio del quartiere Taliedo e, dopo una formazione accademica in Ingegneria, decide di seguire il suo cuore e lavorare con e per i bambini. Per lui la cultura è ricchezza indispensabile per poter andare avanti nella vita. La cura del dettaglio che mettono nel loro lavoro, aggiunge, è metafora della cura che hanno verso l’altro. Momo non trova subito le parole per descrivere la ragione che l’hanno avvicinata a questa professione poi ricorda di quando andò a teatro con la scuola a vedere “l’Arlecchino servitore dei due padroni” e di come rimase toccata dal coinvolgimento provato in quel momento; l’idea di poter portare la gente in mondi altri, la percezione che grazie alla leggerezza e al gioco si riesca davvero a stare bene <<Quando ridiamo siamo tutti uguali […] il sorriso è universale e per questo tutti lo capiscono>>. In occasione di “Milano è viva”, bando e progetto culturale dedicato alle periferie di Milano (a cui hanno partecipato importanti compagnie teatrali come ATIR), hanno riproposto un’altra Biblioteca vivente degli artisti più ampia in 4 luoghi significativi del quartiere (scuola media di Merezzate, scuola primaria di Rogoredo, Circolo Arci Mondini) collegati a loro volta ad altri posti storici della zona. Evento questo che aveva come obiettivo anche quello di favorire l’incontro e l’integrazione tra i quartieri della città.
Il desiderio è, infatti, che il quartiere di Rogoredo venga conosciuto nella sua ricchezza di attività, associazioni e collaborazioni. La risposta degli abitanti locali è sempre molto sentita perché lo spirito aggregativo comunitario è molto forte in questa realtà meneghina. Minore è generalmente la partecipazione degli altri quartieri e delle persone proveniente da fuori.
Rispetto agli auspici per il futuro, il primo pensiero va alla compagnia e alla rassegna teatrale che desiderano far (ri)partire dopo un periodo di assestamento, per restituire alle famiglie la possibilità di divertirsi con leggerezza e a loro stessi, la valorizzazione e la dignità verso il lavoro che svolgono. Poi si rivolgono alle aziende come Sky affinché siano più attive e attente verso il quartiere, senza limitarsi allo sfruttamento delle risorse ma si impegnino concretamente (come fecero la Redaelli e l’ingegner Caproni) per una rinascita e una crescita del territorio, a partire dai servizi. Sperano che l’organizzazione delle Olimpiadi invernali coinvolga innanzitutto la comunità e i suoi membri. Si augurano maggiore visibilità e dialogo intorno al quartiere, ma anche che si mantengano vivi un forte senso di appartenenza e una grande voglia di giocare.
“Passo dopo passo insieme” è un’associazione di volontariato che si occupa di accompagnamento educativo attraverso lo studio. Nasce formalmente il 12 Aprile del 2003 a Sesto San Giovanni ma affonda le radici già nel 1999, mentre Michele era impegnato nel Servizio Civile di un doposcuola presso la parrocchia. All’inizio del percorso quest’attività viveva molto una situazione di sudditanza verso la scuola. In un primo step, con il nome “Amici del dopo”, l’Associazione configura le sue caratteristiche: 1) esperienza aperta a tutti, 2) rivolta agli studenti della scuola media e 3) propensa ad affidare l’esperienza a qualcuno che vi si dedichi professionalmente, non solo per volontariato. Nel giro di poco tempo il progetto si evolve e grazie all’incontro con uno psicologo psicoterapeuta che operava nelle carceri, viene affinato il metodo “Studiare bene senza avere voglia” che vuole sfidare l’alibi del non fare: l’orientamento del metodo, in sostanza, non è verso la prevenzione della devianza e si distacca dalla concezione medica dell’educazione per rivolgersi alla promozione del benessere. Un altro elemento peculiare dell’approccio è l’apertura verso tutti indistintamente, facendo sì che le origini e le narrazioni familiari, qualunque esse siano, non diventino stigmatizzanti o castranti per l’evoluzione dei ragazzi. Gli elementi cardine su cui si fonda il lavoro dell’associazione sono:
L’Associazione si evolve poi in “Meglio dopo insieme”, e grazie ad uno sviluppo capillare sul territorio nel 2015 arriva anche a Rogoredo. L'obiettivo rimane quello di accompagnare i ragazzi e le famiglie, con qualità e cura, in un processo di crescita educativa. Vengono aperti anche degli Sportelli di supporto per utenti e volontari. L’associazione si impegna infatti a valorizzare il lavoro svolto dal terzo settore e il ruolo degli operatori: per garantire il tempo e le competenze necessarie all’efficacia del progetto, si cerca di sostenere e tutelare soprattutto le persone che vi si dedicano affinché siano motivate e gratificate.
Il quartiere, spiega Michele, si è da subito caratterizzato per l'altissima presenza di stranieri. Elemento questo che – soprattutto all’inizio – trovava espressione in una marcata separatezza inter-etnica nella partecipazione all’associazione. Pregiudizio da un lato e tendenza all’autoghettizzazione dall’altro.
I ragazzi che ha incontrato lungo il suo percorso hanno manifestato primariamente il bisogno di essere ascoltati e accompagnati. Oltre alla gentilezza e al senso civico però, sottolinea Michele, occorre anche contrastare le deriva dell’individualismo e dell’egocentrismo del nostro tempo. <<Insegnare che le cose belle vanno mantenute>>. Combattere la logica del “tutto è concesso” e ravvivare nei ragazzi la consapevolezza che siamo sempre tutti connessi. Lavorare in gruppo e in grandi spazi comuni è in questo senso una strategia mirata a ridurre la conflittualità e a incentivare la collaborazione.
Il territorio ha bisogno di iniziative locali con un respiro mondiale, sostiene Michele. È importante aiutare i ragazzi ad uscire dalla comfort zone con un atteggiamento di ascolto, rendendoli protagonisti, ripartendo dalle piccole esperienze, alimentando la sinergia tra persone e servizi, impegnandosi nell’alfabetizzazione tecnologica delle nuove generazioni e mostrarsi loro coerenti e affidabili.
La comunità è per Michele un’idea tridimensionale che si poggia su: proattività, riflessività e incontro con l’altro.
Per il futuro si auspica di restare vigile e avere il coraggio di ascoltare i punti di vista esterni, senza perdersi nell’autoreferenzialità e mantenendo sempre viva la voglia di migliorarsi.
Omar ha 22 anni e gestisce un’attività di barberie a Rogoredo, in via Monte Cengio 13. Ci arriva attraverso un percorso non immediato e lineare. Studia meccanica al liceo e dopo il diploma inizia a lavorare nel settore elettro-meccanico ma si accorge presto di non sentirsi appagato e appassionato come vorrebbe. Per un periodo torna a lavorare nell’attività di famiglia, una pizzeria del quartiere. Si descrive come una persona flessibile, con spirito di adattamento e la voglia di sperimentare, fare nuove esperienze. È per questa ragione che decide di buttarsi e realizzare un sogno.
Sei mesi fa apre il suo negozio di parrucchiere - barbiere per uomo, un servizio peraltro assente all’interno del quartiere. Questa passione nasce spontaneamente, quando a casa o al parco osservava i suoi amici tagliarsi i capelli e ne rimase affascinato. Si sta specializzando, con l’esperienza e all’accademia a cui si è iscritto, nello stile americano, caratterizzato da tagli grezzi e nello stile barber francese, con tagli lunghi, codini, sfumature dettagliate e punti luce di precisione. La base di riferimento è sempre lo stile italiano perché << il barbiere italiano è sempre stato simbolo in tutto il mondo di classicità e dettagli>>. Vorrebbe integrare nel suo approccio anche lo stile arabo << Mio papà ha origine marocchine>> spiega, amalgamando così non solo tendenze culturali e internazionali variegate ma valorizzando anche quel bagaglio identitario di duplice appartenenza che lo caratterizza. Mamma italiana e papà marocchino: << Ne ho sempre approfittato, ho cercato di prendere le parti più belle da entrambi i miei genitori >> e aggiunge << Mi ha aiutato molto questa diversità famigliare >>.
Omar racconta di essere profondamente legato al quartiere di Rogoredo, ma di aver sempre vissuto e girato anche nel resto della città costruendosi così, con solarità e socievolezza, una grande rete di amicizie e conoscenze. Intorno a lui percepisce e apprezza il processo di sviluppo ed espansione territoriale affermando << non è più un piccolo paese di periferia>>.
Crede nell’importanza di valorizzare il territorio e di condividere il bello che può offrire: <<Rogoredo ha tutte le caratteristiche per essere un ottimo posto, conosciuto a Milano e famoso a livello regionale. Anche per questo non ho voluto spostarmi >>. Grande, dotato di servizi, trasporti, una rete di commercianti appassionati e aziende importanti come Sky. Secondo Omar occorre migliorare il livello di cura e attenzione verso il quartiere, favorendone uno sviluppo coeso e collettivo: <<Pensavo che Rogoredo vecchia tendesse a nascondersi, invece vedo che man mano si tira su le maniche e ce la sta facendo >> afferma. << Ammiro molto la gente di qui, è davvero forte >>.
Come esempio di dialogo tra tradizione e innovazione, passato e futuro, cita il progetto musicale “20138 Open Barre” di Minu, il quale attraverso l’incontro tra attori diversi del territorio e i loro talenti, si propone di valorizzare l’identità del quartiere e delle periferie in generale.
Per Omar la comunità è un’opportunità di condivisione e di svago; un luogo dove rilassarsi, trovare qualcuno che sappia ascoltare e accogliere la storia degli altri. E sono proprie le storie a riecheggiare ogni giorno tra le mura del suo negozio, soprattutto quelle degli anziani – le memorie storiche del quartiere. Attraverso i loro ricordi può camminare tra le strade del passato, brulicanti di latterie, fruttivendoli e operai delle vecchie acciaierie Redaelli e Montecatini. Le storie tramandano le esperienze di chi vive dietro l’angolo o di chi proviene dall’altra parte del mondo, per migrare o fuggire dalla guerra. << Questa cosa mi affascina molta. È importante il rispetto, comportarsi bene e tutto… ma la vita è anche accumulare. Penso che ciascuno sia portatore di un bagaglio e che sia importante saper attingere dalla ricchezza di ogni persona >>.
Per il futuro della barberia si auspica l’ampliamento del locale o l’apertura anche di altre sedi. Per sé stesso desidera affinare le sue competenze, frequentare nuovi corsi e ritagliarsi maggiore spazio personale per riprendere passioni come l’agonismo sportivo.
Le sonorità brulicanti di sottofondo, che a tratti sovrastano il parlato, sembrano quasi simboleggiare le vivaci intensità - interiori e generazionali - di cui Rebecca si rende testimone.
Rebecca ha 21 anni e vive a Rogoredo dal periodo della prima adolescenza. Quando è arrivata conosceva del luogo perlopiù gli aspetti negativi che la narrativa comune tendeva ad accentuare. All’epoca era appena uscita da una fase difficile della sua vita e, racconta, ha subito incontrato tanti ragazzi della sua età che l’hanno fatta sentire accolta e accettata << L’anno che mi sono trasferita è stato forse il più bello della mia vita>> dice. A Rogoredo ha scoperto una realtà bellissima, sicura << mi trovavo benissimo a qualsiasi orario del giorno e della notte >>, piena di persone gentili, sincere, disponibili e solidali << che ti stanno vicino soprattutto se sei nuovo, per integrarti>>
Le sue passioni più grandi hanno a che fare con il mondo dell’arte, che è per lei uno spazio quasi terapeutico oltre che di svago.
Pratica il ballo dagli anni dell’infanzia, quando giocava con le amiche ed insegnava loro i passi di danza. Lo definisce <<la forma più bella che uno ha per esprimersi>>, per la sua duplice capacità di creare da un lato un contatto con le emozioni negative e dall’altro un modo con cui liberarsene. << Anche se sono triste>> dice << quando mi metto a ballare, attraverso i movimenti riesco a buttare fuori l’energia negativa e a ricaricarmi di un’energia buona>>. Sin da piccola pratica ogni tipo di genere di danza, dal classico al contemporaneo.
Anche il disegno rappresenta per Rebecca una forma di liberazione catartica attraverso cui tradurre le emozioni in immagini.
Ama scrivere, soprattutto le poesie.
Si definisce una persona selettiva, gelosa verso le sue passioni, motivo per cui farebbe fatica a mettersi in mostra, a condividere ed esibire i suoi talenti, che preferisce vivere in maniera privata.
I luoghi di riferimento per i ragazzi della sua età si concentrano principalmente intorno al Parco Trapezio, le panchine dei giardini e la Promenade di Santa Giulia. Il suo luogo del cuore è però il Parco delle Rose: ci va spesso con un’amica nelle belle giornate di sole, con un telo, le carte e gli incensi. <<È un posto dove rilassarsi, buttare giù i pensieri, entrare in contatto con la natura. È proprio risanante>>. Nel quartiere, secondo Rebecca, mancano però degli spazi pensati per i ragazzi e le attività artistico-culturali. Le nuove generazioni fanno fatica a lasciarsi andare, a vivere il momento presente in maniera autentica: tutto è quasi sempre mediato da un telefono e orientato ad uno scopo. << Servirebbe uno spazio per stimolare il lato creativo nei ragazzi e far sì che possano esprimere le loro passioni >>. In passato si era parlato di aprire uno spazio di questo tipo per favorire << l’incontro e la creazione di legami profondi tra i ragazzi >>.
Attraverso l’arte i giovani intorno a lei, dice Rebecca, esprimono sia il loro mondo interiore sia la consapevolezza di ciò che li circonda. Molti nel quartiere scrivono, cantano e producono musica. E nel farlo esprimono anche un pensiero collettivo, <<tutti vediamo tutto>>.
Per il futuro si auspica che il quartiere possa giovare di una meritata rivalutazione e valorizzazione. Da un punto di vista personale, Rebecca ha come grande sogno quello di andare a vivere in Spagna. Uscire dai confini ha un sapore sconfinato, lei desidera viaggiare. << Prendere un van o una casa mobile e girare il mondo. Andare, fermarmi quattro-cinque mesi in un posto, guidare di nuovo e spostarmi ancora >>.
È grande l’amore verso le culture e le lingue del mondo. Nonostante non abbia frequentato un liceo linguistico, parla svariate lingue straniere.
Per Rebecca relazionarsi con la diversità è un’esperienza che aiuta a crescere, a sviluppare idee e rapporti e, fondamentalmente, a stare bene. È un antidoto alla chiusura e alla rigidità delle abitudini.
Alle giovani generazioni augura di sviluppare una progressiva apertura mentale e di emanciparsi dalle logiche soffocanti del lavoro, <<capire che la vita è anche altro>>.
Per lei comunità è quel senso di fratellanza che unisce tutti in una grande famiglia.
Mirella è la parrucchiera del Centro Commerciale da ormai 18 anni, da quando ha trasferito la sua attività qui da Tarantasca, dove aveva lavorato per 20 anni.
In questo quartiere ha anche vissuto fino a 5 anni fa, quando si è sposata e si è spostata poco lontano da quartiere. San Paolo le è sempre piaciuto per la tranquillità, per il verde, per il fatto che sia una piccola realtà dove ci si conosce tutti. Questo quartiere è appagante per i servizi e per il verde e perché è a misura di tutti: gli anziani si sentono anche a loro agio perché tutti si conoscono.
Mirella ha 60 anni e 3 figli, il suo ultimo figlio è cresciuto in negozio perché abitava molto vicino al negozio.
Una delle sue passioni è camminare in montagna, infatti il mercoledì, il suo giorno libero, scappa in montagna per andare a farsi una passeggiata.
Le piacciono molto gli animali: ha due cani, un pastore del Briate e un maremmano, e dei canarini che passano il tempo con lei in negozio.
Le piacciono molto le relazioni con le sue clienti, soprattutto il venerdì mattina che è la giornata abitudinaria delle signore anziane: tra loro si è creato un rapporto di confidenza, sanno tutto di lei e lei di loro.
In generale la sua clientela è molto varia: c’è anche gente nuova che arriva e gente fissa, i clienti cambiano anche in funzione della giornata e della fascia oraria.
Lavorando da ben 18 anni di negozio nel centro commerciale ha visto tutti i cambiamenti della zona: negozi diversi, posti chiusi,.. Il centro commerciale all’inizio era orribile, molto anni ‘70, poi pian piano, anche grazie alla sua insistenza, insieme lo hanno reso migliore cambiando il pavimento, le insegne,.. Le piace anche l’attuale supermercato perché lo trova “a misura di famiglia”: i negozianti si fermano, ti parlano, ti chiedono,...
Per il futuro, quando andrà in pensione, vorrebbe lasciare il negozio alla sua dipendente perché le dispiacerebbe abbandonare le sue clienti che l’hanno sempre seguita in tutti i suoi spostamenti.
Il MerCu è un mercato contadino di produttori locali che si tiene a San Paolo tutti i mercoledì dalle 15:30 alle 18:30. Qui si trovano formaggi, frutta e verdura, pane e trasformati ed è possibile interfacciarsi direttamente con chi li produce per conoscere la filiera nella sua interezza: da dove arriva, come è coltivato, come viene trasformato,... Qui si possono trovare le eccellenze del territorio: la carota di San Rocco, il porro di Cervere.
Il mercato è un ritrovo di tipo familiare che coinvolge soprattutto gli abitanti del quartiere. L’affluenza è altalenante, ma questo è normale perchè segue le stagionalità.
Mario abita a Cerialdo ed è il presidente del Centro Anziani San Paolo di Cuneo. È arrivato qui perché aveva degli amici, conosciuti in quanto vicini di piazzola al campeggio, che avevano invitato lui e sua moglie ad andare a ballare al centro la domenica. Mario non è un grande ballerino e per farlo ballare bisogna insistere parecchio: balla il tango, poca mazurka e il valzer con due bicchieri di barbera, il resto è tabù! Però sua moglie è una ballerina nata, ama danzare e così Mario si è deciso ad andare al centro, poi con la moglie si sono tesserati e infine sono entrati nel direttivo.
Il Centro Anziani di San Paolo è aperto tutti i giorni dalle 14:30 alle 19, grazie al supporto dei volontari: in settimana si può giocare a carte, il venerdì sera cenare insieme e la domenica si balla. Per accedere al centro è necessario fare una tessera che serve per la copertura assicurativa; questa tessera è gratuita per chi ha più di 80 anni, mentre tra i 50 e gli 80 anni è a pagamento. il costo vaia a seconda delle attività e del luogo di residenza: 20 euro per chi viene a giocare a carte, 30 per chi vuole ballare, 40 per chi abita fuori dal Comune di Cuneo.
La domenica con i balli ha da sempre una grande affluenza: un tempo venivano 70 persone, oggi sono 45. Purtroppo il Covid ha cambiato molto le abitudini e aumentato le paure di stare con gli altri, Mario però pensa che il ritrovarsi con la musica abbia un forte potere benefico, rilassa e rende felici e invita tutti a venire a provare.
Anche la pizzata del venerdì sera è molto partecipata perché si apprezza la bellezza di mangiare in compagnia e ritrovarsi: al centro sono iscritte molte vedove che altrimenti mangerebbero sole in casa. Per partecipare è sufficiente dare le adesioni e la quota entro il giovedì sera.
Il Centro si trova in un locale comunale e pertanto gli spazi possono essere richiesti anche per altre attività. Per richiedere gli spazi è sufficiente fare richiesta in Comune e verificare la disponibilità.
Mario ha il volontariato nel suo DNA: infatti prima di essere volontario qui è stato presidente della bocciofila di Cerialdo e guardia ecologica per la provincia. Questo secondo ruolo lo ha svolto, insieme con i suoi amici, per 35 anni sognando di salvare il mondo da un punto di vista ecologico.
Fabrizio ha 58 anni ed fa parte dell’araba fenice edizione, una casa editrice che esiste da più di 30 anni e che è nata a Cuneo nel 1991 da un’intuizione di suo padre che ha deciso di ripubblicare libri importanti dimenticati e da qui il nome di araba fenice, animale che rinasce dalle sue ceneri.
Dopo i primi anni a Cuneo, si sono trasferiti a Boves in un bell’ufficio con magazzino e giardino: in quell’epoca erano lui, suo fratello, suo padre, sua madre e una nuova segretaria in arrivo.
Nel 2020 hanno nuovamente traslocato, tornando a Cuneo, nel quartiere San Paolo, perché avevano bisogno di ritrovare il contatto con le persone, dato che a Boves erano in un posto molto isolato. Hanno utilizzato quello che era lo spazio di una vecchia macelleria, chiusa da diversi anni. Quando hanno aperto La stampa ha fatto un bel passaggio dal nome del negozio precedente “ Sapore della carne” a “sapore della carta”, un passaggio che racchiude molto del loro essere. Il loro modo di vedere il libro è lontano dal digitale. Leggere è come andare in bicicletta, non ci vai perché vai più veloce o più economico, ma perché è bello, fai un’esperienza, fai una strada nuova, percepisci suoni e rumori di cui il tuo corpo ha bisogno. Leggere allo stesso modo permette alle persone di fare un’esperienza, permette di ricordarsi aspetti specifici. Loro vedono la loro presenza fisica su un territorio come connessa a fare libri “fisici” che raccontano quel contesto, questo è il loro valore specifico. Per il quartiere loro si impegnano anche a organizzare eventi culturali sia estivi che invernali con autori non solo loro.
Nei loro 30 anni di vita come casa editrice, hanno cambiato spesso perché “Una casa editrice è un essere vivente, pubblicando libri e incontrando persone ti rendi conto anche che le idee che avevi all’inizio non sono più valide”. Con il tempo hanno lavorato ad esempio per togliere al termine “locale” quella lettura riduttiva, e diffondere i libri anche al di fuori del loro contesto di origine. Sicuramente in questo le piattaforme di vendita online li hanno aiutati molto.
Un altro canale di vendita che privilegiano molto è quello delle bancarelle ai mercatini durante le fiere, in cui sua madre tuttora è ancora molto attiva. Sono presenti in tantissime fiere: la fiera del marrone di Cuneo, la fiera della zucca di Piozzo, la Fiera della robiola di Roccaverano, la fiera del tartufo di Alba, la fiera dell’olio a Imperia, i mercatini a tema di Celle ligure, le fiere dell’antiquariato, della lumaca, del cioccolato e del bio a Cherasco,la Fiera del Libro... Qui c’è sempre un pubblico che ama viaggiare e conoscere le specifiche del territorio e conoscere i loro libri e in più si adatta alla loro idea di libro come esperienza fisica, cartacea: il libro è un oggetto fisico che dà ai lettori il piacere di un’esperienza fisica che vale la pena di essere ricordata anche rispetto al contesto in cui lo si è letto.
Un’altra parte consistente del loro lavoro è la selezione di manoscritti da pubblicare. Ricevono continuamente materiale, grazie al passaparola tra amici e autori e grazie ad internet; ci sono volte che arrivano 30/40 manoscritti in un mese, in parte vengono esclusi perché non sono compatibili con le linee di catalogo, a volte perché i numeri sono troppo alti rispetto alle loro possibilità e devono fare una selezione in base alle priorità. In questa parte del loro lavoro, una cosa che Fabrizio trova bella è il contatto umano: “fare libri è andare a toccare la vita delle persone in modo molto intimo”. Una volta che tu scrivi un libro tu non sei più privato, ti consegni agli altri, quello che dici rimane e finisce nelle biblioteche.
Laura si vede come una maestra di quartiere, ormai è in pensione da un anno, ma ha lavorato qui fin dal 1992, vivendo tutti cambiamenti della scuola e del quartiere.
Quando si è sposata cercava un luogo per vivere che fosse verde e le ricordasse un paese e così è arrivata a San Paolo. All’inizio lavorava fuori, poi, quando sono nati i figli ha scelto di avvicinarsi e così è diventata la maestra della scuola di quartiere. Tanti le dicevano che era una follia lavorare dove viveva e lei stessa aveva le sue paure, poi ha imparato a mettere i giusti limiti con i genitori e, nonostante certamente sia faticoso, pensa anche che sia bellissimo poter vedere i tuoi alunni al di fuori del contesto scolastico.
Quando ha iniziato a lavorare qui la scuola era piccola e molto tradizionale, poi pian piano è cresciuta e ha aumentato i servizi extrascolastici anche sulla base delle nuove esigenze dei genitori. Per arrivare a questo, scuola e genitori hanno collaborato nel richiedere al Comune i servizi e spiegarne l’importanza.
Nel 2008 la scuola ha anche ottenuto l’intitolazione a Lidia Rolfi, donna, insegnante e partigiana; a partire da quell’anno si festeggia celebrando la scuola e la donna a cui è intitolata e raccontando ai bambini la sua storia.
Grazie anche al fatto che il gruppo insegnanti era abbastanza stabile, si sono create relazioni tra le maestre e insieme si sono unite per modificare il modo di insegnare e trasformare il loro plesso in una scuola senza zaino. Questo cambiamento ha richiesto una partecipazione notevole anche da parte dei genitori perché ha modificato molto la strutturazione della scuola. I genitori sono venuti a dare una mano a montare i mobili dell’ikea e predisporre la scuola per accogliere gli alunni a settembre.
La scuola accoglie principalmente famiglie del quartiere, ma anche persone che arrivano da altre zone e che cercano una scuola diversa e immersa nel verde.
Il fatto di essere una scuola di quartiere ha permesso e facilitano le relazioni con altre realtà attive sul territorio: centro MIstral, la casa di riposo del viale degli angeli, la fondazione Peano, … Queste collaborazioni permettono alla scuola di entrare dentro la rete sociale e di supportare i genitori nel conoscere e vivere il quartiere.
Per Laura insegnare è un’esperienza che ti lascia tantissimo: vedere crescere i bambini e poi vederli tornare come genitori, vedere i cambiamenti sociali all’interno delle classi.
Anna Maria è nata a Cuneo nel 1962 e gestisce la merceria da ormai 20 anni, dopo averla rilevata dalla precedente proprietaria. Ha iniziato questo lavoro un po’ per caso: ha rilevato questa merceria da una sua amica che aveva lavanderia e merceria nel centro commerciale, che andando in pensione le ha chiesto aiuto per fare la svendita totale, visto che in quel momento era disoccupata.
Nel ritrovarsi a dare una mano AnnaMaria si è resa conto che questo lavoro le piaceva e le veniva naturale, anche se il lavoro che faceva prima era totalmente differente: gestiva il bar interno dell’Alpitour a San Rocco.
Così, nel 2003, ha deciso di rilevare facendosi insegnare il mestiere dalla precedente gestrice. Dopo i 6 mesi di svendita ovviamente all’inizio è stato difficile perché tutti avevano i capi necessari e non doveva acquistare in merceria, così ha pensato di introdurre anche capi di abbigliamento e man mano ha aumentato e differenziato sempre di più l’offerta.
Oltre alla vendita Anna Maria ha anche il servizio di sartoria e, in inverno, la maglieria.
All’interno del quartiere si è sempre trovata bene; nel tempo ha creato un buon rapporto di fiducia con la clientela; il fatto di essere della zona e di sapere il piemontese l'hanno sicuramente agevolata nell’inserirsi.
Sa che lavorerà ancora per diversi anni prima della pensione, ma le piacerebbe che una volta prossima alla pensione trovasse qualcuno come lei disposto a rilevare l’attività.
La nuova scuola dell’infanzia Fillia è stata inaugurata nel 2021 e ora si trova nel cuore del quartiere San Paolo. Ha ha 4 sezioni (albicocche, mirtilli, lamponi e mele), ognuna con una referente: Stefania, Annalisa, Chiara e Rosy.
Avendo inaugurato questo nuovo edificio durante la pandemia è stato difficile fare eventi e collaborare con realtà esterne, ma quest’anno hanno iniziato ad avviare alcune prime collaborazioni con la biblioteca, con il Comitato di quartiere,...
Il loro desiderio è quello di far crescere sempre di più le relazioni con le realtà esterne.
La giornata tipo a scuola inizia alle 7:30 con il preingresso, poi l’accoglienza in sezione dove, dopo un primo momento di gioco libero, si fa un momento collettivo in cui si vedono il calendario e le presenze e si aspetta la seconda insegnante per iniziare le attività didattiche o in gruppo o divisi per età. Dopo questo momento, è prevista l’uscita sia prima che dopo pranzo. Per chi resta al pomeriggio è previsto un momento di gioco libero e poi per i più piccoli e i mezzani il riposino, mentre per i grandi laboratori per prepararsi all’ingresso in primaria. Alle 15:45 finisce l’attività pomeridiana.
La scuola è fatta di bambini innanzitutto, per questo le insegnanti ci tengono a mettere al centro tutti i bambini. Le sezioni sono miste per età e includono con i bambini con disabilità accompagnati dall’insegnante di sostegno e sempre presenti durante tutte le attività.
La loro metodologia si basa molto sull’utilizzo dei laboratori e sul collaborative learning, insegnando ai bambini a collaborare, a lasciare spazio nel realizzare l’attività. Attraverso attività pratiche e artistiche, realizzate nell’atelier della scuola, includono tutti i campi di esperienza.
Nell’ottica del lavoro collaborativo lavorano con la primaria; per esempio sulle nuove steam, sulla robotica, coding..
Inoltre parte del loro lavoro è indirizzato anche alla scoperta del quartiere in cui vivono, attraverso piccole passeggiate e momenti esplorativi.
Arianna e Francesca sono due maestre della Scuola Lidia Rolfi, scuola nata nel 1978 in un quartiere che all’epoca aveva pochi palazzi e cresciuta nel tempo fino ad ospitare 10 classi, 2 per anno, e circa 200 alunni, oltre che 25 insegnanti e 4 collaboratori scolastici.
L’intitolazione a Lidia Rolfi è avvenuta nel 1997, su decisione delle maestre: l’idea è stata quella di ricordare ai bambini i valori di libertà e l’importanza diritti attraverso una donna forte che è stata sia maestra che partigiana.
La scuola segue il metodo “senza zaino”: tutto il materiale per imparare è a scuola, in caselline dedicate ai bambini. Il metodo si basa su tre principi:
Dopo gli anni del Covid, la scuola si è riaperta al territorio: collaborazioni con Parco Fluviale, Comune, Biblioteca, Fondazione Peano, …
Un’altra peculiarità di questa scuola è il bellissimo giardino che usano moltissimo nel tempo scuola, ma che attraverso il parco giochi è vissuto anche oltre gli orari scolastici.
L’obiettivo della scuola per il futuro è diventare sempre più una comunità in cui grandi e piccoli fanno la loro parte per il bene di tutti.
La storia di Brunella si collega profondamente con quella della cooperativa Emmanuele. Frequentando il corso da assistente sociale ha incontrato persone con cui condivideva il sogno di spendersi sul territorio e così, nel 1985, è nata la cooperativa. La prima iniziativa realizzata è stata la Comunità Educativa Residenziale per accogliere adolescenti con disagi sociali, esperienza ancora oggi in essere.
Brunella è partita come un’operatrice, poi si è occupata di aspetti cooperativi e organizzativi, per spostarsi infine in ambito amministrativo-funzionale, diventando la direttrice della cooperativa. Oggi si prende cura dei soci per farli sentire a casa e spendersi al meglio. Questo le permette di vedere il significato e il senso valoriale del suo lavoro, alleggerendo così la parte burocratica.
La cooperativa è attiva principalmente in quattro ambiti:
L’attuale sede è nel quartiere San Paolo, dove la cooperativa ha avviato un’attività di sviluppo del quartiere: l’essere sul territorio permette di scambiare e costruire relazioni. Questo quartiere è molto vivo e ricco di persone che hanno voglia di spendersi per la comunità.
La cooperativa è capofila del progetto Cuneo Futuro Prossimo, perché crede molto nel creare relazioni, fare rete: non si può fare molto da soli quando si affrontano temi di tipo sociale.
Il suo augurio è che la Cooperativa possa sempre aprirsi a quello che succede attorno nel riconoscimento reciproco e che le molte realtà attive possano condividere i progetti evitando di creare fratture.
Davide abita in quartiere dal 1994 e dal 2003 fa parte dell’ASD OratorioSanPaoloCuneo, nata nel 1996 da un’idea di Valentina e Franco, che opera in tutto il quartiere in collaborazione con la parrocchia organizzando squadre di calcio, pallavolo e tennis tavolo.
Davide ha deciso di entrare a far parte dell’ASD perché ha sempre amato lo sport e ha allenato squadre di pallavolo e, quando suo figlio ha iniziato a frequentare la parrocchia, vista la mancanza di una squadra di pallavolo, ha deciso di dare il suo contributo per crearne una.
L’associazione nel tempo è cresciuta, oggi sono più di 200 tesserati tra adulti e bambini e allenano 7 squadre da calcio dagli under 8 fino alle squadre adulti, 3 squadre di pallavolo di adulti, 1 squadra di tennis tavolo, che ha vinto il campionato provinciale e ha partecipato al nazionale.
Inoltre un’attività che facevano, ma che hanno dovuto interrompere a causa della pandemia e che vorrebbero riprendere a fare, è quella della motoria con i bambini dai 3 ai 6 anni.
Gli allenatori sono tutti volontari e alcuni di loro hanno anche il patentino; ognuno di loro impegna 1 o 2 momenti nella settimana per l’associazione.
Per l’ASD i risultati sul campo non sono la loro priorità, l’obiettivo è quello di far giocare tutti e aiutare anche chi non riesce a pagare la quota di iscrizione permettendo a tutti di partecipare.
In estate non hanno attività, ma usano questo periodo per organizzare il programma dell’anno successivo che poi comunicano attraverso i social (Facebook e Instagram) e con l’affissione di locandine in quartiere.
L’associazione da qualche anno ha anche la gestione dei campi da calcio e da beach volley, che affitta sia a squadre che ad amatori. La vita serale che popola questi campi ha rianimato il quartiere ed è bellissimo vedere tutti questi giovani che si ritrovano la sera.
Simone è nato e cresciuto a Cuneo, nel quartiere, è collaboratore amministrativo in ASL CN1, a Saluzzo; è laureato in Comunicazione pubblica e politica in magistrale e in triennale in Scienze dell’amministrazione e consulenza del lavoro.
A Simone piace lasciare il segno e vedere i frutti di quello che fa, per questo si è impegnato nel Comitato. Se pensa al murales della scuola, ad esempio, vede come un’opera “economica” riesca a cambiare il volto di quartiere; allo stesso modo crede che le persone possano fare la differenza con poco. e questo è quello che fa come presidente del Comitato di Quartiere Cuneo San Paolo, comitato che si occupa di raccogliere istanze e riportarle al Comune e di attivare iniziative per il quartiere.
Il Comitato si ritrova ufficialmente una volta al mese per definire le linee di indirizzo dell’attività da svolgere. Inoltre, almeno una volta all’anno viene organizzata un’assemblea aperta a tutti e, oltre a questo, si stanno cercando di organizzare giornate con esperti e rappresentanti dell’amministrazione su temi cari ai cittadini .
Il Comitato collabora con altre realtà per reperire fondi e attivare progettualità ed è sempre interessato a raccogliere nuove proposte. Inoltre fa da tramite tra amministrazione e cittadini, compito non sempre facile.
Raccoglie problematiche e idee in diversi modi: sul sito, attraverso i canali social, attraverso mail o numero di telefono o ancora attraverso la buca delle lettere..
Tra le tante iniziative realizzate si possono citare: il palio dei quartieri, il mercato contadino, il campo da beach volley, il murales della scuola.
San Paolo è un quartiere periferico, vissuto principalmente la sera, dopo il lavoro; Questo fa sì che sia complesso far vivere il quartiere tutto l’anno tutti i giorni. Sicuramente è reso vivo dalle due scuole e dalla forte presenza di verde. Il comitato si sta impegnando per attivare patti di collaborazione tra Comune e cittadini per mantenerlo.
Don Dario ha 37 anni, è prete da 11 anni e parroco della Parrocchia di San Paolo da 4.
È appassionato di montagna e sport all’aperto; non gli piace stare seduto sulla poltrona o sul divano.
Dopo la maturità, come tutti a quell’età, si sentiva disorientato ed era indeciso su cosa fare da grande: tra le tante idee, c’erano quella di fare l’insegnante di filosofia e storia, che sono due sue passioni, e quella di fare il prete. Così ha deciso di provare a fare il prete e, con l’esperienza del Seminario Maggiore a Fossano e con i tirocini, ha capito che era felice.
Nel 2012 è stato mandato a Boves, dove è rimasto per 8 anni. Nel 2019 è stato trasferito a San Paolo. Subito non ha preso molto bene la notizia perché i cambiamenti sono difficili da affrontare anche per i parroci: la paura della novità, l’incognito del posto in cui si va,...
A distanza di tempo, dopo il disorientamento iniziale e nella consapevolezza che i trasferimenti fanno parte della vita di un parroco, è molto contento e qui si sente a casa.
Appena arrivato si occupava solo delle attività connesse ai ragazzi, ma ora, come unico parroco, si occupa di tutto. Il suo inizio è stato difficile: ha dovuto farsi conoscere dai giovani e lavorare con loro in piena pandemia. Tuttavia Don Dario non si arrende e le cose le porta avanti lo stesso perché pensa che sia sempre meglio poco che niente.
Quello che cerca di fare qui è lavorare per preparare il terreno al fatto che non è detto che ci sarà sempre lui, ma potrà sempre rimanere una parrocchia: tutta la comunità è utile per farla funzionare e nessuno è indispensabile. In questo quartiere c’è la voglia di lavorare insieme salvaguardando l’identità di ognuno e collaborare ognuno con le sue qualità, visioni e competenze per la vita del quartiere in armonia tra le diversità.
Continuare a conoscersi e lavorare assieme tra diverse realtà aiuta a innescare meccanismi virtuosi ed è fondamentale perchè siamo una società che ha bisogno di tanti punti di riferimento: il campanile non basta perché non vale per tutti e non ci sarebbe spazio per altri.
La parrocchia è ricca di servizi (doposcuola, oratorio, estate ragazzi, caritas, servizi per famiglie), che sono aperti a tutti a prescindere dal proprio credo, perché chi deve essere accolto è la persona.
Andrea a San Paolo ci è nato, qui è conosciuto come Orix. Alle superiori ha studiato come elettricista all’ITIS, professione che potrebbe forse essere un campo per il suo futuro. Ora frequenta scienze motorie a Cuneo. Gioca a Calcio da quando aveva tre anni, è arrivato a giocare in promozione con il Busca. Ha pensato di farne la sua carriera, ma poi si è rotto il crociato: così ha pensato di cambiare i suoi progetti e provare ad insegnare sport. Al momento è un allenatore volontario al San Paolo alla città sportiva, una bella esperienza di crescita che gli sta insegnando a relazionarsi con le persone e soprattutto con i bambini.
Il tempo libero lo trascorre con gli amici, ascoltando tantissima musica e praticando molto sport.
Studiando a Cuneo, riesce a gestire bene la sua giornata, andando a lezione al mattino, studiando al pomeriggio e poi uscendo la sera nel quartiere. Il tempo che preferisce durante la giornata è il tardo pomeriggio perché è rilassante e non ci sono tante persone in giro.
Ama il suo quartiere per la tranquillità, il silenzio e perché ha tutti i servizi necessari; sogna di continuare a viverci fino alla pensione, quando con i suoi amici di ora, si immagina di vivere una seconda gioventù.
I fulcri principali del quartiere sono la parrocchia per i giovani e la zona del Centro e dei giardinetti per i bambini, perché sono vicini alla scuola. Lui ama anche il “ragno”, dove si sente a casa e trascorre la maggior parte del suo tempo libero.
Il quartiere ha dei bei momenti di Comunità come le cene in parrocchia dove si incontrano tante persone di età differenti e i giovani hanno l’occasione per farsi vedere e conoscere dagli adulti.
A San Paolo c’è anche stato un evento molto bello di festa per la Comunità, ovvero il Palio dei quartieri: i tornei si tenevano nella struttura sportiva di San Paolo, dalla scuola c’erano i concerti e si dava da mangiare. Ogni anno il Palio cambia quartiere per animare tutta la città, ma lui spera che torni presto a San Paolo.
Eleonora ha 26 anni e vive nel quartiere da quando è nata. Lei e suo marito hanno scelto di rimanere nel quartiere, dove sono cresciuti e si sono conosciuti, a 15 anni.
Si sente molto legata alla Parrocchia, dove ha conosciuto la maggior parte dei suoi amici e suo marito e dove ha potuto praticare tanto il canto che è una delle sue più grandi passioni. Inoltre ha fatto il liceo musicale e studiato canto in una scuola privata. Oltre a questo ha studiato pianoforte e imparato in autonomia a suonare la chitarra.
Altra sua grande passione è il cucito, in particolar modo le piace creare abbigliamento e accessori per bambini. Recentemente sta imparando anche a fare a maglia e all'uncinetto e a ricamare.
Infine le piace molto la fotografia che coltiva a livello amatoriale portando con sé la macchina fotografica alle feste degli amici.
Attualmente Eleonora studia scienze dell’educazione per lavorare con i bambini da 0 a 3 anni.
Sente un forte desiderio di partecipare alla vita del quartiere, infatti fa anche parte del gruppo di volontari della biblioteca e ha sempre fatto animazione in parrocchia. Inoltre da un’anno a questa parte lei e suo marito si sono impegnati per ricreare in parrocchia un gruppo famiglie, che può diventare un gruppo di sostegno e supporto tra genitori.
Ora aspetta un bambino/a ed è felicissima che possa vivere i primi anni in questo quartiere. Eleonora ne vede tutti i pregi come futura mamma: ci sono sia la scuola dell’infanzia che le elementari, è ricco di spazi verdi e posti per fare passeggiate, ha tanti parchi giochi.
Una cosa che spera di portare avanti nel quartiere è l’accoglienza verso tutti. Quand’era piccola ha faticato ad entrare in una comunità non avendo il terreno preparato dai suoi genitori, quindi spera che il quartiere possa essere accogliente e che non muoia su se stesso con le persone che invecchiano, senza ricambio generazionale.
Marco ha 23 anni, è nato a Cuneo, nel quartiere San Paolo: il quartiere, la città e il Comune sono casa sua. Qui ha imparato a fare i primi passi nelle relazioni e nello sport e qui è andato a scuola fino al terzo anno di università. Ha studiato al liceo scientifico e poi si è iscritto a Giurisprudenza, perché le materie umanistiche gli sono affini e perché, fin dalle medie, sogna di diventare avvocato. Ora frequenta la magistrale a Torino, dove sta anche vivendo. Sebbene gli manchino alcune cose della vita in quartiere, come il venerdì dei giovanissimi o il dedicare tempo all’estate ragazzi, pensa anche che sia importante cambiare città, scoprire un ambiente diverso perché porta a crescere e imparare ad autogestirsi. Una cosa che comunque è riuscito a mantenere è l’andare a messa al sabato pomeriggio al San Paolo, dove ormai è conosciuto da tutti come il lettore della prima e della seconda lettura.
Gli piace mettersi a servizio degli altri, in famiglia, in parrocchia, nel quartiere e in senso politico e gli fa piacere quando le sue qualità nel farlo sono riconosciute e apprezzate. In Parrocchia, oltre a giocare come portiere nella squadra, ha fatto il chierichetto, ha frequentato l’Estate ragazzi e i campeggi sia come animato che come animatore, esperienza che gli ha insegnato la bellezza del creare relazioni e di prendersi la responsabilità.
Due sue grandi hobby sono la scrittura e la lettura che ha messo insieme scrivendo un libro che si intitola Bella Italia e che racchiude la sua visione autobiografica e politica costituzionale apartitica. La politica per lui è competenza, conoscenza, comunità, ma anche analisi dei problemi umani. Nel sottotitolo recita per far rinascere un amor di patria puro, concreto e democratico. Se dovesse rileggere queste tre parole in qualcosa che vede nel suo quartiere potrebbe farlo ad esempio nella parrocchia: programmare l’estate ragazzi al meglio sfruttando la competenza di ognuno in ogni singola parte. La purezza deve esserci nel rapporto tra animatori che deve essere bello e trasparente; la concretezza nel progettare le attività e la democrazia nel lasciare spazio di espressione a tutti gli animatori, creando una discussione proficua senza rapporti di forza. Capire che tutto ciò che si può fare è volto agli altri e che le nostre azioni ricadono su tre livelli (su noi stessi, sugli altri e sul contesto in cui agiamo) questa, per lui, è politica.
Francesco ha 19 anni ed è nato e cresciuto nel quartiere San Paolo.
La sua passione è lo sport, perché gli dà la sensazione di libertà e passione: lo segue e gioca a calcio.
Per definirsi userebbe questi tre aggettivi appassionato, curioso e simpatico, anche se il suo umorismo non è apprezzato da tutti.
L’obiettivo che si è imposto è quello di cercare di far star bene gli altri: tutti meritano di stare bene, ma non tutti lo sanno fare da soli. Anche per questo ha deciso di cambiare scuola superiori e oggi frequenta le magistrali: la psicologia lo appassiona e, avendo avuto bisogno di uno psicologo, ha capito l’importanza di aiutare gli altri a stare bene.
Nel futuro gli piacerebbe fare una professione in cui aiutare gli altri: lo psicologo, l’infermiere o anche il professore, per insegnare ai ragazzi come avrebbe voluto che insegnassero a lui.
Nel quartiere, che vive come casa e spazio di incontro con gli amici, si sente molto inserito nella parrocchia, dove, da 14 anni, gioca nella squadra di calcio e, da 4/5 anni, è animatore.
Il quartiere gli ha insegnato la relazione con gli altri e con culture diverse e si ritiene fortunato di quello che ha appreso vivendo qui, ovvero la consapevolezza di essere parte di un qualcosa di più grande.
L’augurio che fa al San Paolo è quello di crescere in persone e relazioni e non come palazzi; vorrebbe che nascesse un luogo di incontro come la casa del quartiere Donatello, dove lui ha avuto la fortuna di lavorare facendo l’alternanza scuola lavoro. Si augura inoltre che le persone del quartiere si mettano in gioco senza aver paura di ciò a cui si va incontro, e godano del quartiere.
Una cosa da mantenere sono le iniziative che aiutano a costruire relazioni e a dare la possibilità di giochi e attività di relazione ai bambini e ai giovani.
Nel suo futuro immagina che si sposterà per studiare all’università: il sogno nel cassetto è di studiare e lavorare all’estero, magari in Nord Europa, perché se ne è innamorato grazie ai suoi genitori. Sogna di girare il mondo il più possibile: Asia, Africa, America e Europa e conoscere tante culture. Spera di innamorarsi di una persona al di fuori del suo quartiere che lo faccia stare bene e di trovare qualcosa che lo faccia innamorare di sé stesso e gli faccia trovare il senso delle sue azioni e scelte.
Un altro sogno nel cassetto che custodisce con un suo amico è quello di mettere da parte i soldi per tornare e aprire un’attività, magari legata alla ristorazione, nel quartiere che possa permettere ai giovani di avere uno spazio e anche dare lavoro alle persone del quartiere.
Gianfranco, originario di Torino, abita a Cervasca da circa 20 anni; a Cuneo ha conosciuto Don Gianni che lo ha coinvolto nell’attività della Caritas del quartiere.
Le attività della Caritas sono differenti: sostegno scolastico e alle famiglie, distribuzione viveri, centro di ascolto, doposcuola,...
Il centro di ascolto, attivo dal 2002 due giorni alla settimana, si occupa di affiancare e orientare le famiglie verso i servizi offerti. Anche il doposcuola permette di raggiungere le famiglie in difficoltà e avere un quadro più completo dei problemi.
Grazie al “medico in ascolto”, tutti i giorni è presente un medico per ascoltare i problemi delle persone e aiutarle a capire ricette, prescrizioni, esami, ..
A settembre si aprirà anche una piccola bottega solidale: verrà consegnata alle famiglie una tessera a punti, caricata in base alla situazione economica, con cui potranno prendere i viveri che desiderano.
Le iniziative della Caritas sono sostenute grazie all’iniziativa “Famiglia aiuta famiglia”, grazie alla quale chi lo desidera si impegna a contribuire mensilmente.
Tutti i servizi sono svolti da volontari, ingaggiati attraverso avvisi durante le funzioni religiose, articoli sul bollettino parrocchiale e su La Guida,..
Il quartiere è molto attivo e partecipativo, ma è scarso il coinvolgimento dei giovani. Tre anni fa, hanno creato “la bellezza salverà il mondo”, una proposta dei giovani per i giovani, ma, quando il gruppo coinvolto è andato all’università, è mancato il ricambio.
Gianfranco pensa che i piccoli gesti che vengono fatti in parrocchia fanno la differenza: dato il contesto vivo e molto disponibile e solidale, lavorando di più in rete tra servizi si possono sviluppare iniziative diverse e coinvolgenti per tutti, specialmente per i giovani.
Francesca ha 34 anni e vive al San Paolo da quando ha 4 anni, tolta una piccola pausa subito dopo il matrimonio, in cui hanno vissuto a San Rocco, ma hanno comunque mantenuto i contatti e la vita di quartiere a San Paolo. La scelta di tornare a vivere nel quartiere come genitori è stata legata alla presenza di zone verdi, parco giochi, spazi in cui non passano le macchine in cui poter andare in bici e alla comodità della vicinanza delle scuole. I suoi figli hanno conosciuto a scuola le persone con cui stanno crescendo insieme nel quartiere e anche tra le mamme si è creata un’importante rete di aiuto.
Lavora come segretaria di un promotore finanziario, è sposata da 10 anni ed è mamma di 3 gemelli che adesso hanno sei anni.
Nonostante il suo lavoro più tecnico, ha molte passioni artistiche. In primis, lo yoga che fa da quando aveva 19 anni e che l’ha aiutata ad uscire da un periodo difficile. Uno dei suoi sogni è quello di poter insegnare lo yoga per i bambini perché ha visto che con i suoi figli è stato utile.
Un’altra sua passione è la scrittura, che la aiuta a elaborare cose personali, anche tramite fiabe e racconti.
Mentre era incinta ha deciso di elaborare un trauma personale attraverso una storia,che ha pubblicato con una casa editrice, grazie al consiglio della sua più cara amica. Questa sua passione l’ha trasmessa molto anche ai suoi figli.
Secondo Francesca, quello che fa vivere il quartiere è la Parrocchia; un’attività che lei continua a svolgere in parrocchia e che ha mantenuto nonostante tutto è quella di cantare nel coro.
Nel quartiere si sono stati già fatti tanti sforzi per migliorare il quartiere, sarebbe bello che le cose che si stanno facendo durassero nel tempo.
Inoltre le piacerebbe che fossero organizzati eventi per le famiglie in collaborazione tra Parrocchia e Comitato perché siano più inclusive possibile.
Sabrina è originaria di Boves, ha 40 anni e vive nel quartiere da circa 17 anni; è mamma di due bambine. Nonostante il suo diploma magistrale, ha scelto di fare un lavoro diverso per la paura di relazionarsi con gli altri. Lavora nel bar del Centro, vero e proprio luogo di aggregazione e incontro per il quartiere; questo lavoro l’ha spronata comunque a entrare in contatto con gli altri.
Sabrina non ha vissuto solo a Cuneo, ma è stata a Nizza con sua madre, dopo la separazione dei suoi genitori e poi da giovane in Spagna, a Madrid, dove si è trasferita per la voglia di scoprire altri mondi e altre culture. Ha anche una grande passione per i viaggi, che cerca di proseguire anche con le bambine anche se è più complicato organizzarsi.
Di San Paolo le piace il fatto che sia come vivere in campagna e in città allo stesso tempo e apprezza la ricchezza di servizi
Il fatto di essere mamma l’ha portata a vivere maggiormente il quartiere, cercando di partecipare a quante più iniziative possibili per far parte della comunità, conoscersi, relazionarsi con tutti.
Diletta fa le elementari nel quartiere, ha tante difficoltà per via della dislessia e della disortografia, ma la scuola è buona.
Con sua figlia Diletta condivide la passione per la lettura e per le passeggiate e nel quartiere ci sono tante possibilità di passeggiate: il fluviale, il Viale, ecc.
Le sue passioni sono manuali: fa a maglia, lavora con la terra. Le serve per essere in pace con se stessa e creare. Ha imparato a fare a maglia da una suora che l’ha aiutata in un percorso di vita e così si è resa conto che lavorando con le mani tutti i problemi se ne vanno via, è una medicina per l’anima; questo lo vuole trasmettere ai suoi figli.
Katia ha 46 anni, vive a San Paolo da 12 anni e fa la volontaria in biblioteca da un paio di anni, di lavoro è un'assistente sociale che lavora nel penale con gli adulti.
Quando si sono trasferiti, si sono subito inseriti facilmente nel quartiere perché la comunità è meravigliosa, giovane e accogliente. San Paolo è ricco per il verde, per la biblioteca e per le persone. Casa loro è sempre stata aperta agli altri, ma qui hanno incontrato un quartiere aperto ed è bellissimo.
Per Katia le relazioni sono tutto, la fanno stare bene. Impegnarsi per la comunità, sia per lei che per suo marito è un modo per ringraziare dell’accoglienza e del supporto ricevuti. Suo marito ad esempio è diventato allenatore della squadra di calcio della parrocchia dove giocava Davide, loro figlio. Alcuni dei ragazzi allenati oggi frequentano il suo bar e sono amici di Davide; due di loro hanno addirittura lavorato a chiamata per il bar. Katia trova che sia bello vederli crescere e diventare adulti insieme e nel quartiere. Anche il fatto di vedere che Davide si impegna nel sociale li rende molto orgogliosi.
Quando suo figlio ha iniziato ad essere grande, le è venuta voglia di dedicare parte del suo tempo libero al volontariato nel quartiere e ha pensato di farlo in biblioteca perché ama leggere da quando era bambina e andava nella biblioteca del Comune di Centallo. La passione per la lettura l’ha sicuramente trasmessa a Davide: appena arrivati qui, andavano insieme in biblioteca. Per suo figlio i libri sono diventati tempo per stare con mamma e papà, prima facendoseli leggere e poi mettendosi a leggere i suoi libri con loro la sera.
Il suo essere volontaria in biblioteca le piace perché continua a conoscere persone, perché le sembra di tornare un po’ bambina e perché rivive la bellezza di accompagnare dei bambini nella scoperta della lettura. Il fatto di passare ore in biblioteca la porta a vedere tutte le situazioni quelle rosee e quelle meno rosee. Attraverso il suo lavoro ha provato a agganciare i genitori e provare a dare supporto anche a quelle situazioni difficili.
Sono tanti i ricordi che custodisce: quello di una ragazzina così appassionata da portare anche le sue amiche in biblioteca, quello di suo nipote che viene il venerdì a trovarla per farsi leggere dei libri,...
Un’iniziativa che trova molto bella è quella degli ambasciatori di storie, ragazzi delle superiori che per l’alternanza scuola lavoro vengono nei giardini vicino alle biblioteche e leggono libri per i bambini con la tecnica della lettura espressiva.
Katia vuole continuare a imparare e formarsi sulla lettura, per questo ha anche fatto la tessera 14-18 e prende in prestito dei libri ogni tanto: è importante leggere che cosa si consiglia.
Dato il suo lavoro molto serio, avere dei momenti così di gioia pura è molto importante e arricchente per lei.
Per il futuro del quartiere Katia si augura che la biblioteca possa essere spostata al piano terra dove la biblioteca può farsi conoscere di più e il quartiere può entrare più facilmente.
Anna è un’insegnante in pensione, vive a San Paolo dal 1981 e dallo stesso anno ha iniziato a fare la volontaria in biblioteca. Ama il quartiere con le sue case, le sue piante e i ricordi.
La sede attuale è dal centro commerciale, al primo piano. è aperta lunedì, martedì, giovedì e venerdì dalle 16:00 alle 19:00. Si possono prendere in prestito fino a 4 libri al massimo per un mese.
Ad Anna piacerebbe che la biblioteca si spostasse al piano terra per avere più spazio ed essere più visibili, ma comunque anche così come è una perla nel quartiere.
A volte aprono anche la mattina, perché le insegnanti vengono con la classe: è bello vedere i ragazzi prendere i libri, vivere gli spazi, fare domande.
La frequentazione è cambiata molto: i ragazzi delle medie hanno iniziato a non venire quasi più, chi viene adesso a prendere i libri sono i piccoli e quelli dei primi anni delle elementari.
Ha tanti bei ricordi legati alla biblioteca: una mamma che era stata una sua alunna e che era venuta in biblioteca con la bimba, le bambine che vengono di corsa e sanno già che cosa prendere e che raccontano loro tante cose anche al di là dei libri, …
L’augurio per il futuro è che sempre più bambini e ragazzi vengano in biblioteca, perché la lettura fa ragionare e ci fa aprire a quello che vediamo attorno.
Franco é un insegnante in pensione ed è un volontario di Libera da diversi anni, un’associazione, nata più di 28 anni fa da un’idea di Don Luigi Ciotti, che si occupa del contrasto della criminalità organizzata.
Il presidio di Libera Cuneo esiste dai primi anni 2000; anzi un tempo i presidi erano due, di cui uno composto esclusivamente da giovani, mentre oggi si sono unificati. La mafia al nord è “sommersa”, nascosta nella corruzione, negli appalti truccati, tra le imprese costrette a cadere sotto influenza mafiosa perché non ce la fanno ad andare avanti economicamente, … Per questo è importante portare avanti attività di informazione e sensibilizzazione, come quelle che Libera fa nelle scuole.
Dopo lo stop dovuto alla pandemia, l’attività è ripresa ed è stato organizzato un evento chiamato “Libera lo sport”, invitando atleti e giornalisti sportivi a raccontare le loro esperienze per trasmettere una visione dello sport come momento di riscatto, come una sfida, proprio come quelle che ci accadono nella vita quotidiana. In generale l’idea è quella di far conoscere agli adolescenti modelli di vita positivi da cui prendere esempio e informarli, stimolandoli a divenire parte attiva.
Altro progetto è DigitaLibera nato con la pandemia per rispondere ai problemi in cui si sono trovate diverse famiglie con la DAD, perché non potevano permettersi l’acquisto di materiale informatico. Il materiale informatico, recuperato da aziende e privati, viene sistemato e donato gratuitamente a chi ne ha bisogno. L'iniziativa è cresciuta grazie al contributo di CRC e ha visto anche alcuni studenti dell’ITIS coinvolti attivamente. L’impegno richiesto per questa attività è di 2 ore/settimana e sono sempre utili nuovi volontari.
In generale, Libera ha sempre bisogno di volontari per tutte le sue attività: coniugare le proprie competenze, i propri interessi e le proprie passioni con il volontariato è una bella esperienza.
Attilia arriva a Rogoredo a 8 anni dalla provincia di Bergamo quando il padre entra a lavorare nell’acciaieria Redaelli.
La sua idea di comunità è, dice, quasi campagnola nella sua semplicità. Del passato ricorda quando teneva fuori dalla porta un merlo indiano che fischiava la cucaracha, in via Monte Cengio, e i bambini passavano a trovarla. Professionalmente si è occupata di mole per la lavorazione del ferro e la lucidazione del marmo: la passione per il settore edile le è stato tramandato dal padre e a sua volta lo ha passato ai suoi figli.
Nei settant’anni vissuti nel quartiere ha assistito a molte trasformazioni, come la costruzione di nuovi complessi abitativi (Merezzate tra i più recenti) e la nascita di Santa Giulia (che ha raddoppiato e modificato la composizione della popolazione), ma anche il perdurare di strutture quali la parrocchia, l’Auser, i campi sportivi e il Circolo Arci Mondini. Tra le esigenze emergenti, Attilia individua la mancanza di un presidio dei vigili urbani e della polizia legati al tema della sicurezza; la riqualificazione di spazi e centri sportivi esistenti, una RSA più grande, un poliambulatorio e soprattutto servizi e luoghi di aggregazione per gli anziani e i giovani.
La parrocchia e le attività culturali che organizza sono un punto di riferimento prezioso per la comunità (soprattutto per le fasce più fragili della popolazione), che si caratterizza per una grande unione e solidarietà tra le persone, così come di un’atmosfera da piccolo paese.
La variabile della multiculturalità è sentita e, secondo Attilia, si esprime in dinamiche di separatezza e incomunicabilità tra stranieri e rogoredesi.
Per il futuro ribadisce l’importanza di aprire un centro civico e di aggregazione, guardando sempre di più ai bisogni della comunità.
Alexandra è arrivata a Cuneo, proprio nel quartiere San Paolo. Prima di trasferirsi era già stata più volte nella Provincia, più nello specifico, al Santuario di Sant’Anna di Vinadio. In uno di questi viaggi in Piemonte ha conosciuto Filippo; per un certo periodo sono rimasti insieme a distanza e Alexandra ha finito gli studi in Romania. Poi hanno deciso di trovare il modo per stare insieme e così lei si è trasferita a Cuneo, nel 2012 si sono sposati e nel 2019 hanno avuto una bimba, Cecilia.
Appena arrivata si è iscritta al corso di Mediazione Interculturale, studi che approfondito successivamente con un master. Dopo la formazione ha subito iniziato a lavorare in questo ambito e così ha costruito relazioni. Dopo alcuni anni ed esperienze diverse, con altri colleghi, ha deciso di costruire l’associazione, che ha tra gli obiettivi il riconoscimento della figura dei mediatori, perché non esiste una normativa in merito in Italia. Hanno stabilito dei pilastri che secondo loro questa figura deve avere: essere una persona straniera, che, nel proprio paese di origine ha fatto studi almeno superiori e avere un percorso migratorio alle spalle. Questo secondo aspetto è molto importante perché, in questo modo, un mediatore ha vissuto in prima persona situazioni quali la richiesta dei documenti, la necessità di inserirsi nel contesto,...
Attualmente lavorano nelle scuole, negli ospedali e al .Meet del Comune di Cuneo; in questo polo ora vorrebbero anche fare alcune attività “con” gli stranieri e non solo per gli stranieri o per dare loro i documenti.
In alcuni casi sono stati coinvolti direttamente all’interno di progetti, come ad esempio con l'istituto di Centallo e Villafalletto con cui hanno organizzato serate a scuola con le tematiche dei Paesi più presenti e poi hanno fatto la biblioteca in diverse lingue. .
Nel quartiere si trova bene ed è stata ben accolta da subito; ha avuto la fortuna di avere dei vicini molto gentili. Nonostante questo ha provato anche grande spaesamento: ha cambiato Paese, modalità di vita, cultura,... Per esempio è passata dallo stare in collegio con amici al vivere in un appartamento da sola in una città diversa ed è arrivata dal Cairo a Cuneo, dove le faceva effetto che la sera alle 19:30 era tutto chiuso.
Franca abita nel quartiere San Paolo con i suoi figli dal 1995; è arrivata qui che i suoi figli erano adolescenti, oggi sua figlia vive all’estero e suo figlio è appena tornato ad abitare in quartiere dopo aver vissuto in altre zone.
Il quartiere lo hanno scelto perché ne hanno apprezzato fin da subito gli spazi, il verde e il fatto che trasudi libertà. Prima abitavano in centro, dove c’erano sicuramente più servizi, ma anche più traffico e meno verde. La parrocchia è stata un altro punto a favore del trasferimento. La scelta di questo quartiere non è stata un caso, ma una complessiva valutazione delle possibilità di una vita alternativa anche per i mezzi di trasporto: qui la mobilità sostenibile è incentivata, perché si può andare in bicicletta, raggiungere spazi verdi a piedi,.. Inoltre è una zona sicura, in qualche modo protetta.
Inoltre da un anno sono anche zona 30: Franca spera che i coincittadini sappiano apprezzare questo cambiamento.
Questo quartiere ti attrae, ci si riconosce tra gli abitanti, “ Sono del San Paolo” è una cosa che ci piace tanto dire.
Franca sente l’emozione di vivere il quartiere nella zona del Centro, con i giardini pieni di bambini che giocano, gridano, si confondono con il verde e con i giochi che ci sono, questo è uno spaccato di futuro. I bambini sono liberi di vivere e fare esperienze, con i genitori e i nonni che li guardano a distanza. Le piace che ci sia la biblioteca che crea comunità e dà offerta culturale.
La zona di Piazza Biancani è una parte del quartiere più recente, è un piccolo gioiello perché è sempre curatissima, c’è tanto verde e la pavimentazione ha le luci che rappresentano l’orsa maggiore e minore. La piazza è molto riservata e protetta e molto frequentata dai bambini. Inoltre la piazza si anima il mercoledì pomeriggio perché c’è mercu il mercato a km 0.
Un lato di Piazza Biancani è su via momigliano dove si è trasferita l'araba fenice che da Borso si è trasferita a San Paolo. Con loro il quartiere fa diversi incontri al mercoledì sera. è una grossa ricchezza questa realtà per il quartiere.
Il suo hobby preferito è andare in bicicletta, fa anche parte di un’associazione di amici dell’ambiente e della bicicletta.
Dal punto di vista professionale, Franca ha lavorato 40 anni nel mondo della scuola, ambiente splendido che ti permette di crescere. Lavorava nella struttura amministrativa della scuola, poi è stata in provveditorato, ha lavorato nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola, poi è tornata a Cuneo. Poi ha avuto un incarico come amministratore di questa città, anche qui si è dedicata al settore della scuola in modo particolare. Lo scorso anno ha concluso quest’esperienza e così ha deciso di mettere a servizio le sue competenze per il quartiere e adesso fa parte del comitato di Quartiere San Paolo.
Il suo augurio per il futuro è che i bambini facciano la loro strada, ma non dimentichino il quartiere.
Nicola è co-titolare del Caffé Pizzeria Centro, il cui nome nasce dalla sua posizione centrale per il quartiere San Paolo. Qui infatti si trovano i principali servizi: un centro commerciale che ospita farmacia, tabaccaio, parrucchiere, supermercato,...
Lui e altri due soci hanno rilevato il bar nel 2015, quando Nicola frequentava il quartiere perché suo figlio andava a giocare con gli amici nei giardinetti di fianco al bar. Così hanno scoperto che i precedenti gestori volevano vendere e hanno deciso di rilevare l’attività e iniziare questa avventura. Oggi sono solamente in due soci e entrambi lavorano in altri ambiti per cui per la gestione del bar hanno assunto alcuni dipendenti. Oltre a questo, in estate, cercano di dare lavoro ai ragazzi del quartiere con dei contratti per la stagione estiva.
Il loro bar si rivolge prioritariamente agli abitanti del quartiere e soprattutto alle famiglie.
Come attività hanno deciso di collaborare con le altre realtà del territorio. Ad esempio con la biblioteca di quartiere organizzano delle letture nei giardinetti in cui loro mettono a disposizione buoni per il bar.
Inoltre, hanno collaborato con il Comitato di quartiere, di cui Nicola in passato ha anche fatto parte, per feste e cene, nonché per il Palio di San Michele.
Collaborano anche con la Cooperativa Emmanuele, anche solo per aiutare nella comunicazione e promozione dei progetti e con gli estate ragazzi di zona, a cui forniscono il pasto per i ragazzi.
Oltre a questo sono a disposizione per ospitare feste di compleanno e si impegnano ad organizzare serate a tema per il quartiere (baby dancing, karaoke, ..), letture/presentazioni di libri, convegni,...
Per contribuire alla sicurezza e alla vivacità del quartiere hanno deciso di prolungare l’orario di apertura fino a mezzanotte e spera di poter mantenere nel tempo la decisione presa.
Inoltre Nicola auspica una maggiore presenza di attività organizzate dal Comune a San Paolo.
Marcella è sposata con Carlo Amerio e si sono trasferiti al San Paolo nel 1988, che li ha accolti nella sua bellezza: natura, spazi aperti, comunità accogliente.
Come coppia hanno un’esperienza di affido e due figli naturali: la loro giovinezza cresciuta su ideali di solidarietà, apertura, condivisione e cura reciproca li ha portati ad individuare nel loro essere famiglia una risorsa per l’esterno. Quando sono diventati famiglia affidataria, hanno cercato altri che, come loro, stessero facendo questo percorso e così hanno scoperto l’ANFAA, associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, fondata nel 1962 a livello nazionale e a Cuneo nel 1981.
Sono diverse le attività che l’ANFAA svolge: dai convegni per operatori, insegnanti su temi quali i diritti per l’infanzia, a rassegne cinematografiche,...
All’interno della loro sede hanno anche una biblioteca con libri e film relativi ad affido, volontariato, solidarietà, adozione sia per adulti che per bambini.
Il sogno dell’ANFAA è quello di garantire una famiglia serena ogni bambino, sembra un diritto acquisito, ma purtroppo basta poco per non garantirlo. Tuttavia dando piccole cose, si permette al bambino di ricomporre la propria esperienza emotiva. La voglia di garantire la nostalgia di climi di benessere e di orizzonti di vita più belli e più felici per i bambini e per chi gli sta vicino è la spinta che li fa andare avanti. Se gli “ultimi” stanno bene, stanno bene anche tutti gli altri e questo ci può restituire un’umanità più bella e più felice. In questo senso la segnalazione è un dovere civico: non è la denuncia, ma è far pervenire all’assistente sociale la necessità di porre più attenzione alla situazione mettendosi in contatto con caritas, insegnanti, oss,...
L’assistente sociale stabilisce il tempo per l’affido, che può essere poco o tanto, in base alle esigenze del bambino. Nel cuneese c’è un ottimo servizio sia per affido che per adozione, gestito dal consorzio socio-assistenziale a cui si può sempre fare riferimento per dare la disponibilità.
Pian piano i numeri di partecipanti all’ANFAA sono aumentati e così anche i servizi. Da 24 anni hanno gruppi mensili di auto mutuo aiuto per famiglie affidatarie e adottive che, con il supporto di una psicologa, permettono di condividere gioie, fatiche, intuizioni, agganci con i servizi,.. Hanno anche attivato gruppi quindicinali di aiuto per bambini e adolescenti, condotti da un'educatrice e, da quest’anno, anche da una psicologa.
Infine hanno uno sportello di ascolto, in corso Francia 10, che è aperto il primo venerdì di ogni mese, dalle 17 alle 18:30, ed è possibile prendere appuntamento chiamando il 3881682155 o mandando una mail a cuneo@anfaa.it. Infine per vedere le loro attività è anche possibile visitare il sito www.anfaa.it
Valentina ha 33 anni, originaria di Castelletto Stura, da 4 anni si è trasferita qui con la famiglia. Ha studiato ragioneria e poi ha fatto tre anni di università sul sociale, poi ha scelto di sfruttare il diploma e iniziare a lavorare. Oggi lavora in un’assicurazione, dove si trova molto bene e le piace quello che fa.
È mamma di Amelie ed Elia e moglie di Matteo: in questo momento la famiglia è la parte più importante della giornata. Al momento non riesca a coltivare hobby, ma ha la passione per la fotografia e il cucito (uncinetto, maglia, macchina da cucire). In particolare il cucito le piace moltissimo, tanto che sognerebbe di farlo come lavoro.
Subito era preoccupata del trasferimento in città, era abituata ad un piccolo paese e aveva paura del caos e della mancanza di comunità. Però a San Paolo si trova molto bene, ci sono tutti i servizi necessari e non mancano i momenti di relazione. Tra questi si ricorda: il concerto con la musica di De André, il cinema all’aperto in piazza Biancani e la cena di quartiere.
Come famiglia, pensa che potrebbero sicuramente dare di più al quartiere, ma prendono tanto dalle attività organizzate, che Valentina vede come un modo intelligente di occupare il tempo. Le serate organizzate durante l’estate sono state molto belle, per cui vorrebbe che continuassero per animare il quartiere. Le piacerebbe anche che ci fossero dei mercatini in cui anche i residenti possono partecipare con oggetti fatti da loro. Soprattutto d’estate, per lei sarebbe bello avere occasioni serali per stare all’aperto e incontrarsi.
Francesca è coordinatrice per la cooperativa Momo e per l’azione Commonground nel bacino di Cuneo, che si occupa di contrastare lo sfruttamento lavorativo delle persone che gravitano sul nostro territorio.
Il progetto coinvolge 5 regioni: il Piemonte, capofila, il Veneto, il Friuli-Venezia-Giulia, l’Emilia Romagna e la Liguria. Lo sviluppo del progetto prevede l’attivazione di servizi di presa in carico più allargati: accoglienza, aiuto, sanitario, aiuto sanitario,... Si rivolge a tutti i lavoratori sotto contratto, ponendo l’attenzione in particolar modo alle persone più vulnerabili. Commonground interviene per contrastare lo sfruttamento a livello lavorativo e portare le persone verso l'emersione economica e sociale. Le persone da accompagnare e informare vengono individuate grazie ai servizi di strada e alle persone “antenna”. Una volta individuate, attraverso alcuni colloqui, si individuano i servizi necessari per loro.
Il progetto è molto ampio e occupa molti servizi e coordina una rete multiservizi molto vasta; la base essenziale è costituita dalle équipe di operatori che seguono i beneficiari in diversi modi: accoglienze estive, unità di strada,... Gli operatori sono fondamentali perché hanno relazione diretta con i beneficiari e portano nella rete multidisciplinare i bisogni effettivi della persona.
I cittadini stessi sono molto importanti, in quanto sono un altro tipo di “antenna”: vivono quotidianamente a contatto con situazioni di disagio e possono mandare i dati per aggiungere le persone nel database del .Meet, permettendo di avere un quadro più dettagliato per dare i servizi necessari.
Ogni anno la situazione estiva è diversa: cambiano etnie, flussi,...Quest’anno hanno visto alcuni miglioramenti: molte aziende con cui hanno collaborato lo scorso anno li hanno contattati in anticipo per informarsi sull'accoglienza. In agosto potrà esserci un ricambio, questo rende difficile il lavoro per l’aggancio e il servizio alle persone perché è un continuo andirivieni.
Con il progetto non riescono a coinvolgere tutti: alcuni perché sono qui per altri motivi, altri perché sono talmente fragili e spaventati per cui è difficile creare una relazione di fiducia.
Francesco è uno dei primi attori del quartiere Santa Giulia ad accoglierci e a condividere con noi la sua storia. Accanto ad una appassionata professionalità mostra da subito un vivacissimo interesse verso la comunità e il suo benessere.
Biobene nasce nel 2011 ed è una delle prime attività commerciali che apre durante l’inziale sviluppo del quartiere. Francesco, con alle spalle una consolidata esperienza nel mondo dell’estetica e della bellezza, decide di investire nella creazione di un progetto innovativo, centrato sul benessere a 360 gradi. BioBene si configura così come un connubio di servizi e vendita di beni per il benessere della persona. La diffusione del biologico su ampia scala ha orientato l’attività verso la vendita di prodotti specifici (per la cosmesi, l’aromaterapia e una vasta scelta di tisane e infusi), e per quanto riguarda la cura della persona la proposta di trattamenti viso-corpo, omeopatici e consulenze nutrizionali. A due anni dalla sua nascita, Biobene ha aperto una seconda sede in Città Studi e una terza in zona Porta Nuova.
Per Francesco aprire questa attività in un quartiere nuovo è stata, da una parte un’opportunità ma anche una sfida per la mancanza di un mercato già consolidato. La proposta commerciale nella zona è cresciuta notevolmente ma spesso in maniera disarticolata, producendo una sovrapposizione di attività molto simili tra loro. In questo senso individua nella mancanza di coordinazione e organizzazione commerciale un elemento cruciale su cui lavorare. Descrive come deboli l’associazionismo tra commercianti e una visione progettuale che vada oltre le feste di quartiere e la convivialità.
Per Francesco è fondamentale alimentare un lavoro di rete e una visione di insieme nella gestione dei problemi e delle situazioni. Migliorare il dialogo e la sinergia tra i servizi. Da sempre si impegna nel coltivare ottime relazioni con i clienti e gli abitanti del quartiere, cercando di fornire servizi alla cittadinanza orientati al benessere (come una fontanella per l’acqua a disposizione di tutti).
Santa Giulia è un quartiere in via di sviluppo e come tale ha un grande margine di potenzialità: l’aumento della popolazione, lo spirito aggregativo tra gli abitanti, la crescente disponibilità di servizi e la progressiva innovazione anche tecnologica sono, secondo Francesco, tutti elementi preziosi per la crescita del territorio.
Per il futuro si auspica innanzitutto una valorizzazione del territorio, una migliore coordinazione commerciale, una maggiore integrazione tra quartieri e lo sviluppo di un dialogo progettuale e collaborativo tra tutti i potenziali stakeholders che hanno interesse verso la vita e lo sviluppo del contesto. Desidera che la relazione di BioBene con la comunità continui a crescere e che la sua attività raggiunga una sempre maggiore visibilità.
Per Francesco il senso di comunità si esprime nell’unione, nel supporto reciproco e nella condivisione di obiettivi e ideali.
La Cartoleria Livebridge apre a dicembre del 2023 con l’idea di fornire un servizio importante alla comunità del quartiere che, nonostante le narrazioni spesso svalutanti a cui è sottoposto, è per Laura un contesto caloroso e accogliente, dove stanno vivendo delle positivissime esperienze. Lei e il marito Michele, che abitano in un’altra zona della città, scoprono il quartiere di Rogoredo tramite l’azienda di Sky per cui hanno lavorato. Arrivano entrambi da un settore professionale diverso, centrato sull’organizzazione di eventi e convention. L’idea della cartoleria nasce dal desiderio di proporre un servizio capace di avvicinare e connettere le persone. La risposta degli abitanti, racconta Laura, è stata di grande entusiasmo e gratitudine.
Come cartoleria sono molti sono i servizi che propongono, dal materiale scolastico, alle fotocopie fino alla spedizione pacchi. Ci tengono a seguire le esigenze delle persone, da quelle più anziane che hanno bisogno di inviare un fax fino a quelle più giovani che devono stampare la tesi della laurea.
Per Laura la comunità di Rogoredo è soprattutto affetto e gentilezza: ed è proprio la gentilezza una risorsa peculiare del quartiere. Qui si respira un forte senso di comunità, accoglienza, calore e disponibilità. Ottime sono le relazioni con gli altri commercianti della zona.
Sceglie l’immagine di un girasole per descrivere la sua esperienza all’interno del quartiere: perché è sempre illuminato, dice. E forse perché come il fiore con la luce del sole, anche lei si percepisce in forte connessione e reciprocità con la comunità che la circonda.
Per il futuro del quartiere si augura che possa preservarsi l’autenticità e l’atmosfera presente oggi tra le persone. E, aggiunge, per farlo è necessario continuare a credere nelle persone. Alle nuove generazioni auspica di coltivare lo studio e la cultura come strumenti per crescere e arrivare lontani.
Claudio è il presidente dell’Auser Volontariato Rogoredo che si è costituito nel 2008. I primi anni la domanda era molto bassa ma con gli anni è cresciuta a dismisura; attualmente conta circa 150 iscritti. Tra le attività che porta avanti, rivolte agli anziani e gli utenti più fragili, ci sono: l’accompagnamento alle visite mediche, eventi all’aperto, corsi di informatica e per la memoria. Le iniziative si svolgono principalmente in spazi esterni come l’oratorio, lo Spazio Coop e in passato anche presso il Circolo Arci Mondini (che però ora ha difficoltà a mettere a disposizione i propri spazi).
Le principali esigenze che emergono dall’esperienza sul campo sono la mancanza di spazi aggregativi e di manodopera, l’aumento di situazioni di invecchiamento e di solitudine, che esacerbano nella popolazione anziana - memoria storica del quartiere - un profondo bisogno di comunicare e raccontarsi. Alcuni utenti del servizio in passato sono stati a loro volta volontari ed è bello assistere all’evolversi di un circolo virtuoso di reciproco sostegno e mutua collaborazione. Se in passato Auser Volontariato si occupava esclusivamente di assistenza, diversamente da Auser Insieme (che promuove attività ricreative come le serate danzanti), oggi è subentrata la necessità di allargare il ventaglio di proposte a iniziative interattive e socializzanti.
Claudio descrive l’esperienza di volontariato come ravvivante e gratificante.
Per lui il senso di comunità è condivisione e supporto. Ricorda l’importanza di prendersi cura anche della fatica dei volontari, mattone prezioso della comunità.
Per il futuro si auspica un aumento significativo del numero di volontari e, per sé stesso, di ritagliarsi maggiore spazio personale pur continuando con amore e passione il suo lavoro all’interno dell’Auser.
L’associazione Atleticamente nasce nel 2009 dall’iniziativa del Preside della scuola Madre Teresa di Calcutta e del comitato genitori, al fine di proporre una ricca offerta di corsi sportivi e attività di doposcuola agli studenti della scuola ed alle famiglie. L’associazione però si rivolge non solo ai quartieri di Viale Ungheria e Santa Giulia ma anche ai quartieri limitrofi e chiunque può frequentarne i corsi.
Cristina, presidente di Atleticamente, ha la consapevolezza che l’associazione sia diventata un punto di riferimento per le famiglie del quartiere e per molti ragazzi che continuano a frequentare i loro corsi fino alle scuole superiori. Questo anche in ragione dei prezzi calmierati e della possibilità di pagare in diverse rate, al fine di venire incontro alle esigenze delle famiglie, trattandosi di un quartiere molto variegato. Il ricavato viene devoluto a sostegno delle attività della scuola che ospita l’associazione nei suoi locali, anche se da qualche anno è necessario partecipare ad un bando pubblico annuale per poter usufruire della palestra della scuola.
Ad oggi l’associazione ha molte richieste ma, disponendo di una sola palestra, non è in misura di far fronte alla crescente domanda. L’auspicio quindi è quello di poter trovare una palestra o uno spazio supplementare per poter soddisfare le richieste. Recentemente, l’associazione riceve molte richieste anche per corsi per bambini sotto i tre anni, a cui difficilmente riesce a far fronte in quanto necessiterebbero di personale specializzato. Questo anche in ragione del fatto che il quartiere ha poco da offrire per i bambini della fascia zero – tre anni.
Un’altra problematica che riguarda il quartiere è la mancanza di luoghi di aggregazione per i ragazzi delle superiori. Infatti, finite le scuole medie, i ragazzi smettono di frequentare i corsi sportivi e diventa difficile coinvolgerli in attività extrascolastiche, specialmente i maschi.
Viale Ungheria è un quartiere multietnico e con molti anziani. Mancano dei luoghi di socializzazione, degli spazi come quello di Merezzate, dove nonni e bambini possano passare del tempo in tranquillità e sicurezza. Tuttavia molte cose stanno cambiando, le persone hanno voglia di mettersi in gioco con iniziative ed è un bel momento per il quartiere.
La nascita di Merezzate ha avuto il merito di fare da collante tra i quartieri di Santa Giulia e Viale Ungheria e l’apertura della scuola media ha contribuito ulteriormente ad unire i quartieri, essendo frequentata anche dalle famiglie di Viale Ungheria e Ponte Lambro. L’auspicio tuttavia è che ci sia una migliore connessione tra i quartieri, in particolare tra Viale Ungheria e Ponte Lambro. Rispetto alla comunità invece, l’auspicio è che sia più dialogante e tollerante.
Gaia ha studiato economia politica ed è appassionata di fotografia. Dal 2012 lavora per un’associazione in progetti con i bambini, nell’organizzazione di campi estivi residenziali ad indirizzo steineriano e circense.
Negli ultimi anni ha lavorato nei quartieri di Santa Giulia e Rogoredo all’interno dell’esperienza dello Spazio Melotti, offrendo servizi di doposcuola e laboratori per bambini. Spazio Melotti nasce come associazione di associazioni ed individui, in cui ognuno può portare delle proposte. All’interno dell’esperienza di Spazio Melotti, Gaia ha portato dei doposcuola per bambini, basati arte e interazione con gli spazi esterni, come la promenade di Santa Giulia - dove poter giocare con l’acqua e costruire dei percorsi di biglie – oppure gli spazi verdi come il Parco Trapezio. L’iniziativa ha anche saputo coinvolgere i commercianti del quartiere per la preparazione dei pranzi al sacco per i bimbi.
Vi è molta voglia di vivere il quartiere ed i suoi spazi come luoghi di sosta e non di transito. Questa appropriazione degli spazi crea infatti un senso di appartenenza al territorio, importante sia per i bambini che per gli adulti. Per i bambini è importante scoprire gli spazi con maggiore autonomia e libertà, pur sotto la guida di un adulto, ed appropriarsene facendo esperienze motorie e sociali, vivendoli fisicamente. Per gli adulti è anche fondamentale avere luoghi di riferimento dove ritrovare amici, conoscersi e creare relazioni, perché dove c’è un comunità c’è un altro vivere.
Rispetto allo spazio condiviso di Merezzate, l’idea è che possa essere utilizzato da gruppi compositi di diverse fasce d’età, in cui ognuno abbia diversi ruoli e responsabilità a seconda dell’età: un’esperienza comunitaria in cui le generazioni convivono ed interagiscono, coinvolgendo nonni e bambini, ragazzi e adulti. Comunità è infatti innanzitutto legami e la solidarietà che ne deriva.
Per il quartiere l’auspicio è che si torni ad una dimensione di prossimità, con botteghe e negozi di quartiere che riprendono gli spazi occupati dai grandi franchising, e che i diversi quartieri di Merezzate, Santa Giulia e Rogoredo fluiscano maggiormente.
Alessandra Bianchi, 54 anni, esercita la professione di parrucchiera da 35 anni nel suo negozio “Alessandra” a Felizzano. Ha iniziato il suo percorso formativo come apprendista per 3 anni, contemporaneamente ha frequentato un’accademia per parrucchieri ad Alessandria. Alla maggiore età Alessandra ha aperto la sua attività che ha segnato l’inizio del suo percorso professionale. Fare la parrucchiera non è facile, è un mestiere complesso che richiede molte competenze, così sottolinea Alessandra, questa professione implica un contatto diretto con il cliente che non si limita ad essere solo il trattamento per i capelli bensì prevede la conoscenza del cliente per capire realmente ciò che vuole, facendo attenzione agli aspetti psicologici che emergono dall’ incontro ed il dialogo con esso. All’oggi nei corsi per parrucchieri viene dato spazio allo studio e all’approfondimento riguardo la capacità di relazionarsi con il cliente nella maniera giusta, prestando attenzione all’ascolto e mostrando discrezione, pazienza ed educazione, in questo modo si crea un rapporto di fiducia, di apertura che permette di lavorare in maniera sinergica portando buoni risultati. Alessandra riferisce che è indispensabile, in questa professione, essere sempre in formazione per migliorarsi ed essere aggiornati in merito alle nuove tecniche e trattamenti da applicare e alle leggi che regolano l’utilizzo di alcuni prodotti in commercio, lei stessa ha maturato esperienze di docenza in corsi professionali per parrucchieri. La clientela di Alessandra è trasversale e abbraccia varie generazioni: sono clienti alcune signore che sono tutt'ora nonne e che portano a fare tagliare i capelli i nipoti, Alessandra ci tiene a offrire spazi gioco e piccoli doni ai bambini che vanno da lei. Alessandra afferma di essere appassionata di colori e tinte e per questo frequenta molti corsi di “colorimetria” che le permettono di spaziare e di sperimentare nuove tecniche e di affrontare “sfide” con i clienti. La disponibilità e gli orari flessibili fanno sì che Alessandra riesca ad accontentare tutti i clienti, soprattutto quelli che come lei hanno un’attività e non possono recarsi ad un orario di apertura regolare perché lavorano, per andare incontro a queste esigenze a volta l’apertura del negozio può essere anticipata o posticipata. Il rapporto che ha instaurato con la clientela è l’aspetto più gratificante del suo lavoro, disponibilità, passione ed estro sono requisiti fondamentali per svolgere il lavoro di parrucchiera. Questa professione prevede molti sacrifici perché impegna molte ore sia per il lavoro sia per i corsi di aggiornamento, Alessandra ammette di aver sottratto del tempo da dedicare alla propria famiglia. Nel suo percorso lavorativo ha incontrato difficoltà dal punto di vista economico, affermando che andare dal parrucchiere diventava secondario ai bisogni e alle necessità contingenti di una famiglia, riscontrando un calo di clienti e, con la pandemia, si è vissuto un periodo molto faticoso e di ristrettezze. Fare la parrucchiera mette a dura prova anche il fisico, in quanto sottopone il professionista a stare numerose ore in piedi e a soffrire di vari disturbi, oggi nei corsi professionalizzanti viene insegnata la postura corretta per non incorrere in problemi di salute. Un bravo parrucchiere deve esser sé stesso, deve essere una persona discreta e formata, deve dimostrare passione nel proprio lavoro, così sottolinea Alessandra, la quale auspica di portare a termine il proprio percorso lavorativo in modo positivo e sempre con il sorriso.
Il signor Celio, chiamato e conosciuto da tutti come “Bonù” , nasce nel 1927 vicino a Corso Sempione, in quello che una volta era il quartiere cinese della città prima che venisse spostato in Paolo Sarpi. Si trasferisce a Rogoredo a ventun anni quando nel 1948 sua mamma trova un posto di lavoro nell’acciaieria Redaelli e lui decide di accompagnarla. Si trasferiscono nelle ormai storiche e famose case del Rebuscin, dove viveva la maggioranza delle famiglie operaie.
Si adatterà al nuovo contesto non con poca fatica e riluttanza, essendo ancora legato alla sua vecchia zona. Sarà un parroco, dopo svariate insistenze, ad integrarlo nelle attività della parrocchia <<e dal momento che sono entrato, sono rimasto fino ad adesso>> aggiunge, dedicandosi da lì in avanti alla vita della comunità. E lo fa attraverso la sua più grande passione, la ginnastica. Atleta professionista (nonostante minimizzi con modestia la sua bravura) insegna ai ragazzi prima per qualche ora a settimana e poi, con la pensione, a tempo pieno. Prima di dedicarsi all’insegnamento lavora per quarant’anni presso la banca nazionale dell’agricoltura. Rispetto agli effetti scaturiti dalla decisione di dedicarsi ai ragazzi dice: << il primo ad averne avuto un vantaggio sono stato io. Entrato in pensione sono rinato una seconda volta>>. Per lui è essenziale che gli anziani coltivino interessi e attività affinché preservino il loro benessere e la loro salute.
Soffermandosi sulle trasformazioni avvenute nel territorio, il Signor Bonù ricorda come l’acciaieria Redaelli abbia ha contribuito in maniera significativa allo sviluppo del quartiere richiamando un grande flusso di contadini dalle campagne, incentivati dalla libertà e dalla stabilità offerta, all’epoca, dai contanti <<non si poteva certo andare a fare compere di vestiti con un sacco di frutta>> aggiunge scherzando. Sono nate così le prime case per i lavoratori, fondamenta di un quartiere ormai profondamente mutato.
Lungo le decadi vissute a Rogoredo, tantissime sono le persone che Celio ha conosciuto e molti, racconta, sono coloro che si sono spesi per il prossimo all’interno della parrocchia, con la quale la sua relazione non è sempre stata serena. Nel ’48, spiega, si respiravano gli effetti della guerra e la politica aveva un peso determinante nella vita sociale degli individui. In quegli anni militava nel quartiere una maggioranza “rossa” (come in altre periferie di Milano che assunsero infatti il nome di “Piccole Stalingrado”) e vigeva una netta, spesso conflittuale, separazione tra il “gruppo della parrocchia” e il “gruppo degli altri” e i confini partitici erano più rigidi. Un’immagine alla “Camillo e Peppone” insomma. Poi la situazione si è via via trasformata. Un collante sociale, non solo per gli abitanti di Rogoredo ma in tutta Italia, è stato il periodo del ’68 quando - rievoca sgranando gli occhi - i Gesuiti stessi si sono rivoltati al dogma dell’obbedienza. Per il Signor Bonù quel movimento sociale di rinnovamento è paragonabile al fermento della Rivoluzione Francese. Negli ultimi decenni del 900 le faide tra fazioni politico-religiose si sono affievolite.
Ai suoi tempi il quartiere si presentava diverso, più essenziale nei servizi ma con un bellissimo orto, il Cinema Atlantico e il cinema della Parrocchia (tra i primi della città dotato di moderni impianti audio-visivi).
La passione per le immagini e i materiali d’archivio inizia attraverso la fotografia e la cinepresa, prima della rivoluzione digitale moderna. Con il tempo si specializza nel recupero, nella digitalizzazione e nell’editing di vecchi filmanti. Queste testimonianze, spesso sgranate, in bianco nero, dei terreni agricoli, delle prime case e dei vecchi cittadini rappresentano un’estensione fruibile delle memorie storiche di cui Celio Benù è un prezioso rappresentante.
Per lui il senso di comunità è qualcosa che a Rogoredo, pur con alcune lacune, vive e resiste, sebbene in passato fosse più sentito tra le persone – attivamente impegnate nella realizzazione di manifestazioni ed eventi come il Palio e il Carnevale. Oggi si domanda se vi sia sufficiente manodopera a sostenere le iniziative sul territorio.
Invita i giovani ad avere rispetto verso i propri genitori e suggerisce agli adulti, citando la sua stessa condotta <<non di dare il buon esempio, ma di non dare il brutto esempio>>.
Hilda è arrivata a Milano sei anni fa. È originaria del Perù, della regione La Libertad a nord del paese. Suo papà era un artigiano di mobili. Vive qui a Milano con suo figlio. Il processo migratorio e il successivo stabilimento in Italia all’inizio, dice, sono stati difficili. Lasciare la propria casa e trasferirsi in un paese diverso sono stati una sfida. In un primo periodo vive in affitto in un appartamento nella zona del lodigiano e poi si trasferisce insieme al figlio a San Lorenzo Parabiago.
Lavora come badante presso una famiglia di Rogoredo, conosciuta tramite una cognata stabilitasi a Milano prima dei lei. Grazie al lavoro è riuscita ad ottenere i documenti necessari per la richiesta di cittadinanza e si dice soddisfatta di come procede l’attività, nonostante la grande fatica che richiede <<Man mano che si fa esperienza poi ci si abitua e si impara>>. È una mansione fisicamente impegnativa che la porta a spendere la maggior parte del suo tempo in casa. Per questo motivo, spiega, non ha avuto molte occasioni per esplorare e conoscere il quartiere intorno a lei. Rintraccia però come elemento peculiare la forte socialità della gente:<<Incontri per strada le persone, ti salutano, si fermano a parlare… quasi ti distraggono>> aggiunge ridendo.
Tra le principali differenze con il suo paese di origine, Hilda individua nel contesto italiano una tendenza tuttavia più marcatamente individualista e di separatezza intergenerazionale. Non rintraccia particolari elementi di fragilità nel quartiere ma anzi, per lei il territorio offre molte opportunità lavorative.
Ama molto la cultura europea e della cucina mediterranea apprezza soprattutto il pesto, la pasta con il pesce, le ricette a base di pollo e la pizza. Il cibo e la cucina della sua terra sono le sue più grandi passioni, perché espressione di convivialità e di calore familiare. Preferisce i sapori norteñi ma si diletta anche con preparazione tipiche del sud << Non c’è qualcosa che non posso fare>> dice.
Per Hilda i valori più preziosi si concentrano intorno all’idea di famiglia e di condivisione intorno ad un tavolo. Per lei il senso di comunità è stare insieme, raccontarsi, compartir con amici e famiglia qualcosa che faccia stare bene. È sentire di avere intorno persone che ti sostengono, ti ascoltano e ti fanno sentire che non sei solo ma accumunato agli altri da sfide, problemi e traguardi di successo. << È un valore importante che cerco di insegnare e trasmettere a mio figlio>>. Comunità è nei momenti di festa, quando ci si riunisce insieme davanti ad una torta di compleanno, indipendentemente dalla relazione con il festeggiato. Comunità è gratuità: dare non per ricevere in cambio qualcosa ma per alimentare un clima, un’atmosfera positiva.
Per il futuro sogna un giorno di riuscire ad aprire il proprio ristorante di cucina tipica peruviana.
Marco ha 26 anni, è il build manager di Via Antegnati presso la Cooperativa Delta Ecopolis. Dopo un percorso accademico come Geometra e 4 anni di università entra nell’azienda e arriva così a 5Square durante la fase di cantiere: si occupa inizialmente del controllo qualità e successivamente della consegna, della manutenzione e della valutazione degli appartamenti. Attualmente segue la gestione delle problematiche e di tutte le esigenze degli abitanti rispetto alle abitazioni.
La prima consegna (la condivisione cioè del prodotto con i clienti) è stato per Marco un momento emozionante, ma molte sono le attività interessanti che si svolgono e che richiedono cura e costanza. 5Square si propone come un’alternativa di qualità capace di offrire servizi con alti standard anche alle fasce più sensibili: si tratta di un progetto che unisce il concetto di casa a quello di comunità, attraverso il recupero e la riqualificazione di un’area dalle grandi possibilità. Intorno ad Antegnati infatti vi sono molti elementi di ricchezza: dalla tangenziale che garantisce connessioni e modernità, al Parco Agricolo del Ticinello con le sue grandi aree verdi immerse nella tranquillità.
Per Marco il senso di comunità si esprime nel supporto e nella condivisione di tempo e idee. A 5Square questo si esplica attraverso la partecipazione attiva e condivisa degli abitanti.
Per il futuro si augura di chiudere tutte le attività in corso e di consegnare ai clienti un prodotto funzionale che accompagni la quotidianità. Desidera inoltre che si riesca ad allargare questa concezione dell’abitare collaborativo anche in altre zone di Milano.
Come consiglio alle future generazioni che fossero interessate al suo stesso percorso professionale, suggerisce: avere pazienza, motivazione e voglia di apprendere, perché il mondo dell’edilizia è complesso, ricordandosi sempre di proteggere i propri confini personali e professionali.
Ivana lavora all’interno del Consultorio dal 2010 e opera nella struttura dall’87 all’interno di ANFFAS (rivolta a disabili e riabilitazione) fin quando il Consorzio SIR ha acquisito le aree del Consultorio e della Riabilitazione Minori.
“Mi occupo di persone” spiega con grande semplicità, evidenziando come nella sua esperienza all’interno del Consultorio il tema dell’inclusione verso ogni sfumatura umana sia sempre stata il cuore pulsante di tutto il lavoro. Il Consorzio ha infatti moltissime realtà al suo interno e porta avanti un approccio basato sul lavoro di equipe e di rete nel trattamento delle situazioni.
Tra le aree e i servizi principali è possibile individuare: percorsi individuali, di coppia, famigliari e gruppali. Tutte le diverse aree socio-sanitarie sono fornite di competenze e operatori di eccellenza: ginecologia, ostetricia, psicologia, psicoterapia, pedagogia, logopedia, etc.
L’iter di accesso al Consultorio segue un percorso prestabilito:
I percorsi di lavoro possono essere CLINICI (Individuali con 1 o 2 operatori) o GRUPPALI (con soggetti anziani, disabili, genitori, tematiche sessuali, gruppi di parola e diversi operatori).
Tra i temi emergenti più significativi intercettati all’interno dei vari percorsi, Ivana pone l’accento soprattutto su problematiche post-covid, ansie generalizzate, tematiche sessuali e relazionali, fragilità emotive in particolare tra i giovani, uso e abuso di sostanze, formazione e prevenzione circa la salute mentale e la corporeità, fluidità di genere/sessuale e malattie trasmissibili, l’equilibrio tra le nuove tecnologie e la quotidianità.
Per tutte queste dimensioni Ivana considera il gruppo un elemento fondamentale nella costruzione del confronto e nel mantenimento del supporto. Ritiene infatti che affrontare e gestire la complessità sia possibile solo grazie al lavoro d’equipe, alla forza e alla fiducia tra gli operatori, all’approccio condiviso e partecipativo nel lavoro di cura. Inoltre, rispetto agli effetti sul benessere psicosociale, Il lavoro di gruppo è “profondo e permanente” spiega Ivana. Per il futuro desidererebbe infatti attivare dei gruppi mamma-bambino.
A 5Square c’è una grandissima partecipazione, racconta Ivana, da parte di utenti e famiglie. Oltre quindi ad una migliore disponibilità di risorse e di spazi per le prestazioni sanitarie, si respira una vivissima risposta positiva nel nuovo contesto. Per questo motivo le principali esigenze rintracciate dal Consultorio sono l’aumento di personale e una mappatura più approfondita dei bisogni e delle caratteristiche della popolazione di 5Square.
Per Ivana il senso di comunità si esprime nella forza, nella condivisione e nell’alleanza.
Il signor Daniele Barberis dal 2019 ricopre la carica di Presidente della Società Sportiva ASD Felizzano Calcio 1920, la Società ha una lunga storia in ambito sia provinciale sia regionale. Dopo aver rilevato la Società dalla vecchia dirigenza, Barberis insieme ad un gruppo di collaboratori motivati e del paese, sta portando avanti con passione, impegno e dedizione una realtà calcistica a livello dilettantistico importante non solo per Felizzano e per il territorio dell’alessandrino. Il periodo della pandemia ha rallentato i ritmi e ha reso faticosa la ripresa per quanto riguarda le attività sportive. Dal 2019, dopo aver vinto il campionato, la squadra è stata promossa dalla Prima Categoria alla Promozione, che è attualmente il girone di campionato in cui si trova la Prima squadra. Il signor Barberis durante il suo racconto, sottolinea l’importanza dell’attività sportiva del gioco del calcio che deve essere inteso come un punto di riferimento per i giovani a livello dilettantistico, il calcio ha dato la possibilità a molti ragazzi di potersi esprimere e di trovare un sostegno, talvolta anche in situazioni in cui i giovani presentavano fragilità e avevano bisogno di trovare una motivazione ed un supporto personale. In ambito nazionale, chi “traina” il movimento calcistico in Italia è proprio il settore dei dilettanti grazie all’ impegno e ad un grosso lavoro da parte dei dirigenti “volontari” che con grande passione e interesse dedicano il proprio tempo a questo sport. Il Presidente riferisce di voler fare calcio puntando molto sui “giovani”, rispetto all’anno appena trascorso la media dell’età della Prima squadra è stata di 24 anni, ha fatto parte della rosa qualche giocatore del paese di Felizzano, in particolare un ragazzo del 2004 si è rivelato il migliore giocatore della categoria. L’annata appena conclusa ha visto la salvezza della squadra all’ultimo minuto dell’ultima giornata, nella partita di playout. La Società sta portando avanti un discorso di connessione tra la Prima squadra e la Juniores, viene confermato ciò che è andato bene e ha funzionato nel campionato, si cerca di potenziare gli aspetti che hanno mostrato necessità di essere rinforzati. È cambiato l’allenatore e c’è una dirigenza sportiva che cercherà di integrare la rosa dove c’è maggiore necessità, avendo ben presente la disponibilità di un budget contenuto. Il Presidente sottolinea che la Società ha un settore giovanile che ha dato buoni risultati, tenendo conto della partecipazione di molti bambini. La Società Felizzano Calcio 1920 collabora e intrattiene ottimi rapporti sia con il Comune sia con le autorità del paese. Il signor Barberis ci tiene ad affermare che il gioco del calcio si basa fondamentalmente sul lavoro di gruppo: avere un obiettivo comune, stare bene insieme e fare nel miglior modo possibile. Ai ragazzi si richiede la serietà, l’impegno e il divertimento, queste condizioni si portano in campo e fanno la differenza. Negli ultimi anni è cambiato il modo di fare calcio, sono cambiate anche alcune regole, oggi è più difficile trovare giovani che vogliono impegnarsi in questo sport in quanto non è più lo sport “d’eccellenza”, molti giovani praticano altre attività sportive. È cambiato l’approccio a questo sport, da parte dei ragazzi e dei genitori, ma anche dai dirigenti e dagli allenatori, è cambiata la mentalità. Il signor Barberis auspica di poter fare sempre meglio, creare un gruppo di giovani dove si stia bene insieme, ci siano momenti di impegno e momenti di divertimento, condizioni fondamentali per portare avanti un società dilettantistica con serietà. Negli ultimi anni si è investito molto nella struttura sportiva di Felizzano, nella tenuta e nella manutenzione dei campi e degli spazi utilizzati. Per il Presidente sarebbe una bella soddisfazione poter ricevere un giorno una telefonata da parte di una squadra di professionisti che cerca un ragazzo della squadra di Felizzano, vorrebbe dire che è stato fatto un buon lavoro da parte dell’allenatore e della Società. Il Presidente lancia un messaggio in cui invita tutti i ragazzi ad approcciarsi al mondo del calcio con la voglia di stare insieme e di divertirsi, non con l’ideologia che il calcio serva a mantenersi nella vita. Il calcio è una palestra di vita se vissuta nel modo giusto, dà la possibilità di conoscere molte persone e influisce positivamente sulla crescita ed il comportamento dei giovani.
Silvio è una giovane anziano che il quartiere ha l’onore di avere come abitante, ma non un abitante qualunque, ma un cittadino attivo. Racconta, attraverso la sua storia, la trasformazione di un paese, partendo dalle difficoltà, ma anche dalle opportunità di socializzazione che dalla fine della guerra si presentavano ai ragazzi che l’avevano vissuta. Silvio ha studiato al liceo classico e incuriosito appassionato di scienze naturali, si è iscritto all’università. I movimenti giovanili del 1968 e le conseguenti ripercussioni sulla vita universitaria, lo hanno portato ad abbandonare gli studi e a partire per il servizio militare, nel corpo degli alpini, assecondando così la sua grandissima passione per la montagna.
Uomo di cultura, apertura mentale, forti principi e senso civico, dopo un anno di lavoro in una cava di amianto, insieme ad un gruppo di persone che si appoggiavano ai missionari Cappuccini che operavano a Capo Verde, con Padre Ottavio Fasano, fonda la cooperativa sociale SPES, un laboratorio specializzato nella lavorazione del cioccolato. Esperienza grazie alla quale incontra la sua amata moglie e lo fa diventare un mastro cioccolataio, professione che continua a coltivare anche dopo aver lasciato la cooperativa, come artigiano, consulente e formatore.
Silvio assecondando la sua natura socievole e generosa, mette le sue competenze a servizio della protezione civile con il corpo degli alpini di Madonna di Campagna, oltre ad altre attività di volontariato e partecipazione attiva alla vita del suo quartiere.
N. è un ragazzo egiziano di 17 anni, nato nella città di Assut poi trasferitosi al Cairo, la sua famiglia è composta dai genitori e da 3 sorelle più grandi di lui. In Egitto N., così si fa chiamare il ragazzo, ha frequentato la scuola dai 6 ai 14 anni, aveva amici con cui andava d’accordo. Ricorda che giocava a calcio in una squadra egiziana con il ruolo di difensore centrale, ha giocato per diverso tempo, fino ai 14 anni. Il ragazzo parla arabo ed inglese, ha frequentato un corso di italiano raggiungendo il livello A2, si sforza di parlare nella nuova lingua e promette di migliorarne la conoscenza nei prossimi mesi. N. ha lasciato l’Egitto perché non offriva buone opportunità di lavoro e la sua famiglia aveva problemi economici, prima di partire verso l’Europa ha fatto diversi lavori: ha lavorato un anno in un ristorante in cucina, inizialmente come lavapiatti, dopo 2 mesi ha iniziato a cucinare, ha fatto il pizzaiolo, per 6 mesi ha fatto il muratore, poi ha lavorato come commesso in un negozio di vestiti e in un negozio di frutta e verdura. Il 21/09/22 è arrivato in Italia dopo aver fatto un lungo viaggio, dall’Egitto ha raggiunto la Libia, poi con la barca è arrivato in Sicilia a Ragusa, poi a Catania e infine hanno raggiunto Milano. Ad affrontare il viaggio con N. c’erano 2 ragazzi suoi amici più piccoli che sono stati accolti in una struttura in Lombardia, mentre lui è stato portato in Piemonte presso la comunità “Il Galletto” di Felizzano. Il ragazzo si è ben ambientato al nuovo contesto e ha alcuni amici, gli piace cucinare e vorrebbe poter lavorare come pizzaiolo o panettiere, il suo progetto di vita è quello di avere un lavoro e di vivere in maniera serena in Italia.
L. è un ragazzo albanese di 17 anni arrivato in Italia a Torino ad ottobre 2022. Il giovane viveva nella città di Elbasan con la sua famiglia che è composta dai genitori, il padre è in pensione mentre la madre non lavora, una sorella maggiore con figli e due fratelli maggiori. In Albania L. ha frequentato le scuole dell’obbligo e un anno di Scuola Superiore, gli piace studiare e l’andamento scolastico era positivo. Il ragazzo parla piuttosto bene l’Italiano, dice di averlo imparato al corso di Italiano Cpia che ha frequentato nei mesi scorsi ad Alessandria ma anche sentendo canzoni e guardando video nella nuova lingua. Gli piace la musica sia italiana sia straniera, come genere Rap e canzoni melodiche. L. è un ragazzo un po' timido e riservato però cambia atteggiamento quando conosce l’interlocutore, è preciso e attento alla cura della sua persona, gli piace fare palestra, ascoltare la musica uscire con gli amici e ha instaurato un buon rapporto sia con gli altri ospiti della comunità Il Galletto di Felizzano, dove è attualmente inserito, sia con gli operatori con i quali collabora per svolgere piccoli lavoretti in struttura. L. al suo paese ha lavorato come cameriere in un locale bar/ristorante, è stata un’esperienza che lo avviato al mondo del lavoro, i soldi guadagnati gli sono serviti per arrivare in Italia, il ragazzo afferma di piacergli come tipo di impiego ma preferirebbe lavorare come elettricista o cartongessista, nel campo dell’edilizia. Dimostra di avere buona volontà e buona capacità di osservazione per poi mettere in pratica le consegne date ed il lavoro da svolgere. Ha lasciato il suo paese per poter trovare in Italia una buona occupazione e spera di potersi costruire un futuro stabile.
Demetrio Crucitti è l'anima e il fondatore del Circolo del tennis Crucitti, associazione sportiva dilettantistica nata nel 1991. Demetrio Crucitti, maestro nazionale, già nel 1981 diede vita alla Scuola Tennis Crucitti con diverse sedi a Reggio Calabria.
Oggi ha concentrato tutte le attività nell'ampia sede di via Galvani, 10 nella zona sud della città.
“Abbiamo più di trent'anni di attività – racconta Demetrio Crucitti – e la nostra attenzione, con il passare del tempo si è anche focalizzata su corsi specifici di tennis e preparazione atletica anche per minori e persone diversamente abili. Il progetto è fondato sulla consapevolezza che attraverso il movimento il bambino può esplorare lo spazio, conoscere il suo corpo, comunicare e relazionarsi con gli altri; l’educazione motoria, vissuta in forma ludica e divertente, diviene dunque, l’occasione per promuovere esperienze cognitive, sociali, culturali ed affettive. La forma privilegiata di attività è costituita dal gioco, in quanto è attraverso il “giocare” che il bambino può conoscere e sperimentare, dando libero sfogo alle proprie abilità. Vengono utilizzate tutte le forme di gioco, strutturato e non, che suscitino nei bambini partecipazione, entusiasmo ed atteggiamenti di ricerca personale”.
“Ma non solo bambini, - spiega Crucitti – al Circolo vengono anche adulti e ragazzi e adesso stiamo facendo anche lezioni di padel. Ma il Circolo è anche molto attento ai diversamente abili, e abbiamo sviluppato tante attività e sono tanti i risultati positivi che abbiamo raggiunto soprattutto dal punto di vista umano.
Il Circolo Crucitti è un'occasione di crescita non solo sportiva ma anche per il lavoro e abbiamo anche molti studenti universitari che svolgono tirocinio. Siamo aperti e flessibili e disponibili ad accogliere”.
“Anche con il territorio – dice Crucitti – e con le tante realtà istituzionali e associative abbiamo sempre collaborato. Molte sono state le manifestazioni sportive e ludiche che nel corso degli anni abbiamo organizzato. Poi il Covid ci ha fermato ma adesso siamo ripartiti e siamo sempre pronti a dare spazio ai giovani per farli crescere”.
Conosco Tania presso la Pizzeria Santa Giulia, in via Pizzolpasso 1 sull’angolo del grande boulevard del quartiere. Lei e l’ex compagno portano avanti l’attività da ormai molti anni. Con grande disponibilità accetta di condividere la sua storia. Ci accomodiamo a un tavolo in sala, mi offre un caffè e inizia a raccontarsi.
Tania ha 55 anni ed è originaria del Perù. Arriva a Milano nel dicembre del 1991, inizialmente in veste di turista e con il pretesto di passare a trovare alcuni parenti materni. La mamma di Tania è originaria della zona di Cuzco nel sud del paese, <<un luogo bellissimo>> immerso nelle montagne vicino a Machu Picchu.
La scelta migratoria affonda le radici in un momento storico e sociale di grande incertezza per il Perù: terrorismo, recessione economica, carenze nell’assistenza medica, <<Pensavamo non ci fosse più futuro>> dice Tania. Sua mamma, imprenditrice di un piccolo ristorante, sulla scia delle testimonianze di chi si era trasferito all’estero la esorta a intraprendere un viaggio di piacere, per cambiare aria e fare nuove esperienze.
Quella partenza segnerà l’inizio di una nuova vita.
Tania racconta che negli anni ’90 le persone che emigravano comunicavano in patria informazioni inesatte sul tipo di mansioni che svolgevano <<Dicevano di fare gli infermieri, ma non era vero. Potevi lavorare come badante o come colf>> e tra i primi ostacoli c’era sicuramente quello linguistico. Con l’aiuto di un prestito (che ripagherà con grandi sacrifici) riesce a finanziare la partenza e arriva a Milano. Qui incontra il padre dei suoi figli e insieme si sosterranno in uno dei momenti per entrambi più impegnativi. A telecamere spente Tania si commuove e ricorda che nello smarrimento e nella solitudine di quel periodo, ciascuno si è preso cura delle ferite e delle paure dell’altro, con impegno e grande dolcezza. Oggi la loro relazione coniugale si è interrotta ma condividono la gestione del locale in cui lavorano.
Lavorativamente l’Italia le ha dato tantissimo e lo preciserà molte volte durante il nostro dialogo, << Ho incontrato persone eccellenti>> dice. Inizia come badante in una famiglia che ricorda con affettuosa gratitudine per l’onestà e la disponibilità che le hanno sempre dimostrato, << Ho ringraziato questo paese per questo>>. Si lega moltissimo alla famiglia e vi lavora fino al 1997. Mi racconta che non era abituata, nel suo paese, a incontrare molte persone anziane. Dal signore che seguiva ha imparato moltissimo, anche a cucinare. A casa sua, in Perù, era la mamma con il suo locale a occuparsi della cucina. Tania sorride, non pensava sarebbe mai approdata al mondo della ristorazione, dice, seduta al tavolo del suo ristorante.
Nel 1998, con la dipartita dell’anziano signore e l’inizio di una crisi economica anche in Italia, Tania cerca altri impieghi nel settore delle pulizie, nelle zone centrali della città. Ricorda con affetto e gratitudine anche quel periodo, perché ha potuto apprendere molte competenze, stare accanto ai suoi figli e sostenere economicamente i bisogni della sua famiglia. Per Tania è fondamentale imparare ad amare ciò che si fa, qualunque sia il proprio mestiere.
Un giorno l’ex compagno, che aveva sempre lavorato nel mondo della ristorazione, decide di acquistare il negozio in cui ci troviamo. È il 2011 quando entrano dentro la Pizzeria Santa Giulia. A telecamere spente e con un filo di voce, Tania mi confida che si tratta di un periodo delicato, complesso. Ricorda intorno a lei un’atmosfera affaticata, la stessa che aveva vissuto sua mamma anni prima, a causa delle incombenze finanziarie e dello stress per la gestione dell’attività. Da queste sfide, tuttavia, Tania rielabora un bagaglio di significati e consapevolezze preziosi per la sua vita lavorativa e familiare. Riconosce l’importanza di costruire confini equilibrati tra le sfere della propria vita così come relazioni autentiche e di sostanza con i propri figli.
Il quartiere di Santa Giulia era all’epoca un contesto molto diverso. Alcuni locali del boulevard erano già presenti, come il Carpe Diem, ma la maggior parte delle costruzioni presenti oggi erano ancora disabitate. È sempre stato un contesto tranquillo, vivo senza essere troppo caotico. Erano soprattutto gli abitanti a riempire i dehors dei locali; ora la composizione dell’ambiente si sta via via trasformando dopo l’insediamento di alcune grandi aziende. Gli abitanti appartengono per lo più alle classi molto benestanti. Ci sono progetti futuri interessanti, come la costruzione del Palaitalia Santa Giulia, e altri – quali l’apertura di una mensa per i dipendenti delle aziende - che potrebbero minare l’equilibrio attuale di attività come la sua. Ciò nonostante ne riconosce l’utilità e ritiene importante sapersi adattare con flessibilità alle nuove tendenze.
Secondo Tania le principali necessità del quartiere sono la mancanza di palestre, piscine, biblioteche, bancomat, sedi della posta, macchinette per pagare il parcheggio e una maggiore disponibilità di supermercati. Lei non è una frequentatrice assidua dei servizi circostanti, il suo svago principale è andare in gelateria. Ritiene però che vi sia una saturazione di proposte alimentari o legate alla ristorazione.
In passato Tania sente di aver esperito un maggiore senso di comunità intorno a lei: le persone erano più disponibili ad aiutarsi, più fedeli alle promesse fatte, più sincere e più cordiali. Oggi, secondo lei, dilagano tra la gente maggiori fragilità e più pessimismo.
Accanto alla fatica c’è anche grande soddisfazione per i traguardi raggiunti e le gioie vissute durante la sua esperienza a Milano, <<abbiamo vissuto degli anni bellissimi>>.
Per il suo personale futuro Tania desidererebbe fare ritorno un giorno nel suo paese, ma aggiunge << se lasciassi l’Italia, lascerei più dell’ottanta percento del mio cuore>>. Tornare in Perù significherebbe viaggiare, esplorare tutti quei luoghi che non ha ancora avuto la possibilità di conoscere. Le piacerebbe aprire un B&B nella vecchia casa di inizio secolo a Cuzco ereditata dalla mamma, e coltivare finalmente le sementi che le ha lasciato. Vorrebbe recuperare anche quei terreni vicino a Machu Picchu, una ricchezza oggi più che mai insostituibile. Ma tutti questi sogni hanno un sapore altruistico, relazionale: le piacerebbe aprire le porte ai ragazzi, agli studenti, alle persone di tutto il mondo. Accogliere e prendersi cura di chi è da solo, com’è accaduto a lei 30 anni fa quando è arrivata a Milano: <<mi piace aiutare, non eclatantemente però se posso darti un po’ di calore così che tu non ti senta solo...perché no>>. C’è anche un omaggio all’Italia nei suoi sogni: trasmettere l’arte della pasta fatta in casa anche in Perù, insegnare e condividere il piacere per un buon piatto di tortellini e di ravioli.
I semi della mamma, l’apertura di un co-housing solidale, l’esportazione dell’amore per la pasta fatta in casa: forse non sono solo una riconnessione con le origini ma, simbolicamente, anche la restituzione di un dono ricevuto affinché fiorisca per altri. Un gesto gentile e solare, proprio come Tania.
Francesco vive nel quartiere Madonna di Campagna da molti anni, è una persona molto aperta e curiosa, infatti ha molte passioni. Il lavoro manuale è una di queste e le esperienze lavorative gli hanno permesso di acquisire molte delle competenze che oggi utilizza, per aggiustare gli oggetti che si rompono. È infatti un elettromeccanico, con esperienze nel campo edile, soprattutto nella decorazione. Abilità che è disposto a trasmettere.
Francesco è estremamente attivo e socievole e soprattutto disponibile ad affrontare nuove esperienze. Sensibile alle tematiche ambientali e sociali, porta idee e progettualità che condivide con i partecipanti alle co-progettazioni.
Mi chiamo Mohamed e sono Senegalese. O meglio, “Senegaliano”, siccome vivo da ventidue anni in Italia. Non sono più il giovane che ha lasciato l’Africa, né tantomeno sono Italiano. Mi considero un ponte. Quel ponte è uno strumento da attraversare e prepararsi a quel viaggio significa che ciascuna delle parti vada ad acquisire la consapevolezza di sé.
E’ un momento travagliato, in cui le culture sembrano scomparire, per mettere al centro ciò che ci unisce: il potere d’acquisto. E quando è l’avere che condiziona l’essere, CHI NON HA NON E’, né può pretendere di esistere. Il risultato è che pochi hanno tanto e tanti hanno niente e chi non ha niente crede che la terra promessa sia altrove, oltre il deserto, oltre il mare. Poi, arrivati a Milano, ci si scontra con gli ultimi della catena sociale, gli esodati, i “cassa disintegrati”, quegli ultimi che vedono i propri diritti mortificati. E invece di porvi rimedio, questo conflitto sociale viene alimentato e la diversità etnico culturale diventa fonte di insicurezza.
Io ho scelto di non parlare di me, ma di ciò che mi consente di rivendicare la mia “africanità”, ripescando quei valori condivisi da tutti gli stati negro africani in epoca precoloniale: un invito a cambiare di prospettiva ed allontanarsi dall’etnocentrismo. Fin dal tempo delle esplorazioni, non si è mai dato credito al pensiero delle popolazioni, ma ci si è affidati al pensiero degli africanisti, dei sociologi, degli storici, dei ricercatori, senza mai davvero aprire le menti ed ascoltare il grido del cuore della popolazione negro africana. L’Africa è passata dalla schiavitù, alla schiavitù degli aiuti. Siamo dovuti scendere a patti con la nostra memoria, superare ciò che avrebbe potuto portarci ad avere un giudizio negativo della popolazione occidentale. Non siamo stati noi ad accorciare le distanze tra continenti ed imporre i nostri stili di vita, la nostra lingua, la nostra religione. Abbiamo subito. E nonostante ciò, vedo in voi delle amiche, delle sorelle, perché siamo scesi a patti con la nostra memoria, non abbiamo cercato di riscrivere la storia: la storia è quello che fu. Ma ci è stato detto di fare lo sforzo di analizzare quella storia, capirla, coglierne gli insegnamenti per evitare gli errori del passato. Ecco perché è necessario darci il nostro spazio nel panorama sociale, culturale e religioso.
Non vi è mai una cultura esclusiva: ogni cultura è figlia di micro sottoculture. La maggior parte di quegli usi viene da terre lontane. Oggi abbiamo un dovere nei confronti delle generazioni future. Quando ci sarà chiesto: “cosa avete fatto”? Io potrò dire che ho allestito questa mostra di maschere africane per raccontare ai cittadini italiani l’organizzazione sociale, culturale e religiosa della cultura negro africana prima del congresso di Berlino. L’Africa è un continente molto ricco, con molte materie prime, giovane. Ma dei venti paesi più poveri, diciotto sono africani. Miliardi vengono stanziati all’Africa dall’Europa come forma di aiuto, eppure ogni giorno barconi di migranti africani sbarcano sulle coste. Forse dovremmo chiederci che fine fanno i soldi che versiamo nelle casse di quei governi, se i giovani continuano a migrare.
Non bisogna avere paura del diverso perché, al peggio, nell’incontro con il diverso rimarrò semplicemente me stesso. Il diverso oggi fa paura perché vi è meno la consapevolezza di chi si è. Quello che si è nella vita non è motivo di orgoglio, né di vergogna, perché è legato alla fatalità del caso. Invece quello che si diventa lo è. Io non ho scelto di essere Senegalese: il caso ha fatto di me un Senegalese. Così Mario Rossi non ha scelto i suoi genitori, il suo nome, dove nascere. La stessa fatalità che ha fatto di lui un Italiano, ha fatto di me un Senegalese. Ma allestire la mostra è merito mio. Dobbiamo premiare il merito. Non è una dannazione essere Africano: il valore umano va al di là del passaporto. Non voglio essere giudicato perché Senegalese, ma sulla base di quello che faccio nella mia quotidianità. Se non viene dato a ciascuno lo spazio per raccontarsi e farsi vedere per chi si è, allora si crea il luogo comune, serbatoio di pregiudizi, soprusi, indifferenza. Allora mi conviene costruire una barriera che mi impedisca di vederti. E per abbattere questo muro mentale c’è un solo strumento: la cultura.
Il problema è politico. Quando si è capo casa, tutti quelli che abitano in quella casa sono figli tuoi. L’ideale sarebbe aprire il salotto ed ascoltarli. Perché i retaggi culturali ci hanno portati a pensare in chiave coloniale, il paternalismo dei “poverini”. Ma anche il povero ha un pensiero: se non ci si mette nelle condizioni di portare anche noi quello che siamo e che ci siamo portati dentro, dall’Africa, allora c’è un problema. Il punto è andare al di là, perché non sono ciò che gli altri vedono guardandomi da lontano. Le parole hanno un senso. Ci si è sempre limitati a sentire gli altri: è giunto il momento di ascoltarli. Ne abbiamo di cose da dire.
La diversità non è un reato: dobbiamo passare da società multiculturali a società interculturali, perché gli esseri umani non si integrano, ma interagiscono e trovano un punto di equilibrio. La via dell’interculturalità non è quella che passa da casa mia, né quella che passa da casa tua, ma si trova all’incrocio tra le due strade, dove piantare una tenda, sederci, bere del tè: unirci attorno a ciò che ci accomuna.
Spiegare chi sei è un dovere morale, perché il territorio che ti accoglie ti dà la possibilità, consegnandoti quel documento, di riconoscerti parte di quella società, ti dice che tu esisti come persona … ma a quale condizione. Ognuno di noi è portatore di valori, di culture e tradizioni che non sono necessariamente quelle di chi ti accoglie. Eppure, non possiamo rimanere perennemente imbavagliati nel nome dell’integrazione.
Ripeto, ciò che si è non è motivo di vergogna o orgoglio, ma ciò che si diventa si. Essere Senegalese è un dato di fatto, lo vedi dai tratti somatici. Ma il pensiero è rimasto tale e quale? Sono ancora rimasto incastrato nelle capanne del villaggio, oppure sono diventato parte della metropoli? Come si fa a saperlo? Mettendomi nelle condizioni di condividere chi sono e da dove vengo.
Io sono figlio di mio nonno, perché oltre a mia mamma e mia zia aveva un solo figlio maschio, che è morto in Francia nella seconda guerra mondiale. Io sono nato poco dopo e mi è stato dato il suo stesso nome: Mohamed. Per questo da bambino avevo il dovere di stare seduto un paio d’ore ogni sera a sentire il nonno raccontare delle maschere.
Il tempo passato in un luogo ti trasforma, anche se non se ne ha visione immediata. In Italia, vivendo da solo, ho imparato a fare tutto a casa: cucinare, lavare, stirare … Quando sono tornato a casa per la prima volta, ho voluto fare un gesto d’affetto per mia mamma, che tanto mi aveva dato. Infatti, ho sempre visto mia mamma faticare per inventarsi dei piatti per sfamarci ed il primo desiderio una volta rientrato a casa è stato quindi di cucinare per lei. Ricordo infatti che quando tornavo a casa da scuola trovavo mia mamma sotto un albero, la pentola sul fuoco e l’acqua che bolliva.
Così ho detto: “Mamma, è arrivato il momento di mostrarti la mia gratitudine”
“Mi hai portato una parrucca ? ”
“No, oggi cucino io per te ”
“Ma sei matto, mi fai vergognare! Cosa diranno i vicini?! ”
Ho insistito, così mia mamma mi ha chiuso in cucina per paura mi vedessero. Faceva un caldo tremendo …. Poi si è affacciata alla finestra per chiedermi cosa preparassi ed ho risposto “Spaghetti al cartoccio: un piatto italiano, vedrai mamma …” Mia mamma è scoppiata a ridere ed ha chiamato mia sorella: “Cosa cucini Mohamed?” “Spaghetti al cartoccio, vedrai …” Anche mia sorella è scoppiata a ridere ed è andata a chiamare le sue amiche. Stupito, ho chiesto: “Ma perché ridete?” “Perché non sappiamo che hai nelle mani, perché quando parli fai così” (gesti) …. Lì mi sono accorto di essermi italianizzato, senza che me ne fossi reso conto.
Dobbiamo essere forti e dire con leggerezza le cose drammatiche e drammatizzare le cose leggere, perché nella storia le nefandezze più brutte hanno sempre avuto basi legali. Ma non tutto quello che è legale è giusto, mentre tutto quello che è giusto dovrebbe essere legale. Quando la sera vado a letto mi pongo queste domande: cosa ho fatto oggi che non avrei dovuto fare e cosa avrei dovuto fare che non ho fatto e come lo ho fatto. E’ fondamentale porsi quelle domande che portano a non vivere con la sufficienza di quanto fai, altrimenti ti siedi sul divano ed è molto grave. Dobbiamo bandire la ragione della forza e far prevalere la forza della ragione. Abbiamo dei maestri che ci hanno lasciato in eredità messaggi di pace e amore, ma, ahimè, le cose non sembrano molto migliorate e, nonostante i maestri, la tendenza a compiere il male sembra spesso avere la meglio. Il mio sogno è quello di vedere l’umanità unirsi attorno a ciò che la accomuna: la stessa appartenenza al genere umano. Non so se il mio sogno potrà mai essere realtà, ma, se ci dovessimo riuscire, non assisteremmo più a lacerazioni, nessuno si sentirebbe più al centro del mondo ma parte di un tutto che è la famiglia umana. Non è difficile, in fondo cosa siamo noi se non un vecchio spermatozoo ed un futuro cadavere. Questo siamo, non vale la pena vivere questo dramma umano. Il passaggio è talmente breve in questa vita che è meglio vivere attimo dopo attimo, senza rimpianti.
SG Runners si costituisce nel 2016, quando un gruppo di amici decide di trovarsi alle 5.30 del mattino per andare a correre. Oggi il gruppo conta una quarantina di persone che si ritrovano in diversi orari della giornata, a seconda degli impegni degli uni e degli altri, per andare a correre (vi sono gruppi mattutini, pomeridiani e serali). Nei weekend generalmente ci si ritrova per correre qualche kilometro in più dei cinque- sei kilometri abituali.
Diversi sono i circuiti utilizzati: il Parco Trapezio è ideale per chi inizia a correre, mentre San Donato è anche un luogo adatto alla corsa in ragione del verde e del poco traffico. Nei weekend invece spesso si corre da Rogoredo fino a Piazza Duomo, dove ci si scatta un selfie. L'importante è correre in compagnia, perché in gruppo ci si motiva e si è più sicuri, ognuno secondo le proprie facoltà. L’auspicio sarebbe la creazione di un circuito permanente che consenta di correre in sicurezza e che unisca i diversi quartieri di Merezzate, Santa Giulia e Rogoredo.
Nel vedere lo spazio condiviso di Merezzate, il 'Living', il desiderio è che possa essere un luogo di incontro per le moltissime associazioni di quartiere che spesso hanno difficoltà a trovare degli spazi per incontrarsi.
Rispetto all’idea di comunità, secondo Roberto e Oscar è più facile sentirsi parte di un gruppo quando si condividono gli stessi interessi. La sfida quindi è quella di aprirsi agli altri ed accogliere le diversità, perché la comunità sia accogliente ed inclusiva.
Il WeMi Piazzetta apre nel gennaio 2019 presso la sede della Cooperativa La Strada a Corvetto. L’avvento del Covid ad un anno dalla sua apertura ha fatto sì che lo spazio WeMi abbia fin da subito messo in campo delle iniziative a sostegno dei cittadini più vulnerabili, facendo rete con i servizi economici ed i banchi alimentari.
L’obiettivo dei diversi Sportelli WeMi attivi nel territorio milanese è quello di fornire un servizio di prossimità al cittadino, individuandone i bisogni e, laddove necessario, orientandolo ai diversi servizi del territorio. A tal proposito il WeMi può contare su di una ricca rete di enti con cui collabora, anche in virtù della presenza storica della Cooperativa La Strada sul territorio. I motivi per cui un cittadino può rivolgersi allo Sportello WeMi sono dei più svariati: dall’orientamento alle misure di sostegno al reddito, dal supporto per le pratiche Inps all’orientamento per gli asili nido ed i centri estivi per i ragazzi, fino al supporto per le prenotazioni mediche. Il servizio WeMi si rivolge quindi anche a quei cittadini con poche competenze digitali o con difficoltà linguistiche che qui trovano degli operatori in grado di supportarli nelle diverse pratiche, ma non solo. Vi sono una serie di servizi a prezzo calmierato, come l’attività di doposcuola per ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento DSA.
Per poter usufruire del servizio, è possibile contattare il WeMi online, per via telefonica o semplicemente recandosi di persona allo sportello. E’ anche possibile prenotare tramite lo 02.02.02.
Il WeMi ha al suo interno uno spazio dedicato a chi sta cercando lavoro, sia offrendo la possibilità di usufruire del PC per una ricerca in autonomia, sia con un supporto nella stesura del CV e nella ricerca attiva. Nel caso in cui la persona necessitasse di una presa in carico più corposa, verrà piuttosto orientata al Centro per il Lavoro accreditato presso la regione Lombardia e gestito sempre dalla Cooperativa La Strada.
Quando una persona si rivolge al Centro per il Lavoro, per prima cosa si cercherà di capire quanto essa sia distante dal mondo del lavoro e fare un bilancio delle sue competenze- spiega Cristina, referente di WeMi e del Centro per i Servizi al Lavoro della Cooperativa La Strada. Si proporranno quindi dei percorsi mirati, che possono variare dall’accompagnamento nella scrittura del cv e dalla simulazione di colloqui, all’attivazione di tirocini formativi ed alla ricerca di corsi di formazione, di cui alcuni completamente gratuiti. Al Centro per il Lavoro si rivolgono sia Italiani che stranieri, molti giovani ed in prevalenza donne rispetto agli uomini.
Rispetto alle politiche attive per il lavoro, in questo momento è attiva la politica GOAL – Garanzia Occupabilità al Lavoro - che offre alle persone che vogliono inserirsi nel mondo del lavoro consulenze gratuite e possibilità di tirocini, anche se l’iter è complesso e molto burocratizzato. Vi sono poi diverse progettualità, come iniziative rivolte a donne in difficoltà o ai giovani in dispersione scolastica. L’auspicio è quindi uno snellimento della burocrazia e maggiori azioni ad hoc a supporto dei giovani.
La Cooperativa La Strada opera da quarant’anni nel quartiere di Corvetto ed è una realtà ben radicata sul territorio. Attualmente la sede è una vecchia scuola e chi è cresciuto qui ricorda di quando frequentava questa scuola. Il quartiere di Corvetto è molto presidiato dal terzo settore in quanto zona di case popolari e con alcune criticità, motivo per cui risulta fondamentale perseguire l’inclusione e la coesione sociale.
La Rivista Africa nasce cento anni fa - centouno per la precisione- nel solco dell’editoria missionaria. Per lungo tempo è stata gestita dai missionari di Padre Bianchi fino a quando, sette anni fa, è stata rilevata dall’editore Internationalia Srl, una piccola impresa fondata da giornalisti appassionati di Africa.
Marco è il Direttore della rivista e si occupa del continente africano da quando aveva diciassette anni. Da giovane ha lavorato come giornalista per Radio Popolare e come Freelance, fino a quando è approdato nella Rivista Africa oltre quindici anni fa, lavoro che gli ha permesso di conciliare il suo mestiere con la passione per l’Africa. Oltre al periodico, la rivista offre diverse opportunità di approfondimenti tematici, attraverso l’organizzazione di webinar, seminari, corsi di formazione e viaggi, sempre con il fine di colmare il vuoto informativo legato al continente.
Infatti, nella narrazione comune il continente africano è spesso sinonimo di guerre e crisi umanitarie. La Rivista Africa si ripropone quindi di raccontare l’Africa come continente giovane, vitale e dalla grande ricchezza culturale (non una sola Africa ma cento Afriche, come titola la rassegna annuale della rivista). C’è quindi una grande curiosità nel voler scoprire il continente al di là dei cliché, degli stereotipi, della paura del diverso e della narrazione della ‘grande invasione’ portata avanti da alcuni politici. Nel fare questo, la rivista non ha sicuramente l’ambizione di farsi portavoce del continente o di rappresentarlo, correndo il rischio di una rappresentazione eurocentrica, ma piuttosto di fornire dei megafoni perché siano le voci degli africani stessi a raccontarsi.
La redazione della rivista si trova nella periferia di Milano, tra Corvetto e Porto di Mare, dove è ospite del Centro Internazionale di Quartiere. Quando si è dovuto scegliere la sede operativa quattro anni fa e diverse erano le opzioni al vaglio, in molti avevano sconsigliato il quartiere di Porto di Mare in ragione del degrado. La rivista ha però voluto cogliere la sfida e venire in periferia e il quartiere si è poi rivelato un posto ricco di giovani talenti con la voglia di mettersi in gioco. Oggi il Centro rappresenta un vero presidio culturale, avendo restituito alla cittadinanza uno spazio sottratto alla criminalità e poi riempito di contenuti, iniziative e vitalità. La Rivista Africa dà il proprio contributo all’animazione del Centro con l’organizzazione di eventi e manifestazioni in tema africano. Tra queste manifestazioni, sicuramente di rilievo è la rassegna delle Cento Afriche, una ‘tre giorni’ di concerti, laboratori, presentazioni di libri, dibattiti, mostre fotografiche e sfilate di moda completamente gratuiti, organizzati dalla Rivista Africa e dalle diverse realtà associative che si occupano del continente.
L’auspicio è quello di continuare a crescere nonostante sia un momento difficile per l’editoria in generale, in quanto i costi della rivista ad oggi sono coperti principalmente dagli abbonamenti di chi è appassionato e continua a mostrare fiducia nel lavoro della rivista.
Sergio è il presidente del Consorzio Morsenchio, ente gestore del mercato coperto, e di Assofood, un’associazione agroalimentare di Confcommercio che rappresenta i mercati comunali e gli alimentaristi di Milano in generale.
Sergio vive in Brianza, gli piacciono infatti la quiete e la natura, ma lavora nel mercato da trentatré anni, anche se lo frequentava già da prima essendo stato suo nonno fruttivendolo qui. Negli anni novanta la situazione era molto diversa: i mercati comunali avevano ancora una funzione calmieratrice dei prezzi per cui al loro interno ospitavano due negozi per tipologia, in modo da assicurare la concorrenza e garantire la continuità del servizio durante le festività. Oggi la situazione commerciale è di molto cambiata e non ha più senso avere dei doppioni all’interno del mercato. La funzione stessa del mercato è cambiata: da calmieratrice di prezzi, a presidio sociale. Di fronte alla concorrenza della grande distribuzione, i mercati oggi sopravvivono se riescono a sviluppare una relazione di vicinato con gli abitanti, unendo alla vendita e alla ristorazione spazi per la socializzazione e mantenendo un forte legame con il territorio ed il quartiere. In questo è importante anche sapersi adattare alla vita di quartiere. Il mercato Morsenchio, ad esempio, apre la mattina prima dell’inizio delle scuole, per venire incontro alle esigenze delle famiglie che qui passano per comprare la merenda o gli articoli di cartoleria. E' poi popolato dagli anziani del quartiere che si ritrovano la mattina a prendere un caffè e dagli impiegati che comprano il pranzo e chiude dopo pranzo quando il quartiere ‘va a dormire’, per poi riaprire nel pomeriggio.
Fondamentale al suo rilancio è stata la ristrutturazione che ha interessato il mercato, i cui costi sono stati interamente a carico degli operatori. Oltre ad aver adeguato la struttura alle norme antisismiche e anti incendio vigenti ed aver aggiunto delle modernizzazioni che lo rendono più fruibile - come la climatizzazione - la ristrutturazione ha creato degli spazi liberi con tavolini e sedie per poter consumare in loco o semplicemente sedersi a chiacchierare. In questo, il mercato rappresenta l’unico spazio di aggregazione libero in quartiere ed ospita il Comitato di Quartiere che qui si incontra e fa le sue riunioni. Prima del Covid, il mercato organizzava ogni mese delle serate a tema, ad accesso libero su prenotazione, serate che portavano molte persone al mercato in dei veri e propri momenti di festa e aggregazione.
Rispetto al quartiere, Sergio apprezza che sia ben servito dai mezzi e la dimensione di paese. Le olimpiadi porteranno delle novità, come il Palazzetto del Ghiaccio, che Sergio auspica siano fruibili anche dopo l’evento sportivo. L’auspicio per il futuro è quello di continuare a lavorare ed avere il riscontro che hanno, adattandosi alla città in continua evoluzione.
Artàporter nasce da un’agenzia di comunicazione e marketing, quando un gruppo di artisti ha deciso di rilevare la problematica del poco spazio occupato dall’arte nel nostro quotidiano. Artàporter è quindi un progetto di arte diffusa, in grado di valorizzare spazi che hanno bisogno di bellezza e artisti che hanno bisogno di spazi. Per vocazione quindi, Artàporter predilige i luoghi periferici e i luoghi del quotidiano, come bar, ristoranti, fiorai, edicole e negozi di ogni genere, che diventano spazi espositivi o 'micro galleries'. Il progetto, nato a Torino, oggi è cresciuto estendendosi a città come Roma e Milano e a borghi del Piemonte e della Liguria, con oltre cinquecento artisti e trecentocinquanta micro galleries in tutta Italia.
Artàporter è una start up che ripensa gli stereotipi dell’arte, che da ‘elitaria ‘, come viene comunemente percepita, diventa accessibile ed invade i luoghi comuni e decentrati. In una città come Milano ad esempio, in cui l’arte è molto presente, la sfida è stata portarla nelle periferie e nella provincia, dove Artàporter ha trovato terreno fertile con molta voglia di fare ed ampli spazi, perché anche chi vive in periferia merita bellezza. Di particolare successo è stata la rassegna Diffusissima Unfair che ha avuto luogo a Marzo 2023 a Milano che ha coinvolto una quarantina di location in tutta la città.
Per partecipare al progetto, come artista o come espositore, basta collegarsi sul sito di Artàporter e fare domanda nella sezione ‘onboarding’. Per degli eventi più ad hoc, vengono pubblicate anche delle ‘call for artist’ a cui è possibile fare domanda sempre tramite la sezione dedicata sul sito. Ogni due mesi le opere cambiano di location per dare la possibilità alle persone di incontrare sempre artisti nuovi. Accanto alle opere viene posizionato un QR code per cui chiunque fosse interessato può acquistare l’opera che mantiene dei prezzi accessibili con una media di trecento- quattrocento euro. Artàporter è un’arte a portata di mano quindi anche perché fruibile ed acquistabile immediatamente.
Per il futuro la start up conta portare, oltre alle arti visive, anche performance dal vivo, come teatro, ballo, musica e danza, con delle vere e proprie 'art competitions'. La raccomandazione quindi è di continuare a seguire e sostenere il progetto.
Flo ha fatto la scuola per parrucchieri ed ha iniziato a lavorare come parrucchiera fin dalla terza superiore. E’ sempre vissuta in Viale Ungheria, posto che definisce vivace, accogliente e con molti giovani.
“Casa mia è qui”, afferma. Qui infatti è andata a scuola ed è cresciuta, e molti sono i ricordi di quando era piccola: primo tra tutti, quando sua mamma la portava al Mercato per la merenda pomeridiana. Adesso che ha un bambino di due anni, vorrebbe che crescesse come è cresciuta lei: in una zona tranquilla, dove le persone si conoscono, dove i bambini possono giocare al parchetto. Qui Flo ha anche la sua rete di supporto, che le permette, in caso di imprevisti, di aver qualcuno su cui fare affidamento per andare a prendere il bimbo a scuola.
Il quartiere ha tutto l’essenziale: le scuole, il verde, il supermercato, la farmacia … e poi ovviamente c’è il mercato coperto con fruttivendolo, cartoleria, pescheria, macelleria, polleria, panetteria, lavanderia, parrucchiere, bar ed anche un polivendolo. Il mercato è un luogo di incontro e socializzazione: per gli anziani, che possono trovare tutti i beni di prima necessità e passare del tempo ai tavolini, chiacchierare …. Ma anche per i bambini, che vengono a far merenda e comprare giochi in cartoleria, e per i giovani, che possono sedersi per un aperitivo. Anche se il luogo preferito dai giovani rimane la Promenade di Santa Giulia. Il mercato è quindi un luogo di aggregazione per tutte le età.
Per Flo comunità significa innanzitutto aiutarsi nelle difficoltà, ed a questo proposito il mercato è il cuore della comunità di Viale Ungheria, un luogo di incontro molto bello. Per il futuro Flo vorrebbe una gelateria ed un posto dove poter fare ginnastica o dei corsi di danza, in più dei campi da calcio che già esistono e della vicina piscina. L’auspicio più grande però è che il quartiere, e soprattutto il mercato, rimanga così com’è, un posto tranquillo dove far crescere i figli. Per sé, l’augurio è quello di aprire un giorno un negozio di sua proprietà, sempre in Viale Ungheria.
La StraRogoredo Santa Giulia riprende una corsa che veniva organizzata negli anni settanta dall’oratorio di Rogoredo. La corsa si svolgeva prevalentemente nel quartiere della vecchia Rogoredo, occupando anche gli spazi che poi sono stati ‘inghiottiti’ dallo snodo della tangenziale. L’evento è poi stato sospeso fino al 2018, quando è rinato nel suo nuovo formato che percorre i quartieri di Rogoredo, Santa Giulia e, recentemente, il nuovo quartiere di Merezzate.
Si tratta di una corsa non competitiva, in cui partecipano corridori ma anche famiglie con bambini, che diventa quindi un’occasione di festa e aggregazione tra i quartieri. Gli abitanti vogliono molto bene a questa manifestazione, come testimonia la grande partecipazione di iscritti - circa seicento a manifestazione - sponsor e organizzazioni locali. L’organizzazione della manifestazione sportiva unisce infatti tutte le realtà locali: dai comitati di quartiere, alle scuole, i commerci, le organizzazioni e l’oratorio. Il percorso si snoda lungo cinque kilometri e richiede la partecipazione di oltre venti volontari per la messa in sicurezza del percorso. La corsa si svolge infatti tra le strade della città ed è in questo anche un’occasione per scoprire scorci e spazi nuovi del quartiere che non percorriamo nella nostra quotidianità.
Nonostante ci siano altre iniziative trasversali ai quartieri, come quella di Tessere Legami che rappresenta un tavolo di confronto tra tutte le associazioni locali volto alla definizione di un calendario condiviso ed alla nascita di idee progettuali, la StraRogoredo Santa Giulia ha il merito di far lavorare concretamente le associazioni ad un’iniziativa comune, ed in questo l’entusiasmo di lavorare assieme è stato grande.
La partecipazione di sponsor locali permette, oltre all’organizzazione dell’evento in sé, di raccogliere dei fondi che vengono reinvestiti totalmente sul territorio, con l’assegnazione di premi alle scuole e, presto, con eventi comuni ai tre quartieri dal brand “StraRogoredo Santa Giulia”.
Il quartiere di Santa Giulia nasce sotto lo slogan “La città nella città”: il progetto edilizio era quindi quello di un quartiere autonomo, una città nella città appunto. Ad oggi il progetto iniziale non è ancora stato completato ed il quartiere si scopre privo di alcuni servizi essenziali nonché di attività sociali presenti invece a Rogoredo, fattore che ha contribuito all’avvicinamento dei due quartieri.
L’auspicio è poi che si riesca a costruire un percorso permanente che attraversi i quartieri e permetta di correre in sicurezza, favorendo momenti di incontro e rafforzando il sentimento di appartenenza. Da genitori, Roberto e Oscar auspicano anche degli spazi che permettano ai giovani dai dodici anni in su di socializzare, coinvolgendoli in attività in cui si ritrovino e di cui si facciano loro stessi promotori.
Originaria di Treviso, Elisabetta è arrivata a Milano negli anni ottanta seguendo un sogno: quello di diventare teatrante. Appassionata del teatro di animazione per ragazzi, del teatro di figura e del teatro con burattini, Elisabetta ha seguito la scuola di animazione teatrale del Piccolo Teatro e poi del Teatro Verdi.
Come spesso però succede, la vita l’ha portata su di un binario inaspettato. Diplomata alle magistrali, Elisabetta faceva l’insegnante per potersi mantenere ed aveva fatto domanda per insegnare all’estero. Così nell’ottantasei è arrivata la chiamata per andare ad insegnare in una scuola elementare ad Asmara, in Eritrea, dove è rimasta per sei anni. Di ritorno in Italia dopo l’esperienza all’estero, il rientro è stato inizialmente difficile, rimaneva il desiderio di partire nuovamente. D’altronde a vent’anni si pensa di poter cambiare il mondo. Quando il preside della scuola di Corvetto dove lavorava le ha proposto di diventare insegnante facilitatrice per nomadi stranieri, si è presentata l’occasione di mettere in valore l’esperienza maturata all’estero ed Elisabetta ha svolto questo ruolo per sei anni. L’esperienza in Eritrea è oramai lontana, ma di quegli anni Elisabetta ha fatto tesoro della consapevolezza di sentirsi in prima persona uno straniero e di doversi integrare in un paese che non è il proprio. Questa sensibilità e l’attenzione alla diversità, Elisabetta l’ha portata nel suo lavoro con gli alunni stranieri in Italia.
Elisabetta lavora oggi alle scuole elementari di Rogoredo, da diversi anni. Di quando è arrivata a Rogoredo ricorda il forte senso di collaborazione che si è venuto subito a creare con il comitato genitori e la vivacità della scuola, elementi che l’hanno portata ad investirsi nelle attività delle associazioni di quartiere in più di quelle scolastiche. Il quartiere è stato quindi accogliente ed inclusivo, terreno fertile per chi avesse voglia di mettersi in gioco. E’ quindi con dispiacere che Elisabetta constata che oggi le famiglie sono più chiuse, minore è la voglia di partecipare e sentirsi parte di un progetto comune, ed è più difficile riuscire a coinvolgere le persone. In questo pensa che la scuola sia lo specchio della società di oggi.
La comunità ideale per Elisabetta dovrebbe essere aperta, collaborativa ed inclusiva. Guardando lo spazio comune di Merezzate, Elisabetta immagina uno spazio di animazione continuo, oltre che un luogo per feste e momenti di socializzazione.
Il Centro Internazionale di Quartiere nasce nel 2018. Il Centro dispone di una sala cinema, una sala concerti, una biblioteca, un giardino, un ristorante … tutti spazi polifunzionali che possono essere utilizzati per diverse attività. “Una volta creato il contenitore, ci vogliono poi i contenuti” – dice Modou, tra i fondatori del Centro. Così il C.I.Q. si è arricchito di corsi di Italiano, Inglese, musica, danza, teatro, laboratori per bambini, conferenze e presentazione di libri, rassegne musicali, eventi …
Prima di arrivare qui a Porto di Mare l’Associazione Sunugal disponeva di un piccolo spazio alla Fabbrica del Vapore. Quando poi il Comune ha aperto il bando per la rivalorizzazione della Cascina Casottello, dove si trova oggi il C.I.Q., l’Associazione ha presentato la sua proposta culturale ed ha ottenuto l’assegnazione dello spazio. In molti avevano sconsigliato Modou di trasferirsi qui, in ragione del degrado del quartiere. “Ma la cultura si può fare anche dentro al Bronx” e l’ostinazione di Modou ha ripagato, in quanto il Centro ha ospitato negli anni moltissime rassegne musicali - dal jazz al blues, rock, punk, afrobeat - e eventi di successo, quali il Festival Do Re Mi Fa Sud, che è oggi alla sua sesta edizione e vede la partecipazione di molti artisti stranieri e del Nord e Sud Italia.
In questi cinque anni il quartiere è cambiato molto grazie anche agli sforzi del Comune di Milano e oggi è un luogo pulito e ordinato. In particolare Modou apprezza le persone che lo popolano ed i negozi di quartiere, come il bar, il tabacchi, il ferramenta, il rivenditore indiano, il negozio marocchino, il mercato. E’ fondamentale che l’offerta culturale non si concentri nel centro città ma sia decentralizzata, in quanto anche gli abitanti delle periferie meritano arte, relazioni e cultura, e che il turista in visita a Milano non si limiti a Piazza Duomo ma venga anche qui, perché la periferia è viva e non deve essere abbandonata a se stessa, in quanto il degrado culturale nasce dallo stato di abbandono.
Il Centro si ripropone di essere quindi un luogo di cultura accessibile a tutti, nella sua semplicità. A tal proposito Modou vorrebbe che il Centro fosse popolato in tutti gli orari della giornata, da giovani e bambini. Un giorno auspica di poter disporre di spazi ancora più ampli, per poter organizzare dei grandi concerti. In questi anni di attività Modou ha avuto moltissime soddisfazioni, nel vedere dei nuovi gruppi esibirsi qui, persone di diverse culture e lingue incontrarsi e conoscersi … in questo il Centro è un esempio di condivisione, dialogo, confronto, partecipazione: qualità che la Comunità dovrebbe avere. “Ma la Comunità è grande come il mare”, mentre loro sono solo un piccolo gruppo di persone che però ce la sta mettendo tutta.
CECILIA COSTANZO
Cecilia ha 47 anni, vive a Catania, città bellissima nelle sue mille contraddizioni.Il suo percorso di studi si svolge in parte anche a Palermo dove consegue la laurea in Psicologia. il 05-02-2002.Nel 2008 si specializza in psicoterapia e psicologia di comunità.Svolge la sua attività di tirocinio, con la Cattedra di Psichiatria della facoltà di Psicologia e presta il servizio presso l'unità di Riabilitazione Psichiatrica dell'AUOP P. Giaccone di PalermoLa sua attività professionale è ambivalente: -Sociale con la Cooperativa Marianella Garcia,-Clinica nel suo studio privato.Ama la sua professione che l'assorbe tantissimo, spesso i suoi fine settimana sono dedicati alla formazione e ai corsi di aggiornamento e le rimane poco tempo da dedicare a se stessa.-Anno 2006 al 2007 è Responsabile di Comunità presso la Comunità Alloggio per disabili mentali, -Anno 2008 attività di docente formatrice, presso aziende locali quali ST e Micron,Nel 2009, si inserisce nell'organico della Cooperativa Sociale Marianella Garcia, divenendo poi negli anni prima socia e poi consigliere di amministrazione. E' nella Marianella Garcia che inizia a conoscere e amare il mondo del privato sociale.Il suo primo ruolo all'interno dei progetti della Cooperativa è quello di Educatore Domiciliare per seguire i minori e i nuclei familiari che, necessitano di interventi educativi strutturati, esperienza molto formativa grazie anche all'apporto e al supporto dei colleghi.Nel corso di questi anni si è occupata e si occupa di diversi servizi della Cooperativa, svolgendo via via sempre di piu la sua professione di psicologa.Importante e significativo è stato ed è il suo ruolo all'interno della Comunità per minori stranieri non accompagnati, i suoi interventi in stretta collaborazione con gli educatori della struttura mirano all'inclusione e integrazione di questi ragazzi portatori di traumi spesso non superati e non ascoltati.Dal 2018 svolge il suo ruolo di psicologa all'interno del progetto "TENERAMENTE insieme verso un'infanzia felice", finanziato dalla fondazione CESVI di Bergamo. che vede la cooperativa partener insieme ad altre città in tutta Italia.TENERAMENTE, è un progetto mirato ai bambini da zero ai sei anni e ai loro genitori, per supportarli nella loro funzione genitoriale e soprattutto per evincere e mettere in atto piani di intervento mirati, qualora ci fossero dei segnali di maltrattamento, attraverso PEI elaborati insieme alle altre figure professionali presenti in struttura, (EDUCATORI, ASSISTENTE SOCIALE E PEDAGOGISTA) e nella rete sociale, costruita in seno al progetto.Nel corso di tutti questi anni sente che la sua professione viene sempre piu riconosciuta e accettata dai nuclei familiari di cui si prende cura e carico, questo le permette di sentirsi quasi realizzata e la spinge a sognare di riuscire un giorno a costruire una "Comunità efficiente", per sostenere e dare pari opportunità a chi è meno "fortunato" per stato sociale e culturale.
Claudia lavora per L’Impronta fin dai primi anni di attività dell’associazione. Laureata in pedagogia, ha iniziato come educatrice, per poi diventare coordinatrice dei servizi e recentemente Direttrice dell’area sociale.
L’Impronta è nata dall’iniziativa di un gruppo di giovani volontari del quartiere Gratosoglio che hanno deciso di investire il loro tempo libero in attività diurne con coetanei con disabilità. Negli anni l’associazione è cresciuta e offre oggi diversi servizi a persone con fragilità, come centri diurni, iniziative di inserimento lavorativo e percorsi di autonomia abitativa per persone con disabilità, centri pomeridiani e spazi compiti per adolescenti e diversi servizi di sostegno alla persona. L’associazione ha anche avviato della attività produttive che si occupano di inserimento lavorativo di persone con fragilità, come un’azienda agricola, dei punti ristoro ed un panificio che aprirà a breve nel complesso di Housing Sociale di 5 Square, nel Vigentino.
L’esperienza dell’associazione nel complesso di 5 Square risponde all’esigenza di accompagnamento alla residenzialità di persone con fragilità, esigenza che ha portato L’Impronta ad avviare già dai primi anni 2000 delle case, o comunità sociosanitarie, che accolgono persone con disabilità media e medio grave, prevedendo al loro interno degli educatori professionali. Nel pre-pandemia l’associazione ha inoltre avviato delle esperienze di appartamenti protetti per persone con fragilità o disabilità lieve e che hanno una loro autonomia nel quotidiano pur necessitando di figure di riferimento.
L’auspicio per il quartiere è che vi sia un maggiore collegamento con l’esterno, per esempio con un potenziamento dei mezzi pubblici, e che questo possa rendere il quartiere partecipato anche dall’esterno.
Il Comitato Genitori dell’ICS Pasquale Sottocorno organizza ogni anno diversi momenti di convivialità, il cui ricavato viene devoluto interamente alla scuola. Silvia, rappresentante del Comitato, menziona come esempio le feste di Halloween, Natale, San Valentino, la festa dell’intercultura che si tiene a Marzo e il festone di fine anno dove i bambini si esibiscono con dei balli. Le attività sono state interrotte negli anni di pandemia e solo quest’anno sono riprese parzialmente.
Silvia è mamma di due bambini, uno delle elementari e uno delle medie, che frequentano entrambi l’ICS Sottocorno. Da piccola ha anch’essa frequentato questo istituto e ricorda che allora vi erano solo due sezioni. Da allora la scuola si è ampliata, merito anche dell’allargamento del quartiere con la costruzione di Santa Giulia e Merezzate. Le domande di iscrizioni sono aumentate negli anni al punto da necessitare la costruzione di un nuovo edificio, inaugurato a Merezzate un paio di anni fa, che accoglie oggi le scuole medie, mentre la sede storica di Rogoredo ospita le classi elementari. In questo modo la scuola ha contribuito enormemente all’integrazione ed allo scambio tra i due quartieri: quello storico e quello nuovo.
Di quando era piccola Silvia ricorda la festa di quartiere organizzata dall’oratorio, in cui le vie di Rogoredo venivano allestite con i colori delle diverse contrade che competevano tra di loro con dei giochi. Con l’ampliamento del quartiere questa tradizione è purtroppo venuta a mancare, come anche quella dimensione di paese tipica di Rogoredo, seppur rispetto a molti quartieri di Milano, Rogoredo rimanga comunque una zona protetta, in cui ci si conosce e ci si sente parte di una comunità.
Silvia auspica più luoghi di aggregazione per i bambini e i giovani, per attività ricreative e di doposcuola. Oggi infatti l’unico luogo di aggregazione è il Parco Trapezio, molto frequentato nella bella stagione, oltre all’oratorio che rimane un riferimento importante per il quartiere. A tal proposito la scuola potrebbe svolgere un ruolo importante di aggregazione e socializzazione e diventare quindi un luogo non solo per lo studio ma dove si possano effettuare diverse attività ricreative. Il Comitato potrebbe anche svolgere un ruolo importante, organizzando momenti di festa che contribuiscano a rafforzare i legami comunitari. Un altro auspicio è quello di maggiori strutture sportive per i ragazzi e per la comunità in generale: essendosi il quartiere ampliato, quelle esistenti rischiano di essere insufficienti.
Cesare e Luca sono rispettivamente il Presidente e il Segretario del Comitato di Quartiere Santa Giulia. Il Comitato nasce nel 2007, inizialmente come gruppo informale su internet, costituito da coloro che avevano acquistato casa nel quartiere allora in costruzione, al fine di costruire una piattaforma di scambio dove confrontarsi sulle problematiche legate ai lavori. Il merito del Comitato è stato quindi di creare dei legami tra futuri vicini di casa e fare gruppo per affrontare le difficoltà. Nel 2008 il Comitato si è costituito formalmente e da allora ha rappresentato un punto di riferimento importante per il territorio.
Quando i primi abitanti si sono trasferiti qui, nella bella pedonale ora ricca di bar, tavolini all’aperto ed alberi c’erano terra e buche. Le case erano come cattedrali nel deserto, circondate unicamente da cantieri. Una volta finiti i lavori, ci sono poi stati problemi legati alla bonifica dei terreni e che hanno portato alla riapertura dei cantieri, con lo svuotamento e poi il riempimento del Parco Trapezio appena ultimato. Sul tema delle bonifiche, il Comitato era riuscito, grazie ad una raccolta fondi degli abitanti del quartiere, ad acquistare una pagina dedicata sul Corriere della Sera.
Con gli anni il Comitato, oltre a seguire l’evoluzione dei cantieri, ha anche promosso diverse iniziative volte all’incontro e alla costituzione di legami comunitari, come biciclettate, partecipazione a mostre, feste di quartiere. Il Comitato ha infatti avuto in gestione per qualche anno il chiosco del Parco Trapezio, utilizzato per questo tipo di iniziative: avere uno spazio da poter utilizzare è quindi fondamentale in quanto ad oggi i principali luoghi di aggregazione sono la promenade e il parco trapezio. Il Comitato è poi tra i promotori della StraRogoredo Santa Giulia, un bellissimo evento che nasce da una corsa storica di Rogoredo e che poi si è esteso ai quartieri di Santa Giulia e più recentemente Merezzate. La StraRogoredo Santa Giulia ha visto negli anni una grande partecipazione ed ha il merito di unire per un giorno i diversi quartieri in una unica, grande manifestazione.
L’ultimazione del quartiere di Merezzate ha portato al completamento di un’area, con nuovi servizi quali un supermercato e dei bar, tuttavia rimangono aree dismesse ed edifici abbandonati ed il progetto iniziale è ancora ben lontano dall’essere ultimato. In vista delle Olimpiadi si parla dell’apertura di un grande parco, un’arena, un supermercato più grande e molto altro … nonostante le incertezze sui tempi, le prospettive per il futuro sono quindi rosee.
Kalabrillo è l'idea vincente di tre ragazzi reggini che hanno sposato l'idea dello street food. Dopo aver lavorato in giro per l'Italia nella ristorazione, hanno pensato bene di tornare nella propria terra e innovare. Così Antonello Delfino, Demetrio Albano e Santo D’Amico, con il loro quattro ruote in giro per il Reggino sono andati a trovare i clienti e a far conoscere il loro prodotti. Lo street food, a Reggio Calabria, è nato con loro e al Castello Aragonose si può trovare il Kalabrillo con il classico “Kalaspada”, il panino con il pesce spada ma che vede l’aggiunta di melenzane locali, pomodoro di Belmonte e olive della Piana.
Adesso sono rimasti in due Demetrio e Antonello e hanno portato avanti la filosofia dei prodotti a chilometri zero, delle specialità calabresi che la fanno da padrone nel menù.
Kalabrillo negli anni è cresciuto e per poter continuare a lavorare anche nel periodo invernale ecco che si è spostato al chiuso: così è nato il ristorante nel cuore della città, in via Possidonea, 46.
Sono trascorsi sette anni da quella felice intuizione dello street food e anche se adesso il lavoro è duplicato, tra strada e ristorante, la filosofia della ristorazione del Kalabrillo è rimasta la stessa: “stare a contatto con la gente”.
Kalabrillo, spiega Demetrio Albano, è “famiglia”. Noi abbiamo creato una squadra che è in sinotonia, lavoriamo ogni giorno ma tra noi c'è un rapporto di fiducia, di stima e di amicizia. Crediamo molto nel valore umano e per questo quando il Consorzio Macramè ci ha proposto la possibilità di fare dei tirocini formativi, e dare lavoro, a due giovani migranti siamo stati felici. Adesso Ahmed e Secka sono parte della “famiglia Kalabrillo” e li abbiamo aiutati a crescere e a radicarsi nel nostro territorio”.
Kalabrillo è aperto al dialogo con le associazioni presenti sul territorio e per questo, insieme all'associazione Aps Comunità Patrimoniale “Scalinata Monumentale di via Giudecca” contribuisce a mantere pulita e verde la zona.
Adesso Kalabrillo cerca due figure da inserire nell'organico: una in cucina ed una in sala.
Roberto lavora nella ristorazione da 42 anni e con De Gusto, situato in Via Ternengo 23 a Torino, inizia anche a produrre personalmente i prodotti che propone. Dalle brioches alla focaccia fino ai prodotti della tavola calda. Nonostante le difficoltà della pandemia il locale di Roberto ha continuato a resistere fino a oggi puntando sulla qualità e sulla scelta delle materie prime che esegue personalmente. De Gusto è aperto dalle 6:30 alle 19:30 dal lunedì alla domenica. Il locale è alla ricerca di risorse con tanta voglia di lavorare nel campo della ristorazione, intraprendenti e sorridenti e che vogliano imparare a mettere le mani in pasta.
Dina è al vertice della Trustfood Srl, società che gestisce quattro punti vendita dei supermercati Decò a Reggio Calabria (viale Calabria 189, via Micene 1, via Ravagnese superiore 122 e via Santa Caterina d'Alessandria 96).
Da otto anni Dina segue tutta l'organizzazione della grande distribuzione e a Reggio Calabria i punti vendita sono diventati anche luogo di integrazione.
Inseriti prevalentemente nella zona sud della città, con un solo punto vendita nella zona nord, i supermercati oltre ad offrire ai clienti i prodotti alimentari, grazie all'impegno di Dina e alla passione per il lavoro sono diventati punto di riferimento anche per il territorio e le associazioni.
Dina ha accolto giovani portatori di handicap e attraverso l'impegno e l'affiancamento è riuscita ad inserirli a pieno titolo nel lavoro. Crede davvero all'integrazione, non solo per le persone portatrici di disabilità, ma anche per i giovani stranieri, e per questo è riuscita a creare un team aperto e solidale che sa accogliere e far crescere i nuovi arrivati.
Racconta che è difficile essere al vertice, come donna, ma che è tenace e lotta sempre per quello in cui crede e per questo anche in tempo di Covid ha saputo tessere relazioni con le associazioni di volontariato e ha accolto dei giovani per la misurazione della temperatura dei clienti in entrata.
È disponibile e aperta ad offrire opportunità di crescita ai ragazzi stranieri.
Enzo gestisce il locale dal 2007 insieme alla sua famiglia. E' aperto dalle 7 alle 19:30 dal lunedì al sabato con colazioni, pranzi, merende e aperitivi. Si trova in zona Parella in Corso Telesio 42 e ci racconta Enzo che la clientela è mista: famiglie, impiegati d'ufficio, insegnanti, studenti. Il locale offre anche un servizio catering che, prima della pandemia, collaborava anche con un'azienda ospedaliera. Per Enzo il "noi" è molto importante ed è per questo che gestisce il locale in famiglia e fa sentire a casa ogni persona all'interno del team, senza lasciare nessuno indietro curando particolarmente e attentamente i rapporti. La risorsa che si aggiungerà troverà una seconda casa e un luogo in cui sentirsi accolto in un clima gioioso e professionale.
Giovanni è un giovane imprenditore di Torino che ha lavorato nell'ambito della creazione e consulenza delle start-up. Quando tutto il mondo ha dovuto fermarsi causa pandemia, ha deciso di dare una svolta al suo futuro focalizzandosi su ciò che lo appassionava e lo gratificava maggiormente: la cucina. La sua voglia di viaggiare e scoprire nuove culture lo hanno portato a vivere per lungo tempo in Gran Bretagna, luogo dove ha avuto modo di sperimentare ancora di più questo hobby che presto trasforma in lavoro. Curioso e intraprendente, Giovanni approfondisce lo studio sulla cucina sostenibile e fusion, particolarità che porta anche in Piemonte grazie all'apertura del suo locale Bistrot Nadim a Torino. Il bistrot è il posto dove si sperimenta il suo sapere e quello del suo socio nonché caro amico. La presenza di una nuova risorsa appassionata e volenterosa rappresenta la ciliegina sulla torta per questa nuova realtà.
Federica è nata e cresciuta a Torino, in centro, proprio dove ha sede il suo locale. Ha una formazione scientifica che ha lasciato da parte per aprire, insieme al suo compagno, il locale El Centenario. All'interno del ristorante possiamo immergerci completamente nell'atmosfera messicana, grazie all'arredamento e ai particolari studiati attentamente. La cucina propone i piatti tipici messicani e una vasta scelta di cocktail che lo staff, con cura e attenzione, offre ai clienti. Federica ha dichiarato di vedere nel suo locale la clientela più diversa, da 0 a 99 anni e molte famiglie. La qualità dei prodotti è molto alta ed è questa la marcia in più del suo ristorante, compresa la disponibilità dello staff nei riguardi del cliente e la forte unione di tutto il team di lavoro. La ricerca di una giovane risorsa che sappia parlare spagnolo è l'obiettivo de El Centenario, modo per non perdere l'atmosfera messicana che il locale ha come solido punto di forza.
Alessandra è una giovane imprenditrice torinese che è laureata in architettura e che ha lavorato a Londra come progettista di giardini, proprietaria di Tauer Bakery situato in via Madama Cristina 22 a Torino in piena zona San Salvario. Da piccolo laboratorio che faceva solo dolci, è diventato il locale che è oggi: con cucina, servizio al tavolo e spazio più ampio. A Londra Alessandra ha affinato la sua passione per la creazione di dolci e per la cucina e ha deciso di portare le "vibes" londinesi anche a Torino, preparando cupcakes con materie prime del territorio e brunch che ti trasportano a Londra morso dopo morso. Tauer Bakery è aperto dal martedì alla domenica dalle 9:30 alle 19, con la possibilità di fare brunch in qualsiasi momento senza bisogno di prenotazione.
Leonardo nasce come architetto, con il sogno di fare lo storico, ma la strada lo porta a cambiare rotta e diventare socio di Paolo Bistrot, locale del suo compagno. Entrambi in un momento di bivio lavorativo, uniscono le forze per dare il via a questo nuovo capitolo. Situato vicino all'Ospedale Mauriziano in Corso Dante 2 a ridosso delle case popolari di via Arquata e la zona Crocetta di Torino, nel 2017 il locale è stato rimesso a nuovo per aggiornare la sua immagine e fare un passo avanti rischioso ma coraggioso che è stato ben ripagato. A oggi può mostrare il frutto dell'ambizioso e duro lavoro. Il team di lavoro di Paolo Bistrot, ad eccezione di Paolo il cuoco e Leonardo che si occupa della sala, è tutto al femminile. Il bistrot offre la possibilità di fare colazione, pranzo, cena fino alle 19:30. Inoltre Paolo Bistrot è anche una gastronomia che permette di acquistare prodotti freschi e cucinati giornalmente.
Dario è un educatore che ha lavorato e lavora molto con i giovani. E' laureato in psicologia e collabora con la Cooperativa Mirafiori da alcuni anni, considera la Locanda nel Parco come una scommessa della cooperativa. Il suo locale accoglie ragazzi e giovani, anche con fragilità, che hanno una formazione nella ristorazione e che abbiano la voglia di mettersi in gioco e imparare in un ambiente sereno e accogliente. Più volte Dario ricorda quanto naturale e "normale" sia il locale e anche lo staff, che crede nella diversità come ricchezza. Mangiare bene senza spendere in modo eccessivo è uno dei punti saldi del posto, proprio per andare incontro alle famiglie e per permettere a tutti di concedersi un pranzo o una cena genuina e attentamente studiata. La Locanda nel Parco, grazie al verde di cui è circondata e dell'ampio spazio di cui dispone, è adatta a ospitare eventi quali feste di compleanno, lauree, pizzate di fine anno, pranzi o cene di lavoro.
Sviluppatosi attorno alle fabbriche della Redaelli, Montecatini e Tana, Rogoredo è stato a lungo un quartiere operaio in cui tutti si conoscevano. I fumi rossi delle fabbriche sporcavano i balconi di fuliggine e rilasciavano nell’aria un odore sgradevole. Poche erano le auto e i ragazzi giocavano in strada come per le strade di un paese.
Storicamente Rogoredo è un quartiere antifascista, anche perché proprio qui era stata aperta una sede fascista e le urla delle persone torturate echeggiavano nelle vie del quartiere. Inoltre, diversi partigiani e operai del quartiere che parteciparono agli scioperi del 43 e del 44 furono deportati dai fascisti.
Domenico è il settimo presidente della sezione A.N.P.I. Rogoredo. Tra le ricorrenze storiche celebrate da A.N.P.I. a Rogoredo ricorda la tradizionale fiaccolata organizzata la sera del 24 aprile, la ricorrenza del giorno della memoria il 27 gennaio- in cui vengono ricordati non solo i numerosi ebrei, ma anche gli avversari politici, i rom e sinti, gli omosessuali, i militari dissidenti e tutte quelle persone invise al partito fascista che furono deportate e uccise- la festa del tesseramento e la festa del 2 giugno.
Alla domanda sul perché sia importante festeggiare il 25 aprile oggi, celebrazione contestata da alcuni politici e personaggi pubblici, Domenico ribadisce che la Repubblica Italiana è nata dalla resistenza ed è importante ricordarlo. La generazione di Domenico ha avuto la fortuna di avere familiari che hanno vissuto l’epoca fascista e che hanno potuto trasmettere la violenza e repressione di questo periodo. Con il tempo, la memoria storica è andata scemando, al punto che i giovani oggi hanno un’idea molto vaga di quel momento storico. Per questo è importante fare attività nelle scuole con i ragazzi e A.N.P.I. Rogoredo, che può contare sulla memoria di un partigiano ancora lucido, oltre alle testimonianze di video e foto dell’epoca, organizza diverse attività nelle scuole. In terza media A.N.P.I. porta i ragazzi a visitare il binario 21 sotto la stazione centrale, da dove partivano i treni diretti ai campi di concentramento, e il bunker in Piazza Grandi, in cui si vede in che difficoltà vivevano le persone durante i bombardamenti. In seconda media organizza una giornata con un rapper in cui i ragazzi elaborano alcuni articoli della costituzione in chiave rap. In prima media tiene degli incontri con degli psicologi che spiegano ai ragazzi i rischi legati ai social, come il cyber bullismo e l’adescamento.
Talvolta vengono organizzate delle mostre come quella sui bambini di Terezin, un campo di concentramento in cui venivano deportati i bambini, la mostra ‘pane nero e pane bianco’, che illustrava le difficoltà alimentari durante la guerra quando lo stato razionava il cibo e ogni persona aveva diritto solamente a 150 grammi di pane al giorno, e la recente mostra sulle diciannove donne che hanno partecipato alla costituente.
Della vecchia Rogoredo a Domenico mancano gli spazi di aggregazione, liberi e accessibili a tutti, che oggi si sono ridotti ai bar di quartiere. Lamenta anche la chiusura di diversi negozi storici, schiacciati dal commercio online e dalla grande distribuzione. Si augura quindi l’apertura di attività commerciali, più attività per i giovani ed in generale più attività culturali, perché il quartiere non si trasformi in quartiere dormitorio. Per l’associazione invece, l’auspicio è che i giovani si avvicinino ad A.N.P.I. per proseguirne l’attività in difesa della costituzione, dei valori della democrazia e della memoria.
Alberto si definisce un cittadino attivo di Rogoredo. Arrivato qui quando aveva poco più di un anno, ha sempre vissuto il quartiere facendosi promotore di iniziative cittadine. Il suo attivismo è iniziato quando aveva 16 anni, quando assieme ad altri ragazzi si ritrovava al bar del Cral di Rogoredo (il dopolavoro della Redaelli) una volta a settimana. Nel 77 è stato poi tra gli occupanti di uno spazio comunale, il deposito degli spazzini nello scantinato della scuola elementare. Qui hanno costituito una biblioteca, organizzato attività di doposcuola per gli studenti e avviato un giornalino politico, chiamato “Magliette a strisce”.
Per diversi anni è poi stato membro attivo del Comitato di Quartiere di Rogoredo, che, oltre ad aver avuto in gestione la biblioteca della Ex Redaelli, ha promosso diverse iniziative di pulizia del quartiere, ripulito la discarica adiacente alle docce comunali trasformandola in un giardino, organizzato attività nelle scuole, istituito il giornale di quartiere e, soprattutto, ripristinato i filari di alberi di via Rogoredo - abbattuti per la costruzione della metro - facendone un percorso botanico con l’etichettatura delle piante.
Nel 2013 nasce con degli amici l’idea di organizzare una rassegna che portasse la poesia fuori dai salotti: è l’inizio di “Cortili in Versi”, una manifestazione che per una settimana vede i cortili di Rogoredo e gli spazi comuni, come la COOP, trasformarsi in luoghi di decantazione di poesie. L’associazione Verde Festival si costituisce ufficialmente un anno dopo e, oltre alla rassegna dei “Cortili in Versi”, si è occupata di diverse attività culturali, tra cui la riqualificazione con murales di Largo Redaelli e del Tunnel Jannacci, sotto il ponte dell’autostrada. L’associazione si è anche fatta promotrice di un progetto di riqualificazione degli Orti di via Feltrinelli e della costituzione di una pista ciclabile che arrivi fino a Chiaravalle, progetti ad oggi non ancora realizzati dalle amministrazioni locali.
Dal 2019 Verde Festival ha in gestione lo spazio delle Docce, in cui sono stati organizzati eventi in collaborazione con altre associazioni, come concerti, cinema, scambio di libri e centri estivi. Da qualche mese lo spazio ospita anche il GAS di quartiere.
Le Docce rappresentano un luogo simbolico di Rogoredo. Qui per anni venivano a lavarsi gli abitanti dei palazzi di ringhiera, quando nelle case vi era esclusivamente un WC ma non un vero e proprio bagno. Dopodiché le docce sono state utilizzate per anni da senzatetto e cittadini stranieri, fino alla decisione dell’assessore di chiuderle e adibire gli spazi ad altro uso.
Le pecore sono il primo ricordo che Alberto ha di Rogoredo. Negli anni sessanta infatti, Rogoredo era un borgo storico con attorno tutti campi. Così da piccolo si ricorda quando si è svegliato ed ha visto i campi davanti casa maculati di pecore al pascolo. Di quando era giovane ricorda anche la spensieratezza di quegli anni senza cellulari, in cui ci si ritrovava tra ragazzi tutti i giorni ai giardini.
Alberto si rallegra dei nuovi progetti dell’arena e del conservatorio e per il quartiere si augura un miglior collegamento ciclabile con Chiaravalle, Forlanini, Porto di Mare e San Donato, oltre alla riqualificazione degli orti.
La squadra di BaskIn di Rogoredo si presenta e ci spiega cos’è il BaskIn.
“Un modo per stare insieme nello sport, comprendendosi nelle diversità”
“Un bellissimo sport che permette a persone di ogni età e con qualsiasi livello di abilità di potersi realizzare a livello sportivo”
“Una valvola di sfogo, un’occasione per stare con altre persone, un appuntamento fisso nella routine settimanale”
“La possibilità di fare sport senza dover dimostrare qualcosa, di essere il più bravo. Vince chi sa fare squadra e stare insieme agli altri”
“Un’occasione per stare insieme ad amici e mantenersi in forma in allegria”
"Più di un gioco di squadra, una famiglia"
“Un insieme di regole, ma la cosa più importante è quella di giocare con un unico scopo, quello di stare insieme”
“Un gioco inclusivo in cui tutti possono partecipare, nessuno escluso”
“Un momento di condivisione con i compagni”
“Un gioco divertente dove c’è il contatto fisico, la sfida, il gioco di squadra … un gioco dove si è tutti diversi ma uniti dallo scopo di vincere”
“Un momento di condivisione che sfocia subito nell’amicizia, nella solidarietà, nell’aiutarsi”
“La gioia dei compagni quando faccio canestro”
“Una valvola di sfogo, un momento in cui tutti i problemi passano in secondo piano perché si pensa solo a divertirsi e a giocare”
“Uno sport senza pregiudizi, in cui entri in campo e giochi senza paura di sbagliare quello che stai facendo”
Il BaskIn, il basket “inclusivo” o “integrato”, è una disciplina sportiva che fa giocare nello stesso campo persone di sesso diverso e con capacità tecniche e motorie differenti. E’ quindi uno sport per tutti, in cui vengono assegnati dei ruoli in base alle capacità tecniche e motorie di ciascuno, così che ogni giocatore si possa confrontare unicamente con giocatori con caratteristiche simili dal punto di vista fisico e tecnico.
Kristina viene dal Belgio e vive a Milano da più di 30 anni. Fa parte dell’Associazione Parco del Ticinello che è nata nel 1989 e di cui ha voluto farsi portavoce durante il nostro incontro. Lavora inoltre, sempre come volontaria, anche per l’Associazione La Baia del Re (nel quartiere Stadera) come insegante nella scuola d’italiano per stranieri.
L’Associazione Parco del Ticinello si configura agli albori come un insieme di persone appartenenti alla parrocchia ma si è oggi spogliata di ogni appartenenza politica e religiosa. Spinta dal desiderio di tutelare i terreni circostanti al Parco (che avrebbero dovuto ospitare la costruzione di nuovi palazzi) tra gli anni ’80 e ’90 l’Associazione ha sostenuto il processo di riacquisizione da parte del comune delle aree verdi del quartiere, le quali ora costituiscono la grande vegetazione del Parco Agricolo del Ticinello. Finite le lotte per la preservazione del territorio, molte sono le attività che l’Associazione continua a portare avanti attraverso il lavoro gratuito e appassionato dei volontari: laboratori didattici con le scuole, iniziative culturali (anche presso la Cascina Campazzo) tra cui concerti e spettacoli teatrali, feste di quartiere (ad esempio: la Festa degli Aquiloni del mese di Aprile, la Festa dell’associazione nel mese di Maggio e la Festa di Sant’Antonio nel mese di Gennaio) e attività ecologiche di cura del territorio (con Fauna Viva organizza le passeggiate naturalistiche).
All’interno del Parco si possono incontrare diversi luoghi e strutture con funzioni specifiche: gli Orti del comune, spazio di condivisione e socialità; l’area didattica gestita dalla Cooperativa L’impronta; e il Vivaio Condiviso di cui si occupa l’Associazione Progetto Persona.
Stare insieme, inclusione, uguaglianza sono alcuni dei valori fondanti dell’Associazione. La cura del verde è una missione concreta <<per far toccare con mano l’agricoltura>>, per preservare quella dimensione agricola che è innanzitutto custode della stagionalità, della relazione con la natura, di un sapere antico e prezioso portato avanti dai contadini della zona.
Il Parco Agricolo del Ticinello è un luogo speciale, spiega Kristina, perché per quanto sia vicino alla metropolitana e al traffico cittadino mantiene ancora quella bellezza incontaminata rara per un ambiente urbano come Milano, dove le persone possono riscoprire la calma e il benessere della natura. Nonostante le dimensioni e la presenza storica nel quartiere, il parco è ancora una realtà poco conosciuta all’interno della città meneghina.
Il senso di comunità per Kristina è un valore prezioso orientato alla condivisione. Condivisione e partecipazione sono processi che hanno bisogno di risorse e di spazi. Intorno a lei nel periodo attuale coglie una mancanza di luoghi di aggregazione che facilitino l’incontro e la crescita condivisa, soprattutto per i giovani. L’Associazione in questo senso vuole configurarsi anche come spazio, occasione, in cui incontrare nuove persone e prendersi cura delle relazioni. Per farlo ha bisogno di un maggiore numero di volontari che diano una mano nell’organizzazione delle diverse iniziative.
Per il futuro Kristina si augura di portare avanti il suo lavoro di insegnante nella scuola di italiano per stranieri e di riuscire a coinvolgerli maggiormente nelle attività dell’Associazione del Parco Ticinello rafforzando ponti di dialogo e connessione. Per l’Associazione del Parco Ticinello desidera veder crescere l’insieme di progetti e attività esistenti grazie all’aiuto di nuovi partecipanti, desiderosi di spendersi per la comunità e per il bene della natura.
E. è un ragazzo albanese di quasi 16 anni, ha raggiunto l’Italia nel mese di ottobre 2022, è stato ospitato inizialmente a Torino poi ad Asti in una struttura, successivamente ha trovato accoglienza in una comunità nei pressi di Alessandria, nel mese di febbraio 23 E.è giunto a Felizzano presso la comunità Il Galletto, gestita dalla Cooperativa Sociale Azimut. I genitori di E. vivono in Albania, sono disoccupati, i suoi fratelli, una sorella di 26 anni ed un fratello di 30 anni hanno entrambi dei figli e vivono al suo paese d’origine. Il ragazzo è iscritto e sta frequentando la terza media, in accordo con il dirigente scolastico e gli insegnanti, affinché possa completare il ciclo di studi e riesca a conseguire la licenza media. E. si reca quotidianamente a scuola a Felizzano, il rendimento scolastico è adeguato, ha instaurato un rapporto positivo sia con i compagni sia con gli insegnanti. Dopo la scuola il ragazzo trascorre parte del tempo in struttura, dove va d’accordo con gli altri ragazzi e con gli operatori, oppure esce per recarsi autonomamente, usando i mezzi pubblici, nelle città di Alessandria o Asti. Il giovane passa il suo tempo giocando a calcio con i suoi compagni della comunità, fa esercizi nella palestra della struttura, esce per fare delle passeggiate con i suoi amici. E. a volte in comunità si occupa di fare piccoli lavoretti per aiutare gli operatori aggiustando oggetti che vanno riparati, è attirato da ciò che è “elettrico” e a settembre 23 inizierà un corso da elettricista presso un istituto professionale ad Alessandria. Il ragazzo ha inventiva e fantasia e sa riutilizzare alcuni oggetti dando loro un’altra destinazione d’uso. Il suo sogno è quello di poter aprire una ditta specializzata in impianti elettrici. Il giovane vorrebbe lavorare ed essere inserito in un progetto di tirocinio in modo da imparare e mettersi alla prova con il mondo del lavoro.
Anna, appassionata giocatrice di hockey in carrozzina elettronica, è la presidente della sezione di Milano di UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Entra in questa realtà nello stesso periodo in cui arriva a Milano. Da studentessa, spinta dal desiderio di sperimentarsi nell’esperienza di fuori sede, decide infatti di lasciare la famiglia d’origine per trasferirsi da Verona al capoluogo lombardo. In UILDM incontra innanzitutto sostegno e motivazione: nella realizzazione dei propri sogni e della propria libertà, UILDM le offre strumenti e compagni di avventura con cui elaborare e rafforzare gioie e fatiche di un nuovo percorso. Inizia così la sua avventura come utente, poi come volontaria e infine come Presedente di Sezione, sempre animata dal desiderio di mettersi a disposizione per gli altri.
L’associazione UILDM è attiva dal 1968. Molti i servizi e le attività che porta avanti, tra cui il trasporto degli utenti per ospedali, terapie, segretariato sociale, commissioni e tempo libero (dimensione questa di grande valore, spiega Anna, perché fortemente connessa all’autodeterminazione, alla crescita, alla progettualità e al benessere dei ragazzi). Dal tempo libero si passa poi a progetti di vita indipendente, dentro e fuori il nucleo familiare, consulenza alla pari, housing sociale, laboratori, tirocini, percorsi di inserimento lavorativo. Ma anche la centralità dello sport e dei campi estivi.
UILDM si configura insomma come uno spazio innanzitutto relazionale, volto ad alimentare il senso di autodeterminazione e di libertà dei ragazzi attraverso il sostegno, il confronto e lo scambio di conoscenze e consapevolezze (da un punto di vista socio-sanitario e di vita quotidiana). Si caratterizza per una certa proattività verso il territorio e le istituzioni con cui intesse progetti di collaborazione e condivisione, a partire da iniziative scolastiche, educative, sportive e di cittadinanza attiva. Anche il volontariato è un elemento cardine dell’associazione.
Per Anna UILDM rappresenta un tornare a casa, un sentirsi in famiglia in cui l’idea di benessere si traduce nell’amare ciò a cui ci si dedica.
Per il futuro dell’Associazione Anna desidera “fare casa di più”: migliorare cioè la capacità della sede di Via Lampedusa di rispondere alle sempre nuove esigenze degli utenti e del contesto circostante. Alimentare uno scambio di vicinato, una condivisione con la comunità attiva e concreta. Far sì che la struttura <<diventi tanto flessibile quanto lo sono oggi le nostre giornate>> spiega Anna, con un approccio maggiormente polifunzionale e rimodernato. Su larga scala il suo auspicio è che tante delle attività svolte dall’associazione diventino sempre meno necessarie, cosicché <<quello che oggi ci chiedono diventi via via più automatico e insito nel tessuto sociale. […] Che si raggiunga non solo una cura alla patologia, ma un tempo più inclusivo che sappia dare valore alle diversità”
Inclusione non solo in termini di barriere e accessibilità ma anche di sguardi, relazione, comunicazione. In questo senso all’interno di UILDM lo sport viene vissuto come strumento d’eccellenza nel percorso di presa in carica della persona con disabilità e nel lavoro più ampio di integrazione sociale e culturale. Oltre allo sport anche musica, arte e teatro rappresentano linguaggi universali capaci di unire e valorizzare le differenze.
Camilla è stata attratta dai colori fin da bambina, quando dipingeva i muri di casa di mamma e papà. Ha scoperto l’arteterapia da adulta, dopo un diploma da perito aziendale ed una laurea in scienze dell’educazione. Ha quindi intrapreso la scuola di arteterapia e si è diplomata al Liceum Academy di Milano.
Dovendo spiegare in cosa consista l’arteterapia, Camilla la definisce un spazio dove accogliere quei bisogni che, se non ascoltati, si manifestano nella vita come problemi e difficoltà. La parola ‘bisogno’ ha infatti in sé la parola ‘sogno’: se impareremo quindi a dar voce ai nostri bisogni, potremo dar voce ai nostri sogni. Rispetto ai principali bisogni rilevati nel corso della sua esperienza, menziona il desiderio di essere ascoltati e visti per quello che si è, l’imparare ad accettare le proprie emozioni e tirar fuori i pesi emotivi, così come il desiderio di non sentirsi soli.
L’arteterapia si contraddistingue dai corsi di disegno o pittura in quanto nell’arteterapia è importante il processo: non interessa quindi il prodotto finale nella sua qualità estetica ma il processo creativo che viene innescato dall’incontro con i materiali e le emozioni. L’arteterapia è quindi uno spazio di ascolto del nostro paesaggio interiore ed è adatta a tutte le età, dai bambini agli anziani. Oltre a lavorare in uno studio privato a Rogoredo e a collaborare con le scuole, Camilla ha anche svolto delle attività con gli anziani, tra cui una signora di ben centodue anni.
In arteterapia si possono usare sia materiali ‘classici’ - come matite, pastelli, acquarelli, tempere - che materiali destrutturati - come foglie, bastoncini, sabbia, materiali di scarto … Questi materiali del mondo naturale aprono immaginari (sabbia e conchiglie ci porteranno in una spiaggia mentre legno, muschio e foglie ci porteranno in un bosco), aprendo le porte a paesaggi esteriori ed interiori. Rispetto all’utilizzo dei materiali di scarto, questo processo si avvicina al kintsugi giapponese, che consiste nel riassemblare oggetti rotti con l’oro: le ferite diventano quindi non più difetti da nascondere ma segni da valorizzare.
Oltre all’arteterapia, Camilla tiene dei laboratori di scrittura creativa ed ha una passione per le danze, in particolar modo per quelle popolari. Alla domanda su come si immagini una comunità, Camilla risponde colorata, variegata, partecipata, iridescente. La comunità deve essere un luogo di scambio, in cui ognuno contribuisce con la propria diversità e in cui ci si sostiene l’un l’altro.
Rispetto al quartiere si auspica più punti di incontro per tutte le età e più attività culturali, mentre per se stessa l’auspicio è di continuare a diffondere l’arteterapia e le sue possibilità trasformative ed aiutare le persone a ricontattare la loro parte creativa.
Paolo è informatico di professione: ha lavorato qualche anno in azienda tra Roma e Milano e ora lavora come libero professionista. E’ arrivato a Santa Giulia nel 2009, quando il quartiere è stato inaugurato. Il quartiere gli ha fatto da subito una buona impressione: è infatti nuovo e strategicamente collegato al centro.
BiblioShare nasce nel 2015 come iniziativa del suo condominio a Santa Giulia. In particolare, nasce dall’esigenza di dare una seconda vita ai numerosissimi libri di cui Paolo dispone a casa, essendo sua moglie una lettrice appassionata. BiblioShare è infatti una libreria virtuale composta dai libri messi a disposizione dagli utenti iscritti: per iscriversi è necessario registrare almeno un libro, ma i libri possono essere molti di più (ed infatti c’è chi ne ha messi a disposizione più di ottanta). Il libri non vengono ceduti ma rimangono nei propri scaffali finché uno degli utenti della propria comunità ne richiede il prestito. Inizialmente si era posto un problema di sicurezza, tuttavia da quando è nata BiblioShare non è mai stato annoverato un furto ed i libri sono sempre stati restituiti al proprietario. La comunità di Santa Giulia – Rogoredo conta oggi oltre diecimila libri registrati. L’iniziativa ha poi suscitato un certo interesse mediatico, con articoli pubblicati su Il Sole 24Ore, Repubblica e Il Corriere della Sera. Nel giro di poco tempo sono quindi nate delle community in tutta Milano ed in tutta Italia. Oltre alle community di quartiere, sono nate delle community tematiche, di appassionati di un determinato genere letterario, così come delle community aziendali.
Diverse sono le differenze tra BiblioShare ed un tradizionale bookcrossing. Innanzitutto con BiblioShare è possibile fare una ricerca per autore e titolo e quindi scegliere il libro tra un’amplia collezione. A quel punto diventa possibile contattare il proprietario secondo le modalità da lui indicate e ci si accorda per lo scambio. Il prestito di libri comporta quindi un contatto tra persone che hanno degli interessi in comune ed in questo senso BiblioShare contribuisce alla creazione di legami comunitari ed ha fatto nascere negli anni amicizie di lunga durata.
A Merezzate il Living potrebbe essere il luogo ideale per favorire l’incontro tra persone. A tal proposito Paolo si augura la nascita di luoghi di aggregazione per attività culturali anche nel suo quartiere, a Santa Giulia. Altri servizi che vorrebbe veder nascere sono una biblioteca, un centro sportivo con piscina … ed uno sportello bancomat.
Per il futuro Paolo si augura che il progetto di BiblioShare si espanda, magari con la creazione di una App, e che i giovani leggano più libri, continuando ad alimentare gli scaffali virtuali della BiblioShare.
Lo GNAM, ovvero il Gruppo Non Violento di Autocoscienza Maschile, nasce negli anni novanta da giovani studenti universitari membri di associazioni pacifiste e non violente. E’ quindi un gruppo informale che prende forma dal desiderio non solo di raccontarsi, ma anche di riflettere sui diversi modi di vivere la maschilità. La voglia di confrontarsi con altri uomini su questi temi nasce dal sentimento di non riconoscersi nei modelli di maschilità proposti. In questo senso è bene distinguere tra ‘stereotipi’, che in quanto tali vengono criticati, e ‘modelli’, che invece sono culturalmente accettati.
Dagli anni novanta sono nati diversi gruppi di autocoscienza maschile e si è generata una certa autocritica da parte della maschilità eterosessuale nei confronti del patriarcato. Allo stesso tempo, si è sviluppata anche una cultura reazionaria che rivendica i modelli di maschilità del passato e che talvolta sfocia in aggressività violenta e linguaggio sessista. Si potrebbe quindi parlare di un maschilismo di ritorno che è diventato più aggressivo proprio perché si sente minacciato. A cambiare rispetto al passato è l’attenzione mediatica rispetto ad alcuni temi che tuttavia non si traduce necessariamente in un cambiamento di costumi.
Recentemente, il gruppo ha pubblicato un libro intitolato “Maschilità Smascherata - L’esperienza del gruppo GNAM”, nel quale si affrontano temi quali la maschilità, la violenza sulle donne, il rapporto con l’omosessualità e, più in generale, i cambiamenti generati dal percorso intrapreso con il gruppo. L’idea di pubblicare un libro nasce già una decina di anni fa, quando ci si è accorti di quanto l’esperienza con il gruppo fosse stata significativa, anche se la spinta finale che ha portato alla pubblicazione è stata data dal periodo di lockdown. In seguito alla pubblicazione, il gruppo è stato chiamato per diverse interviste, presentazioni del libro e ha anche ricevuto un invito a parlare con i ragazzi nelle scuole. L’idea è quindi di far partire altri piccoli gruppi proponendo una modalità di lavoro consolidata sulla base dell’esperienza del gruppo GNAM. L’auspicio è perciò di poter facilitare la creazione di altri gruppi autonomi di autocoscienza maschile e che questi gruppi portino all’attenzione del dibattito pubblico i temi legati alle infinite possibilità di vivere la maschilità, così come il rifiuto netto di ogni forma di violenza (maschile) sulle donne.
Elisabetta è la direttrice di Ottavanota, una scuola di musica nata dodici anni fa e il cui nome anticipa un’intrinseca disposizione a valorizzare il capitale umano: <<Le note sono sette e l’ottava-nota è chi la musica la fa>> spiega infatti Elisabetta, ponendo l’accento sulla dimensione antropica dell’attività. La direttrice incontra la musica da bambina al conservatorio, attraverso lo studio di clavicembalo e organo. Desiderosa di trasmettere la bellezza della musica sceglie il ramo della didattica. Inizia in una scuola privata ma in seguito percepirà le mura come un limite. Ottavanota nasce e si prefigura come sistema aperto verso il quartiere e il territorio. La musica, sottolinea, è bella quando si condivide.
Chiamare Ottavanota una scuola è, per la direttrice, un modo riduttivo di presentarne l’ampio spettro identitario. Molti sono infatti i progetti e le collaborazioni che porta avanti (progetti ludici, musicali, didattici e culturali) attraverso un continuo lavoro di rete con gli altri attori nel territorio. L’obiettivo è aprirsi a tutte le realtà culturali esistenti con un lavoro artistico a 360° (promuovendo ad esempio laboratori e mostre di pittura).
La scuola propone una didattica per qualsiasi livello, per ogni età (dai 6 mesi ai 75 anni) e con tutti gli strumenti. Per i piccolissimi sono state pensate delle classi di propedeutica musicale (6-36 mesi e 3-5 anni). Sono disponibili corsi collettivi di tastiera e chitarra, ma si prediligono lezioni individuali affinché ogni allievo possa esprimersi pienamente attraverso una relazione privilegiata.
Un’equipe di 34 professori altamente specializzati (dal classico, al jazz e al tanghero) segue una squadra di ormai 280 allievi. Il lavoro di rete attuate nel territorio viene coltivato innanzitutto all’interno delle mura scolastiche, perseguendo la collaborazione tra i docenti e incentivando gli allievi a suonare insieme e a costituire, ad esempio, piccole band che accompagnino chi studia canto moderno.
Tra le numerose attività proposte, ce ne sono alcune di cui Elisabetta racconta con grande orgoglio e commozione:
La scuola segue anche diversi progetti nelle scuole dell’infanzia e primarie del quartiere, che hanno l’obiettivo di far emergere i racconti personali dei bambini attraverso laboratori e spettacoli di narrazione e musica. Un nodo cruciale della nostra società, secondo Elisabetta, è infatti la mancanza di ascolto, soprattutto verso i più piccoli.
La musica è il linguaggio universale capace di abbracciare tutti, soprattutto in un contesto milanese multiculturale, insegnando a stare insieme in maniera sana e dialogante. <<Non c’è musica se non c’è ascolto!>> Per diventare bravi musicisti bisogna saper ascoltare. In una società individualista come la nostra, la musica rappresenta una forza incredibile per poter stare insieme.
Gli elementi di ricchezza che identifica nel quartiere sono la voglia di fare rete dei suoi membri (attraverso ad esempio iniziative come “Tessere Legami”) e la natura fortemente inclusiva dei progetti del territorio. Per Elisabetta, ciò che occorre potenziare è uno spazio di espressione per le persone, dove ascoltare, raccogliere, valorizzare e condividere le storie e i desideri delle persone.
Un sogno di Elisabetta è spezzare la settorialità tra settori e individui, valorizzare l’apertura verso la differenza e la fragilità. <<Non si tratta solo delle istituzioni o delle scelte politiche. Siamo noi che possiamo fare la differenza>>.
Per Elisabetta comunità significa, essenzialmente, stare insieme, nonostante i muri fisici, sociali e politici. Per rappresentare questo concetto non sceglierebbe un brano ma uno strumento, il pianoforte. Il pianoforte ha 88 tasti, 88 voci che vibrano insieme, diversamente da altri strumenti, coinvolgendo simbolicamente e contemporaneamente più parti, più attori. Una comunità, un pianoforte, sono fatti di tante voci che si mettono insieme per creare un'unica sinfonia.
Anna, chiamata da molti anche con il soprannome di Alice, ha iniziato a lavorare prima nella comunicazione ed è poi approdata nell’ambito educativo con i bambini. Con una socia fonda del 2004 l’Asilo dei Girasoli inizialmente dentro ad un centro pediatrico e poi in una sede vera e propria. Il nome della Cooperativa è stato scelto in onore della Dea Madre Terra, come celebrazione della generatività, della femminilità e della famiglia.
Moltissimi sono i temi vivi e pulsanti che sostengono il lavoro della Cooperativa e i suoi valori:
Attraverso i linguaggi universali artistici Anna racconta di aver incontrato, all’interno del contesto in cui opera, un ventaglio molto ampio di emozioni: l’arte, secondo lei, avvicina e mette in contatto le persone, promuove il fare insieme, il fluire di pensieri ed emozioni attraverso i materiali e i colori.
Tra i bisogni principali emergenti nel territorio, secondo Anna c’è una grande richiesta di sostegno alla genitorialità, di spazi per i più piccoli, e di migliori equilibri famigliari nell’ autonomia-individuazione-vicinanza con i figli. La comunità può diventare una risorsa di fronte alle solitudini, alle fragilità e alle paure che attraversano il contesto sociale più ampio.
Tra le risorse più forti del contesto, Anna individua immediatamente il sostegno e la collaborazione dimostrati ogni giorno dal tessuto sociale del quartiere.
Per favorire incontro e dialogo tra le persone, Anna suggerisce di attivare e lavorare innanzitutto con la leggerezza: propone infatti di abbandonare la rigida tendenza a riflettere e analizzare i fenomeni per dare invece più spazio agli incontri spontanei, alle produzioni immaginative e gioviali che secondo lei rappresentano delle ottime occasioni di scambio e vicinanza. L’arte diventa così un vero e proprio strumento di espressione per chi ha voglia di stare insieme.
Per Anna il senso di comunità è l’appartenenza ad un gruppo che condivide problemi e sostegno reciproco.
Per il futuro guarda innanzitutto all’imminente apertura di un nuovo spazio nido presso 5Square e in generale si auspica un cambiamento sostanziale nel sistema scolastico italiano, così come la diffusione di un approccio alla conoscenza e alla natura che formi le future generazioni alla sensibilità e alla consapevolezza.
Alessio ha ventidue anni ed abita a Rogoredo da sei anni. Ha scoperto l’ecologia seguendo Greta Thunberg sui social media e poi, durante il lockdown, ha deciso di passare all’azione con iniziative di pulizia del Parco Trapezio e del quartiere di Santa Giulia. La sua iniziativa ha attirato le attenzioni degli abitanti del quartiere fino ad avvalergli un articolo su “Il Giorno”. Così Alessio ha aperto una pagina Instagram dove molte persone lo contattano chiedendogli di potersi unire a lui nella pulizia del quartiere. Il suo desiderio è quindi che più persone che già lo seguono sui social si uniscano a lui partecipando di persona alle sue iniziative domenicali.
Oltre all’ambiente, Alessio ha la passione per gli animali, in particolare per i gatti. Infatti, oltre ad averne uno a casa, si prende cura assieme ad un’amica della colonia felina di Merezzate.
Rispetto al quartiere, Alessio ci dice che Rogoredo è molto migliore della reputazione diffusa dai media. Definisce il quartiere una famiglia, un paesino dentro la città. In particolare Alessio frequenta l’oratorio e le diverse iniziative promosse dalla parrocchia. Per quattro anni ha infatti fatto l’animatore in oratorio e recentemente ha proposto dei workshop per bambini su temi quali il riciclo e la raccolta differenziata. Oltre alle iniziative di sensibilizzazione ambientale, gli piacerebbe ci fosse uno spazio per i giovani per poter studiare e socializzare: ad oggi infatti esiste solo la parrocchia come luogo di aggregazione.
Alla domanda su cosa voglia fare da grande, Alessio risponde l’operatore ecologico. Ci mostra gli oggetti che usa nelle sue operazioni volontarie di pulizia e che gli sono stati donati dall’Ansa, come la pinza raccogli rifiuti, i guanti ed il gilet.
Nel tempo libero Alessio gioca a Baskin e scrive poesie. La passione per la poesia è nata alle medie grazie ad un suo professore che lo ha incoraggiato a scrivere.
Alessio dice che la costruzione di Merezzate ha avuto il merito di avvicinare Rogoredo e Santa Giulia al quartiere di Viale Ungheria, così come l’apertura della scuola media di Merezzate ha ugualmente avuto il merito di unire i quartieri facendo spostare le famiglie. Ciononostante, i quartieri rimangono ad oggi divisi e Alessio si auspica una maggiore unità tra i quartieri.
Come auspicio per la comunità, Alessio si augura una maggiore pulizia del quartiere in quanto ad oggi la sensibilità ambientale è ancora poca, mentre per sé l’auspicio è di vincere i campionati di Baskin.
Laura Cattaneo ha 27 anni e da quasi 10 anni lavora a Felizzano nell’ azienda di famiglia che opera nel settore del florovivaismo producendo e vendendo principalmente piante ornamentali all’ ingrosso a rivenditori o a partita iva. L’azienda, sorta nel 1973, è nata su ispirazione del nonno paterno in qualità di “giardiniere” al castello di Redabue negli anni 40/60. L’ azienda animata da una sana passione per le piante e una spiccata propensione per le nuove tecnologie, si è evoluta acquisendo conoscenze e metodologie dei vari mercati con particolare riferimento ai paesi del Nord Europa. L’azienda attualmente si sviluppa su un’area di 35000 mq, dei quali circa 25000 mq coperti da serre completamente automatizzate. L’azienda è così suddivisa: una parte dove avviene il cash and carry e una parte dove avviene la produzione che è attiva tutto l’anno, soprattutto d’inverno è fiorente quella dei ciclamini e delle stelle di Natale, vi sono 3 grandi serre e 2 parti esterne, il personale impiegato è di 7 dipendenti. L’ azienda è automatizzata riguardo gli impianti di irrigazione, clima e riscaldamento e coinvolge anche la produzione e la piantumazione del taleaggio. Gli orari di lavoro giornalieri sono dalle h.8/12, dalle 14/18, ci sono periodi durante l’anno in cui la produzione è piuttosto intensa, soprattutto in prossimità delle festività come il Natale, la Pasqua, Ognissanti, la Festa della Mamma, San Valentino, in altri momenti meno impegnativi si riesce a dedicare più tempo a mettere a posto le piante, al riordino e alla pulizia all’ interno dei grandi spazi. Le mansioni nelle serre non sono difficili, le persone che vogliono lavorare in questo contesto devono avere cura delle piante, dell’ordine e della pulizia, Laura afferma che le piante “sono vive” hanno bisogno di cibo, ovvero di acqua, concime e di attenzioni, come togliere le foglie secche, i fiori sfioriti, i sacchetti quando vengono consegnate, va dedicato loro tempo. Quando arrivano le piante vanno messe sui bancali per essere esposte e vendute, come in un supermercato, per quanto riguarda la produzione, le piante vengono raccolte dai bancali messe su dei carrelli per essere portate nel magazzino, dove vengono insacchettate e successivamente consegnate al cliente. La vendita si estende sul nord Italia e in parte al centro Italia e qualche esportazione all’ estero. Laura sottolinea che i clienti si affidano e scelgono la ditta Cattaneo per la serietà, la professionalità e la qualità del prodotto, è importante produrre piante sane e belle che possano durare nel tempo. La giovane donna afferma di voler continuare l’attività, è animata da tanta passione che le è stata tramandata dai suoi genitori e ancor prima dai nonni, la sua aspirazione è quella di portare avanti l’azienda, così da non vanificare tutti gli sforzi ed i sacrifici compiuti, garantendo un solido futuro. La tecnologia all’ interno dell’azienda è sempre stata applicata fin dall' inizio, questa scelta è stata compiuta dal padre e dallo zio di Laura, con lo scopo di poterne trarre beneficio e un aiuto nelle numerose mansioni. La parte maggiormente tecnologizzata è quella legata all’ impianto di irrigazione, anche altre mansioni sono affidate all’ automatizzazione, come l’apertura e la chiusura delle finestre, la copertura e scopertura dei pannelli oscuranti, l’utilizzo di lampade che riscaldano alcuni tipi di piante, l’impianto di riscaldamento è alimentato da una caldaia a cippato. Questo tipo di lavoro richiede molto impegno, tanti sacrifici legati alla fatica fisica e ad un grande investimento di denaro, Laura vuole trasmettere passione e conoscenze anche ai nuovi dipendenti, in modo da far crescere l’azienda, per lei lavorare “è come essere in ferie”, tanta è la passione e la voglia con cui lavora e porta avanti i suoi obiettivi, la curiosità e la motivazione ad imparare sono requisiti necessari per poter svolgere questa professione. Occuparsi di questo settore è faticoso, questo tipo di lavoro rischia di non essere portato avanti dalle nuove generazioni, si tratta di un mestiere duro ma ricco di soddisfazioni. Il sogno nel cassetto di Laura è quello di espandere l’azienda in quanto, a differenza di altre parti d’Italia, al nord questo settore è poco sviluppato.
L’associazione Spazio Melotti nasce nell’ambito di un progetto Cariplo riguardante i quartieri di Santa Giulia e Rogoredo. Inizialmente avrebbe dovuto aver sede nella palazzina abbandonata degli “Ex chimici”, l’ultimo residuato dello stabilimento Redaelli. In ragione dei costi elevati delle ristrutturazioni e della necessità di una bonifica del suolo, Spazio Melotti è stato invece ospitato in un negozio situato nel quartiere di Santa Giulia, non lontano dalla Promenade. L’associazione è nata quindi per gestire uno spazio fisico che offrisse iniziative culturali e sociali proposte dagli abitanti stessi. Così un volantino è stato diffuso chiedendo agli abitanti di presentare delle idee sull’utilizzo dello spazio. Diverse le associazioni che hanno proposto iniziative: da Verde Festival a Parlami, da Auser a Ottava Nota … Spazio Melotti ha anche accolto la proposta di costituire un gruppo GAS che durante il lockdown è stato un punto di riferimento fondamentale per il quartiere. Oltre ad attività di sensibilizzazione sul benessere e lo star bene, piccoli concerti e spettacoli teatrali, attività ludiche per i bambini, iniziative di book crossing, Spazio Melotti ha anche ospitato feste di compleanno ed altri eventi ricreativi. Purtroppo lo spazio è stato messo in vendita e l’associazione ha dovuto spostarsi, trovando temporanea dimora allo spazio delle Docce a Rogoredo. Secondo Alberto, Spazio Melotti ha veramente contribuito ad attivare il quartiere di Santa Giulia dove ad oggi non ci sono realtà associative, fatta esclusione per il Comitato di Quartiere. La chiusura dello spazio ha quindi lasciato un vuoto importante al punto che gli unici luoghi di aggregazione che il quartiere offre per i giovani sono i bar. La principale esigenza è quindi costituire un luogo di aggregazione per attività culturali, luogo che potrebbe essere rappresentato dal Chiosco situato nel Parco Trapezio che oggi è gestito dal Municipio e poco utilizzato.
Reb Milano – back to your balance è un poliambulatorio specializzato in servizi di riabilitazione con un ricco ventaglio di offerte per la comunità. Ad accoglierci ci sono Mattia e Lavinia, entrambi classe ’94 e con una lunga appartenenza al quartiere. Mattia, il proprietario, lavora principalmente con gli sportivi in ambito riabilitativo mentre Lavinia, osteopata di formazione, si occupa soprattutto di mamme e bambini.
Il centro, raccontano, nasce a Santa Giulia nel Luglio del 2021, poco dopo l’emergenza sanitaria legata al Covid19. Dopo anni di sollecitazioni da parte di amici e conoscenti, spinti da una forte appartenenza al quartiere, hanno deciso di mettere insieme le loro competenze professionali per creare qualcosa di bello con e per la comunità.
Reb Milano ha un’impostazione reticolare e ampiamente inclusiva: si avvale infatti della collaborazione di innumerevoli professionisti (come medici, nutrizionisti e operatori della salute mentale) ed estende il suo raggio di competenza dall’area neonatale a quella geriatrica. Santa Giulia, spiega Mattia, è una realtà residenziale con una popolazione molto eterogenea, in cui era ed è presente una forte domanda da parte di giovani e famiglie. Per quest’ultime, ad esempio, è stato pensato lo “Spazio Mamma”, un servizio gratuito di aggregazione che, attraverso un lavoro di équipe tra ostetricia e osteopatia, si propone di accogliere le mamme del quartiere affinché si conoscano, si confrontino, facciano rete e sentano di avere un punto di riferimento per qualsiasi necessità. Il poliambulatorio, raccontano, vuole configurarsi anche come iniziativa “sostenibile”, nell’approccio e nelle iniziative condivise con la comunità: nel loro piccolo, in quanto attività commerciale di consumo, si impegnano ad utilizzare prodotti 100% ecologici. Al di fuori del centro seguono e promuovono attività di volontariato ambientale (come ad esempio la pulizia delle strade) perché secondo Mattia <<considerate le condizioni verso cui stiamo andando, come pianeta>> è importante educare a dare un contributo per il prossimo e per l’ambiente.
Parlando con Lavinia e Mattia, è inevitabile farsi travolgere dalla freschezza, dalla passione e dalla spinta altruistica e aggregativa che anima il loro lavoro. Reb Milano si è sviluppato e continua a crescere grazie all’ascolto e alla ricerca empatica a fianco della popolazione: il progetto, nato con lo sguardo rivolto ai bisogni di prossimità, continua ad espandersi con una forte spinta motivazionale grazie al legame affettivo con il territorio. Legame che porta professionisti come Mattia e Lavinia a riconoscersi contemporaneamente promulgatori di servizi e utenti degli stessi, a pensarsi quindi responsabili verso la comunità e sfruttando -ad esempio- la loro visibilità per veicolare messaggi e tematiche rilevanti per il prossimo.
Relativamente al quartiere di Santa Giulia, entrambi lo descrivono come un contesto ricco di potenzialità così come di margini di miglioramento: sono molti i progetti attuativi in corso, anche nella zona limitrofa di Rogoredo, come il nuovo Palazzetto del Ghiaccio previsto per le Olimpiadi del 2026 e i lavori urbanistici disseminati nel territorio.
Tra i bisogni principali, Lavinia indica la mancanza di punti di ritrovo per i giovani (come una libreria o un centro di aggregazione) nonostante rappresentino sempre di più una fetta centrale della popolazione.
Per il futuro del centro Lavinia e Mattia si augurano di consolidare un’identità forte che vada oltre le prestazioni erogate dal poliambulatorio. Il loro sogno è che, accanto all’attività riabilitativa, l’intento collaborativo e propositivo del centro venga sempre più compreso e vissuto dalla comunità, diventando così un punto di riferimento per tutti.
Martina è cresciuta in zona Corvetto, ha poi abitato qualche anno in un monolocale in Città Studi e da qualche tempo si è trasferita a Merezzate. Merezzate infatti è una delle poche realtà dove le case hanno mantenuto dei prezzi accessibili a quanti abbiano uno stipendio ‘normale’ grazie al canone concordato. Adesso Martina abita in un bilocale con balcone e posto auto che condivide con il compagno ed il fatto di avere due ambienti separati, la zona giorno e la zona letto, ha migliorato notevolmente la sua qualità della vita. Il quartiere è bello ed accogliente, a parte qualche piccolo danno causato dai ragazzini del quartiere. Nonostante sia ben collegato al centro con i mezzi pubblici, Martina auspica un miglior collegamento stradale con il centro e più piste ciclabili. Del quartiere apprezza in particolar modo la disponibilità di uno spazio comune per delle attività condivise. Martina si è proposta per delle giornate di co-working e co-studying e le piacerebbe poter partecipare maggiormente alle iniziative di speak up, pilates, thai chi e agli orti comuni, cosa che attualmente non le è possibile perché studia e lavora allo stesso tempo. L’idea del co-working/- studying è nata dalla necessità di trovare un ambiente confortevole dove studiare e creare allo stesso tempo delle occasioni che permettessero alle persone di conoscersi e interagire. Attualmente l’apertura dello spazio comune dipende dalla disponibilità degli abitanti: Martina vorrebbe che ci fosse piuttosto un referente che aprisse lo spazio quotidianamente in modo da renderlo più accessibile.
Il sogno di Martina è poter lavorare nella ricerca, in particolare nelle applicazioni fisiche alla medicina. Martina ha già una laurea in filosofia ed ha lavorato quattro anni in un’azienda in cui si occupava di catena produttiva e relazione con i fornitori. Il Covid ha poi fornito l’occasione per iscriversi alla seconda laurea in fisica, una passione che si porta dietro dal liceo. Alla domanda su cosa accomuni la passione per la fisica con quella per la filosofia, Martina risponde l’interrogarsi sulla realtà. La fisica infatti ci dice come succedono le cose, mentre la filosofia cerca di spiegare perché succedono le cose: infatti, molti filosofi della storia, come Galileo, Newton e Cartesio, hanno anticipato grandi scoperte della fisica.
L’idea che Martina ha della comunità è quella di una famiglia in cui ci si aiuta e in cui ognuno dà rispetto alle proprie possibilità. Una comunità equa, in cui ognuno riceve in base ai propri bisogni, è infatti diversa da una società egalitaria in cui ognuno riceve nella stessa misura, indifferentemente dai mezzi di cui già dispone. La comunità deve essere anche un posto dove ci si aiuta, ci si rispetta, in cui ognuno sia libero di esprimere la propria opinione e in cui le persone si mettono in gioco per il bene comune.
Rispetto ai suoi interessi, Martina si definisce una persona eclettica: appassionata di musica e sport, le piacciono le materie umanistiche così come quelle scientifiche. Le piacerebbe poter organizzare delle serate simposio in cui ci si ritrova per discutere di temi di attualità o di carattere filosofico e scientifico. L’auspicio per il futuro è quello di vivere in armonia e serenità con la sua comunità e che lo spazio comune sia più aperto e accessibile a tutti quanti vogliano proporre delle attività. Purtroppo succede che le divergenze di visioni creino dei fraintendimenti tra vicini, ma per Martina l’importante è sapersi concentrare sulle soluzioni piuttosto che sui problemi e vedere il lato positivo delle cose.
Ali è un ragazzo somalo di 19 anni. È arrivato in Italia circa 2 anni fa per essere responsabile del suo futuro. E’ stato inserito in un Progetto SAI presso il comune di Calanna, a Reggio Calabria per iniziare ad essere più autonomo e responsabile delle proprie azioni. Frequenta lil CPIA a Reggio Calabria. Ha molta voglia di fare e soprattutto di imparare per progettare il suo futuro. Ali ha iniziato un percorso di tirocinio formativo presso un ristorante, ricoprendo la figura di cameriere. Nel tempo ha stretto relazioni significative per il suo percorso ed ha trovato persone che l’hanno accolto ed aiutato.. Oggi ha molti sogni e passioni, la musica, la ristorazione ma soprattutto gli piacerebbe lavorare con i PC come informatico.
Guled è un ragazzo somalo di 20 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 2 anni fa per essere responsabile del suo futuro. E’ stato inserito in un Progetto SAI a Calanna per iniziare ad essere più autonomo e responsabile delle proprie azioni. Frequenta lil CPIA a Reggio Calabria. Ha molta voglia di fare e soprattutto di imparare per progettare il suo futuro. Guled nel tempo ha stretto relazioni significative per il suo percorso ed ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi ha molti sogni e passioni, il calcio ma soprattutto sogna di voler fare il pizzaiolo ed aprire una pizzeria tutta sua.
Il signor Serralunga Giandomenico ha ricoperto l’incarico di Sindaco di Felizzano per diversi anni, dal 1975 è stato anche amministratore e consigliere comunale, si è dedicato all’ attività politica e agli studi storici di Felizzano. Appartiene ad una delle famiglie più antiche del paese, le cui radici sono ben salde e legate alla storia e al passato di Felizzano. Il signor Serralunga nella sua presentazione sottolinea che fin da quando era bambino ha iniziato ad essere interessato alla storia e alle vicende che si sono sviluppate nel tempo, in particolare riferite a Felizzano. Il nome Felizzano deriva dalla parola “Felicianus” di origine latina risalente al I secolo dopo Cristo, è un paese legato alla prima romanizzazione del Piemonte sud-orientale, delle prime legioni romane che occupavano questo territorio, un tempo ligure. Questo paese è stato caratterizzato per la sua posizione geografica strategica rispetto al territorio: è stato un importante crocevia di strade del Piemonte orientale, che collegava la Pianura Padana, la Liguria e la Francia. Qui si incrociavano 2 grandi vie, la Strada Franca e la via Francigena e la presenza di un porto sul fiume Tanaro consentiva i collegamenti con il basso Monferrato e la Liguria. Felizzano, insieme ad un altro paese Quattordio che si trova poco lontano, è stato per la seconda metà del 900, uno dei punti industriali più importanti del Piemonte meridionale. Viene ricordato che Felizzano è stata una terra monferrina legata agli Aleramici, uno dei casati più caratteristici in età Medioevale. Dalla prima metà del ‘500 ha fatto parte del Ducato di Milano e del Ducato spagnolo di Milano. Felizzano è poi passato in mano ai Savoia e fu occupato dai napoleonici di Francia nel 1799, sotto il dominio napoleonico, successivamente è ritornato sotto i Savoia e seguì poi le sorti dello Stato italiano a partire dall’Unità d’Italia del 1861. Come già accennato, la favorevole posizione in cui si trova Felizzano, nel Piemonte sud-orientale, ha visto passare eserciti, commerci, è stata un’essenziale via di comunicazione tra le città di Asti, Alessandria, Casale Monferrato, Acqui Terme e la riviera Ligure. Fin dall’antichità Felizzano ha sempre dimostrato di avere una dimensione “aperta” ad altre culture e altri popoli e ha saputo assimilare influenze molteplici e diverse. Si caratterizza per essere una comunità accogliente, aperta e variegate nelle sue origini etniche. Questo tipo di mentalità ha permesso una certa apertura sociale che ha consentito un giusto rapporto facilitando l’inclusione di altre popolazioni. All’oggi su circa 2200 abitanti poco meno di 1/3 ha origini felizzanesi, circa i 2/3 provengono da altre regioni come la Calabria, la Sicilia, la Sardegna ed il Veneto, questo è avvenuto dopo il secondo dopoguerra, a seguito dello sviluppo industriale. Il signor Serralunga collabora con la scuola presente in paese, illustrando agli alunni le vicende storiche del territorio felizzanese. Ha scritto diversi articoli e saggi storici, scrive per il “Bollettino Parrocchiale” di Felizzano, dal 1949 è la rivista su cui vengono riportate le vicende storiche, culturali, informazioni sugli eventi e le vicende del paese. Il sig. Serralunga sta lavorando per la pubblicazione di un vocabolario del dialetto felizzanese, per salvaguardare il patrimonio linguistico e per la stesura di alcuni volumi sulla storia di Felizzano e sulla storia delle 4 chiese presenti: S. Michele, S. Pietro, S. Rocco e S. Maria della Fonte. In passato sul territorio felizzanese, agli inizi dell’800, tra chiese e conventi se ne contavano circa una ventina, all’ epoca era indice di devozione e di benessere della popolazione. Di grande interesse vengono ricordati alcuni dipinti e sculture realizzati da famosi autori locali del ‘400/’500 come il Moncalvo e il Morgani per citarne alcuni. Per il futuro il signor Serralunga vorrebbe poter portare a termine e pubblicare le sue opere letterarie volte a promuovere, valorizzare e salvaguardare il patrimonio storico, culturale e linguistico del suo paese.
Il calcio freestyle è una disciplina acrobatica che consiste nell’eseguire dei ‘tricks’ con un pallone da calcio, facendo dei movimenti spettacolari e usando tutte le parti del corpo, dalla testa ai piedi. Diverse sono poi le specializzazioni: lo stile upper comprende evoluzioni con la parte alta del corpo, lo stile lower comprende evoluzioni con la parte bassa del corpo e il sit down comprende evoluzioni fatte stando seduti.
Davide si è appassionato al calcio freestyle quando aveva quattordici anni. Si è formato da autodidatta guardando dei video su youtube, iniziando con dei tricks semplici fino ad arrivare a quelli più complessi. Dopo un anno di pratica ha lasciato il calcio per dedicarsi interamente a questa sua passione. Allora non avrebbe immaginato di poter fare della sua passione un lavoro e di raggiungere dei livelli tecnici così elevati. Nel 2020 infatti Davide ha vinto i campionati mondiali di calcio freestyle per due delle sei categorie.
Qualche anno fa è nata l’idea di impiegare questa sua abilità come forma di spettacolo in eventi e celebrazioni. Non di rado succedeva infatti che durante degli allenamenti le persone si fermassero a guardare e si interessassero alla disciplina. Così è nato un gruppo di freestyle composto da cinque persone, quattro freestyler ed una freestyler, provenienti da tutta Italia.
Da sportivo, di Merezzate Davide apprezza gli spazi aperti per allenarsi, come i prati, il campo da basket e l’area per gli esercizi a corpo libero. Mancherebbe giusto una fontanella per le ore di arsura estiva. Definisce il quartiere futuristico e minimalista, in ogni caso bello e tranquillo. Dello spazio condiviso Davide è venuto a conoscenza con il passaparola ed ha partecipato alle giornate di coworking : lo spazio è ben arredato e silenzioso, ottimo per chi lavora smart. Uno spazio da sfruttare quindi al massimo con eventi ricreativi e conviviali per incentivare le persone a conoscersi, oppure per organizzare workshops tematici.
Per Davide una comunità dovrebbe essere basata sul rispetto reciproco e la condivisione. Ai giovani Davide consiglia di seguire le proprie passioni : scegliere quanto ci fa star bene è infatti sempre la scelta giusta. Nel suo caso, la passione gli ha aperto delle porte che non pensava possibili.
Oltre alla passione per lo sport in generale, a Davide piace viaggiare, scoprire culture diverse. In questo si ritiene fortunato perché il suo lavoro gli permette di conoscere persone provenienti da tutto il mondo.
Quello che lo spinge ancora ora ad andare avanti è il sorriso sul volto delle persone, così come l’interesse dei più giovani che si avvicinano a questa disciplina. Per il futuro l’auspicio è quindi di continuare ad avere la stessa passione e carica che lo contraddistinguono ancora oggi.
Valerio e Stefano si conoscono da quando erano giovani. Hanno sempre condiviso la passione per la birra, da cui la decisione di partecipare a fiere del settore, iscriversi a corsi di degustazione e rendere questa passione una professione. Stefano, il mastro birraio, si è formato in Italia e, come tutti i mestieri artigiani, ha migliorato la sua tecnica facendo esperienza. Inizialmente producevano birra per consumo personale e per la loro cerchia da amici, poi la decisione di affittare un locale in Via Rogoredo e costruire un impianto più grande. L’occasione è arrivata con un bando del Comune di Milano per start up di periferia a cui hanno deciso di partecipare assieme ad altri tre amici. Per loro, l’essere basati in una periferia ha quindi rappresentato una opportunità piuttosto che un limite.
Rispetto al tipo di prodotto venduto, Valerio ci spiega come le loro birre cerchino di valorizzare i prodotti del territorio, utilizzando il malto del riso prodotto in Pianura Padana, il mais utilizzato nella polenta e lo zafferano locale. Anche i loro salumi e formaggi sono a kilometro zero.
Rispetto al quartiere di San Martino, restando questo un po’ separato dalla città, c’è ancora uno spirito comunitario e delle dinamiche da paese di provincia più che da grande città. Per esempio, quando hanno aperto, sono state le realtà del territorio a prendere contatto con loro, incuriosite dalla novità. Il quartiere è a misura d’uomo pur offrendo tutte le comodità della città. E’ una zona di confine, al limitare della città, per cui vi sono anche numerose cascine e aziende agricole, oltre ai parchi e le aree verdi. Valerio auspicherebbe più spazi di socialità che siano fruibili ed accessibili agli abitanti, oltre alla risoluzione di alcune problematiche legate alla zona di spaccio non molto distante. L’augurio è quindi che le Olimpiadi siano un’occasione per valorizzare il tessuto sociale e migliorare il quartiere in modo sostenibile senza stravolgere la dimensione comunitaria.
Per Valerio la principale difficoltà che incontrano molti giovani che vorrebbero avviare una start up è il difficile accesso al credito. Nel loro caso sono stati facilitati dal bando del Comune di Milano in cui il capitale sociale richiesto era accessibile. Tuttavia questi bandi sono ancora oggi un’eccezione e le istituzioni dovrebbero investire maggiormente nelle nuove generazioni che hanno molte idee ma pochi mezzi. Loro stessi avrebbero potuto avviare l’impresa prima se ne avessero avuto la possibilità, avendo maturato l’idea dieci anni fa.
Per il futuro Valerio si augura di essere ancora presenti nel quartiere come azienda: significherebbe che ce l’hanno fatta.
Sonia ha un dottorato in ingegneria ed ha lavorato diversi anni in un centro di ricerca in ingegneria nucleare. A Febbraio 2023 ha vinto un assegno di ricerca sull'analisi del consumatore nell’ambito della sostenibilità e dell'agrifood, per cui ha dovuto sospendere la seconda laurea in biologia della nutrizione. La passione per la sostenibilità e l’alimentazione Sonia la ha già da qualche tempo, passione che l’ha portata ad attivare un Gruppo di Acquisto Solidale a Santa Giulia, Rogoredo e Merezzate. Inizialmente ha lavorato come volontaria per una realtà che poi nel 2018 ha chiuso. Quando l’associazione Spazio Melotti ha diffuso i volantini di una 'call for ideas' su come utilizzare lo spazio, lei ed una sua amica si sono proposte per attivare un GAS. Inizialmente utilizzavano un Google Form, poi, quando in pandemia son passate da venti a settanta famiglie, hanno dovuto appoggiarsi ad una piattaforma online sviluppata da un gasista di Novara. Molti ringraziano Sonia ancora oggi per il supporto che il GAS ha fornito al quartiere in pandemia, supporto che è stato reso possibile dal lavoro di molti volontari impegnati nella distribuzione. Recentemente il gruppo ha dovuto spostarsi da Santa Giulia a Rogoredo, dove utilizzano lo spazio condiviso delle Docce. Qui hanno potuto organizzare una cena nel giardino con i prodotti del GAS, evento che è stato molto apprezzato e che contano di ripetere.
Sonia è arrivata a Santa Giulia nel 2009, quando la Promenade non era ancora stata completata. Ha visto quindi il quartiere popolarsi e crescere. E’ un quartiere a misura di famiglia, che Sonia ha cominciato ad apprezzare veramente quando si è investita in attività associative e di volontariato. Allora ha cominciato a sentirsi veramente parte di una bella comunità e si auspica che la partecipazione degli abitanti diventi ancora maggiore. La comunità è infatti una comunità effervescente, con molte potenzialità e molte realtà locali che propongono diverse attività. L’augurio è che ci sia una maggiore integrazione tra quartieri e associazioni e che questo porti le persone a mettersi in gioco in prima persona. A tal proposito il GAS è trasversale ai quartieri di Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate, contribuendo all'integrazione urbanistica, oltre a sensibilizzare su tematiche quali il consumo sostenibile.
Luca è nato e cresciuto a Rogoredo ed è titolare di Tondo Cafè, bar storico della zona, di proprietà della sua famiglia da più di 40 anni. Le sue più grandi passioni sono l’enologia e i vini di qualità - che produce nell’Oltrepò e che ama servire ai propri clienti –, lo sci e la montagna.
Definisce il suo bar un’enoteca di qualità, in cui vende anche vini di sua produzione. Ama profondamente il suo lavoro. Ritiene che il locale sia un punto di incontro e di riferimento per una tipologia variegata di clientela: dagli anziani ai giovani che vengono per un aperitivo, fino ai pranzi di lavoro dei lavoratori della zona, come i dipendenti di Sky. Un luogo ben integrato nell’area, apprezzato dai diversi tipi di avventori che accoglie.
Luca ritiene che il quartiere, a cui lui è molto affezionato, sia cresciuto moltissimo negli ultimi anni. Nonostante la “cattiva pubblicità” e la narrazione legata allo spaccio e al consumo di droga nel cosiddetto "bosco" di Rogoredo, che non vuole minimizzare, ritiene che la zona sia stata riqualificata in maniera importante. Luca è molto legato a Rogoredo, che reputa una zona ben collegata a Milano ma in cui permane un’atmosfera da paese, con un grande senso di coesione, comunità e appartenenza delle persone che ci vivono. Cita il fermento per la prossima apertura del Palaitalia e del Conservatorio, e l'ormai integrato stabilimento di grandi società come Sky e Saipem, che hanno un impatto positivo sul quartiere.
Pensa che il quartiere sia molto migliorato grazie alle persone che si sono trasferite anche negli ultimi anni, che apprezzano la vivibilità e la dimensione comunitaria della zona, oltre alla solidarietà tra le persone e gli abitanti del quartiere. Considera Merezzate, Santa Giulia e Rogoredo un tutt’uno e crede che il quartiere dovrebbe essere pensato e vissuto come unico e unito: è convinto infatti che la sua forza stia nell’unione delle anime che lo compongono e non vuole concepirle come distinte.
Crede che gli elementi su cui bisognerebbe investire, oltre alle nuove infrastrutture in programma, siano le attività commerciali. Evidenzia infatti come troppo spesso, negli ultimi anni, alcuni negozi abbiano chiuso troppo in fretta. Crede dunque che servirebbero attività funzionali alla vita e alle esigenze di chi vive e transita nel quartiere, per continuare a farlo crescere. Cita alcuni esempi riusciti, come la nuova cartoleria Live Bridge e il circolo Mondini, che propone spettacoli teatrali, corsi di ballo e molto altro.
Un altro aspetto essenziale che evidenzia Luca è la necessità di coltivare un contesto sicuro e tranquillo per gli abitanti e le famiglie che ci vivono. Sarebbe inoltre utile per il quartiere avere, per esempio, una piscina, di cui si sente la mancanza.
Ha grande fiducia nel futuro della zona e sulle sue prospettive di crescita. Ritiene che i servizi siano da continuare a sviluppare nella direzione intrapresa per continuare a migliorare il quartiere e i suoi diversi punti di forza.
Classe '33, nato a Ficulle in Provincia di Terni e conosciuto da tutti come "Carlo", il signor Fabbretti si definisce uno << che è partito e non si è fermato più >>. Lo studio immobiliare che gestisce da ormai vent'anni è solo la punta di un iceberg ricco di esperienze. Legato da sempre al mondo dei consorzi, è in uno specializzato nell'analisi dei cementi che inizia il suo percorso. Sono gli anni della guerra, la sua famiglia numerosa conta quasi ventidue membri, le condizioni di vita sono precarie. Con le Imprese Riunite lavora alla costruzione di una diga in provincia di Terni, una mansione faticosa che rievoca con il sorriso << uscivamo imbrattati, però era bello >>. Una volta maggiorenne viene selezionato per un progetto di rifinitura di alcuni impianti ad Alessandra d'Egitto: un'opportunità questa che in diversi periodi della vita lo porta lontano, soprattutto dagli affetti più cari, lasciandogli una sensazione dolceamara di novità, incertezza e nostalgia. In patria decide di allargare i propri orizzonti verso Milano e a San Donato inizia a lavorare per ENI e SNAM, una società di infrastrutture energetiche. A cavallo tra gli anni ottanta e novanta, poco dopo aver deciso di andare in pensione, viene nuovamente coinvolto in un progetto di valutazione e vendita di alcuni terreni e decide poi di rilevare e prendere in gestione lo studio immobiliare.
Carlo ha assistito e contribuito alla trasformazione di Rogoredo da terreno agricolo a terreno industriale, grazie all'insediamento di aziende e stabilimenti (come la famosa Acciaieria Redaelli) che ne hanno guidato lo sviluppo, come anche Sky in tempi più recenti. E sono proprio società come queste che, secondo Carlo, hanno rappresentato un grande elemento di risorsa attraverso posti di lavoro e spinte progettuali. Anche la futura apertura di una seconda sede del Conservatorio è un'occasione preziosa che, come è avvenuto in passato, porterà un grande numero di ragazzi ad implementare il tessuto sociale e culturale del quartiere.
Evidenzia alcune fragilità negli interessi economici e nelle diatribe burocratiche che spesso accompagnano lo sviluppo dei territori; in particolare per il contesto di Rogoredo ritiene necessario rivedere il coordinamento delle attività commerciali (affinché si possano individuare e si possa investire in servizi utili alla comunità) e stimolare, soprattutto nelle nuove generazioni, un atteggiamento non solo performante ma anche paziente e perseverante. Carlo crede molto nell'importanza della collaborazione per la realizzazione di idee e progetti, una collaborazione basata sull'equilibrio tra un pensiero critico individuale e le proposte, le competenze della collettività.
Il signor Fabbretti è una memoria storica del quartiere e delle sue trasformazioni. Racconta di voler scrivere un libro e di essere sempre stato un membro attivo della comunità, svolgendo anche corsi di formazione in ambito immobiliare. A partire dalle avventure che ha vissuto, si descrive come una persona responsabile, discreta e con un forte spirito di iniziativa. Nonostante l'età, dimostra di sentirsi ancora recettivo e desideroso di seguire gli sviluppi che interesseranno il territorio.
Antonio, impiegato in una catena di grande distribuzione, arriva a Santa Giulia nel 2010. Si presenta da subito con molteplici sfumature: da un lato timido e discreto, dall'altro autentico, ardente e perseverante quando si tratta di dedicarsi a qualcosa in cui crede e che lo coinvolge profondamente.
Il calcio, ad esempio, è la sua passione più grande: la carica emotiva, la spinta motivazionale, il senso di appartenenza e di gratuità che gli consente di esperire, sono solo alcuni degli aspetti che rendono questo sport così significativo nella sua vita. Attraverso il calcio si è scoperto portatore di un curioso talento: la capacità, cioè, di ricostruire e collocare con esatta precisione eventi biografici (suoi e di altri) attraverso le date specifiche di alcune partite.
Il lavoro è diventato negli anni una dimensione identitaria preziosa, altamente formativa, dove i riconoscimenti per l’impegno dimostrato hanno via via alimentato la fiducia in se stesso, lo spirito di iniziativa e la sfera relazionale: in un momento di delicata condivisione racconta come, finito il liceo, si sentisse spaventano per il futuro e titubante a esprimersi pienamente. Attraverso il lavoro si è riscoperto più consapevole, portatore di un valore utile anche per gli altri.
Guardando al futuro, Antonio afferma di voler continuare a migliorarsi ed esplorare quanti più orizzonti possibili, in primis attraverso il viaggio. Desidererebbe scoprire la peculiarità con cui gli altri del mondo affrontano la vita, amplificare la comprensione della realtà ma anche di se stesso, mettere in discussione (e potenziare) competenze come l’autonomia e l'inventiva. Ad attrarlo di più, specialmente in Asia e in Sud America, sono i contesti ancora incontaminati, lontani dall’occidentalizzazione moderna e in cui si respirano tradizioni autentiche. Tradizioni che nei territori milanesi più prossimi, afferma, si evolvono e si intrecciano in fucine di eterogeneità e mutamenti.
Negli anni Antonio è stato infatti spettatore delle trasformazioni urbanistiche e generazionali che hanno interessato la città e in particolare il quartiere di Santa Giulia. L'aumento progressivo di famiglie e persone giovani, così come il potenziamento architettonico ancora in atto, hanno delineato un ambiente tranquillo, sicuro e vivibile. E' cresciuto il numero di servizi tra commerci e spazi adibiti allo sport. Le prospettive future, legate soprattutto alle Olimpiadi Invernali del 2026, lasciano presagire continui sviluppi, come il Palazzetto dello Sport in fase di realizzazione.Antonio si augura che vengano implementate soprattutto le risorse per le nuove generazioni: a suo avviso, tra gli aspetti di debolezza, c'è infatti la carenza di luoghi di aggregazione culturale. Un teatro o una biblioteca (come la Valvassori Peroni presente a Lambrate, ad esempio) dove i ragazzi possano incontrarsi per studiare, divertirsi e creare legami in un luogo accogliente con servizi accattivanti. Rendere il quartiere uno spazio vivibile, attrattivo e accessibile non solo per i residenti ma anche per il resto delle città è, secondo Antonio, un aspetto prezioso a cui guardare nel lavoro di progettazione per il territorio. Infine, con un approccio generativo, sottolinea l'importanza di sostenere le famiglie affinché i più piccoli siano protetti e accompagnati nel loro percorso di crescita che, come per il quartiere stesso, può e dev'essere ricco di potenzialità.
Giuseppe, detto Pippo, ha lavorato come cineoperatore per cinquant’anni: film, documentari, pubblicità … In particolare, la specializzazione in steadycam presa a Los Angeles gli ha permesso di lavorare come pioniere in Italia: sperimentata per la prima volta con il film Rocky e consacrata poi dal film Shining, la steadycam era allora sconosciuta in Italia.
Questo lavoro gli ha permesso di viaggiare e conoscere altre culture. Quello che lo ha affascinato è che in tutto il mondo esiste il tiro con l’arco: dalla Cina al Giappone, dalla Mongolia all’Africa … Lo definirebbe quasi una filosofia, il tiro con l’arco: non ci vuole necessariamente forza, ma equilibrio e concentrazione. E’ uno dei pochi sport in cui si può effettivamente raggiungere la perfezione.
L’associazione Arcieri San Bernardo nasce da una prima esperienza a Novegro. L’associazione si è poi trasferita all’abbazia San Bernardo di Chiaravalle - da cui ha preso il nome- fino a quando, essendo cresciuta in numero di associati, si è trasferita qui a Rogoredo. L’Associazione ha instaurato un’ottima relazione con il Municipio Quattro che ne ha riconosciuto il contributo al quartiere, avendo recuperato uno spazio abbandonato e mal frequentato.
Il tiro con l’arco è per tutte le età: dai bambini agli anziani. Il loro socio più anziano ha infatti ottantotto anni. Molte sono anche le donne iscritte e le persone con disabilità che praticano lo sport competendo con quelle senza disabilità.
Con il progetto per le olimpiadi Milano- Cortina il quartiere è destinato ad ampliarsi e popolarsi maggiormente. Pippo si augura che nei progetti del nuovo quartiere rimanga del verde e non ci siano solo costruzioni.
Quello che lo spinge ad andare avanti è la passione per una disciplina che rimane ancora oggi poco conosciuta. L’auspicio è di trovare qualcuno che voglia dedicarvisi con altrettanta passione e portare avanti la compagnia.
Odontoiatra di professione, Alberto ha sempre avuto la passione per lo sport. Al basket si è avvicinato all’età di otto anni ed ha poi continuato a praticare questa disciplina in modo assiduo, fino a diventare giocatore e gareggiare nei campionati. Quando poi ha avuto due figlie femmine ha deciso di avviarle ugualmente al basket.
Allora non c’era molta offerta per il basket femminile a Milano, da cui l’idea di costituire una società che con gli anni si è poi allargata, trasformandosi da società di genitori a vera società sportiva, che annovera una squadra in serie B che per ben tre volte ha disputato la finalissima per accedere alla serie A2. L’associazione è presente in diversi quartieri del municipio quattro, tra cui Merezzate e Santa Giulia, dove ha lasciato il segno avvicinando molte ragazze al basket. Il basket femminile sta crescendo molto in questi ultimi anni - come lo sport femminile in generale- riuscendo ad essere molto coinvolgente. Veder le ragazze avvicinarsi allo sport ed appassionarsi è quello che da sempre motiva Alberto, oltre ai valori che questo sport trasmette, come l’impegno costante per il raggiungimento di un risultato non immediato: valori che possono essere applicati anche ai diversi ambiti della vita, dallo studio al lavoro.
Il quartiere di Merezzate- Santa Giulia è in fase di grande espansione, per cui le strutture sportive esistenti potrebbero iniziare ad essere insufficienti. Le autorità locali dovrebbero quindi investire in infrastrutture sportive come investimento per il futuro. Infatti, portare i ragazzi nelle palestre - piuttosto che lasciarli nei bar e per strada - significa investire in una società migliore. In una società contemporanea dove proliferano atti di sopraffazione e violenza, in particolare nei quartieri periferici, lo sport potrebbe, come sempre ha fatto, dare un contributo importante, veicolando valori quali il rispetto delle regole - anche nel fronteggiarsi l’un l’altro, il fare squadra e l’aiutarsi l’un l’altro. Questi messaggi che lo sport trasmette sono infatti alla base di ogni convivenza civile.
L’auspicio è quello che ci sia una maggiore identificazione del territorio nelle squadre di basket locali ed un maggior coinvolgimento nel supportarle assistendo alle partite.
Anthony è arrivato a Milano all’età di sette anni e da allora ha vissuto in diversi quartieri della città fino ad arrivare a Merezzate tre anni fa. Nato in Perù, non ricorda molto del suo paese natale se non la scuola e la casa. Gli piacerebbe un giorno poter tornare per visitare e conoscere meglio il paese e rivedere parte della famiglia rimasta lì.
Poco dopo essere arrivato nel quartiere ha proposto come attività comune il karaoke. A Merezzate si sperimentano infatti forme di abitare collaborativo e uno spazio, il Living, è a disposizione degli abitanti per delle attività comuni. Il karaoke è stato accolto con entusiasmo: una vicina l’ha aiutato a fare delle locandine che sono state affisse nel quartiere ed alle fermate del bus. Lui invece ha provveduto al microfono ed all’attrezzatura. Rispetto al suo arrivo, l’impressione che Anthony ha del quartiere è cambiata in positivo: le persone iniziano a conoscersi di più, divertirsi assieme e molte sono le attività gratuite proposte. Quando si condividono delle attività infatti, ci si inizia a vedere in modo diverso. Ad Anthony piacerebbe una comunità in cui ci si aiuta l’un l’altro, in cui si ha fiducia nell’altro, senza distinzione tra culture. Un posto dove le persone siano unite e nasca la fiducia tra inquilini e vicini. Come contributo alla comunità, Anthony offre il suo tempo e la disponibilità a rendersi utile. Come auspicio per il futuro, gli piacerebbe un maxi schermo nello spazio comune per delle serate cinema e delle telecamere per una maggiore sicurezza. Quello che apprezza di più del quartiere è il verde, l’area giochi, i bei palazzi e i bar e ristoranti sorti nei quartieri limitrofi.
Chimico fisico di formazione, Francesco insegna alle superiori ed all’università, oltre a dedicare parte del suo tempo alla divulgazione scientifica con il suo blog “pillole di chimica”. Ricorda che fin da bambino aveva una curiosità innata nel voler carpire i segreti della natura e capire il motivo dietro ad un fenomeno naturale. Del suo lavoro apprezza sia l’aspetto accademico che quello divulgativo: da un lato quindi fare ricerca, dall’altro trasmettere questa passione agli altri. Nel suo blog Francesco si rivolge sia a quanti abbiano già delle nozioni scientifiche, sia a quanti si approccino alla scienza per la prima volta. C’è una grande necessità di informazione scientifica in Italia, infatti molti uomini di scienza non fanno divulgazione perché è più difficile parlare di scienza alle persone non addette ai lavori.
Francesco ha anche pubblicato alcuni libri: alcuni più tecnici, come uno studio sulle biomolecole, altri più divulgativi, come un libro sulla chimica degli alimenti e uno sulle fake news. La passione per la lettura la deve a sua madre che era insegnante di lettere. Sarà anche per questo che a Merezzate partecipa al club del libro che è stato avviato tra gli abitanti di quartiere.
Francesco è a Merezzate da tre anni: il quartiere ha destato da subito un grande interesse in lui in quanto ha trovato l’idea della ‘città nella città’ molto innovativa e rara in una metropoli come Milano. Quello che spinge le persone a partecipare alle attività comuni è secondo lui la voglia di conoscersi, di condividere una passione con gli altri, di sentirsi parte di una comunità. D’altronde siamo animali sociali. Una comunità dovrebbe essere innanzitutto felice. Spesso la vita ci porta infatti ad essere stressati e quindi isolarci, mentre tornare dal lavoro e sentirsi veramente a casa, in un luogo dove puoi essere te stesso e spensierato, ci fa sentire più tranquilli e felici. Persona attiva e a cui piace sperimentare in generale, il contributo che Francesco potrebbe dare alla sua comunità è quello di mettere a disposizione le proprie competenze e dare un aiuto come forza lavoro per l’organizzazione delle attività in generale.
Rispetto al quartiere, ci sono tutti i presupposti perché sia un luogo ideale: gli spazi verdi, le costruzioni innovative e sostenibili … Dopodiché è compito nostro renderlo tale perché i luoghi li fanno le persone che si prendono cura del posto che amano.
Il suo auspicio personale è continuare ad aver voglia di fare quello che fa e avere la spinta per andare avanti, mentre per la collettività è quello di avere a cuore il posto in cui si vive come fosse casa propria, rispettare la libertà degli altri, venirsi incontro e sentirsi una comunità.
Elisa è insegnante di tecniche pittoriche con una specializzazione in arte terapia. Inizialmente ha lavorato come perito agrario. L’amore per l’arte l’ha poi portata a coltivare questa passione e formarsi in questo ambito, fino alla scelta di aprire un’associazione nel 2018 a Rogoredo, nella corte di una vecchia carrozzeria, poi asilo, ora rinominata “Corte degli Artisti”. La passione per il disegno la porta avanti da quando era bambina ed ha avuto la fortuna di avere dei genitori che hanno assecondato questo suo interesse. Per qualche anno Elisa è stata insegnante alla scuola di arti applicate del C.R.A.L. del Comune di Milano, dove ha imparato ad interagire con persone differenti tra cui persone della terza età. Le definisce un pozzo di sapere e non a caso la Corte è frequentata da giovani e anziani, tra cui la socia più anziana di oltre novant’anni. Molte sono anche le culture che qui si incontrano: dal Brasile, alla Polonia, la Corte è catalizzatrice di persone da tutta Italia e da tutto il mondo. Luogo di contaminazione culturale, la Corte ha ospitato corsi di pittura tradizionale giapponese, oltre a tecniche di acquarello e pastello. Di tanto in tanto vengono organizzate anche delle mostre, come quella che si terrà a Maggio al Kiss Bar dedicata al tema della Primavera. Della formazione in arte terapia Elisa porta con sé la concezione dell’arte come luogo di benessere ed alla portata di tutti.
Nata e cresciuta a Rogoredo, lo considera un paese nella città. Infatti c’è ancora l’abitudine del caffè e del ritrovo al bar per le persone anziane. Auspicherebbe più attività culturali per gli anziani e più possibilità di incontro tra le persone di diverse fasce di età, un po’ come succede qui alla corte in cui giovani e anziani collaborano assieme. Elisa parla di due momenti importanti di contaminazione del quartiere: un primo momento in seguito alla costruzione delle case popolari e all’arrivo di un gruppo di eritrei, ed un secondo momento con la costruzione di Santa Giulia che ha portato all’arrivo di molte famiglie giovani. Questo ha portato la Rogoredo storica ad aprirsi verso l’esterno, al punto che oggi Rogoredo è un quartiere variegato e multietnico. Per il quartiere Elisa auspica che nella crescita che interesserà il quartiere in vista delle olimpiadi venga mantenuta la stessa qualità della vita e che cadano definitivamente alcuni marchi posti dai media che non appartengono al quartiere.
Maria Luisa è nata a Rogoredo nel 1942, durante la seconda guerra mondiale. Essendoci la ferrovia, si temeva che potessero buttare una bomba nei pressi della stazione, per questo i genitori l’hanno mandata a Pavia dalla nonna, dove ha fatto l’asilo. Maria Luisa è poi tornata a Milano all’età di sei anni, una volta finita la guerra. Ricorda il momento in cui ha conosciuto il suo futuro marito, per strada, quando, essendo finita contro un recinto, lui le disse: “finalmente ti fermi”. Dopo essersi frequentati si sono poi sposati all’età di venticinque anni. Maria Luisa ha lavorato alla Montedison ventun anni, poi quando i genitori si sono ammalati, ha rilevato la loro salumeria in centro a Rogoredo. Si trattava di una salumeria storica che è rimasta aperta dal 1942 al 1998, mezzo secolo.
Quando era giovane a Rogoredo c’era una sala da ballo - dove adesso c’è la Coop, che era uno dei principali centri di ritrovo assieme all’Arci Mondini. Di quando è arrivata la metropolitana ricorda quando, a causa dei lavori, avevano dovuto spostare il mercato verso San Donato. Lei ed altri concittadini avevano poi portato le firme al Comune per ottenere che il mercato fosse rispostato a Rogoredo, dov’è tuttora. Di quando era giovane le manca il cinema e si augura che ne riaprano uno in quartiere. E’ comunque felice che il quartiere si stia rivalutando e si augura che rimanga quel senso comunitario che qui è ancora molto forte.
L’ARCI Mondini offre diversi corsi di ballo, teatro, musica per bambini, ragazzi e adulti. Un ricco palinsesto di serate con musica e ballo arricchisce poi l’offerta dei corsi, sempre più numerosi e variegati. L’iniziativa “Femminile Plurale” sugli stereotipi di genere è stata promossa dall’ARCI Mondini in collaborazione con l’ARCI Bellezza, Maschile Plurale e ActionAid, coinvolgendo diverse associazioni presenti sul territorio come Mare Culturale Urbano e Verde Festival. L’idea progettuale è nata durante il lockdown, quando l’ARCI Mondini aveva avviato un palinsesto di trasmissioni in streaming in cui venivano affrontate tematiche quali l’amore, il potere e la bellezza con una lente di genere. Dalla risposta positiva degli abitanti è scaturita la necessità di sviluppare ulteriormente queste tematiche, organizzando dei talk con la partecipazione di professionisti della materia, attivando delle rassegne teatrali e cinematografiche ed organizzando dei workshop che andassero a scardinare dei preconcetti di genere, come laboratori di cucito per uomini e di officina meccanica per donne. Grazie all’organizzazione di una mostra fotografica diffusa nei negozi di prossimità in cui venivano ritratte le donne del quartiere nelle loro occupazioni quotidiane, le persone, rivedendosi, si son sentite parte di un progetto comune, di una comunità. Il progetto è stato quindi importante nella ricostituzione dei legami comunitari dopo la fase pandemica, ricucendo delle relazioni che nel quartiere son sempre state molto forti.
A Rogoredo esiste infatti un forte senso comunitario, una dimensione di paese, grazie alle moltissime associazioni attive nel quartiere che creano continue occasione di scambio e di incontro. I nuovi progetti urbanistici, quali l’apertura di una sede del conservatorio, dovrebbero portare nel quartiere una presenza importante di giovani che dovrebbero dare une nuova spinta positiva. L’auspicio è che l’impegno sul territorio di realtà come l’ARCI e le molteplici associazioni di quartiere sia maggiormente sostenuto dalle istituzioni.
Rached vive a Milano da trentatré anni: ora abita e lavora a Merezzate ma prima ha abitato in zona San Siro, Navigli e Giambellino. Adesso Rached fa il piazzaiolo ma in passato ha fatto il manovale, il piastrellista, l’imbianchino … Tuttavia la sua passione è la cucina fin da quando era piccolo.
Ricorda infatti di quando andava al mercato con sua mamma a Biserta, la sua città natale. Biserta è una cittadina di mare nel nord della Tunisia, il punto più alto dell’Africa. Di Biserta gli manca il mare, il pesce, la verdura, l’aria, il sole… il clima del Nord Africa è ben diverso da quello di Milano. Di Milano Rached apprezza però le possibilità lavorative, il sistema sanitario, l’organizzazione…
Rached sente di avere due case: una in Italia ed una in Tunisia. In Italia Rached si è costruito una famiglia: i suoi figli vanno a scuola qui ed avranno un futuro qui. Tuttavia Rached ha mantenuto un forte legame affettivo con la Tunisia e ci tiene affinché i suoi figli passino del tempo nel paese delle sue origini, perché essere a metà tra due culture è una grande ricchezza. Rached stesso parla Tunisino, Arabo, Italiano e Francese.
Di Merezzate pensa che sia un posto tranquillo, a misura di famiglia. Apprezza il campo da basket, le attrezzature, lo spazio comune allestito, … si sente fortunato a vivere e lavorare qui. Alla domanda su quale sia il contributo che sente di poter dare alla sua comunità risponde “delle ottime pizze perché la felicità è nel cibo”. Rached ama fare la pizza, anche se il suo piatto preferito resta il cous cous. Per Rached la comunità dovrebbe essere unita, senza distinzione tra culture. Per il futuro Rached auspica la pace in tutto il mondo.
Fabrizio è il Responsabile del Circolo PD di Rogoredo. Fabrizio è nato a Rogoredo ed ha visto il quartiere cambiare. Si ricorda ancora di quando c’erano le acciaierie Redaelli e di quando in Corso Lodi c’era una moltitudine di piccole fabbriche che facevano materiale elettrico, turbine ed altre componenti. Adesso, lungo l’asse Rogoredo- Porta Romana, sono scomparse tutte le fabbriche. I primi ricordi del quartiere sono di quando andava a scuola e si trovava con gli altri ragazzi a giocare a calcetto. Ricorda anche il Circolo Mondini come luogo storico di aggregazione nel quartiere, oltre alla parrocchia. La sua famiglia è di sinistra da generazioni: i suoi nonni e poi i suoi genitori erano iscritti al PC, per cui lui porta avanti la tradizione di famiglia con l’impegno politico e sul territorio.
Tra le iniziative del Circolo ricorda le oltre 700 firme raccolte nel quartiere in seguito al trasferimento del medico di base che serviva 1.500 famiglie. Grazie a questa petizione ed al dialogo con le istituzioni, è stato possibile avere un nuovo medico di base che opera tutt’ora a Rogoredo. Il Circolo del PD è quindi sempre stato un punto di riferimento della partecipazione dal basso. Il Circolo si è anche attivato a favore del progetto che vede l’apertura di una sede del conservatorio a cui Fabrizio tiene molto personalmente: l’apertura del conservatorio porterebbe infatti a Rogoredo una moltitudine di giovani legati al mondo della cultura e della musica.
La comunità di Rogoredo è sempre stata tollerante e accogliente. Infatti a San Martino c’è stato il primo centro di accoglienza di Milano, poi chiuso per questioni politiche. L’auspicio è quindi che la comunità rimanga così com’è: accogliente e che non lascia indietro nessuno.
Nato a Varese e trasferitosi a Milano all’età di ventisette anni, Vinicio è stato tra i primi abitanti di Merezzate. Ricorda quando il quartiere era ancora in via di costruzione e al posto dei palazzi c’erano gli scavi. I primi abitanti sono arrivati durante il lockdown, per cui si respirava un’atmosfera di quiete surreale. Ora il quartiere si è popolato ed assumerà un volto ancora nuovo in ragione della riqualificazione delle zone circostanti in vista delle Olimpiadi Milano- Cortina.
Vinicio ha partecipato alla costituzione del Comitato di Quartiere, con il quale ha portato avanti diverse istanze vis-à-vis della proprietà e delle istituzioni pubbliche, perché nei nuovi progetti che riguardano il quartiere siano tutelati gli interessi degli abitanti.
Attualmente è impegnato nella costituzione di un’associazione di quartiere che gestirà lo spazio condiviso, ‘il Living’, con attività legate allo sport, alla cultura, al benessere, al gioco. Ad oggi le attività capaci di aggregare il maggior numero di persone sono quelle legate allo svago e ai momenti di convivialità, come il corso di balli latini e le feste di quartiere. A tal proposito gli abitanti di Merezzate collaborano con quelli del complesso residenziale Moneta che si sono già costituiti in associazione ed hanno aperto una redazione per informare delle attività svolte su diversi canali a seconda delle fasce d’età: dalle locandine, alle comunicazioni mail e whatsapp, ai post su facebook e instagram.
Per Vinicio un abitare collaborativo è un luogo in cui le persone hanno allo stesso tempo degli spazi privati e degli spazi per attività comuni, come lo spazio Living e il campo da basket. La comunità deve essere innanzitutto inclusione, partecipazione e crescita personale. Resta ancora da costituire una rete di supporto alle persone più fragili, come gli anziani, così come l’attivazione di una portineria di quartiere che offra dei servizi base agli abitanti.
Il contributo che Vinicio sente di dare già alla sua comunità è il suo tempo, il bene più prezioso, le sue capacità pratiche ed organizzative e l’impegno a coinvolgere sempre più persone. Nel tempo libero dal lavoro e dalle attività comuni, a Vinicio piace organizzare delle uscite al mare e in montagna o riservarsi del tempo con gli amici.
Per il futuro Vinicio vorrebbe veder nascere una maggior ricchezza di servizi, come una palestra o un centro medico, e una maggiore attenzione per il bene comune. L’auspicio è infine di riuscire a costruire una comunità partecipata e la nascita di un’associazione di quartiere.
Il centro Icare nasce nei primi anni duemila ma è stato preceduto da diverse esperienze, quali una ludoteca gestita da un gruppo di genitori che avevano l’esigenza di una gestione condivisa del tempo libero dei figli. Attualmente il centro offre attività di doposcuola ad una dozzina di ragazzi della scuola media ed ospita le riunioni di un comitato di persone che si occupa dei problemi urbanistici legati al quartiere.
Daniele è stato professore universitario all’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali. Fin da quando si è trasferito a Rogoredo nel 1985 ha partecipato a titolo volontario a diverse iniziative, come attività di doposcuola nella ‘casa bianca’ di Via Feltrinelli, un insediamento di edilizia popolare per famiglie sfrattate, ed attività legate alla prima esperienza della scuola di italiano per stranieri con un gruppo di donne eritree. E’ stato inoltre presidente del Circolo Mondini per sei anni.
Quando è arrivato a Rogoredo esistevano diversi spazi aggregativi che ora han chiuso, come la birreria e l’ex cooperativa, oggi supermercato Coop. Il problema della mancanza di spazi di aggregazione, soprattutto per i più giovani, è un problema che si tocca con mano. Rogoredo è infatti un quartiere in espansione demografica: le case abitate dagli operai della Redaelli sono state col tempo occupate da famiglie più giovani, così come l’aumento dei prezzi delle case ha spinto in certi casi le persone anziane a trasferirsi nell’hinterland. Più che di un quartiere, Daniele parla di un insieme di quartieri - San Martino, Rogoredo Vecchia, Santa Giulia, Merezzate - con identità diverse e talvolta scollegate urbanisticamente. Il lavoro delle molteplici associazioni mira a cercare di sviluppare un’identità comune e di fornire soluzioni condivise a problemi comuni come la viabilità, la mancanza di spazi di aggregazione, la carenza di medici di base e l’assenza di alcuni servizi come un’edicola. Per il futuro, l’auspicio è che i quartieri si mescolino e che ci sia un rinnovato desiderio di partecipare e occuparsi dei problemi collettivi.
Luigi lavora per il Gestore Sociale di Redo Merezzate e si occupa delle questioni amministrative legate alla manutenzione e gestione del condominio. Ha lavorato per diversi complessi di housing sociale in diversi quartieri e da un annetto lavora a Merezzate. In questi ultimi sette anni Luigi ha lavorato per diverse aziende, occupandosi sempre della parte amministrativa. Nato a Napoli, quello che più gli manca della sua città Natale è lo sguardo sull’orizzonte osservando il mare.
Occupandosi di manutenzione e segnalazioni, è spesso a contatto con le persone. Entrare nelle case delle persone per questioni tecniche legate a delle segnalazioni è un po’ come entrare nel vissuto e nella storia delle persone. Luigi gestisce anche le consegne degli immobili ai nuovi arrivati, per cui ha visto la comunità costituirsi. Partecipa ad alcune delle iniziative comuni, come gli eventi e le feste, così come ad alcuni aspetti legati alla gestione dello spazio Living, lo spazio comune. Chi arriva a Merezzate infatti sperimenta un nuovo modo di abitare e stare assieme e lo spazio Living è un luogo messo a disposizione degli abitanti per incontrarsi e promuovere delle attività volte a conoscersi meglio. Merezzate è un quartiere molto variegato, per età, vissuto e provenienza. E’ quindi un luogo dove persone con esperienze e provenienze diverse si incontrano e si mescolano. Una comunità per Luigi dovrebbe essere spensierata ed inclusiva, non solo delle diversità ma anche delle opinioni altrui. Per il futuro Luigi si augura rispetto, partecipazione e che questa esperienza possa essere da modello per altre esperienze di abitare collaborativo in tutta Italia.
Bruno Dalchecco è il Presidente Sezione ANA Associazione Nazionale Alpini di Alessandria ed Ennio Besola è il Capogruppo Alpini di Felizzano in specifico. Dalchecco si arruola nel 1976 e fa parte dell’Associazione Nazionale Alpini, fa subito un accenno storico riguardo la nascita del corpo degli Alpini, fondato a Napoli nel 1872. Dal 1919 i reduci della 1° Guerra Mondiale hanno fondato l’ANA che raggruppa gli Alpini, il loro motto diventa “ Aiutare i vivi per ricordare i morti”, riportato sulla colonna mozza all’ Ortigara nel 1920 dove si è svolto il primo raduno nazionale, da allora ogni anno, come consuetudine, avviene in una diversa città d’Italia. L’ANA, con sede nazionale a Milano, conta 4300 gruppi in tutta Italia suddivisi in 80 sezioni, mentre all’ estero si contano 30 gruppi suddivisi 29 sezioni, si tratta dell’associazione d’arma più grande al mondo. All’interno di ogni sezione vi sono vari gruppi, in quella di Alessandria si contano 35 gruppi e circa 1500 iscritti, può essere presente un corpo di Protezione Civile all’ interno della sezione, dove si aiutano gli enti locali e viene fatta beneficenza. Gli Alpini in arma portano pace e democrazia, gli Alpini in congedo continuano a portare avanti i valori e il loro motto. Ogni anno l’operato degli Alpini viene rendicontato e riportato in un “Libro Verde” dove viene raccolto il numero delle ore svolte di volontariato per eseguire opere di solidarietà e di sostegno al prossimo, con un valore monetario molto alto, a questo si aggiungono i soldi devoluti in beneficenza raccolti attraverso varie iniziative nel corso dell’anno. Lo spirito degli Alpini è animato dalla solidarietà e volto all’ aiuto nei confronti di chi è bisognoso, ad esempio a livello nazionale sono stati costruiti vari edifici, all’ estero ad esempio in Ucraina oppure in luoghi in cui ci sono state calamità naturali. Si ricorda il grande impegno e coinvolgimento da pare degli Alpini durante e dopo l’alluvione di Alessandria nel 1994. Dal 2005 è presente la figura femminile all’ interno degli alpini, dove svolge mansioni identiche a quelle maschili. L’ANA da 3 anni organizza campi scuola a livello nazionale che coinvolge ragazzi dai 16 ai 25 anni svoltisi in Sicilia e in Sardegna, per la durata di 15 giorni. La sezione di Alessandria organizza da diversi anni il campo scuola per giovani dai 10 ai 15 anni, sia per maschi, sia per femmine. Il 17 settembre 2023 ci sarà l’inaugurazione del monumento agli Alpini antistante la Stazione ferroviaria di Alessandria, in quel weekend si terrà in città la riunione del centro studi nazionale dove si riuniranno tutte le sezioni ANA, questo evento è motivo di orgoglio da parte del Presidente Dalchecco, il quale auspica che possa a breve svolgersi anche il consueto annuale Raduno Nazionale proprio ad Alessandria. A Felizzano il gruppo è nato il 15/4/1984, è composto da un buon numero di iscritti, alle attività ed iniziative organizzate partecipano spesso i soliti associati. La caratteristica che accomuna gli alpini è “la passione con cui vengono fatte le cose”, sottolinea Besola Ennio, e quando si agisce con passione e impegno le cose riescono bene. Gli Alpini collaborano attivamente con gli istituti scolastici di Felizzano coinvolgendo le scuole elementari e medie con varie manifestazioni, ad esempio la festa dell’ albero, la giornata ecologica e la giornata mondiale della sostenibilità. Queste attività svolte nelle scuole riscuotono sempre molto successo e sono molto apprezzate, i ragazzini vengono coinvolti e dimostrano interesse. Nel comune di Felizzano sono stare realizzate opere a cure degli Alpini, come ad esempio il ripristino del viale della Rimembranza, la ristrutturazione dell’attuale sede del gruppo, è stato inaugurato il monumento dedicato all’ Alpino in un’ area concessa dal Comune, si è stipulata anche una convenzione con l’amministrazione comunale per la pulizia e la sicurezza all’ interno del paese di Felizzano. Si riferisce che ogni anno vengono devoluti molti soldi in beneficenza, per quanto riguarda la realtà di Felizzano, in particolare, sono state acquistate delle lavagne LIM e altri materiali per la scuola, viene mantenuta attiva e attrezzata l’ aula dei laboratori, sono presi in adozione a distanza 2 bambini stranieri, questo denaro viene solitamente ricavato da alcune iniziative come ad esempio le cene che avvengono nella sede. Il gruppo di Felizzano è attivo, funziona bene, garantisce aiuto e sostegno attraverso attività e iniziative rivolte alla cittadinanza. Prossimo impegno sarà la seconda domenica di maggio al raduno nazionale che si terrà quest’ anno a Udine.
Filippa, da tutti conosciuta come FINA, è una donna di 70 anni, dalle mille sfaccettature, ferma sui suoi valori, combattiva, ma nello stesso tempo dolce e accogliente E' un'Assistente sociale, una mamma e una nonna.Originaria della provincia di Caltanissetta, ha vissuto gli anni universitari e lavorativi a Catania, una città che l'ha accolta ma che lei non ha sentito mai sua, perchè, molto forte il legame con le sue origini.Dopo il diploma, si è iscritta a Scienze Politiche, ma durante gli studi, una esperienza per diversi anni, all'interno di una associazione per ragazzi portatori di handicap ha dato una svolta significativa alla sua vita.Da quel momento la sua nuova Mission è diventata: -aiutare e sostenere i più deboli-Quindi cambia facoltà , e si iscrive alla Scuola Superiore dei Servizi Sociali, e dopo tre anni è diventa appunto una Assistente Sociale.Per 47 anni, ha svolto la sua professione all'interno dell'Amministrazione Pubblica del Comune di Misterbianco (CT), con il supporto di figure professionali provenienti dal Privato Sociale grazie ai progetti presentati dalle varie Cooperative del territorio.Il lavoro in questi anni non è stato facile, le vite dei tanti nuclei familiari che ha incrociato e preso in carico erano deprivate sia economicamente che affettivamente, spesso il suo ruolo non veniva riconosciuto e accettato, per tanti la sua figura aveva solo uno scopo: "TOGLIERE I BAMBINI".Si è spesa in tante battaglie, anche le piu disperate, perchè per lei, anche il piu piccolo dei risultati raggiunti era pur sempre qualcosa..un piccolo granello che avrebbe fatto sentire accolto chi si sentiva inascoltato, dimenticato.Proprio per questo non ha mai perso l'entusiasmo e la voglia di darsi.All'età di 67 anni è andata in pensione.Per Fina, è stato un momento difficilissimo, legato soprattutto alla prematura perdita del compagno di una vita, senza piu il lavoro e i collehi si è rifugiata nella famiglia.E poi un giorno, inaspettivamente la sua routine familiare è stata interrotta dalla proposta della Cooperativa Marianella Garcia.Con quest'ultima e alcuni suoi collaboratori nel corso di tutti questi lunghi anni lavorativi ha stretto rapporti di stima e affetto significativi, per cui alla proposta di ritornare a lavorare come assistente sociale in un nuovo progetto "Teneramente", finanziato da Cesvi e di cui la Garcia e partenr, ha subito accettato.Progetto molto innovativo, della durata di tre anni. Ha ripreso cosi a fare l'assistente sociale e insieme all'equipe multidisciplinare, formata da un coordinatore, uno psicologo, un pedagogiste e gli educatori professionali e diverse agenzie del territorio sanitarie e non. Ad essere seguiti e presi in carico dall'intero team, sono le famiglie e i bambini da zero a a sei anni, che vivono situazioni molto particolari e delicate.Sente di essere cambiata, come lei stessa ha detto durante l'intervista, è meno rigida, più accogliente, più dolce, meno istituzionale.Ha un part-time, perchè la sua famiglia, soprattutto i nipoti hanno bisogno di lei e lei ha bisogno del suo tempo per ascoltare e vivere finalmente il suo essere "Donna".
Gianluca ha lavorato per molti anni come barista ma la sua passione è il disegno. Diplomato al liceo artistico, aveva iniziato lavorando in delle agenzie di pubblicità. Dopodiché ha trovato lavoro come disegnatore di fotogrammi per i cartoni animati, tra cui menziona la serie animata di Lupo Alberto. Il disegno è la sua passione da quando era bambino e continua ad esserlo ancora oggi. Il suo sogno è infatti quello di poter realizzare un cartone animato da lui ideato. Gli piace infatti l’idea di creare un progetto suo piuttosto che lavorare come dipendente per qualcun altro.
Nato e cresciuto in zona San Siro, ora abita in fondo a Via Ripamonti. Di dove vive ora apprezza la tranquillità, il verde e la dimensione di paese. Gli piace infatti fare delle passeggiate al parco e a casa si prende cura del giardino. Tuttavia la sua occupazione preferita nel tempo libero rimane il disegno.
Per Gianluca una comunità dovrebbe essere inclusiva e accogliente e dovrebbe avere degli spazi aggregativi per stare insieme. In passato ha tenuto dei laboratori per bambini sulla creazione di animali in carta pesta in cui si è molto divertito. Il contributo che immagina poter dare alla comunità è quindi quello di svolgere delle attività artistiche con i bambini. Il suo auspicio per il futuro è quello di fare un lavoro che lo appassiona e che faccia divertire gli altri.
Jorgelina è arrivata dall’Argentina nel febbraio 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia. E’ arrivata per fare un viaggio nella terra dei suoi avi, essendo il suo bisnonno calabrese, ed è poi rimasta in Italia. Ha vissuto un anno e mezzo in Valtellina e poi si è trasferita a Milano, ospite di un’amica. L’inizio è stato difficile: ha dovuto adattarsi al freddo della montagna ed imparare la lingua. Oggi Jorgelina, Koki per gli amici, studia graphic design e lavora in un bar caffetteria a Merezzate. Prima di lavorare qui ha fatto esperienza nella ristorazione e nel reparto di customer service di un’azienda internazionale, dove teneva i contatti con la Spagna. Nata e cresciuta a Buenos Aires, le piace la dimensione cittadina e a Milano si è costituita la sua comunità, fatta di colleghi, compagni di scuola e vicini. Il suo sogno è quello di lavorare da remoto per poter girare il mondo in un camper. Appassionata di comunicazione, oltre al lavoro e lo studio fa volontariato in una radio locale e spera di poter lanciare presto un suo podcast. La comunicazione è infatti per lei un modo per farsi vicini alle persone, non farle sentir sole, creare empatia ed affrontare temi in cui le persone possano identificarsi.
Alla domanda su cosa faccia una comunità tale, Jorgelina risponde l’empatia, l’accettazione della diversità, la comunicazione e la felicità. Il suo posto ideale dovrebbe avere uno spazio di mutuo aiuto, un centro culturale libero e accessibile a tutti ed essere partecipato. L’auspicio per la sua comunità è che ognuno possa trovare qualcosa che ama fare perché la felicità rende le persone più buone.
Edoardo è laureato in statistica e si sta specializzando in data science. Si tratta di una figura professionale relativamente nuova che si occupa di analisi dati e collabora con i data analyst. Il data science è una scienza che si occupa dello studio e interpretazione del dato e di come questo possa diventare fruibile e comprensibile al pubblico. E’ quindi una disciplina che si può applicare a qualsiasi ambito: medico, demografico, sociale, marketing, …
A Edoardo piace viaggiare: è infatti recentemente tornato da un anno di Erasmus in un paesino della Norvegia e si sta ancora riadattando alla vita cittadina. Da qualche anno abita a Santa Giulia: si ricorda quando ancora non c’erano la promenade, il parco trapezio e i palazzi nuovi. Oggi il parco e la promenade sono luoghi vissuti, ed è un quartiere popolato da molte famiglie giovani con figli. Quelli di Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate sono quartieri dove c’è ancora una dimensione di paese, tra ragazzi ci si conosce tutti e ci si ritrova spesso al bar oppure al parco. A parte questi luoghi di aggregazione manca però un posto per il doposcuola, per cui Edoardo vorrebbe costituire un gruppo di ragazzi universitari che supportino i più giovani nel percorso scolastico, sia con un aiuto compiti che con dei percorsi di orientamento. Attraverso l’incontro con laureati e giovani lavoratori e la loro esperienza infatti, i più giovani potrebbero scoprire nuovi interessi ed interessarsi a dei percorsi professionali. Oltre a questo progetto personale, Edoardo ha un interesse per il giardinaggio e si è reso quindi disponibile come volontario per l’iniziativa degli orti condivisi di Merezzate.
Il Baskin nasce a Cremona venti anni fa dall’idea di un papà con una figlia con disabilità motorie ed un insegnante di educazione fisica. L’idea del basket “inclusivo” o “integrato” è infatti quella di uno sport che possa far giocare nello stesso campo persone di sesso diverso e con capacità tecniche e motorie differenti. E’ quindi uno sport per tutti, in cui vengono assegnati dei ruoli in base alle capacità tecniche e motorie di ciascuno, così che ogni giocatore si possa confrontare unicamente con giocatori con caratteristiche simili dal punto di vista fisico e tecnico. E’ un gioco che si può giocare in qualsiasi campo da basket, con l’aggiunta di due canestri più bassi che vengono posizionati lungo la riga del metà campo.
L’iniziativa del Baskin a Rogoredo nasce all’interno della società sportiva Primavera 2005 da un gruppo di amici appassionati di sport e con una sensibilità per il mondo delle disabilità. Il Covid ha ritardato l’inizio dell’attività sportiva che è stata avviata nell’Ottobre 2021, inizialmente con un gruppo ristretto che si è andato via via allargando. Oggi la squadra si compone di genitori e giovani con disabilità e non, che vengono anche da quartieri e paesi vicini.
Luca, tra i fondatori del Baskin Rogoredo, abita nel quartiere da qualche anno. Rogoredo è un quartiere bello e dinamico, con molte associazioni impegnate nel territorio ed in continua espansione. Recentemente sono arrivate molte famiglie con bambini per cui il quartiere è in forte espansione demografica. Quello che lo motiva ad investirsi nel volontariato è la passione per lo sport e l’inclusione, che per lui significa il sapersi accogliere come si è, con i difetti, i limiti e le caratteristiche di ognuno. L’auspicio è che cresca l’interesse per questo sport e che nascano sempre più realtà di basket inclusivo a Milano e altrove.
Stefania è una persona dai molteplici interessi: ha lavorato all’assessorato alla cultura del Comune di Milano, poi per una casa editrice ed attualmente si occupa di orientamento ed organizzazione di eventi per la scuola di design del Politecnico di Milano.
E’ stata tra i primi abitanti di Merezzate ed ha da subito trovato la quiete nel quartiere riposante. Le è sempre piaciuto organizzare e condividere momenti di socialità con gli amici, per cui quando è venuta a conoscenza del progetto di social housing ha subito fatto domanda. Avvicinandosi l’età della pensione, le piace pensare a forme di abitare collaborativo tra vicini e si è quindi proposta per tenere un club di lettura nello spazio comune di Merezzate. La partecipazione a queste attività, come il club di lettura o le serate di speak up, sono un’occasione per conoscersi e raccontarsi.
Tra i suoi luoghi preferiti ci sono gli orti nel quartiere vecchio e quando può le piace andare a fare delle passeggiate in montagna. Per il futuro spera di poter avere più tempo da dedicare a se stessa e di condurre una vita dai ritmi meno frenetici. Per il quartiere auspica l’apertura di negozi di prossimità come un fruttivendolo, un giornalaio oppure una libreria indipendente.
La sua idea di abitare collaborativo è quella di un quartiere capace non solo di offrire delle occasioni di svago e incontro per giovani e famiglie, ma anche in grado di supportare le persone più fragili come gli anziani.
Antonella lavora da quando aveva diciassette anni: è stata impiegata in diversi uffici per poi arrivare alla Rinascente di Piazza Duomo, dove ha lavorato dieci anni negli uffici amministrativi e diciotto anni nel reparto vendita. Ha preso una pausa dal lavoro quando ha avuto i figli ed ora è in pensione da meno di un anno. Nata in Viale Ungheria da genitori pugliesi, ha sempre vissuto nel quartiere. Si affeziona molto ai luoghi, per cui non c’è un altro posto dove vorrebbe abitare. Da quando è in pensione si è riappropriata del proprio tempo: prima era una vita frenetica, tra lavoro, famiglia e casa, ora invece sta riscoprendo gli hobby, come leggere, disegnare e fare lavoretti in casa. Di quando era piccola ricorda i moltissimi negozietti che popolavano il quartiere: i negozi di giocattoli, casalinghi, la drogheria … e la merceria Kiss dove vendevano intimi e capi d’abbigliamento. Oggi molti negozi hanno chiuso a causa della concorrenza della grande distribuzione. E’ rimasto il mercato comunale, ancora frequentato dagli abitanti del quartiere. Alla domanda su cosa spinga le persone ad andare al mercato ancora oggi, Antonella risponde la voglia di dialogare, scambiare due parole, conoscersi … il contatto con le altre persone. C’è ancora un certo senso di comunità, forse maggiormente tra gli adulti in quanto i giovani preferiscono altri quartieri come la vicina Santa Giulia. Lei stessa ama passeggiare fino a Santa Giulia per andare a prendere un caffè con le amiche. Antonella rifiuta di considerare il Viale come un quartiere dormitorio e anzi lo definisce delizioso, anche se desidererebbe un maggiore decoro urbano con dei bei marciapiedi, delle panchine e dei bei baretti allestiti.
Da piccola passava molto tempo in cortile: le porte delle case erano aperte ed i bambini si ritrovavano a giocare nei cortili. Oggi la vita di cortile non esiste più e mancano dei luoghi di aggregazione per ragazzi e bambini, fatta eccezione dell’area gioco e del campo da calcio. Ha chiuso anche la biblioteca comunale.
Antonella è volontaria al Comitato di quartiere di Viale Ungheria. L’interesse per il bene pubblico viene da lontano: da giovane era iscritta al sindacato ed ha frequentato per molto tempo la sezione del partito a cui era iscritta. Ha sempre dato molta importanza alle relazioni con le persone ed oggi, disponendo di tempo libero, desidera dare il suo contributo alla comunità con volontà e impegno.
Il Comitato di Quartiere di Viale Ungheria e Dintorni nasce nel 2016 con l’intento di migliorare la vivibilità e la coesione sociale del quartiere, così come con quello di dialogare con le istituzioni per cercare delle soluzioni alle istanze dei cittadini. A tal proposito Fabrizio, Presidente del Comitato nonché uno dei membri fondatori, ricorda l’impegno con cui il Comitato si è battuto durante quattro anni per migliorare l’illuminazione pubblica nel Viale.
Tra le iniziative del Comitato si possono menzionare la realizzazione di panchine rosse in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, la pulizia del viale con Legambiente, dei momenti di aggregazione ed il progetto “Mind The Gap” in collaborazione con ActionAid, attualmente nella sua seconda edizione. Il progetto propone diverse attività di doposcuola completamente gratuite a bambini, ragazzi ed adolescenti ed effettivamente la mancanza di un luogo di aggregazione, non solo per i giovani ma anche per i senior, era e rimane una delle principali esigenze sentite dagli abitanti. Esigenza che si fa sentire oggi più che mai in ragione del ritrovato desiderio di socialità emerso dopo la pandemia.
Fabrizio abita il quartiere da cinquant’anni. Tra i ricordi belli del passato menziona i concerti organizzati al parco dell’Abbazia Monluè. Diverse sono poi le personalità nate nel quartiere: dal portiere Zenga ai cantanti Francesco Sarcina delle Vibrazioni e Malika Ayane. Di bello il quartiere di oggi ha gli spazi verdi, la buona connessione grazie ai mezzi pubblici e la coesione sociale che ancora oggi caratterizza il quartiere. A tal proposito il Mercato Comunale ristrutturato rimane un punto di riferimento per gli abitanti nonché un luogo di incontro.
Dopo una vita dedicata all’insegnamento ed al servizio pubblico, non solo come Presidente del Comitato ma anche nella passata esperienza di Consigliere di municipio, l'auspicio di Fabrizio è che le istituzioni continuino a dialogare con i cittadini e che i risultati ottenuti spingano i cittadini ad una ancor maggiore partecipazione.
L’Associazione Parlami nasce nel 2018 dall’esigenza di mettere al servizio della cittadinanza diverse professionalità. Oggi l’associazione si compone di logopedisti, psicologi, osteopati, biologi nutrizionisti, arte terapisti e psicomotricisti dell’età evolutiva, con l’obiettivo portare avanti attività di sensibilizzazione e prevenzione rivolti a bambini ed adulti. L’associazione nasce a Rogoredo non solo per il legame con il territorio delle sue fondatrici ma anche in ragione della necessità di offrire agli abitanti dei servizi specialistici allora assenti.
Tra le iniziative di particolare successo, possiamo menzionare il ciclo di incontri “mio figlio cresce”, che ha portato sui diversi aspetti legati alla crescita: affrontare dal punto di vista emotivo l’ingresso alla scuola elementare, prevenire abitudini che possono portare a disfunzioni masticatorie e del linguaggio, prevenire i disturbi alimentari e del linguaggio, etc. L’associazione collabora anche con le associazioni locali sportive grazie ai suoi nutrizionisti e osteopati e con le scuole proponendo agli insegnanti laboratori sull’utilizzo della voce. Il grande valore aggiunto dell’associazione è l’approccio olistico e l’interdisciplinarità con cui vengono affrontati i temi grazie alla collaborazione tra i diversi specialisti che la compongono.
Durante la pandemia l’associazione ha continuato la sua attività di sensibilizzazione con l’organizzazione di webinar che hanno avuto un grande successo. Adesso invece a prevalere è una rinnovata voglia di stare insieme e di partecipare ad attività culturali e ricreative in presenza.
Della “vecchia Rogoredo” Annamaria, presidente dell’associazione, ricorda con nostalgia i negozietti di quartiere, come la drogheria, la salumeria, … oggi diversi negozi hanno chiuso in ragione della diffusione dei supermercati e dell’e-commerce. Delle Rogoredo attuale Annamaria apprezza la connessione con il centro grazie al trasporto pubblico ed il grande lavoro di riqualificazione della zona circostante alla stazione. Di grande valore è inoltre il senso comunitario degli abitanti del quartiere, rafforzato dal fatto che Rogoredo non è un quartiere di passaggio in quanto chiuso tra la ferrovia e la tangenziale. I diversi luoghi di aggregazione, come i giardinetti di Via Rogoredo, il Parco trapezio, le scuole, la parrocchia e le diverse iniziative itineranti delle associazioni stanno favorendo l’integrazione tra la Rogoredo storica ed il quartiere nuovo di Santa Giulia, prima poco comunicanti.
Quello che spinge Annamaria a fare questo lavoro dal 1985 è la passione, il contatto con le persone, la curiosità scientifica e l’arricchimento dato dal poter lavorare con professionisti a lei complementari.
Laura si definisce una persona eclettica: nella vita è stata insegnante, impiegata, contabile ed edicolante. Moltissimi sono gli hobbies: ufficiale di gara di judo, cantante e tesoriera di un coro, ama il bricolage e le attività manuali così come tutto quanto abbia a che fare con hardware e software. Attualmente tiene un laboratorio gratuito di alfabetizzazione digitale per adulti ed in passato si è già fatta promotrice di un laboratorio di scrapbooking, ovvero l’arte di fabbricare album fotografici e altri oggetti personalizzati con carta e altro materiale da riciclo, e dell’iniziativa degli orti comuni.
Milanese da generazioni, nata e cresciuta in zona Navigli, Laura si è trasferita a Merezzate un paio di anni fa. Aveva visto il bando e le piaceva l’idea di condivisione e socialità che sta alla base del co-housing, anche se lamenta una scarsa partecipazione alle iniziative comuni da parte degli abitanti. Quelli che invece partecipano alle iniziative sono spinti dalla voglia di condividere, stare assieme e creare amicizie e Laura stessa afferma di aver creato in quartiere delle solide amicizie. Alla domanda su quale sia la principale risorsa del quartiere, Laura risponde indubbiamente la possibilità di avere un bellissimo spazio comune per poter organizzare delle attività condivise.
Di tempo libero Laura ne ha molto poco: infatti, oltre a proporre dei laboratori, è rappresentante di scala – un lavoro a tempo pieno afferma- e presidente del Comitato di Quartiere di Merezzate. Il Comitato è stato creato due anni fa e si ripropone di fare da tramite tra abitanti ed istituzioni rispetto ad alcune istanze, come la riqualificazione dei palazzi abbandonati e la possibilità di avere una fermata del bus più vicina. Per alcune di queste iniziative si stanno coordinando con il Comitato di Quartiere di Santa Giulia: ad esempio, stanno organizzando un incontro con il municipio ed il comune per illustrare agli abitanti come cambierà il quartiere in vista delle olimpiadi. A tal proposito i progetti sono veramente molti: dai nuovi quartieri che sorgeranno, alla nuova sede del conservatorio, il Palaitalia, gli esercizi commerciali … si parla anche di una connessione Milano- Cortina in un’ora di treno. Laura auspicherebbe anche una maggiore ricchezza di servizi e commerci, magari un centro commerciale. Il quartiere è indubbiamente molto bello, bisogna però che ci sia la volontà di prendersi cura del bene comune e a tal proposito menziona alcuni atti di vandalismo.
Rispetto alla domanda su cosa la spinga ed impegnarsi per la sua comunità, Laura risponde l’empatia ed il desiderio di essere d’aiuto.
Domenico si è trasferito a Milano dalla Campania cinque anni fa, per cercare lavoro dopo aver conseguito la laurea. Si occupa di analisi dati ma è anche appassionato di grafica, video editing e di tutto quanto abbia a che fare con l’informatica. Abita a Merezzate da tre anni, anche se, lavorando già in zona Rogoredo, ha visto la costruzione dei palazzi e la nascita del quartiere. Quando poi sono stati pubblicati i bandi per le case, ha deciso di fare domanda per poter essere più vicino al lavoro. Oggi il tempo risparmiato negli spostamenti casa- lavoro lo investe in attività di volontariato utili alla sua comunità.
Domenico è infatti tra gli organizzatori delle serate in lingua Inglese aperte a tutti gli abitanti del quartiere e partecipa ad attività promosse da altri, come le serate giochi e le riunioni di quartiere. Queste serate sono diventate l’occasione per conoscere i propri vicini e creare un sentimento di comunità e gli hanno permesso di trovare persone con interessi a lui affini come il trekking, il tennis, i viaggi. Appena trasferitosi, l’organizzazione di queste attività è stata un po’ difficoltosa a causa delle limitazioni imposte dal Covid, ora invece chiunque può proporre delle attività nello spazio comune, il “Living”, purché siano aperte ed accessibili a tutta la comunità. Nella App di quartiere è possibile visionare in calendario l’insieme delle attività promosse e prenotarsi.
Gli abitanti sono consapevoli di essere fortunati ad avere uno spazio ampio ed arredato a disposizione della comunità, così come della responsabilità derivante dalla gestione di questo spazio comune per il coinvolgimento di tutti. Alla domanda su cosa lo spinga ad impegnarsi per la sua comunità, Domenico risponde “il piacere di vedere la gente che sorride, si saluta, si incontra e fa due chiacchiere”: creare relazioni crea un ambiente migliore, di condivisione, una qualità della vita migliore. Dove abitava prima non c’erano queste occasioni di incontro tra vicini. Già prima dell’assegnazione delle case sono stati organizzati degli incontri tra futuri vicini per favorire la conoscenza reciproca e la comprensione dell’Abitare Collaborativo. In uno di questi, è stato chiesto di fare un lavoro comune ed il suo gruppo ha lavorato assieme alla realizzazione di un cortometraggio.
Domenico ricorda ancora la prima impressione di quando è arrivato a Merezzate: gli ampi viali, gli spazi verdi … sembrava di stare in una villeggiatura. E’ una zona sempre più vissuta e frequentata, e lo sarà sempre di più con i lavori in vista delle Olimpiadi. Essendo una ex zona industriale, rimangono ancora molti spazi da riempire, come terreni ed edifici abbandonati: l’auspicio è che la comunità venga coinvolta nella presa di decisione riguardo a questi luoghi. A tal proposito, delle sinergie si stanno creando tra i comitati dei quartieri di Merezzate, Santa Giulia e Viale Ungheria. Del quartiere Domenico apprezza i luoghi di aggregazione, come il Parco Trapezio dove va a correre e la promenade ricca di bar. Auspicherebbe degli impianti sportivi come piscine, campi da tennis o da calcio.
L’auspicio per il futuro è che aumenti la partecipazione alle attività di quartiere e che si rafforzi lo spirito di comunità. Per sé, Domenico auspica di crearsi un giorno una famiglia qui a Merezzate.
Stefano si è trasferito a Rogoredo dal quartiere Corvetto sette anni fa, quando ha avuto la sua bambina. Nato a Milano, la sua famiglia è originaria del Sud Italia, per cui lui stesso fatica a definirsi Milanese. Rogoredo è un quartiere con molto da offrire per le famiglie con bambini: il Parco Trapezio è un luogo di incontro durante la bella stagione, così come il circolo Arci e l’oratorio che organizza spettacoli e feste. Il quartiere è in continua evoluzione: intere aree sono state riqualificate recentemente, come la zona circostante alla stazione con il nuovo food district. Ci sono poi i principali servizi e molte aree verdi. Un quartiere che si rinnova e che sta destando interesse crescente per chi cerca casa.
Prima Stefano lavorava in un altro quartiere di Milano, cosa che lo ha portato a vivere poco Rogoredo. Poi la scelta di aprire una cartolibreria nel centro storico di Rogoredo: una scelta che nasce dalla volontà di aprire una propria attività dopo aver lavorato per anni come impiegato nel mondo bancario assicurativo. L’occasione è stata data dalla chiusura della cartoleria storica di Rogoredo e dalla necessità di offrire questo servizio per le famiglie e per le scuole. Rispetto al precedente lavoro, Stefano apprezza poter stare a contatto con le persone ed instaurare un rapporto di conoscenza e fiducia con i propri clienti.
Le principali difficoltà legate al mestiere sono dovute al fatto che, nonostante ben collegato al centro, il quartiere non è una zona di transito, motivo per cui i clienti si limitano principalmente agli abitanti della zona. A tal proposito i lavori di riqualificazione legati alle Olimpiadi dovrebbero aprire nuove prospettive.
La Servente Magic Shop è un negozio di magia situato a Rogoredo che si occupa di vendita al dettaglio, produzione e commercializzazione, in Italia ed all’estero, di giochi di prestigio. La Servente offre inoltre la possibilità, sia ai prestigiatori esperti che ai neofiti della magia, di corsi individuali per migliorare le proprie tecniche.
La Servente nasce come e-commerce nel 2018 dalla passione del suo titolare, informatico di formazione ed allora consulente in comunicazione digitale per un’agenzia di Crema. Dopo due anni di attività online la scommessa di aprire un negozio nel centro di Rogoredo, nello spazio della lavanderia storica del quartiere, e di farne la propria attività principale. L’apertura del negozio ha coinciso con la pandemia per cui inizialmente il negozio ha beneficiato della curiosità degli abitanti “babbani” del quartiere, essendo le esibizioni dei professionisti temporaneamente sospese. Attualmente il lavoro è tornato ai tempi pre-pandemia con la ripresa di fiere di settore e spettacoli dal vivo.
Trattandosi di un settore di nicchia, La Servente lavora con tutta Italia, Europa e altri paesi del mondo, motivo per cui del quartiere vengono apprezzate le facilità logistiche legate alla presenza della ferrovia – inclusa l’Alta Velocità, della metropolitana e della tangenziale.
In questi anni il quartiere ha cambiato volto e sta tornando l’interesse ad acquistare casa qui. La qualità della vita è molto alta in quanto in quartiere è rimasta una dimensione comunitaria difficile da trovare altrove, c’è poco traffico e si beneficia della vicinanza al centro grazie alla metropolitana. Ci sono i servizi necessari come il supermercato, la farmacia, la posta, il tabacchi ed una serie di negozi di quartiere. La scorsa estate ha aperto il nuovo food district vicino alla stazione e nuovi negozi apriranno nei prossimi mesi. La nuova sede del conservatorio, con un campus per giovani studenti, dovrebbe aprire a breve.
L’auspicio è che riaprano i negozi: alcuni colleghi hanno infatti dovuto chiudere in ragione delle difficoltà legate all’impatto dell’e-commerce sul commercio al dettaglio ed al cambiamento nelle abitudini dei clienti con la diffusione dell’acquisto online. La voglia di ripartire e l’interesse per il quartiere fanno ben sperare per il futuro.
L’Associazione Lop Lop nasce a Roma dieci anni fa per iniziativa di alcune giovani neolaureate in Storia dell’Arte e si occupa di educazione all’arte ed al patrimonio rivolgendosi ai pubblici più diversi: da famiglie con bambini ad adolescenti, adulti ed anziani. In questi anni l’associazione si è ampliata ed ha attualmente sede a Milano, dove opera nei quartieri di San Siro, Cascina Merlata e Redo Merezzate. L’attenzione ai quartieri di periferia nasce dalla constatazione che, in grandi città come Milano, l’offerta culturale tenda a concentrarsi nelle zone centrali. Questo ha portato negli anni alla creazione di quartieri dormitorio percepiti dagli abitanti stessi come privi di significato in quanto hanno poco da offrire dal punto di vista dell’offerta culturale.
L’Associazione Lop Lop porta quindi delle proposte culturali volte a cambiare il modo in cui gli abitanti guardano al proprio quartiere perché inizino a percepirlo come un luogo ricco di patrimonio. Un esempio è il progetto “Nuovi Occhi Sul Quartiere” che coinvolge famiglie con bambini, adolescenti ed anziani in attività interdisciplinari che spaziano dalla fotografia alla danza ed alla poesia con un approccio intergenerazionale.
A Merezzate l’associazione ha attivato dei laboratori per famiglie e bambini a tema “la cultura ed il cibo”, oltre ad eventi tematici come una festa di natale. La partecipazione a questi laboratori sta aumentando grazie al passaparola degli abitanti ed alle relazioni di fiducia che si stanno istaurando con le famiglie.
Nell’elaborare la propria proposta, l’associazione parte dal dialogo con le famiglie e l’ascolto dei loro bisogni e desideri. Una serie di Tavole Rotonde saranno organizzate nei tre territori al fine di co-progettare la proposta culturale per il 2023, che avrà come tema principale la contemporaneità. La prima tavola rotonda a Cascina Torrette ha visto la partecipazione di genitori e bambini, insegnanti e professionalità legate al mondo dell’educazione. Da questa prima giornata di confronto è emerso come dopo la pandemia ci sia un gran bisogno di ricostruire relazioni di senso, riscoprendo non solo la vicinanza emotiva ma anche fisica. La fisicità è intesa non solo come bisogno di stare insieme fisicamente e di riscoprire la comunicazione nelle sua totalità, inclusa quindi la sfera della comunicazione corporea, ma anche come riscoperta del proprio corpo per capire, imparare e trasmettere emozioni. Fisicità che è altrettanto centrale nell’esperienza artistica dove il corpo è lo strumento per capire l’opera d’arte, vivere i colori, esprimere la creatività … Emerge quindi il bisogno di riscoprire l’arte come esperienza fisica rispetto all’approccio didattico basato sullo studio.
Ramona è una genovese trapiantata a Torino. Ha conseguito un diploma da cuoca, ma non ne ha fatto una professione, per cui la cucina è rimasta una passione. Ha poi conseguito una laurea breve in materie marittime ed aeree, che le ha dato la possibilità di lavorare a Genova, presso uffici che si occupavano di pratiche legate a queste attività.
Dal 2010, per amore, si è trasferita a Torino, dove ha cominciato a svolgere lavori, prevalentemente d’ufficio, ricoprendo vari ruoli; dalla segretaria, all’addetta di telemarketing, alle vendite.
Vorrebbe riprendere a lavorare, ovviamente le piacerebbe ritornare in un ufficio, ma la situazione contingente un po’ difficile, la porta ad accontentarsi di svolgere qualsiasi lavoro, che si possa conciliare con la sua attività di mamma.
Legge molto, perché è una donna molto curiosa. Una frase che ripete spesso alle figlie: “leggete, per poter scrivere bene”.
Si interessa di questioni di legalità; è infatti collabora con l’Associazione volontari Capitano Ultimo e le piacerebbe molto organizzare nelle scuole, dei laboratori che trattino i temi legati alla legalità, oppure incontri con adulti e ragazzi per dibattere la questione.
Scrive su qualsiasi argomento che le passi per la mente e ha collaborato con un giornale locale ligure, con articoli di cronaca, vignette o caricature; sì perché anche il disegno rappresenta un modo per esprimere una personalità forte, empatica e soprattutto vivace. La passione per l’arte l’ha ereditata dalla mamma, maestra d’arte ceramista, dipinge ceramiche e ogni cosa le capiti tra le mani.
Danila abita in Viale Ungheria dal 1959. Ragioniera di formazione e da poco in pensione, Danila ha lavorato in amministrazione e nelle risorse umane. Del vecchio Viale ricorda i moltissimi negozi di quartiere: negozi di abbigliamento, alimentari, macellerie, salumerie, panetterie … oltre al mercato comunale che esiste tuttora. Danila ricorda anche la gioia di quando è arrivato il tram nel Viale, tram che oggi collega il Viale al centro in una ventina di minuti. Oggi il quartiere è forse tra le periferie meglio collegate al centro.
In passato l’oratorio fungeva da luogo di aggregazione per i più giovani e per gli anziani che lì si trovavano a giocare a carte. Oggi è rimasto il centro sportivo e il campo da calcio, ma mancano biblioteche e centri o iniziative culturali. Il Comitato di Quartiere di Viale Ungheria, dove Danila fa la volontaria da circa un anno, ha attualmente attivato un progetto che promuove diversi laboratori per ragazzi nel doposcuola, per far fronte al bisogno molto sentito della mancanza di luoghi di aggregazione per i giovani.
Disponendo di tempo libero, le ore spese in volontariato sono il suo contributo per la comunità. Delle istanze promosse dal comitato presso le pubbliche amministrazioni, Danila ricorda quella volta a migliorare l’illuminazione pubblica nel Viale e l’attuale campagna per il rifacimento del manto stradale. L’auspicio per il futuro è che ci possa essere una zona pedonale e che ci sia un maggiore senso civico e rispetto per il bene comune da parte degli abitanti. Del quartiere di oggi Danila apprezza il senso comunitario: molte sono le persone nate e cresciute qui e che in età adulta hanno deciso di tornare ad abitare nel Viale. Il Mercato comunale rappresenta a tal proposito un luogo di incontro soprattutto nei fine settimana.
Mare Culturale Urbano si ripropone di attivare i territori attraverso la cultura, con una particolare attenzione per i territori periferici della città di Milano. Nel 2016 Mare Culturale Urbano apre una sede in Cascina Torrette, nella zona di San Siro, con l’attivazione di una programmazione artistica ed attività laboratoriali. Da allora la Cascina diventa il cuore di Mare Culturale Urbano, che nel 2020 si estende aprendo tre nuovi spazi a Cascina Merlata, San Cristiforo e Merezzate. Si tratta di “Food Hubs”, ovvero luoghi di convivialità dove il cibo diventa il canale per favorire l’incontro e la costituzione della comunità.
Michele è il community manager di Mare Culturale Urbano e ci porta l’esempio di un laboratorio gratuito di scrittura creativa avviato nel 2018 a Cascina Torrette che è stato in misura di canalizzare i bisogni e desideri degli adolescenti del quartiere. Questo laboratorio ha infatti dato vita al Progetto “Voci di Periferia”, in cui una quarantina di giovani rapper e trapper trovano uno spazio a Mare per esprimersi ed esibirsi con cadenza mensile. Il laboratorio di scrittura creativa sarà attivato anche a Redo Merezzate, oltre a laboratori di street art e teatro.
A Merezzate Mare Culturale Urbano si inserisce in un contesto di housing sociale, in un quartiere nuovo dove una parte delle abitazioni è a canone concordato per far fronte all’emergenza abitativa della città di Milano. Qui Mare ha due locali: un bar caffetteria ed una pizzeria. I nuovi abitanti hanno cominciato ad occupare le abitazioni un paio d’anni fa, nel periodo in cui la pandemia limitava gli scambi e le interazioni sociali. Quello che è emerso con il ritorno alla normalità è stato il desiderio di stare insieme, ritrovarsi e costruire quelle relazioni di mutuo aiuto che costituiscono il perno del vivere insieme.
Qui a Merezzate Mare Culturale Urbano ha già attivato dei laboratori per bambini e famiglie, degli spettacoli ed eventi culturali e delle residenze artistiche. Le residenze artistiche sono il tratto distintivo di Mare, intese come una occasione in cui degli artisti abitando il territorio entrano in contatto con gli abitanti e costruiscono con loro un percorso che culmina in un piccolo evento finale. Lo scorso anno la residenza era stata curata da una compagnia italo-francese che aveva fatto un percorso con gli abitanti partendo dalla panificazione, raccogliendo ricette ed esperienze legate alla panificazione da ogni parte del mondo, facendo dei laboratori di panificazione e chiudendo con un banchetto finale che aveva visto una buona partecipazione.
L’auspicio di Michele è quello di continuare a ritrovarsi e costruire un progetto comune con e per la comunità.
E’ un tecnico di igiene ambientale Rita e si occupava di sicurezza nei luoghi di lavoro. Ha fatto formazioni sulla sicurezza e seguito lo smantellamento dell’amianto dai tetti dei prefabbricati di alcune aziende. Nata a Milano, ha abitato e lavorato a Trezzano sul Naviglio, L’Aquila e Villa Rosa sul mare, in Abruzzo. Si è trasferita a Merezzate due anni e mezzo fa, avendo vinto un bando per affitti a canone concordato, per stare più vicina alla figlia in seguito a dei problemi di salute che hanno portato a diverse operazioni.
Prima di accedere alla casa ha dovuto partecipare a diversi incontri sul collaborare e vivere assieme, incontri che sono stati utili per conoscere delle persone del quartiere, non avendo nessuna conoscenza del luogo. Ora Rita li conosce tutti i suoi vicini: è di carattere aperto e portare fuori il cane ha facilitato l’incontro con l’altro. Si offre quindi per fare delle piccole commissioni, come ritirare la posta o fare del baby sitting, così come ha sempre trovato persone del quartiere disposte a dare una mano quando le è capitato di sentirsi poco bene.
Ci parla dello spazio living, uno spazio interamente arredato, con servizi igienici e cucina, e delle attività che vi vengono organizzate da e per gli abitanti: Il laboratorio di lettura, lo spazio di coworking, il pilates e il thai chi, le serate giochi, i laboratori di Inglese, le serate cinema, i corsi di alfabetizzazione informatica … lei partecipa al laboratorio di lettura ed alle uscite al cinema, anche se la sua passione rimangono il teatro e il ballo. Per chi abita da solo, queste sono occasioni di socializzare, chiacchierare e stare in compagnia. Ricorda con particolare piacere il laboratorio di panificazione, a cui aveva seguito una festa in giardino con del cibo e balli dei diversi paesi del mondo. In quell’occasione c’era stata una grande partecipazione ed entusiasmo da parte degli abitanti.
Del suo quartiere Rita apprezza particolarmente il giardino e la prossimità con il supermercato. Si augura che ci possano essere in futuro anche uno studio medico, uno sportello psicologico o di ascolto.
Il suo auspicio per il quartiere e per il mondo, ci dice infine, è quello di essere uniti nonostante le diversità, come dice la bandiera della pace esposta sul suo balcone.
Alessandro è insegnante di musica alla scuola secondaria di primo grado Pasquale Sottocorno di Merezzate dall’anno della sua inaugurazione quattro anni fa. La scuola - che oltre alle aule conta diversi spazi comuni, come la palestra ed il campo da basket, uno spazio polifunzionale, una biblioteca, aule di musica ed informatica- è stata inaugurata dal Sindaco di Milano e dagli Assessori all’Educazione e all’Urbanistica nel 2019. Oggi tutte le sezioni sono al completo, al punto che la scuola non è in grado di assorbire l’insieme delle domande di iscrizione. Questo in ragione della crescita demografica del quartiere che si è rivelata superiore alle previsioni. Situata al crocevia dei quartieri di Merezzate e Santa Giulia, nonché punto di riferimento per i quartieri limitrofi di Rogoredo e Morsenchio, questa scuola rappresenta un luogo di integrazione di diverse realtà, accogliendo ragazzi e ragazze di diverse estrazioni sociali e paesi di provenienza.
Docente da vent’anni, Alessandro spiega come la scuola di oggi dia molta importanza alle attività laboratoriali, integrando quindi elementi di educazione non formale, come il tutoraggio tra pari e i lavori di gruppo. Gli insegnanti stessi possono far affidamento su di un pool di psicologi ed esperti capaci di guidare i ragazzi alla scoperta di se stessi, come nel caso dei laboratori di educazione all’affettività. Alessandro stesso tiene dei laboratori pomeridiani di canto corale cha hanno visto crescere il numero di partecipanti nel corso degli anni, essendo stato in misura di intercettare il bisogno di socialità e l’entusiasmo dei giovani. Per coinvolgere i ragazzi oggi – afferma- bisogna saper farli appassionare, saper tirar fuori il meglio in un’età complessa di transizione dall’infanzia all’adolescenza.
Per i giovani i quartieri di Merezzate – Santa Giulia offrono diversi spazi di aggregazione, come la pedonale, i parchi, le aree giochi ed il campo da basket.
SHENOUDAE' un ragazzo egiziano di 18 anni.Ha lasciato il suo paese ed è giunto in Italia ad ottobre del 2022.In Egitto continua a vivere tutta la sua numerosa famiglia, tranne una sorella che ormai da anni vive a Milano.lI sente e li vede regolarmente attraverso le video chiamate. E' un ragazzo timido, gentile e molto educato.La prima cosa che ti colpisce sono i suoi bellissimi e grandi occhi verdi,che si illuminano ad ogni suo sorriso. Non parla molto volentieri del suo viaggio, dice solo che è stato molto lungo e brutto....ma il desiderio di una vita diversa e suoi compagni di sventura gli hanno dato la forza di affrontarlo. Shenouda, giunto a Catania è stato accolto dalla Fondazione Cirino la Rosa.I primi mesi sono stati molto difficili, la lingua italiana, la nuova cultura e il distacco dai suoi genitori, adesso sta bene in Comunità, ha instaurato pian pianino un buon rapporto con gli operatori e i minori che ci vivono, molti dei quali sono egiziani, tra questi c'è anche Ayman. Il pomeriggio frequenta regolarmente la scuola (CPIA/Pestalozzi),per imparare l'italiano e conseguire la licenza media.Acquisita la licenza, gli piacerebbe frequentare un corso di cucina che lo faccia diventare un bravo CHEF.Il suo sogno quando sarà piu grande e sarà diventato bravo è quello di aprire un Ristorante tutto suo a Milano, cosi da ricongiugersi con la sorella.Vuole diventare ricco, non solo per lui ma per aiutare la sua famiglia. Ha anche un'altra passione: il FOOTBALL, segue regolarmente le partite , la sua squadra del cuore è il Real Madrid e il suo campione LIONEL MESSI, alla quale si ispira quano gioca a calcio, sia nei campi della struttura che lo ospita che nei campetti sparsi in città.Forse quando sarà "grande grande"si sposerà con una ragazza egiziana e avrà dei figli.
Angela ha 32 anni, è una giovane pedagogista nata e cresciuta Catania nel quartiere San Giorgio, che nonostante tutti i suoi limiti trova il posto più bello dove vivere.E' una ragazza molto dolce e appassionata della sua professione.Ama stare con gli amici, la famiglia, adora questa città e il suo mare dove si rifugia appena può.Da cinque anni, lavora presso la Fondazione Cirino La Rosa che accoglie minori italiani e MSNA, svolgendo oltre al suo ruolo di pedagogista altre mansioni all'interno della casa che la fanno sentire utile e indispensabile.Non guarda orari e turni, vuole esserci, ritiene questo luogo e chi lo vive un prolungamento della sua famiglia.Ha un ottimo rapporto con i colleghi, con la quale pianifica il lavoro.
Per i minori, cerca con attenzione e cura di costruire percorsi che li portino nel tempo ad acquisire una loro indipendenza lavorativa ed abitativa.Si occupa dell'accoglienza, del loro inserimento a scuola, dai corsi di alfabetizzazione fino al conseguimento della licenza media presso il CPIA del quartiere (Ist. Pestalozzi)Tiene i contatti con i vari Enti di Formazione, che possano far acquisire qualifiche professionali e far svolgere tirocini lavorativi, nella speranza di veri e propri contratti lavorativi. Cura e pianifica, sempre con l'ausilio dei colleghi le attività sportive e ludiche.-CALCIO-PING PONG-LABORATORIO TEATRALE-FESTE E GITE DIDATTICHE-Ascolta: i loro sogni, le loro fragilità, le loro paure e gioisce dei loro traguardi.Angela, nonostante le difficolta di chi opera nel sociale, in questa terra martoriata di suo, che riconosce l'importanza di chi svolge tali professioni, ma non li gratifica sicuramente regolarmente da un punto di vista economico, ritiene che il suo sia il LAVORO PIU'BELLO che si possa fare.Ed è all'interno della Fondazione che immagina la sua vita.Angela, spera tanto che nel tempo si infonda sempre più il principio dell'integrazione tra le diverse culture dei popoli e che le diversità di ogni essere umano possano imparare a convivere serenamente, senza giudizi e pregiudizi, ma facendone tesoro come un bene unico e prezioso, a cui ogni essere umano attingere anche solo con un semplice abbraccio.
Ayman è un ragazzo egiziano, ha 18 anni.Ha lasciato il suo paese e la sua famiglia ed è giunto in ITALIA ,cinque mesi fa.E' un ragazzo alto, timido, che stra cercando pian pianino di dare un senso alla sua giovane vita in un paese straniero ma che gli piace.Giunto a CATANIA è stato accolto dalla Fondazione Cirino La Rosa, che accoglie minori stranieri e non, la loro sede da decenni è nel quartiere di San Giorgio.AYMAN si trova bene in comunità, ha un buon rapporto sia con gli operatori che con il gruppo di pari che vivono in struttura, molti dei quali provenienti dal suo paese e come lui quindi hanno affrontato il viaggio, lungo e doloroso ma pieno di sogni.Il pomeriggio frequenta regolarmente la scuola e spera di conseguire al piu presto la licenza media, nonostante abbia ancora parecchie difficoltà con la lingua italiana.La mattina invece, frequenta un Corso di Panificatore, presso l'Istituto San Giuseppe di Catania. Da grande vuole fare lo CHEF, gli piace la nostra cucina e si diverte a sperimentare nuovi piatti insieme agli operatori di turno in cucina.Nel suo tempo libero oltre che stare in giro per la città con gli amici, gli piace giocare a Ping Pong, a tal proposito gli piacerebbe che al Cirino comprassero il tavolo, cosi da organizzare dei tornei.Un'altra cosa che lo rende felice è l'essere entrato dal mese di novembre a far parte del gruppo teatrale della MILIZIA dell'IMMACOLATA, con i suoi nuovi compagni ( grandi, piccoli e alcuni stranieri come lui) balla e si diverte, ha gia preso parte ad un MUSICAL, andato in scena a fine dicembre.Catania gli piace e un giorno spera di trovare lavoro in un bel ristorante che gli permetta di vivere e realizzare tutti i sogni che gli hanno dato la forza di affrontare il viaggio e il distacco dai suoi affetti più cari.
Nato nel lodigiano ma residente a Milano da una cinquantina d’anni, Angelo abita a Merezzate da due anni e mezzo. Si è trasferito qui al momento della pandemia ed ha da subito apprezzato il verde e gli spazi comuni all’aperto. Da circa un anno si occupa degli orti comuni e ci mostra le coltivazioni attese per la prossima estate: melanzane, peperoni, angurie, finocchi … oltre alle spezie -come il prezzemolo e il rosmarino, le sempreverdi insalate, e i tulipani e le viole piantate dai bambini dell’asilo di Merezzate. L’orto è accessibile a tutti gli abitanti di Redo che possono quindi usufruirne gratuitamente.
E’ stata una vita in viaggio quella di Angelo, che ha lavorato per delle multinazionali americane e belghe: Europa, Asia, America … il suo posto preferito rimane Sharm El Sheikh in Egitto, dove tuttora ama recarsi in vacanza. Adesso ama fare una vita tranquilla: passeggiate in bicicletta, visite ai musei, uscite con gli amici. Si rallegra dei nuovi progetti che arricchiranno il quartiere di un nuovo parco e di un palazzetto del ghiaccio in vista delle Olimpiadi Milano- Cortina. Se già quindi i servizi non mancano, presto ne nasceranno altri: un nuovo supermercato, dei nuovi commerci e delle strutture volte ad accogliere i visitatori e gli sportivi delle olimpiadi. In questi tre anni il quartiere è perciò destinato a cambiare completamente volto.
Debora è una giovane mamma di tre figli e con il marito vive in un piccolo alloggio in affitto. In famiglia lavora solo lei, come addetta alle pulizie, part time, presso Il Politecnico di Torino, da 19 anni. Si trova molto bene e l’ambiente è accogliete. La situazione economica non è florida, quindi Debora cerca di appoggiarsi ad associazioni che possono aiutarla a far fronte alle esigenze della famiglia. È una donna positiva e ricca di iniziativa che cerca di conciliare lavoro, famiglia e impegni vari dei ragazzi. Infatti confessa che è molto difficile e accontentare le esigenze di tutti, quasi impossibile.
Oltre a cucire molto bene, ama leggere, quando stacca un po’ la spina ed è soprattutto abile nei lavori manuali. Usa la sua grande creatività per realizzare oggetti utili, risparmiando. Questa attività le permette anche di staccare la spina dai problemi, che sono molti e sono lei si trova a gestirli.
E’ una vita dedita all’insegnamento quella di Fabio, insegnante e Presidente dell’Associazione Scuola Popolare di Italiano per Stranieri di Rogoredo, che da trent’anni dedica una parte del suo tempo libero all’insegnamento della lingua italiana a stranieri. La scuola di Italiano di Rogoredo è una delle prime scuole per stranieri di Milano. Essa nasce infatti trentatré anni fa dall’esigenza di accogliere nel quartiere di Rogoredo un gruppo di donne eritree. Da allora la scuola si è allargata, grazie anche al passaparola dei suoi studenti, ed offre oggi due corsi serali di Italiano per principianti, un corso intermedio ed un corso intermedio avanzato, oltre alle classi diurne rivolte a sole donne, nate per venire incontro alle esigenze familiari delle numerose madri di famiglia presenti nel quartiere.
Milanese nato e cresciuto in Porta Ticinese, Fabio definisce il quartiere di Rogoredo come un quartiere dinamico ed in continua evoluzione. In questi anni il quartiere ha conosciuto diverse ondate migratorie, accogliendo migranti originari dal Medio Oriente- Nord Africa, dall’Est Europa e, più recentemente, dall’America Latina e dall’Africa Sub Sahariana. La scuola si rivolge sia a quanti sono arrivati in Italia da poco tempo e necessitano di imparare i rudimenti della lingua italiana, ma anche a quanti, lavorando in Italia già da diversi anni, desiderano perfezionare la propria padronanza della lingua. L’arrivo in questi ultimi anni di persone analfabete nelle proprie lingue di origine ha spinto la scuola a formare i propri volontari, circa una ventina, con dei corsi di specializzazione nell’insegnamento della lingua ad analfabeti.
La scuola fa parte della Rete Scuole Senza Permesso, che organizza anche attività ricreative e culturali come delle giornate al cinema, delle uscite guidate ai musei e delle gite fuori porta. Il torneo di calcetto degli anni passati ha anche riscosso un grande successo tra i corsisti. Oltre alla barriera linguistica, i migranti oggi devono far fronte a barriere burocratiche e sociali, motivo per cui la scuola si appoggia ad una rete di associazioni ed enti benefici capaci di offrire un supporto legale, burocratico e medico-sanitario in caso di necessità.
A telecamere spente che Fabio ci confessa come, in questi trent’anni di volontariato, senta di aver ricevuto dalla comunità più di quanto ha dato.
Vita, è una donna molto dinamica ed empatica, figlia di padre pugliese migrato a Torino per lavoro, trascorre un’infanzia felice con una famiglia numerosa. Appassionata di disegno, frequenta per 2 anni l’Accademia di Arte, ma le spese che deve sostenere per la frequenza ed i materiali, sono troppo elevate per la sua famiglia, quindi decide di abbandonare la scuola, per iscriversi ad un corso di contabilità. Capisce subito però che non è la strada giusta per lei. Poi, per caso, un’amica la prega di accompagnarla presso un salone di parrucchieri e lì scopre un mondo che le permette di coniugare la sua passione per l’arte, con l’apprendimento di una professione, che l’accompagna per gran parte della sua esperienza lavorativa.
Vita è una donna molto curiosa, oltre che cultrice del bello. Ama infatti leggere e le sue letture spaziano dai romanzi, ai libri di scienza. Le piace moltissimo seguire la nipotina negli studi, perché questo le permette di riprendere ed approfondire materie che nel passato aveva giudicato poco importanti.
Shuvo è un ragazzo del Bangladesh, ha 18 anni.Due anni fa ha deciso di lasciare il suo Paese, e di giungere in Italia, dopo un viaggio difficile e tortuoso, spinto dal desiderio di cambiare la sua vita.E' un ragazzo molto timido, educato e riconoscente alla sua famiglia , con la quale continua a mantenere i rapporti grazie ad interneNel 2020 giunto a Catania, è stato affidato insieme ad altri connazionali alla Comunità Marianella Garcia, che ha sede nel quartiere San Giorgio.Dal suo racconto si evince che si trova molto bene sia in struttura che in città, nonostante le difficoltà iniziali legati alla lingua e ad una nuova cultura.Difficoltà che ha pian pianino imparato a superare, grazie al lavoro di accoglienza e ascolto degli educatori della Comunità e agli insegnanti della scuola nella quale è stato iscritto.Per rendere più facile l'apprendimento della lingua italiana e crearsi nuovi amici, ha anche partecipato ai corsi di italiano e ai vari laboratori e gite proposti da Civico Zero,A giugno di quest'anno dovrebbe raggiungere un importante traguardo, il conseguimento della licenza media.Inoltre da luglio 2022, è inserito in un tirocinio lavorativo di sei mesi, che dovrebbe concludersi a breve, grazie ad un progetto proposto dall'ente di formazione ARCHE'.Tirocinio che svolge con grande entusiasmo e partecipazione, presso l'OSTELLO di Catania, una realtà lavorativa gestita da giovani imprenditori catanesi, che da anni accoglie e forma molti minori stranieri non accompagnati, attraverso i progetti proposti dalle varie comunità e tra esse la Marianella Garcia.Le 25 ore settimanali di Shuvo, sono suddivise tra giorno e sera, per affiancare sia lo chef, come aiuto-cuoco, che il pizzaiolo, per il desiderio di imparare l'arte della pizza.Shuvo in questi ultimi due anni è diventato piu' allegro , meno timido e molto affettuoso con le persone alle quali vuole bene.Nel tempo libero dopo aver vinto la "VERGOGNA", cosi come dice lui, si è avvicinato al gruppo teatrale della Milizia dell'Immacolata, prima come semplice spettatore attirato durante le prove dalla musica e dalle risate e poi pian pianino inserendosi sempre più, grazie all'accoglienza dei ragazzi , degli adulti e del regista e fondatore del gruppo Giovanni Salamone, che lo hanno aiutato tantissimo in questo processo di crescita e verso la quale prova un grosso senso di riconoscenza e appartenenza.Insieme al suo gruppo si diverte , balla e canta, ed ha già preso parte a diversi Musical, che sono stati rappresentati in diversi teatri e piazze di Catania e provincia.Non sa cosa gli riserverà la vita, se rimarrà a Catania o cambierà città, ha sicuramente nel cuore un grande sogno, una pizzeria tutta sua. Un altro obiettivo che si è prefissato e che spera potrà raggiungere, nonostante le difficoltà legate alla lingua è l'iscrizione presso una scuola guida del quartiere e l'acquisizione della tanta agognata Patente.
Percorso che gli è stato proposto di intraprendere come beneficiario del progetto TEMPO AL TEMPO.Quest'ultimo traguardo, quando raggiunto insieme ad una maggiore stabilità lavorativa contribuiranno sicuramente alla sua crescita e indipendenza di giovane- adulto, ormai integrato in questa città.
Per SHUVO, non è stato facile raccontarsi e farlo addirittura anche davanti una telecamera, se tutto ciò si è realizzato e grazie al forte affetto che ci lega.Grazie di tutto
Franco è una persona gentile, educate e molto disponibile. Ha avuto una vita piena che lo ha portato a svolgere diverse attività: nel campo dell’edilizia, come muratore, elettricista, fabbro, imbianchino, pulizie. Ha una grande manualità, infatti si definisce un “tuttofare”, ma gli piacerebbe gestire la portineria di un palazzo. Avendo infatti avuto problemi di salute, non può affrontare lavori troppo pesanti.
Ha due figli, di cui è molto orgoglioso e con cui ha un ottimo rapporto. I genitori originari del sud, si sono trasferiti a Torino per lavoro. Il padre il cuoco, faceva le stagioni in località fuori Torino, anche straniere. Spesso, quando finiva la scuola, portava Franco, che era un bambino un po’ irrequieto, con sé mentre la mamma accudiva il fratello più piccolo.
Per una serie di vicissitudini personali ha svolto lavori socialmente utili, che gli hanno permesso di implementare le sue competenze e gli hanno aperto nuove prospettive. Attualmente vive in un alloggio in condivisione con altre persone ed è in attesa di una nuova sistemazione. Essendo un uomo socievole va d’accordo con i coinquilini e, in generale, con le persone con cui lavora e collabora attivamente, offrendo il proprio aiuto in caso di necessità.
Nel tempo libero ama frequentare gli amici, andare ogni tanto a ballare, ma soprattutto ha scoperto che gli piace molto visitare luoghi nuovi, soprattutto perché non riesce a stare fermo in casa. Spesso passeggia per le vie del centro e gli piace l’idea di riscoprire la città in cui è nato, visitando anche musei, chiese, piazze etc. A volte prende il treno e parte alla scoperta dei dintorni di Torino.
Jessica ha 30 anni e dal 2021 lavora come apprendista per l’ATT, impresa sociale segata all’associazione Attivitabile, che promuove progetti e attività per ragazzi con disabilità cognitive. Jessica si occupa di amministrazione ed è contenta del suo lavoro. Ha molteplici interessi, tra cui il nuoto, che pratica 2 volte alla settimana ed è volontaria della Croce Rossa e ha una gattina che la tiene molto occupata, segue anche un corso di teatro che le sta insegnando molte cose. Si reca sul posto di lavoro in treno, ma tra i suoi obiettivi di autonomia, c’è quello di trovare una casa vicina al posto di lavoro. Jessica ha un diploma nell’ambito del sociale che le ha permesso di entrare e conoscere l’ambito della disabilità, nonostante essa stessa si riconosca delle difficoltà. Ha conseguito una laurea in lingue. Sa lo spagnolo ed il portoghese. Ama leggere, ma è poco costante, mentre ascolta moltissima musica, preferibilmente musica italiana. Ama anche il cinema, frequenta le sale cinematografiche e ha seguito un corso di video montaggio.
Stefania è una giovane cagliaritana che ha lasciato la Sardegna dopo una laurea triennale si è trasferita a Torino, per studiare psicologia clinica e interventi nella comunità. È una persona estremamente attiva e curiosa, infatti svolge attività di volontariato presso alcune associazioni, occupandosi sia di questioni di genere, che di immigrazione: svolge attività di servizio civile e sta lavorando presso un’associazione specializzata in interventi educativi e di supporto allo studio.
Alla fine del percorso universitario, dopo il tirocinio obbligatorio, le piacerebbe lavorare in un centro per tossicodipendenti, anche se in realtà il lavoro nel quartiere inteso come una comunità, è quello che l’attira di più perché l’ambiente in cui si vive, determina il benessere di una persona. Ciò contribuisce a migliorare la qualità della vita dei quartieri più disagiati, permette di pensare, a che li vive, di non dover subire un destino già segnato perché’ si è nati a pochi chilometri dal centro.
Nel suo tempo libero ricama, soprattutto quadretti, magliette. Legge moltissimo, dai saggi ai romanzi. ll suo preferito è il Cardellino. In questa fase è più dedita alle serie televisive che può interrompere quando vuole. Il crime è il suo genere preferito, tanto che grazie, ad una serie di documentari ha deciso di entrare in contatto con un carcerato negli Stati Uniti e con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio, da anni è diventata amica di penna di un ragazzo, che sta scontando la sua pena in Texas.
I ritmi lenti della sua regione, che tante volte le sono stati stretti, a volte le mancano, così come la sua famiglia, gli amici. Ma la voglia di cambiare e vedere cose diverse, oppure la consapevolezza di non avere alternative, l’hanno portata a scegliere Torino come luogo in cui fermarsi. Chissà…. Forse per un po’.
Ylenia, fa parte dell’associazione “A Casa Nostra” ed è una ragazza che tiene molto alla sua indipendenza ed autonomia, che cerca di costruire anche attraverso l’aiuto degli educatori, con cui impara a muoversi in tranquillità per il quartiere. Ama frequentare l’associazione e adora il mondo del trucco, che pratica sia su sé stessa che sugli altri, in particolare sua mamma. Ascolta anche molta musica, soprattutto quella legata al programma di Amici, che segue con i compagni. Ha frequentato un corso prelavorativo in cui seguiva lezioni di informatica, ma probabilmente non era adeguato alle sue esigenze. Ora segue un corso di ristorazione, in particolare sala bar e sembra piacerle molto. È una ragazza molto sensibile, vorrebbe aiutare gli altri facendo del volontariato.
Alessandro come Ylenia, appartiene all’associazione e gli piace moltissimo, perché’ la trova accogliente, ha la possibilità di fare attività molto interessanti e ha trovato nuovi amici. Segue anche lui il corso per sala bar, che trova molto interessante. L’anno scorso ha seguito un corso di grafica e ha fatto uno stage in una cartotecnica, esperienza che gli è piaciuta molto. Gli piace disegnare i personaggi della Disney. Aiuta anche sua mamma in libreria, anche se lui non ama i libri. Ascolta musica di ogni genere, anche degli anni 80, che chiama d’epoca. È un tifoso sfegatato del Toro e ha seguito per un po’ di anni un corso di judo, che ha abbandonato, perché’ richiedeva un impegno e un’attenzione troppo gravosi.
Serena fa parte dell’associazione “A Casa Nostra” e durante la giornata va a lavorare alla Zanzara, un laboratorio in cui creano e decorano oggetti: magliette, penne etc. A volte con delle frasi un po’ colorite ma scherzose. Quando era piccola voleva diventare veterinaria, come la sua mamma, ma bisogna studiare troppo. Ama ovviamente gli animali e li accudisce: ha tre gatti, un cane e ospitano anche quello del fratello, che è diventato ormai parte integrante della famiglia. Quando non lavora, Serena sta con la sua educatrice o va all’associazione, dove svolgono attività manuali con i volontari di alcune associazioni, come “Gli Anni d’Argento”, oppure seguono laboratori con psicologi su varie tematiche. Quando con gli altri ragazzi trascorre il fine settimana all’associazione, vanno a fare la spesa, cucinano. Lei ama cucinare perché’ ha fatto la scuola alberghiera, quindi dà una mano anche a casa.
Alex, compagno di intervista, frequenta anche lui l’associazione, ha 25 anni. Attualmente sta frequentando un centro in cui gli insegnano a cucinare e gli piace molto. Quando non lavora gioca con il nintendo, ama nuotare e quando è con gli amici dell’associazione si diverte ed esegue i lavori di casa in base ai turni assegnati: gli piace lavare i piatti. Legge i fumetti e ha un cane di cui si occupa.
Alda ha 26 anni e fa parte dell’associazione “A Casa Nostra”, dove ha avuto modo di fare nuove amicizie, in particolare con Silvana e Davide, ma anche con tutti gli altri ragazzi del gruppo. Ama la musica: il rock, la musica albanese e l’hip hop, che balla e che rappresenta una vera passione. Tutti i giorni si reca al centro diurno e con i compagni fanno passeggiate, si fermano al bar per stare un po’ insieme ed ascoltare la musica. Le piacciono molto i pesci, ha un acquario, ma se ne occupa suo padre, perché’ a lei piace di più osservare i pesci che nuotano. Al circo ha conosciuto Alessia, che è diventata un’amica inseparabile, anche per le interviste.
Alessia ha quasi 19 anni. Ama il calcio, ha fatto giocoleria al circo e le piace frequentare l’associazione “A Casa Nostra”, dove ha incontrato nuovi amici. Quando trascorre lì il fine settimana, ama cucinare i primi piatti. È brava, perché’ gli amici apprezzano. Il mattino va a scuola e frequenta il prelavorativo, dove segue lezioni di informatica e svolge attività laboratoriali artistiche, che apprezza decisamente di più dell’informatica. Ama disegnare, in particolare il joker. Ascolta la musica rap e le canzoni romantiche. Nel pomeriggio vede la sua educatrice, passeggiano o stanno a casa, dove Alessia ha due gatti che ama molto. Ma c’è una passione importantissima nella sua vita, la Juventus. È una tifosa sfegatata, ma corretta, raramente litiga durante il derby.
Maria Sofia è una giovane abitante del borgo, con la passione per il mare. Sin da piccola, durante le vacanze, si è interessata alla vita della flora e della fauna del mare. Ha quindi deciso di intraprendere gli studi per diventare una biologa marina, impegno di studio che unisce alla passione per la fotografia, che la porta ad immortalare qualsiasi soggetto attiri la sua attenzione. La fotografica le ha permesso di conoscere molte persone, che come lei condividono la stessa passione. Ha una grande manualità e crea oggetti con tutto ciò che le capita tra le mani, soprattutto gioielli. Appassionata di musica ne ascolta molta, soprattutto il jazz, ha suonato la batteria, per poi passare, come autodidatta, all’ukulele.
Lo scoutismo Agesci le ha dato la possibilità di maturare esperienza di vita di comunità con i ragazzi, che le ha permesso poi di poter lavorare nei centri estivi sia come animatrice volontaria, che come aiuto studio e compiti.
Lavora con un’associazione anche nel monitoraggio e nell’analisi del gradimento del flusso dei visitatori nei musei, attività che le permette di rapportarsi con un pubblico adulto.
Vive da sempre a Madonna di Campagna, ma lamenta la mancanza di centri di aggregazione per adolescenti per cui diventa difficile stringere amicizie vicino a casa. È però soddisfatta dei mezzi pubblici che collegano il quartiere con il resto della città.
Franco Chiarlo, suo pseudonimo Aldo Menghevoli, nasce ad Alessandria, vive a Felizzano (Al) dove svolge la sua attività artistica “a tutto tondo”: è al tempo stesso pittore, musicista, scrittore e poeta. Si tratta di una figura poliedrica la cui sensibilità individuale fa la differenza nel definire il concetto di bellezza. Le sue opere cercano nuovi significati e nuove forme, tracciano segni che evocano espressioni importanti. Franco Chiarlo ha scritto un libro di freddure, diverse poesie, si esprime attraverso la pittura e, le tecniche che utilizza, sono state acquisite attraverso l’esperienza diretta e la consultazione di tutorial, questo lavoro è stato accompagnato da buona volontà e dalla continua necessità di imparare e di migliorarsi. L’artista si definisce soddisfatto e contento degli obiettivi raggiunti ma sempre alla ricerca di nuovi stimoli e dell’apprendimento di cose nuove. Utilizza i Social per divulgare le sue opere e per farsi conoscere, molte delle quali sono state esposte in varie mostre. Essere pittore oggi per lui significa andare oltre gli schemi, è una condizione profonda che lo tocca nell’ anima. Le sue opere, tra cui le poesie, prendono ispirazione dal momento, possono passare giorni senza toccare un pennello, così spiega Franco Chiarlo, esprimendosi ad esempio, attraverso la scrittura. Il consiglio che si sente di rivolgere ai giovani o a chi manifesta un interesse a queste forme espressive è quello di provare, di riprovare, di non scoraggiarsi, secondo la propria esperienza è possibile imparare e migliorare ed ottenere risultatati soddisfacenti. Nel suo futuro auspica che la sua arte possa essere apprezzata in maniera più ampia da un vasto pubblico.
T. M. M. nasce 16 anni fa in Senegal da una famiglia numerosa (5 sorelle e 2 fratelli), il padre è in pensione e la madre è una commerciante, tutti vivono nel suo paese eccetto una sorella che lavora e vive in Marocco. T. si trova in Italia da 7 mesi, il viaggio per arrivarci è stato molto difficile: è partito dal Senegal, ha raggiunto il Mali, poi l’Algeria, si è diretto in Spagna, ha attraversato la Francia per arrivare in Italia. La prima città che lo ha ospitato in Piemonte è stata Tortona, che si trova vicino ad Alessandria, ha vissuto qualche mese in una struttura di accoglienza per poi essere stato trasferito a Felizzano (Al) in una comunità MSNA. T. è un ragazzino dal carattere mite e gentile e ha subito trovato appoggio e sostegno negli operatori con cui condivide la quotidianità e le proprie preoccupazioni. Frequenta la scuola di alfabetizzazione CPIA ad Alessandria e conosce altre lingue imparate a scuola in Senegal, ritiene di non fare molta fatica nello studio dell’ Italiano in quanto “simile” al Francese, che aveva imparato nel suo paese. T. racconta che in Senegal studiava e giocava a calcio in una squadra della sua città nel ruolo di difensore centrale o centrocampista, allenandosi 3 volte alla settimana. Attualmente sta frequentando gli allenamenti presso la squadra del paese di Felizzano, si è ben inserito e ha buoni rapporti con i ragazzi e la Società sportiva. Come ripete più volte, T. vorrebbe poter continuare a giocare a calcio, diventare un calciatore professionista, anche se ammette di essere interessato alla meccanica, essendo una materia che aveva studiato a scuola. T. vorrebbe prendere ispirazione da un famoso calciatore suo idolo, Cristiano Ronaldo, il quale rappresenta per lui un esempio di vita in quanto Ronaldo ha iniziato da semplice giocatore e, con impegno e costanza, ha saputo realizzarsi e diventare famoso. Il ragazzino spera in un buon futuro e auspica di poter realizzare il suo sogno, diventando calciatore, e di guadagnare molti soldi per poter aiutare chi ha bisogno.
Federica Gismondi vive a Felizzano ed è la Presidente fondatrice dell’Associazione Bambini affetti da paralisi ostetrica, si tratta di situazioni molto rare in cui insorgono problemi durante il momento della nascita ed i bambini nascono con una lesione ai nervi e una paralisi che coinvolge gli arti superiori. La paralisi da parto è un “evento avverso”: si tratta di un danno non volontario causato da un trattamento od una procedura sanitaria errata che determina la necessità di un monitoraggio aggiuntivo, terapie e cure specifiche. Questa associazione ha sede a Felizzano e nasce nel 2002, a seguito dell’esperienza personale vissuta da Federica, in quanto nel 1995 è nato suo figlio, bimbo macrosomico di 4.900 grammi, il quale ha presentato fin da subito una condizione di paralisi agli arti superiori e la donna, non sapendo come poter affrontare la situazione e non avendo riferimenti in Italia, ha deciso di andare a Boston, il medico che all’ estero ha visitato il bambino le ha consigliato di rivolgersi all’ Ospedale pediatrico G. Gaslini di Genova, dove è stato poi seguito e curato dall’ équipe medica dell’ ospedale genovese. All’ oggi il ragazzo, dopo aver subito 3 interventi, dopo cure e un percorso mirato di riabilitazione, ha recuperato l’ uso del braccio all’ 80% e conduce una vita normale. L’associazione ha l' accesso ad un portale attraverso una pagina social dedicata all’accoglienza delle famiglie che hanno questo tipo di problema, lo scopo dell’associazione è quello di fornire indicazioni dal punto di vista sanitario, giuridico e giudiziario, dare un orientamento in modo che le famiglie sappiano a chi rivolgersi per ottenere le informazioni ed i sostegni necessari di fronte ad un tragico e raro evento di questo tipo. Le famiglie che si trovano a vivere queste situazioni soffrono molto, hanno bisogno di sapere che possono contare su persone che hanno vissuto la stessa esperienza, Federica sottolinea che questa situazione non deve essere vista come “un fardello o una croce” ma bisogna cercare di imparare da questo fatto avverso, trovare una spinta per andare avanti. Più di 700 famiglie in tutta Italia fanno parte di questa associazione, hanno iniziato a formare una rete di saperi e conoscenze per chi ne avesse bisogno, si sono creati riferimenti curativi in varie parti della penisola, è importante sottolineare che è fondamentale intervenire in tempi rapidi nei confronti di questi bambini, al massimo entro i primi 5/6 mesi di vita, per poter rimediare ai danni subiti con cure adeguate. La Gismondi sottolinea che l’associazione è cresciuta molto negli ultimi anni, sono stati fatti parecchi progetti, quello più importante è relativo alla prevenzione, infatti sono stati acquistati manichini simulatori, coinvolti professionisti medici e ginecologi formatori, fatto numerosi corsi di formazione aperti a tutti i professionisti, è fondamentale coinvolgere tutto lo staff medico, per superare il gap del parto, superare le difficoltà e gli stati confusionali degli operatori. Negli ultimi tempi si è riscontrata una riduzione del 30% dei casi di paralisi da parto. L’associazione sta lavorando per creare dei riferimenti/ linee guida per l’ orientamento delle famiglie di fronte a questi eventi. Ogni 2 anni vengono organizzati recall sulle terapie, molte informazioni arrivano anche da altri paesi stranieri che vanno riadattate alle esigenze fisiche e anatomiche delle persone. Il messaggio di Federica è quello di avere sempre fiducia nella medicina, nel progresso e nel futuro scientifico per il benessere sia ragazzi sia delle famiglie coinvolte in questo tipo di situazione.
Armando Pilotti è il proprietario del Family Park che è stato aperto a Felizzano nel 1997 e quest’ anno compie 25 anni. Il parco è nato in quanto nelle zone limitrofe non esisteva un’attrazione di questo tipo, l’obiettivo era quello di far divertire grandi e piccoli proponendo giochi di vario genere in un contesto immerso nella natura. Il Family Park fu una delle prime strutture in Italia a proporre giochi gonfiabili, tappeti elastici, e diverse attrazioni in un’area molto grande che all’oggi conta 12 ettari. Dopo pochi anni dall’apertura, visto il successo ottenuto e le richieste da parte della clientela, è stata aperta la piscina con scivoli e un grande “fungo”. Ogni anno il parco cerca sempre di proporre delle novità che possano attirare e stimolare i frequentatori al fine di trascorrere piacevoli giornate di svago e relax. Il Family Park offre molti servizi: esistono percorsi didattici, naturali e ricreativi, oltre alla piscina e alla possibilità di divertirsi in acqua, si possono conoscere gli animali che vivono nelle aree a loro dedicate immerse nel verde, mangiare nell’ area ristoro e nelle postazioni barbecue, trovare ombra sotto una delle numerosissime piante, se ne contano 400 nel parco ed ogni anno ne vengono piantate di nuove. Pilotti ha voluto creare un parco adatto alle famiglie e a misura di bambino, dove i genitori possono essere tranquilli in quanto viene garantita sicurezza e attenzione ai più piccoli.
Giuseppe Zumbo, Enzo Marra e Pietro De Marco sono i tre soci lavoratori della Cose&Casa Srl - Unieuro, nata a seguito di una cessione di ramo d'azienda.
Il rischio di perdere il lavoro e la voglia di mettersi in gioco hanno portato i tre soci a creare un grande magazzino nella periferia sud della città, che è diventato punto di riferimento anche per il territorio non solo per l'attività commerciale, sempre pronta a soddisfare le esigenze dei clienti, ma anche per l'impegno sociale.
Cose&Casa è aperta al dialogo e crede nei valori dell'integrazione: tra i suoi dipendenti c'è un giovane immigrato arrivato a Reggio Calabria ancora minorenne. Non è il solo caso, questo. Anche una ragazza dell’est Europa è stata inserita in un tirocinio lavorativo.
Ma non finisce qui: per le consegne a domicilio la società ha scelto di affidarsi aalla Casa di Miryam, cooperativa sociale operante sul territorio reggino.
Ubicata in via Laboccetta 110 a Reggio Calabria, Cose&Casa ha contribuito alla crescita del quartiere, dove esistono diverse marginalità e problematiche, proprio per questo i tre soci hanno intrapreso un dialogo con le istituzioni locali e con il comitato di quartiere per facilitare il cambiamento.
Ahmed è un ragazzo egiziano di 20 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 7 anni fa per essere responsabile del suo futuro. Inizialmente è stato affidato ad una Casa Accoglienza per MSNA dove è rimasto fino al compimento dei 18 anni. Ha avuto l’opportunità di studiare e formarsi, concludendo la licenza media.
Attualmente vive un’esperienza di coabitazione con altri due ragazzi e frequenta l’ultimo anno di un Istituto Tecnico settore informatico.
Negli ultimi anni si è dato da fare, grazie ad un progetto di inserimento lavorativo ha intrapreso un percorso all’interno di un Ristorante dove attualmente si trova bene ed ha modo di intessere relazioni.
Ahmed ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi ha molti sogni e passioni, la fotografia, il calcio ma soprattutto è appassionato di informatica. Ahmed sogna. Dopo aver concluso tutti gli studi e dopo essersi formato professionalmente, sogna di diventare tecnico informatico o programmatore.
QUEEN MUSIC, storico negozio di musica in via Borgaro 45, fondato da Sergio e suo fratello Savino nel 1978, inizialmente al numero civico 33 sempre della stessa via, ma con spazi diversi, decisamente più ristretti. Vendevano 33 e 45 giri e poi con l’evoluzione dei supporti musicali hanno adeguato la loro offerta, accontentando la clientela sia della zona, che quella che veniva anche da fuori Torino.
Il nome del negozio deriva da una grande passione per il gruppo musicale dei Queen, in particolare per Bohemian Rhapsody, che i due fratelli proponevano come sigla iniziale per le serate in una discoteca torinese. Selezione inizialmente poco gradita dal pubblico, con il tempo, la scelta contro corrente ha premiato, offrendo nel locale, una selezione rock in un momento in cui nelle discoteche si ballava la disco music.
Poi le strade dei due fratelli si sono divise in armonia e Sergio dal 2002 si trasferisce al 45. Grande appassionato di fotografia, ricorda le immagini scattate alla PFM quando, non ancora famosa, si esibiva nel teatro dell’oratorio Valdocco, quello di quartiere.
Sergio ha sempre abitato in questi borghi, da bambino giocava a calcio in un campo, che non era altro che un pratone, ma che venne chiamato con il suo nome, Il campo di Cippo. Dei quartieri di Lucento e Madonna di Campagna conosce tutto, i gruppi musicali nati in zona, i musicisti famosi che vivevano a pochi passi dal negozio, che per tanti anni ha gestito con la moglie Silvana e quelli che venivano a suonare nei locali della zona, come Lucio Dalla, per esempio.
Dopo il covid, che ha avuto anche per loro degli effetti devastanti sull’attività e con l’arrivo dell’età pensionabile, la decisione di chiudere il negozio, per dedicarsi a tanti altri progetti da realizzare. Uno fra questi la fotografia, soprattutto quella naturalistica, che li porta a passare le pause pranzo al parco della Pellerina. Hanno anche aperto una pagina facebook: Pellerina Mon Amour, che raccoglie i loro scatti. I viaggi, la musica e i concerti occuperanno il resto del loro tempo e poi chissà quante altre cose ancora.
Sidy ha origini senegalesi, ma vive in Italia da molti anni, dopo aver visto la guerra nel suo paese.
È un uomo solitario che legge libri di filosofia in francese, ama tenersi aggiornato con la lettura dei quotidiani e ha una grande dote, una notevole manualità. È infatti in grado di aggiustare de intervenire su oggetti meccanici, in ambito edile è particolarmente esperto nella tinteggiatura e lavora anche il legno.
Gli piace moltissimo lavorare e nonostante sia una persona solitaria, ama lavorare in collaborazione con altre persone, infatti i suoi amici sono coloro che, nel corso della vita, hanno lavorato con lui. E' curioso e impara velocemente le nuove attivita' che gli vengono proposte.
Simone ha 19 anni e sta frequentando la V superiore dell’istituto alberghiero, con specializzazione sala e bar. Ora sta facendo uno stage presso il ristorante Fonderie Ozanam, come prevede il suo programma di studi e sta approfondendo in particolare l’attività di sala.
È un ragazzo molto tranquillo e ciò che predilige, in realtà, è il lavoro nel settore caffetteria, che gli dà maggiore possibilità’ di avere contatto con il pubblico, perché’ dà molta importanza all’accoglienza del cliente.
È un giocatore di calcio, nel ruolo di portiere, presso una squadra di Eureka di Settimo Torinese, che pare sia abbastanza forte, con cui partecipa agli Special Olimpics.
Ha molti amici con cui organizza uscite e gite, muovendosi con i mezzi pubblici.
Con la Fondazione Time2 durante l’estate ha partecipato a molte attività sportive, tra cui un trekking sulle langhe che è durato ben 5 giorni, in collaborazione con l’ASL e altre associazioni.
Tra qualche mese dovrà affrontare gli esami di maturità, ma non sembra per nulla preoccupato, per fortuna.
Louis Nero è un regista internazionale, con una laurea al Dams a 17 anni realizza il suo primo film "Golem" e lo porta in giro per l'Italia fino a quando una importante casa di produzione non lo acquista, da lì la sua più grande passione diventa anche la sua professione.
In questa intervista ci porta alla scoperta del mondo del cinema e dell'arte, di come per lui il cinema sia una forma d'arte attraverso cui trasformare e aprire la visione che si ha sulle cose del mondo, come forma di educazione e di libertà.
I suoi film sono uno spaccato di storia, cultura, misticismo e spiritualità, attraverso di essi si parla dei grandi temi dell'umanità, perché "se esci dal cinema esattamente uguale a come sei entrato, vuol dire che non abbiamo fatto un buon lavoro."
www.altrofilm.it
Diana Dell'Erba, attrice e regista che abita in Borgo San Paolo ha aperto e porta avanti l'associazione Il Velo di Maya, attraverso la quale propone diverse attività legate alla crescita e al benessere personale, si occupa di organizzare eventi e incontri legati al mondo dell'arte, del benessere e della medicina ancestrale, l'obiettivo è quello di creare un sistema che aiuti le persone a lavorare su se stesse per trasformarsi e diventare ciò che realmente si è, il benessere della persona è guardato da un punto di vista olistico, quindi fisico, mentale e spirituale.
Dall'esperienza che Diana vive in prima persona, diventare madre, nasce il portale www.maya.vision che si occupa di divulgare e far conoscere il parto gentile e la nascita rispettosa, attraverso podcast, meditazioni, film, documentari, corti, articoli, blog, incontri e consulenze, tante informazioni quindi per alzare il velo di Maya su quello che è il passaggio iniziatico per eccellenza, il parto.
www.dianadellerba.com/www.facebook.com/assilvelodimayawww.maya.vision/
Consorzio Intercomunale Servizi Sociali di Pinerolo e la Cooperativa Carabattola raccontano il progetto TeenLab, sviluppato in coprogettazione e dedicato all'accompagnamento educativo di ragazzi e ragazze dai 16 ai 29 anni, un progetto che ha come obiettivo quello di promuovere delle azioni di contrasto alla dispersione scolastica.
Saifur Rahman è nato in Bangladesh, ha 18 anni. Il ragazzo è l'ultimogenito di una numerosa famiglia che attualmente si trova nel suo paese natale; entrambi i genitori ed un fratello maggiore hanno problemi di salute, Saifur per aiutare la sua famiglia, ha deciso di trasferirsi in Occidente per trovare un lavoro e dare un sostegno ai suoi famigliari. Il ragazzo ha frequentato per 4 anni la scuola elementare e ha iniziato molto presto a lavorare come muratore, successivamente come operatore video editing e video maker in un negozio di fotografia. In accordo con la sua famiglia, quando era ancora minorenne, ha lasciato il suo paese per raggiungere l'Europa, ha trascorso qualche tempo in Libia dove ha lavorato come muratore e come lavapiatti, in questo periodo Saifur è stato sottoposto a maltrattamenti ed fuggito in Italia sbarcando a Lampedusa per poi risalire arrivando in Piemonte dove è stato ospitato a Tortona in un centro di aiuto e poi trasferito nella Comunità per minori non accompagnati “Il Galletto” sita a Felizzano (Al). Fin da subito il ragazzo si è contraddistinto per la sua gentilezza, la sua sensibilità, per l'altruismo e la disponibilità sia nei confronti degli operatori, sia verso gli altri ragazzi della struttura. Saifur afferma di “sentirsi bene a fare del bene”. Il giovane sa parlare diverse lingue, attualmente frequenta la scuola di alfabetizzazione ad Alessandria, le sue conoscenze sono state acquisite sia attraverso le sue esperienze vissute sia attraverso lo studio e la consultazione dei social e della visione di film/video, il ragazzo si definisce “open mind”, ovvero disposto ad imparare e ad affrontare nuove situazioni. Il giovane riferisce di avere vari interessi come ad esempio la cucina, afferma di cucinare volentieri per le altre persone, occupandosi di riordinare e di pulire spontaneamente gli spazi utilizzati anche dagli altri. Sa utilizzare con una certa dimestichezza smartphone e telecamere, abilità apprese da video tutorial e poi impiegate anche in alcune sue esperienze di lavoro, gli piacerebbe lavorare come meccanico in un'autofficina. Saifur è disponibile a svolgere attività di volontariato all'interno della piccola comunità locale, mostrandosi interessato e curioso di ampliare le proprie esperienze.
Asmae è una giovane mamma marocchina, in Italia dal 2006.
A Torino ha studiato e conseguito il diploma di terza media, oltre ad aver frequentato un corso per addetti alberghieri, in particolare servizio ai piani. Nel suo paese natale ha conseguito il diploma di maturità e ha frequentato un anno di università, per lo studio della letteratura araba.
Ha lasciato gli studi per venire in Italia, dove ha inizialmente lavorato presso una lavanderia industriale. Dopo la nascita delle bambine ha dedicato tutto il suo tempo alla loro educazione, anche perché’ gli orari dei corsi che avrebbe voluto frequentare, non si conciliavano con quelli della scuola.
Ora che le ragazze sono cresciute è occupata come badante presso una signora anziana, ed è un’attività che le dà molta soddisfazione. Se potesse scegliere un’alternativa, le piacerebbe fare la cuoca, perché’ ama molto cucinare sia cucina italiana che marocchina.
Asmae è una persona solare, che trasmette tranquillità, molto curiosa soprattutto: ama lo studio, se potesse studierebbe qualsiasi cosa e aiutare le sue bambine negli studi le piace molto; ascolta qualsiasi tipo di musica e ama socializzare e organizzare attività, quando il lavoro e la gestione familiare glielo permettono.
Grazia è la presidentessa dell’Associazione A Casa Nostra che si trova in via Sesia a Torino
Una realtà che esiste da 5 anni con l’intento di creare una possibilità per ragazzi con disabilità intellettive non gravi, di crearsi un futuro abitativo autonomo, fuori dalla famiglia.
Questo progetto è cominciato con un gruppo di 4 ragazzi, che sono sempre presenti e altri che nel tempo si sono avvicendati. Ad oggi sono 6. Il percorso è ovviamente lungo ed il Covid ha rallentato molto le attività: i ragazzi e dovrebbero sviluppare una serie di abilità che riguardano la gestione pratica di una casa; poi la parte sicuramente più impegnativa che riguarda le dinamiche del vivere insieme e la gestione delle dinamiche che ne scaturiscono. Per questa area in particolare, sono seguiti da 2 professioniste psicologhe che li aiutano nel percorso. Ci sono inoltre educatori che li seguono nelle varie attività, come ad esempio laboratori sulla gestione del denaro. Ci sono giorni cosiddetti residenziali, in cui i ragazzi convivono giorno e notte, per brevi periodi.
L’associazione si autofinanzia, attraverso donazioni delle famiglie partecipanti, con attività e con l’intervento diretto dei ragazzi che realizzano oggetti che vengono venduti in occasione di mercatini, come quello di Natale, organizzato a beeozanam.
Tra i risultati sicuramente più importanti è il legame che si è creato tra i ragazzi che hanno formato un gruppo veramente coeso.
Inez è una signora brasiliana, di origini italiane: i nonni erano piemontesi, di Alessandria.
In Brasile, oltre ad occuparsi di un figlio malato, svolgeva lavori come sarta, poi come portinaia.
Vive a Torino da 2 anni e ha sempre svolto l’attività di badante con anziani non autosufficienti. Le piacerebbe continuare ad occuparsi di persone anziane o riprendere il suo lavoro di sarta, o di portinaia.
Attualmente lavora in un’azienda di pulizie, ma il carico di lavoro è troppo pesante per lei.
È una donna molto scrupolosa e affidabile, che nel suo tempo libero ama leggere, soprattutto la Bibbia. Un’altra cosa che ama fare è andare al ristorante e mangiare con amici e parenti. Del suo paese le manca soprattutto la famiglia, di cui è molto orgogliosa, anzi sta cercando di ricostruirne l’albero genealogico, per scoprire quanto più possibile della sua storia.
In Italia ha amici brasiliani e Torino le piace moltissimo, perché si sente a casa, si sente sicura, perché nel suo paese c’era troppa violenza. Purtroppo per impegni di lavoro non è riuscita a visitare bene la città, ma appena può, organizza scampagnate e passeggiate nei parchi, perché’ l’amore per la natura rappresenta un’altra delle sue passioni.
Eugenia è una signora solare e piena di energia, che da 22 anni è in Italia e da 7 qui a Torino. In Romania gestiva un ristorante frequentato da persone straniere e parlava in tedesco e un po’ in inglese. Amante dei viaggi e curiosa della vita si è trasferita prima a Londra per perfeziona la lingua e poi a Valencia, per imparare lo spagnolo, che le piace moltissimo. Poi è approdata a Bari, che considera come sua città natale, per lavorare come assistente domestica per una signora, con cui ha mantenuto un bellissimo rapporto.
Che dire di Eugenia? È una persona indipendente ed autonoma, che si è costruita tutto da sola, che ha messo passione, onestà e dedizione in ogni attività che ha svolto. Le attuali difficoltà di salute le impediscono oggi di fare tutto ciò che vorrebbe, soprattutto di lavorare. Dato il suo carattere empatico, è riuscita nel tempo a coltivare nuove amicizie accoglienti, nei vicini di casa. A Torino ha lavorato con anziani, anche se non nasconde le difficoltà incontrate in certe situazioni, ma anche gli attestati di fiducia e affetto che le sono state riservate in altre occasioni, da parte di persone che non conosceva.
Il Sig. Antonio Di Stasi, nato nel 1940 in provincia di Potenza, da genitori pugliesi ha da sempre un’invalidità al piede, che gli ha impedito di svolgere le attività che avrebbe desiderato. Ha condotto gli studi maturità classica a Napoli e a 18 anni è venuto a Torino. Si è sempre occupato come impiegato di assicurazioni, pratiche auto ed il suo grande rimpianto risale a quando da giovane, avendo vinto un concorso per entrare nella Guardia di Finanza, è stato scartato a causa della sua invalidità. Per il lavoro svolto per anni come impiegato, nessuna delle aziende ha versato i suoi contributi, quindi ad oggi percepisce una pensione sociale. Vive con la sua compagna, anche lei con gravi problemi fisici e non riescono a far fronte alle spese ordinarie di gestione dell’alloggio di edilizia popolare in cui vivono.
Oggi purtroppo la sua vista è compromessa e non può più coltivare alcune delle sue grandi passioni, come la lettura dei classici e soprattutto il modellismo: ha costruito navi bellissime costruendo i pezzi da sé. Tutto è iniziato, quando da ragazzo costruì un gocart con i pezzi di ricambio presi dall’officina del fratello e comincio' a scorrazzare per il paese, mettendo tutti in allarme.
Nesrine è una giovane mamma, attiva e propositiva. Molto abile nel disbrigo delle pratiche burocratiche, soprattutto quelle online, è diventata il punto di riferimento di amici e conoscenti che le chiedono aiuto. Vive in Italia da 24 anni e dopo aver ottenuto la licenza media, ha lavorato come cameriera, lavapiatti, impiegata in servizi di pulizia, badante. Le piacerebbe riprendere gli studi e frequentare un corso di infomatica. Ha anche un sogno, fare la pasticcera e cucinare piatti italiani, per arricchire il suo bagaglio culinario, che comprende anche piatti della tradizione marocchina.
Giovanni ha 34 anni, nasce e vive a Catania, nel quartiere di San Giorgio, luogo dimenticato da tutte le Istituzioni, dove regna il degrado e il delinquere, ma dove esistono alcune realtà che cercano di fare qualcosa per esso e la gente che lo vive.E' un educatore e socio della Cooperativa Marianella Garcia, Associazione che si occupa di servizi ai minori e loro famiglie e MSNA.
Ama il suo lavoro, stare con i giovani e costruire con loro percorsi di crescita è la sua missione, crede che attraverso il bello, la cultura, il teatro e la musica nascano e crescano comunità sane, aggreganti e accoglienti.E' anche il fondatore e Direttore Artistico di un Gruppo Teatrale, che trova la sua collocazione fisica all' interno degli spazi della Milizia dell'Immacolata, Associazione di missionarie che da cinquanta anni opera per il bene del territorio e che da dieci anni offre i suoi locali al gruppo teatro, che ha il loro nome.Giovanni, crea e dirige i suoi spettacoli, cura con molta attenzione i momenti delle prove e di aggregazione, periodicamente organizza serate, pomeriggi di giochi, merende e gite che vedono coinvolti dalla sua nascita più di 70 persone.
Il primo gruppo teatrale della Milizia dell'Immacolata, era formato da 12 persone, che da subito hanno creduto di poter rendere così la loro vita più "bella".
Adulti, anche over 80 e ragazzi che con la loro partecipazione e voglia di fare hanno contribuito alla crescita del gruppo e rappresentare negli anni diversi spettacoli -musical, di natura laica anche se, molto forte è la loro matrice religiosa, con il solo fine di veicolare attraverso essi valori come la pace, l'amore ,la giustizia, la fratellanza, la condivisione e l'accoglienza. Il loro successo come già detto è cresciuto nel tempo e gli spettacoli, sono stati richiesti anche fuori la citta di Catania, in bellissime piazze della provincia.Ciò che ha spinto Giovanni a credere, volere e trasmettere tutto ciò, era il desiderio di rendere COMUNITA' un quartiere, arido e abbandonato , che non aveva niente da offrire ai suoi abitanti.
Giovanni, sente e trasmette ai suoi ragazzi che il Teatro è Cultura, Bellezza, Espressione, Inclusione, Sacrificio e Divertimento.
Gli adulti ,gli anziani del quartiere sono stati i primi ad approcciarsi a questo mondo, sicuramente erano quelli alla quale il trascorrere degli anni aveva tolto quasi tutto, poi da li il coinvolgimento dei figli, dei nipoti, degli amici degli amici e anche dei MSNA, che vivono all' interno della Comunità, nello stesso edificio dell'Istituto.
L' aggregazione tra gli adulti, i giovani e i minori stranieri, come ci racconta Giovanni è avvenuta naturalmente, questi ultimi hanno sicuramente trovato un luogo accogliente, che li fa sentire "famiglia", sicuramente diversi per colore di pelle ,cultura e provenienza, ma non per i sentimenti e il diritto all'amore.Anzi le diverse culture, il cibo e la difficoltà iniziale della lingua li hanno spronati se è possibile ancor di più, innescando in essi voglia di conoscenza, supporto e condivisione.Lo scopo che li accomuna è la voglia di stare insieme e di portare in scena degli spettacoli bellissimi, ognuno con il proprio ruolo, grande o piccolo che sia, vuol far sognare e divertire gli spettatori.Il sogno di GIOVANNI è di continuare ad essere un bravo educatore e un punto di riferimento per chi è solo ed ha smesso di sognare, perchè nessuno glielo ha insegnato.Il teatro per lui e i suoi ragazzi è gioia di vivere.
Mirko Saraceno
Presidente dei I "BRIGANTI RUGBY DI LIBRINO"
MIRKO, è uno studente di Economia Aziendale, ha 25 anni,
Oltre all'amore per lo studio e tutto ciò che è conoscenza , arricchimento coltiva da ormai 17 anni una grande passione per lo sport e in particolar modo per il RUGBY.
Sport praticato nei campi di San Teodoro a Librino. che in tutti questi anni sia come giocatore che come allenatore gli ha dato tantissimo sia per quanto riguarda le vittorie sportive che per il suo percorso di crescita.
AMICIZIA, SACRIFICIO, LEALTA', CONDIVISIONE E ACCOGLIENZA sono i valori che ha acquisito grazie al Rugby
Per questo ha deciso di non abbandonare il quartiere che lo ha accolto e i ragazzi che quotidianamente vivono il campo e tutto quello che l'Associazione sportiva di rugby i BRIGANTI, con il loro progetto di coesione e inclusione sociale da a loro, in questa periferia cosi mal vista e abbandonata dalle Istituzioni, ma che offre tante possibilità di riscatto se solo lo si vuole e si lotta per cambiare le cose.
Da qualche anno ne è addirittura divenuto Presidente, ed è appunto a Librino, periferia ovest di Catania presso il Campo San Teodoro Liberato, recuperato dal lavoro dei volontari dopo anni di incuria, che lo incontriamo.Accanto ai campi immensi e ben curati, si scorge un ampia zona dedicata all'orto, gestito e voluto da alcuni abitanti del quartiere, mentre all'interno della struttura oltre gli spogliatoi e la palestra, una grande sala è dedicata alla Librineria e al doposcuola per i più piccoli, mentre un angolo è stato adibito a bar, vissuto da tutti come luogo di incontro.Tutti gli spazi sono ben curati e colorati.Il progetto voluto dai BRIGANTI, non si è fermato neanche dopo un incendio doloso di cui sono stati vittima una decina di anni fa, dando prova di come lo sport possa essere davvero uno dei principali motori di cambiamento alle brutture che ci circondano.Il quartiere di Librino dove vivono oltre 80.000 abitanti, per questo considerato una città nella città, è un luogo con un forte tasso di criminalità organizzata, che trova terreno soprattutto nei giovani attirati dal facile guadagno, ma che grazie al loro impegno è anche una zona dove si vive e si respira un' aria sana e di riscatto.Per arrivare ai campi di rugby si supera la PORTA DELLA BELLEZZA ( arricchita da opere e foto, grazie al progetto dell'artista catanese Lo Presti) e poi una serie di palazzi, alcuni di essi fatiscenti e una discarica a cielo aperto.I Briganti, negli ultimi decenni hanno cambiato la vita dei giovani e giovanissimi abitanti del quartiere, che era nato negli anni 60/70 come una città ideale, divenendo invece una grande aerea di edilizia abusiva, di spaccio e criminalità.Il campo è frequentato da ragazzi e ragazze di tutte le età : -7 squadre juniores, 1 squadra senior maschile, 1 senior femminile e una squadra over 40.
I ragazzi che frequentano il campo sono oltre 200.
Nessuno di essi paga per fare sport o per usufruire degli spazi e servizi della struttura.
Il sogno di MIRKO, è che tutti i giovani di qualunque estrazione sociale, colore della pelle, religione possano sentirsi partecipi della loro vita e non ghettizzati.
Per questo insieme al suo gruppo lavora quotidianamente, affinchè tutta la Comunità di Librino, possa diventare parte attiva e sana della città e grazie allo sport piccoli passi sono già stati fatti.
Grazie
Massimiliano Vasta vive ad Alessandria e gestisce tre pizzerie da asporto con consegna a domicilio denominate “Planet Pizza”. Il primo locale viene aperto nel 2003 ad Alessandria, la partenza non è stata semplice ma l’impegno e la costanza di Massimiliano hanno fatto sì che, con il passare del tempo, il locale avesse la sua clientela e venisse ampliato negli spazi. Successivamente sono stati aperti altri due locali: uno a Castelletto Monferrato e uno a Castellazzo Bormida, in provincia di Alessandria, solo con servizio serale. Le esigenze sono aumentate ed è stato assunto nuovo personale con mansioni ben specifiche all’interno dei vari esercizi commerciali. Massimiliano racconta che non amava studiare, preferiva lavorare e, dopo una breve esperienza di lavoro come fabbro, all’età di 17 anni ha accettato la proposta di lavorare presso la pizzeria di uno zio sul lago di Garda, provando a fare la stagione estiva. Al ragazzo è subito piaciuto fare il pizzaiolo, era contento di sapere che alla gente piaceva mangiare quello che preparava e, da quel momento, non si è più fermato e ha continuato a fare il pizzaiolo viaggiando, studiando per ampliare le proprie conoscenze e per migliorare la propria professionalità. Massimiliano insegna il mestiere del pizzaiolo in corsi di formazione ai giovani che hanno voglia di imparare, sottolineando che, scegliere di fare questo tipo di lavoro, comporta molti sacrifici, impegno, saper lavorare in squadra, anche sotto pressione, continuare ad essere aggiornati ed essere sempre animati da nuovi stimoli per migliorarsi e rispondere alle esigenze di una clientela sempre più attenta a ciò che consuma. Massimiliano, spinto da una mentalità imprenditoriale e motivato dalla voglia di rinnovarsi, ha voluto puntare ed inserire la preparazione di impasti diversi dal tradizionale, offrendo prodotti differenti e di qualità. Massimiliano si ritiene soddisfatto e realizzato rispetto ai risultati ottenuti fino ad ora, scherzando afferma che vorrebbe che in ogni città ci fosse un “Planet Pizza”! La voglia continua di crescere e di rinnovarsi accompagnano le ultime battute di Massimiliano, l’ uomo conclude sottolineando la volontà di svegliarsi tutte le mattine e di fare il lavoro che sa fare, sapendo di dare sempre il meglio.
Ahmed, è un ragazzo egiziano giunto in Italia nel 2016, dopo un viaggio lungo, pericoloso e affrontato senza i genitori.
Giunto al Porto di Catania, è stato affidato dalla Prefettura alla Comunità per Minori Marianella Garcia, nel quartiere di San Giorgio a Catania.
Il suo percorso a Catania non è stato facile, aveva solo 11 anni quando è stato accolto dagli operatori e catapultato in una realtà diversa da quella di origine, con l la difficoltà della lingua, la mancanza della famiglia e l'accettazione di nuove regole.La Comunità, i suoi operatori, la scuola sono stati fondamentali per il suo percorso di crescita.Grazie alla scuola ha imparato la lingua ed ha iniziato a tessere una rete amicale con il gruppo dei pari italiano, acquisendo con molta facilità atteggiamenti, uso del dialetto e amore viscerale per la musica neo melodica, molto amata dai ragazzini del quartiere.A settembre è stato iscritto regolarmente alla scuola media del quartiere, anche se con molte difficoltà dovute soprattutto alla poca voglia di studiare ha concluso il percorso conseguendo la licenza media, in tre anni.Successivamente, ha frequentato la scuola professionale Archè con indirizzo cucina, credendo di voler un giorno lavorare come cuoco in un ristorante, passione che nel tempo è scemata ma, che gli ha permesso di conseguire un ulteriore titolo di studio come operatore di cucina.Nel corso di questi anni ha sviluppato le sue due grandi passioni il Rugby e il Teatro, attraverso esse ha imparato ad accettare le regole, e dargli la giusta valenza.Per la sua integrazione nel territorio sono state fondamentali l'Associazione Sportiva di Rugby - I BRIGANTI dI LIBRINO e il Gruppo Teatrale della MILIZIA DELL'IMMACOLATA.Ahmed è ormai un ragazzo catanese a tutti gli effetti, ama la musica neomelodica, vive il quartiere e la città come se ci fosse nato.
Mantiene con la sua famiglia di origine un rapporto telefonico costante, ma è riuscito a fare suoi alcuni affetti fondamentali .
Sia i compagni di squadra che i componenti del gruppo, grandi e piccoli lo hanno accolto senza alcun pregiudizio e con molto affetto.
sempre attraverso l'esperienza del rugby e del teatro è nata in lui una nuova passione lavorativa .fare l'EDUCATORE.
Stare con i bambini, aiutarli nel gioco, allenarli e farli diventare dei giovani adulti lo gratifica moltissimo.
Spesso dopo gli allenamenti massacranti nel campo, si reca alle prove teatrali o viceversa, ma è tanta la voglia di ballare, recitare, giocare e di stare con il proprio gruppo di grandi e coetanei che vive tutto ciò come linfa vitale.
Ogni domenica affronta le partite di rugby sia con la sua squadra che con quella dei piccoli che allena settimanalmente.
Con il gruppo teatro in questi anni è stato protagonista di diversi spettacoli, rappresentati a Catania e provincia.
Il ragazzino capriccioso, insolente e dispettoso è divenuto negli anni, grazie alla comunita che lo ha accolto un giovane uomo, pieno di sogni e aspettative che riesce ad essere un punto di riferimentoe stimolo per gli altri.Ahmed vorrebbe viaggiare, ritornare nel suo Paese, rivedere e riabbracciare i suoi, ma ritornare sempre a Catania.Non pensa al matrimonio, la cultura dell'Egitto non gli appartiene piu.Oggi è pronto ad iniziare con grande entusiasmo questa sua nuova esperienza di tirocinio/lavorativo presso il centro aggregativo Punto a Capo, della Marianella Garcia.Spera di essere bravo e di non deludere, chi nel corso di tutto il suo percorso, gli ha dato fiducia ed ha creduto in lui, sostenendolo soprattutto nei momenti più bui.
Lucia, è madre di due figli adolescenti, ha 50 anni e vorrebbe trovare un’occupazione. È pienamente consapevole del fatto che a questa età, soprattutto per una donna, sia difficile reinserirsi nel modo del lavoro. Da un anno prende parte al progetto Home to Home finanziato dalla città di Torino promosso da che le ha permesso di fare un tirocinio presso una palestra come receptionist. Questa esperienza le ha permesso di riutilizzare competenze acquisite quando in passato lavorava in un’azienda, che per via della crisi, poi ha cessato la sua attività. Il lavoro all’accoglienza la realizza pienamente, perché’ è una persona molto empatica, socievole e solare. Dopo aver perso il lavoro, la famiglia ed in particolare due figli l’hanno tenuta impegnata, finche’ non ha ricominciato a lavorare saltuariamente con agenzie di interinale.
Lucia ha frequentato il liceo artistico e oltre a dipingere e disegnare, ama frequentare mostre e musei. I viaggi, anche una semplice tratta in treno, la fanno sentire bene e soprattutto libera. Ha visitato molto l’Italia, in particolare la Puglia, regione di origine della sua famiglia. È una donna ricca di interessi: ma cucinare perché’ apprezza la convivialità che il cibo porta con sé, sa fare anche i dolci, cuce, ama coltivare le piante sul balcone, leggere, passeggiare immersa nella natura. Ha un sogno, riprendere a studiare, in particolare Scienze dell’Educazione, ma visto che al momento non è possibile, studia con i suoi figli le materie scolastiche.
Luciano, torinese di Madonna di Campagna, nasce in una famiglia di operai di origine pugliese. Da ragazzo un po’ irrequieto, viene mandato a studiare a 14 anni presso un istituto religioso di salesiani a Milano.
A 16 anni con la qualifica di motorista meccanico torna a Torino e il padre gli trova un lavoro come carrozziere. Si specializza nella preparazione delle vernici, matura una grande esperienza nella conoscenza dei materiali e lavora in carrozzeria, a fasi alterne, per 37 anni.
Ha lavorato nell’ambito dell’abbigliamento, in una fabbrica di gomma plastica, dove facevano i tappeti delle auto, poi di nuovo in carrozzeria.
Luciano è una persona che ha molta cura della sua figura, veste bene e ha sempre fatto molto sport, calcio soprattutto. Ama la musica, passione che ha trasmesso ai suoi figli. Come la sua famiglia di origine è di fede cattolica, anche se per un certo periodo particolarmente difficile della sua vita se n’è allontanato.
Ama lavorare, anche se il mestiere di carrozziere è un po’ pesante e preferirebbe trovare qualcosa di più leggero: pulizie, bar, ristorante; preferibilmente un’attività a contatto con le persone, perché’ Luciano è una persona attiva e socievole, che ama stare in mezzo alla gente.
Paola è nata a Cuneo nel 1927, durante il fascismo. Si ricorda che a scuola avevano le divise e ogni sabato pomeriggio dovevano andare ai campi sportivi; la maestra diceva loro di prendere la lana dei materassi per fare le calze per i soldati. C’era un clima fortemente patriottico con la volontà di far grande l’Italia.
Quando è iniziata l’occupazione dell’Albania, lei abitava vicino alla stazione di Pinerolo: c’erano le tradotte piene di soldati entusiasti che cantavano inni, circondati da gente che li applaudiva.
Come “giovane italiana” aveva dovuto scrivere lettere ai soldati in guerra in Russia per incoraggiarli.
Ha studiato segretarie d’azienda e ha iniziato a lavorare a Cuneo alla FIAT, dove ha conosciuto suo marito. Normalmente le donne sposate venivano licenziate, ma a lei avevano concesso di rimanere fino alla prima malattia perché i dirigenti erano amici del marito. Poi ha avuto 3 figli e la sua vita è andata avanti su quei binari.
Durante la guerra il marito era stato arruolato e aveva fatto la campagna di Russia, dalla quale era tornato e aveva scritto un diario per non perderne il ricordo. Poi era dovuto andare al confine con la Germania, dove era stato rinchiuso in una scuola. Raccontava poco di quel periodo, ma si ricordava sempre di quando era stato liberato. Gli avevano dato alcuni marchi per comprare qualcosa da mangiare e c’erano solo due bar aperti, perché la città era stata bombardata. Quello più bello non serviva il caffè con i cucchiaini d’argento agli italiani e allora lui aveva finto di essere francese.
In casa di riposo con lei c’è la moglie di un ragazzo che faceva l’interprete per i tedeschi a Cuneo e passava le informazioni ai partigiani e che lei incontrava sempre sulla strada da Spinetta in macchina con i tedeschi. Quando si vedono si fermano a ricordare la sua storia.
Di Cuneo le piace molto via Roma, dove suo suocero aveva un bellissimo alloggio di fronte a Sant’Ambrogio, ma ora purtroppo l’hanno venduto per pagare la casa riposo.
Oreste è nato nel 1934 a Roata Rossi. I suoi genitori gestivano l’Aquila reale a Cuneo: una piccola osteria nel centro storico con il posto per fermare i cavalli nel cortile. Quando aprirono l’attività non c’era ancora la stazione; ogni martedì venivano al mercato i pescivendoli da Savona e, se avanzavano qualcosa, passavano dall’osteria per venderlo a prezzo ridotto.
Ha frequentato l’Istituto Tecnico di Savigliano. A 18 anni ha iniziato a lavorare in ferrovia prima a Torino e poi a Cuneo. Come macchinista ha viaggiato molto: Ventimiglia-Sanremo, Savona, Torino e qualche volta anche Pisa.
La Stazione di Cuneo un tempo era vivace: c’erano gli alloggi dei capi deposito, stazione, servizi al primo piano e al piano terra il ristorante, il tabaccaio, un'edicola e la biglietteria. Oggi gli alloggi sono vuoti e i servizi chiusi, tranne la biglietteria che resta aperta poche ore al giorno.
Oggi è un luogo deserto e purtroppo sono state soppresse tante linee come quella per Mondovì o per Saluzzo-Airasca. Vorrebbe che tornassero ad affittare gli alloggi e ripristinassero i servizi per renderla viva.
La sala reale della stazione, dove venivano accolti il re o altri ospiti importanti, oggi inutilizzata, sarebbe da valorizzare. Bisognerebbe immaginare un’azione di recupero dell’edificio, come quella di Porta Nuova a Torino; far tornare la stazione un luogo sempre attivo, un presidio per la zona, un luogo che trasmette sicurezza e vivacità.
Tanti anni fa a Cuneo c’era il filobus, che collegava la stazione dei treni a Piazza Torino, passando per corso Giolitti, corso Nizza e via Roma. Il deposito era su Corso Giolitti, vicino al Cinema Fiamma.
A Oreste è sempre piaciuta Cuneo, oggi, grazie ad alcuni interventi, è ancora più bella. Un tempo era più ordinata e tranquilla, ma c’era meno gente e la sera si andava a letto prima. Era animata dai mercati: quello del martedì e quello del venerdì, quello dei bozzoli da seta, quello in Piazza Virginio e quello delle granaglie vicino al Comune.
Irma è nata a Cuneo, poi si è trasferita con la famiglia a Busca. Quando si è sposata, è andata a vivere a Saluzzo per poi tornare a Cuneo, nel 1966, per gestire il Torrismondi, in via Michele Coppino 33.
Al ristorante ha passato buona parte della sua vita, circa 30 anni, lavorando prima con i cuochi e poi con suo figlio Pierpaolo, fino alla cessione.
All’inizio l’attività comprendeva bar, ristorante e albergo, poi hanno diviso la gestione. Lei e il figlio hanno preso il ristorante, mentre la mamma e il fratello l’albergo e il bar.
La scelta di prendere in gestione il Torrismondi è stata naturale, perché Irma veniva da quel mondo: sua mamma prima gestiva un piccolo bar/ristorante a Busca. Non le dispiaceva lavorare nel settore della ristorazione: si conosceva tanta gente, soprattutto medici che venivano con i rappresentanti a fare pranzo per ascoltare le proposte, accettarle, discuterle.
Oggi il ristorante è diventato un bar/tavola calda e le dispiace vederlo così cambiato: un tempo era un’istituzione. Sicuramente la posizione, vicina all’ospedale, aveva avuto anche il suo merito nel farlo diventare un punto di riferimento.
A Irma piace molto Via Coppino: un tempo, seppur principalmente residenziale, era una zona vivace. Vicino al Torrismondi c’erano un negozio di articoli sanitari, una pasticceria e un ortofrutta. Oggi si rattrista un po’ a vedere come sia diventata più piatta, senza movimento.
Della trasformazione che il suo quartiere ha vissuto si ricorda anche la realizzazione della piazza parcheggio dell’INPS, dove prima c’era uno spiazzo con una casa diroccata che è stata demolita.
Cuneo per Irma è una città bellissima e negli ultimi anni ci sono state iniziative di ulteriore abbellimento: Parco Parri, Viale Angeli, Corso Dante. Corso Nizza invece è sempre rimasta più tranquilla.
Le piace camminare lungo Corso Nizza fino a Rondò Garibaldi e risalire lungo il viale Angeli. Un tempo andava fino al Santuario degli Angeli, ma oggi si ferma prima, perché la passeggiata altrimenti diventa troppo lunga.
Xiomara è una giovane donna proveniente dall’Ecuador, ma che ha vissuto in Spagna prima di venire in Italia 8 mesi fa. Ha lavorato in entrambi i paesi come truccatrice professionale e ricostruzione unghie, taglio capelli, perché’ l’istituto che ha frequentato, l’ha preparata a svolgere attività nell’ambito della cura della bellezza della persona. È una ragazza molto intelligente e versatile che svolge anche altre attività: sa cucire, sia abiti che complementi d’arredo, lavora a maglia, cucina bene, soprattutto i dolci. Vuole lavorare e quindi svolgerebbe anche altre mansioni come le pulizie, badare a bambini o persone anziane. In Italia ha lavorato in una caffetteria, dove ha avuto modo di imparare un po’ l’Italiano, ora sta frequentando un corso e guarda film in italiano per capire anche le espressioni facciali. I suoi genitori sono rimasti in Spagna e in Italia con lei, oltre al marito e alla figlia, c’è la suocera che le dà una mano, permettendole così di trovare un lavoro che le lasci il tempo di godersi sua figlia.
Xiomara e’ solare, molto empatica, collaborativa e si impegna in ogni cosa che fa.
Iyke e’ nigeriano e vive in Italia, paese che ama molto e da cui si è sentito ben accolto, dal 2007. Nella sua terra natale, dove ancora vivono i genitori, coltivava il riso. Appena giunto in Italia, in provincia di Rieti, si è ritrovato in mezzo alla campagna, quasi come a casa. Si è occupato di raccogliere le olive, di mantenere puliti i terreni e di giardinaggio. Poi ha svolto mestieri diversi: piastrellista, ambulante al mercato con un banco di vestiti. Nel 2015 lo ha raggiunto la moglie e nel 2016, a seguito di una proposta di lavoro, si sono trasferiti a Torino. La ricerca di un alloggio è risultata subito difficile, ma le capacità relazionali di Iyke ed il suo spirito positivo, gli hanno permesso di incontrare una persona, Giovanni, affettuosamente definito “il Nonno”, che ha dato loro una grande mano. Nel frattempo sono nati due bambini, un maschietto e una femminuccia. Ad Iyke, che ora lavora nell’ambito della sorveglianza nei supermercati, piacerebbe trovare un nuovo lavoro che gli permetta di provvedere al meglio alla sua famiglia. Gli piacerebbe il settore edile oppure riprendere l’attività di giardiniere. Il tempo libero ama passarlo con gli anziani amici, cercando di intrattenerli cantando e ballando.
Eleonora della Garen è una signora di cultura Sinti che, fino a pochi giorni prima della pandemia, ha vissuto presso il Campo Sinti di Pinerolo. Eleonora è molto legata alle sue tradizioni e alla sua cultura anche se rivendica una certa indipendenza ed autonomia.
Ha due figli di 24 e 12 anni e, tra pochi mesi, diventerà nonna. Insieme al suo bambino più piccolo, vive presso una casa popolare di Pinerolo anche se i suoi legami con i fratelli, le sorelle e le persone del campo restano solide e profonde. Eleonora ha a cuore l’idea di scardinare i luoghi comuni e lo stigma che ancora oggi esiste verso la cultura Sinta.
Uisp (Unione Italiana Sport Per tutti) è un’associazione di promozione sportiva e sociale che ha l'obiettivo di estendere il diritto allo sport per tutte le persone, Gaetano come vicepresidente e Matteo come segretario generale, si occupano di gestire le attività della sede di Torino.
L'obiettivo è favorire tutte le presone e le associazioni dilettantistiche per rendere lo sport sempre più un mezzo di educazione e di inclusione sociale, attraverso la promozione di tutte le iniziative sportive sul territorio.
In particolare nella circoscrizione 3, Uisp Torino fa parte del patto di collaborazione per lo spazio Cumiana 15, insieme alle altre associazioni proponenti supportano e realizzano attività ed eventi educativi e sportivi. Oltre alle attività nello spazio, Uisp si occupa anche di educativa di strada, lo sport diventa il mezzo con il quale riuscire ad arrivare a ragazzi e ragazze per fornire loro delle alternative, le possibilità di sviluppare le loro passioni e potenzialità, fornendo mezzi e reti di associazioni a supportare le predilezioni di ciascuno.
Perché è importante fare sport e lo sport deve essere per tutti.
Paolo ha 36 anni, è laureato in Ingegneria meccatronica e per 10 anni ha lavorato come trasfertista programmatore. Un anno fa si è licenziato senza avere opzioni lavorative, poi ha colto l’opportunità di una supplenza, così ha scoperto i suoi “talenti”. Questo lavoro gli regala il contatto con i ragazzi e molto più tempo libero. Secondo Paolo, sarebbe fondamentale ripensare il mondo del lavoro garatendo più tempo per altro.
Nel tempo libero fa volontariato, acquisendo competenze e sentendosi maggiormente parte della comunità. Vorrebbe che più persone, in particolare giovani, partecipassero superando la paura del prendersi una responsabilità.
Partecipa a iniziative che danno spazio alla sua passione (smontare oggetti per capire come funzionano) e gli permettono di usare competenze per recuperare beni e rimetterli in funzione. Secondo lui, i punti di recupero hanno sia un potere ambientale che sociale perché diventano punti di aggregazione, occasioni per aprirsi alla comunità.
Come volontario della bici-officina, mette a frutto gli studi da accompagnatore cicloturistico e amplia le competenze confrontandosi con chi è più esperto. Questo spazio è diventato un riferimento per migranti e ciclisti amatoriali; gli piacerebbe si formassero anche i fruitori sulla riparazione delle biciclette.
Con Libera, collabora alla riparazione di computer e apparecchiature tecnologiche: il materiale, fornito gratuitamente dalla popolazione, viene aggiustato e donato a chi ne ha bisogno.
Quest’anno Paolo si è messo in gioco in politica nella Commissione ambientale a Borgo San Dalmazzo. Vorrebbe che la politica fosse percepita come qualcosa che riguarda tutti, lavorando per capire cosa porta al disinteresse e cambiare la situazione.
Per il futuro vorrebbe che si creasse una politica condivisa tra Cuneo e i Comuni vicini attenta all’ambiente e alla sostenibilità. Ad esempio, si potrebbero creare linee di connessione con i paesi limitrofi, come le metropolitane leggere francesi.
Nicolò lavora come web designer, grafico e videomaker per l’agenzia Libellula.
Vive in Cuneo Nuova, a pochi passi dall’ospedale, con sua moglie e la loro bimba di 4 anni. Si impegnano quanto più possibile per essere presenti nella vita di quartiere. Questa zona è interessata solo marginalmente dai problemi legati all’area della stazione.
Ha vissuto ad Asti e a Torino prima di venire, 6 anni fa, a Cuneo, dove, con sua moglie, ha scelto di abitare per uscire dalla dinamica da grande città: il caos e il traffico non gli mancano certamente. Indubbiamente gli manca l’offerta culturale; Cuneo ha sicuramente fatto progressi, ma può ancora lavorare per dare un’offerta che non riguardi solo l'enogastronomia, ma che valorizzi anche cultura e musica.
Inoltre vorrebbe che esistesse un polo aggregativo come la Casa del quartiere di Torino, dove ritorna con la famiglia: far rivivere uno spazio chiuso con servizi e attività legati al quartiere, un luogo ricco di proposte e in cui poter portare le proprie idee, che non dipenda dalle amministrazioni Comunali, ma continui nel tempo.
Inoltre vorrebbe che si portasse avanti l’importante lavoro di apertura e tolleranza nei confronti di tutti che si è avviato con la popolazione negli ultimi anni.
A Cuneo si trova bene: ha una dimensione più rilassata che aiuta a stare in famiglia. Ama anche la vicinanza del verde e della natura e la presenza di un buon sistema di passeggiate per famiglie: nelle valli attorno a Cuneo, si divertono a sperimentare i percorsi per famiglie.
Un altro punto di forza di Cuneo è che ci sono molte attività, anche se tendono ad essere un po’ monotematiche. Ultimamente, tuttavia, l’offerta si sta diversificando con iniziative come ad esempio la pulizia del Parco Monviso. Grazie a questo momento, Nicolò ha socializzato con altri residenti, cosa che per lui non è sempre facile, venendo da fuori e lavorando molto in casa.
Nicolò in passato è stato musicista in una band e conserva ancora la passione per la musica: ama suonare la chitarra e cantare.
Cristina lavora per LVIA (Associazione Internazionale Volontari Laici), realtà fondata nel 1966 da Aldo Benevelli, prete partigiano, con l’intento di realizzare progetti di cooperazione internazionale in Africa.
LVIA opera in 10 Paesi africani per garantire diritti fondamentali quali cibo, acqua e salute, avvalendosi di personale locale e di qualche “espatriato” per il coordinamento. In questi Paesi organizza viaggi di conoscenza per scoprire i progetti e incontrare altre realtà e scambi giovanili con momenti di formazione condivisa. Affronta tematiche come acqua, ambiente, sicurezza alimentare, inclusione, migrazione di ritorno, riciclo ed educazione. In Italia collabora a progetti nazionali e locali su temi come l’economia circolare, il clima e la cittadinanza attiva.
A Cuneo organizza attività di sensibilizzazione e raccolta fondi nelle giornate mondiali dell’acqua e dell’alimentazione e collabora a progetti.
Un esempio è il progetto “Nutrire l’inclusione, far crescere la comunità” per creare occasioni di inclusione e ridurre lo spreco: i volontari, residenti e migranti, raccolgono le eccedenze alimentari al mercato e presso alcuni esercenti e le donano alle famiglie bisognose. I negozi coinvolti, gestiti da persone con background migratorio, spesso hanno poca eccedenza, ma forniscono alimenti esotici, che sono ben accolti dalle famiglie e stimolano lo scambio di ricette e l’organizzazione di eventi sulla tematica. Il gruppo di 15 volontari è molto motivato ed eterogeneo sia come background che come età.
Tutte le informazioni sui progetti si trovano sulle pagine social e sul sito, nella newsletter mensile o nel giornalino cartaceo.
LVIA ricerca volontari per i progetti o a supporto dell’attività d’ufficio: ci si può candidare via mail, telefono o presso la sede.
LVIA vuole proseguire il progetto Nutrire l’inclusione, implementare il coinvolgimento degli abitanti e dei commercianti del quartiere, proseguire un servizio e incrementare le relazioni con le realtà già attive a Cuneo e nel quartiere.
Eiman è una giovane donna solare e molto comunicativa, di origine egiziana. Viveva la Cairo, dove ha compiuto i suoi studi per conseguire un diploma triennale da elettricista, anche se non ha mai esercitato questa professione. Ha lavorato come receptionist e segretaria in un hotel. Si è sposata e 14 anni fa si è trasferita in Italia. Ha 3 bambini in età scolare e a Torino ha svolto attività di segreteria in ufficio, aiuto pulizie e assistente nel campo dell’arredamento. La sua terra di origine le manca moltissimo: gli aromi, i colori, il cibo…, ma ciò che le manca di più è sicuramente la sua famiglia. In particolar modo le feste a casa dei genitori, quando si riuniva con le sorelle e le loro famiglie per il pranzo della domenica. Suo padre lavorava in Arabia Saudita e quando la famiglia si riuniva viaggiava per l’Egitto e andavano al mare ad Alessandria e Hurghada.
In Italia si trova molto bene e nel quartiere ha moltissimi amici di ogni nazionalità. Organizza con loro merende al parco con i bambini e in estate feste per ritrovarsi. Molto dedita alla famiglia, si sveglia presto al mattino per preparare la colazione ai ragazzi che devono andare a scuola, poi svolge tutte le mansioni domestiche e prepara il pranzo. Quando è con i suoi figli esce, li porta al parco, o se il tempo è brutto guardano dei film in inglese o cucinano insieme i dolci.
Siccome i ragazzi ormai sono grandi, Eiman vorrebbe tornare a lavorare e ad occuparsi della sua formazione: le piace lavorare al computer e vorrebbe approfondire la sua conoscenza dei programmi, per un eventuale impiego come segretaria. Ha un desiderio su tutti, lavorare con gli immigrati, vorrebbe infatti diventare mediatrice culturale, ma il suo diploma egiziano non è riconosciuto in Italia. Le piacerebbe comunque trovare un modo alternativo per realizzare questo suo desiderio.
Ha la patente, cucina bene sia i piatti della tradizione egiziana che quelli italiani, in particolare i dolci. Ha seguito un corso di sartoria e si diverte a confezionare complementi di arredo per la sua casa. Ascolta musica araba, ma le piacciono anche Gianna Nannini e la canzone Bella Ciao. Legge libri italiani e in arabo per aiutare i figli nello svolgimento dei compiti. Ama il cinema egiziano, in particolare i film romantici. Camminare da sola per la città e nei parchi le dà modo di godersi a pieno il tempo libero.
In Italia ha visitato molte località del Piemonte ed è stata in vacanza in Liguria, perché il mare è un altro aspetto dell’Egitto che le manca molto.
Gianni è una persona curiosa, desideroso di imparare cose nuove e di tenersi aggiornato rispetto alle novità che la tecnologia ci impone di conoscere. Per questo motivo ha frequentato un corso di orientamento sull’uso consapevole e sicuro di internet e di guida nei servizi digitali. Ha inoltre preso parte al progetto Home To Home finanziato dalla città di Torino, per il quale ha effettuato un tirocinio presso le cooperative e associazioni coinvolte nel progetto, in qualita' di manutentore, addetto pulizia e ripristino edile.
Figlio di genitori pugliesi emigrati a Torino, ha svolto nel corso della sua vita diverse mansioni, dall’operatore meccanico in un a litografia, al barista, al panettiere, tubista; nel campo dell’edilizia, ha lavorato come saldatore a filo continuo. Queste attività gli hanno permesso di sviluppare una grande manualità e soprattutto un grande senso di adattamento alle situazioni e alle mansioni. Impara velocemente e ora vorrebbe trovare un lavoro più tranquillo, come custode, o giardiniere. Ha la patente, ma preferisce spostarsi a piedi o con i mezzi pubblici, anche per andare a trovare i nipotini che abitano fuori città.
Ferdous Sarker è un ragazzo proveniente dal Bangladesh, ha compiuto 18 anni il 26 luglio 2022, è arrivato in Italia nel 2021, dopo aver trascorso alcuni mesi in Libia. Il ragazzo racconta che la sua famiglia è composta da: padre, madre e tre sorelle, la più piccola di 12 anni; Ferdous è zio di tre nipotini figli delle sorelle maggiori. Il padre era un muratore ma per problemi di salute ha smesso di lavorare. Ferdous racconta di aver studiato da quando aveva 6 anni fino al compimento dei 10 anni, ha interrotto gli studi e ha cominciato a lavorare per aiutare la famiglia che si trovava, e si trova tuttora, in difficoltà economiche. A 11 anni Ferdous ha iniziato come aiuto muratore, poi ha continuato a lavorare in un negozio di alimentari, la paga era misera. All’ età di 16 anni ha lasciato il suo paese per arrivare in Libia, nella città di Bengasi, dove per 8 mesi (da gennaio 2021 ad agosto 2021) è stato cameriere in un ristorante in cui vi lavoravano altri connazionali, il proprietario del locale gli ha preso il passaporto e non glielo ha più ridato, inoltre non veniva pagato regolarmente. Il ragazzo è arrivato successivamente in Italia, a Lampedusa, affrontando un rischioso viaggio sul gommone, per poi raggiungere un centro di accoglienza nel nord Italia, a Chivasso, dove è stato per un mese. A settembre 2021 Ferdous è stato trasferito presso la comunità “Il Galletto” di Felizzano (Al), luogo in cui vengono ospitati minori stranieri non accompagnati, dove vi è rimasto fino ad aprile 2022, in quanto è stato collocato presso un social housing ad Alessandria per meglio agevolarlo nel frequentare il tirocinio. Dal 4 maggio 2022 Ferdous ha iniziato l’attività di tirocinio della durata di sei mesi presso una pizzeria per poter apprendere il mestiere di pizzaiolo. Il ragazzo ha dimostrato di avere buona volontà e di essere diligente, puntuale e interessato ad imparare. Ferdous frequenta tutt’ora la scuola di alfabetizzazione CPIA ad Alessandria, livello A2, tre giorni a settimana, tutti i venerdì va in Moschea per le funzioni religiose e per pregare, ha mantenuto contatti con altri suoi connazionali e con ex compagni di comunità, con i quali condivide la passione del cricket. Ferdous si immagina il suo futuro in Italia e di poter trasferire qui la sua famiglia, attualmente la sostiene economicamente inviandole del denaro essendo l’unico membro del nucleo a lavorare.
Alice, è una laureanda in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali alla Reggia di Venaria, la sua specializzazione è sul restauro della carta.
Arrivando da una famiglia di artisti anche lei segue le orme dei genitori, anche se con un diploma scientifico, è da sempre innamorata dell'arte quella che si guarda certo, ma che si fa in particolare, infatti ha scelto da subito una scuola che le permettesse di mettersi all'opera.
La specializzazione sulla carta le ha permesso non solo di imparare a restaurare opere ma anche a produrre e confezionare un libro da zero, partendo dal cucire i fogli al foderare una copertina. Ha sviluppato una passione anche per la fabbricazione della carta, partendo da scarti di fogli già utilizzati e sbizzarrendosi nel formare nuove combinazioni di colore e trame, le piacerebbe molto poter organizzare corsi e laboratori per insegnare anche alle altre persone come autoprodursi la carta, pratica che definisce terapeutica e meditativa.
Presa la laurea vorrebbe andare a lavorare in qualche laboratorio in archivi storici, per consolidare le conoscenze apprese a scuola, per poi buttarsi nel mondo più dinamico delle mostre d'arte, organizzando trasporti di opere ed esposizioni vere e proprie.
Silvia Lorenzino è un'avvocata e una delle socie fondatrici di Svolta Donna, centro antiviolenza che nasce come spazio di ascolto per dare supporto a donne vittime di violenza, presto diventa punto di riferimento per il territorio e l'associazione cresce e aumenta i servizi che mette a disposizione gratuitamente.
Il centro ad oggi si occupa di fornire consulenza legale, sostegno psicologico, contatto con un'operatrice che fornisce tutto il sostegno e le informazioni necessarie per intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla relazione violenta, sostegno all'empowerment lavorativo, sostegno per la ricerca e accoglienza in emergenza abitativa, supporto all'abilitazione educativa, e molto altro; un sostegno e un accompagnamento a tutto tondo.
L'obiettivo infatti è fornire alle donne che si rivolgono allo sportello tutti gli strumenti per prendere una decisione in autonomia e consapevolezza, è solo la donna a decidere cosa è meglio per sé stessa e quali possano essere i passaggi per raggiungere ciò che vuole e ricostruire ciò che è, crescita della consapevolezza e autocomprensione dei propri bisogni le parole d'ordine.
Svolta Donna si occupa di organizzare anche laboratori nelle scuole, portando il tema dell'affettività e delle relazioni sane, perché è necessario partire dall'educazione dei giovani, per educare ad un nuovo modello culturale che sradichi comportamenti sbagliati introiettati nell'ambiente sociale e culturale della famiglia di origine.
Uscire dalla gabbia in cui giovani uomini e donne sono rinchiusi, perché la violenza è il sintomo, sia di assenza di parità che di modalità di intendere le relazioni sbagliate, in cui si frammentano i ruoli maschili e femminili in base a stereotipi che impediscono di raggiungere la piena realizzazione personale.
Si devono creare nuove opportunità per le persone che hanno il diritto di sviluppare le loro aspirazioni senza vincoli a stereotipi di genere per contrastare il substrato culturale che alimenta la violenza.
I servizi del Centro Svolta Donna sono totalmente gratuiti e quello che si trova all'interno è uno spazio di ascolto senza giudizio.
Il numero verde per informazioni e richieste è 800 093 900.
Sara Granero con altre colleghe food artists, fondano Cucina Wow, un laboratorio creativo che trasforma il cibo in opere d'arte.
Il loro cibo è buono, bello ed etico, l'obiettivo è trasmettere la cultura e l'amore per il cibo, divertendosi e giocando senza sprechi, tutto quello che viene prodotto, per eventi e laboratori, viene poi mangiato e anche gli scarti vengono trasformati e riutilizzati.
Cucina Wow si occupa sia di creazioni per eventi o brand, ma anche di laboratori e corsi di cucina per adulti e bambini.
Sara è logopedista e dopo il suo quarto figlio decide di rallentare e dedicarsi alla famiglia, la cucina creativa arriva quando sente il bisogno di trasformare una necessità e una passione in lavoro. Grazie al suo background, sa quanto la cucina sia un mezzo per formare ed educare, la manipolazione del cibo può diventare esperienza, divertimento e uso di tutti e 5 i sensi, la sperimentazione porta all'assaggio.
Attraverso la creazione di cibo si trasmettono concetti multidiscliplinari, si parla di storia, di geografia e si fa educazione alimentare, il laboratorio diventa un momento di aggregazione, anche tra genitori e bambini.
Francesco (co-amministratore delegato), Elisa (responsabile comunicazione), Roberto (responsabile magazzino e della logistica interna) e Stefania (responsabile comunicazione e marketing) ci raccontano Nova Siria, azienda che opera nel settore metalmeccanico dal 1932, a conduzione famigliare da allora ma che conta ad oggi 80 dipendenti.
Nova Siria è un'azienda che si potrebbe definire all'avanguardia nel contesto italiano per la cura e la valorizzazione del fattore umano, Francesco parla dei suoi dipendenti come dei sarti che producono su misura, perciò le persone e le loro competenze sono essenziali, cresciuto nell'azienda aperta dai nonni, gli hanno trasmesso il valore della famiglia e l'attenzione ai bisogni dei dipendenti.
"Investire nelle persone, poi ti torna indietro, ripaga sempre."
Nova Siria ha un'età media dei lavoratori di 39 anni, è un'azienda che ha deciso di puntare sui giovani e di creare un'organigramma sempre più trasversale attraverso la formazione continua, la delega delle responsabilità, la valorizzazione dei talenti e delle capacità individuali. A Nova Siria hanno capito come sapersi trattenere le persone, e i talenti, sapendo quanto ormai sia l'importante coniugare vita e lavoro, la ricetta è un perfetto mix tra disciplina e concessioni, passando attraverso percorsi di formazione per far crescere i dipendenti.
Tante sono le iniziative che portano avanti oltre alla produzione giornaliera, attraverso la creazione di un giornalino aziendale, mensilmente raccontano qualche curiosità sui dipendenti, valorizzando chi per esempio ha avuto un'idea innovativa che migliora il lavoro in azienda, oppure essendo un'ambiente lavorativo multietnico, si condividono curiosità su tradizioni e cucine etniche di tutto il mondo. Un modo per allargare la famiglia, imparando a conoscersi anche se non si lavora fianco a fianco.
E' stato creato anche uno sportello di ascolto per i dipendenti, perché una persona che sta meglio come singolo, poi sta meglio inserito in un gruppo. Sono stati offerti corsi di italiano gratuiti per dipendenti di diversa nazionalità, come strumento di welfare e di inclusione sociale.
Possiamo tranquillamente definire Nova Siria come un bozzetto ben riuscito, di come potrebbe funzionare il mondo se si prestasse cura e attenzione alle persone, una vera eccellenza del territorio Pinerolese e Italiano.
Chiara è assistente sociale presso il CISS di Pinerolo, un lavoro che è poco conosciuto e molto spesso legato a narrazioni distorte, in realtà lei ci racconta quanto sia un mestiere legato all'empatia, un lavoro che molto spesso ti porti a casa e a cui dai priorità, mettendolo davanti a famiglia e interessi personali.
L'assistente sociale si occupa della creazione di progetti di co-costruzione, di gestione di interventi a sostegno del nucleo familiare, è una figura di aiuto e crescita, che promuove l'autonomia delle persone prese in carico.
I servizi sociali per Chiara sono come una missione.
Un progetto che sta portando avanti è quello legato al Campus Osta, campo in cui vivono persone di etnia Sintu, il Campus mira alla realizzazione di progetti individualizzati per giovani e adulti, progetti di supporto alla socializzazione, al favorire l'inclusione scolastica e allo sviluppo di autonomia e indipendenza delle persone che vivono nel campo, sono progetti di politiche attive di inclusione.
È nato in Francia ed è a Cuneo da quando ha 13 anni, ha studiato come disegnatore meccanico e ha lavorato nell’ufficio tecnico Michelin per 33 anni.
Ora è pensionato, vedovo e vive con il figlio. Ha una casa in montagna ed è un grande appassionato di bicicletta da corsa, da sempre, perché gli permette di mantenere attivi testa, orientamento e fisico, in estate e inverno. La sua prima bicicletta da corsa l’ha avuta a 13 anni e oggi che ha 75 anni continua ad andare.
Quando era piccolo aiutava la mamma nel bar di famiglia, il poco tempo libero lo usava per la bicicletta.
È responsabile di un gruppo di ciclisti a Confreria e fa parte dei volontari della bici-officina de La Boa, dove ha iniziato dopo aver insegnato ad andare in bici ad un gruppo di ragazze come volontario per la cooperativa Momo.
Lavora come volontario anche nel condominio e fa l’hobbista per gli amici. Si reputa un volontario da tanto tempo, anche solo con gli amici: aiutare gli dà soddisfazione. Se è in grado di dare il proprio aiuto in base alle sue competenze, lo fa con piacere.
Da giovane gli piaceva disegnare e dipingere, ma non ha mai fatto corsi; oggi la pittura non gli interessa più. Ha deciso di studiare come disegnatore meccanico, perché il titolo gli permetteva di lavorare con il disegno, mentre la pittura non gli avrebbe permesso di sostenersi. Il suo lavoro in Michelin gli piaceva molto, anche se nei 33 anni di attività, è cambiato moltissimo, soprattutto con l’arrivo dei programmi di disegno, come AutoCAD. Quello che gli dava più soddisfazione era il poter disegnare cose che poi venivano realizzate davvero e che lui conosceva alla perfezione perché erano “sue creature”.
Quando è nato suo figlio si è dedicato alla famiglia e in particolare al figlio, perché quando aveva 10 anni ha perso la mamma.
La sua esperienza da emigrato italiano in Francia gli ha fatto capire cosa significa essere “stranieri”. Al di là della nazionalità, crede che la differenza la faccia la persona.
Viviana fa parte della Fondazione Opere Diocesane Cuneesi ed è coordinatrice di un progetto di Domiciliarità nato 6 anni fa dalla preoccupazione di una famiglia di non avere qualcuno a cui rivolgersi “nel caso succedesse qualcosa”. Questa esigenza è comune a molte persone che vivono in appartamenti senza ascensore, soli, in attesa di entrare in una residenza per anziani o con il desiderio di ritardare l’ingresso.
Oggi circa 80 persone accedono al servizio: per usufruirne è sufficiente chiamare il numero di riferimento ed effettuare un colloquio finalizzato a strutturare un progetto personalizzato. Il costo per l’assistito è molto più basso rispetto a quello delle RSA.
Il principale metodo di conoscenza e diffusione è il passaparola, ma quando si diede avvio al progetto si distribuirono anche alcuni volantini nei punti strategici.
È emerso, nel tempo, come il bisogno primario sia il desiderio di compagnia: le richieste sono legate più alla sfera relazionale ed emotiva che a quella sanitaria o di aiuto fisico. Con le persone assistite si creano rapporti di amicizia e fiducia.
Le prestazioni vanno dall’alzata del mattino all’igiene personale, dall’accompagnamento alle visite mediche alla consegna di pasti a domicilio, dalla fisioterapia alla parrucchiera, alla pedicure…Non possono coprire l’intera giornata, ma sono qualitativamente molto alte.
Presso Casa Famiglia si può consumare il pranzo in condivisione e, al pomeriggio, partecipare alle attività: qui sono nate amicizie e storie d’amore. Prima del covid era nato “1 ora da diva”, un momento in cui ci si faceva belle, un pretesto per stare insieme, divertirsi e mangiare qualche dolce. Durante il Covid si è cercato di portare avanti il progetto, nonostante le difficoltà, e oggi si cerca di ripartire come prima.
Viviana vede la Domiciliarità come il futuro e spera in una presa in carico di questa necessità anche da parte del Comune per ampliare il servizio in stretta collaborazione con le realtà che già ci lavorano.
Nicolò ha 35 anni, è geologo libero professionista. Ha studiato a Torino e lavorato per un po’ di tempo in Università, facendo ricerca con un dottorato in geotermia. È poi stato per 5 anni in Canada, a Quebec City, dove si è occupato di studi sulle potenzialità della geotermia come fonte alternativa di riscaldamento, entrando in contatto con le popolazioni autoctone dei villaggi del Nord del Quebec. Da poco è rientrato a Cuneo, sua città natale. Al suo rientro, non ha trovato la città particolarmente cambiata. L’impatto più grande è stato quello con una società diversa, in generale, da quella canadese. Ha notato comunque una maggiore presenza di piste ciclabili e di parchi. La dimensione di Cuneo e la sua vicinanza alle montagne gli hanno regalato il piacere di tornare.
Parla correntemente il francese, che ha migliorato in Quebec. Dalla sua esperienza canadese ha portato a casa la consapevolezza dell’impatto da immigrato in una società diversa, in cui tutto deve essere costruito da zero, e un diverso approccio alla vita con un minore attaccamento al lavoro lasciando spazio per coltivare hobby, passioni...
Gli piace fare sport all’aria aperta e fare volontariato, attività che risponde alla sua necessità di dedicare a qualcun altro parte del suo tempo. Collabora con la biciofficina della Boa e con l’LVIA nel progetto “Nutrire”, che prevede il recupero delle eccedenze mercatali per ridistribuirle ai più bisognosi.
In Canada, oltre al lavoro in Università, faceva il meccanico part-time in un negozio di biciclette, attività per liberare la mente in alcuni momenti della settimana, dedicandosi ad un lavoro “fisico”.
Per il futuro di Cuneo spera in più “mobilità intelligente”: una città che si muova sempre di più senza macchine grazie ad un sistema di servizi che collegano le frazioni al centro. Spera inoltre che ci sia più integrazione, che richiede sforzo ad aprirsi, conoscere, legare, uguale da parte di chi vive qui da tanto tempo e di chi arriva.
Vittorio ha 29 anni ed è nato in Cuneo Centro. È titolare del The Corner, un bar-ristorante aperto a dicembre 2021, che offre dalla colazione all’aperitivo e l’idea è di fare prossimamente anche i brunch la domenica. Tutto il background di Vittorio è stato importante per questo lavoro di imprenditore e ristoratore, che lo porta sia ad amministrare sia ad aiutare in cucina o a servire ai tavoli, insieme agli altri 12 lavoratori.
Con il bar è “ritornato alle origini”, riprendendo in mano il suo diploma all’Alberghiero di Dronero. Prima, Vittorio ha lavorato all’estero nell’ambito della finanza, prima in Germania e poi in Inghilterra, da cui ha preso ispirazione per lo stile “inglese” del locale.
Il locale ha un wifi che può essere usato da studenti e lavoratori; sotto i divanetti ci sono le prese elettriche e usb per ricaricare i propri dispositivi. La cucina è a vista, con attorno i tavoli per mangiare, la pianta è triangolare e al centro ha un albero.
La sfida è stata quella di aprire un luogo bello ed elegante in una zona difficile, con l’obiettivo di portare nel quartiere persone benestanti con un potere di acquisto e di spesa medio-alto e migliorare con questo tutta la zona.
Nel weekend si tengono alcuni eventi con dj sempre nuovi che finiscono prima della mezzanotte e rispettano i livelli di musica definiti da regolamento comunale; infatti per il momento il rapporto con il vicinato è buono. La clientela è principalmente caratterizzata da persone tra i 20 e i 45-50 anni.
Rileva che da quando si sono insediati la situazione nel quartiere è diventata migliore, anche la sera la frequentazione è aumentata e l’illuminazione del locale ha incrementato la sicurezza, anche se ciò non basta per risolvere i problemi che ci sono.
Valentina è una mamma di tre bambini e lavora come medico di famiglia a Cuneo da quasi otto anni, in uno studio insieme ad altri colleghi nel cuore del quartiere Cuneo Centro, in via Meucci.
Tra i suoi 1300 pazienti ci sono persone di tutti i tipi, estrazioni sociali e nazionalità: il suo lavoro le permette di conoscerle in modo profondo. In questi anni ha notato che la composizione dei suoi pazienti è cambiata: gli anziani “storici” del quartiere sono venuti a mancare e sono aumentati i pazienti giovani provenienti da altri stati e con cui non sempre è facile capirsi e per questo, in alcuni casi, intervengono mediatori culturali.
Inoltre spesso gli stranieri non conoscono i servizi sanitari a cui possono aver accesso, quindi una parte del lavoro del medico è anche di informarle su questi.
Il covid non ha aiutato: le persone sono molto più chiuse, insicure, spaventate, esasperate. Questo ha portato a un isolamento delle persone che non cercano più l’incontro, le situazioni conviviali e sono più ansiose e meno serene. Questo aspetto lo riscontra non solo negli anziani, ma tra i giovani che non lavorano e non studiano.
La cosa essenziale per stare bene è uscire di casa, muoversi: Cuneo è una città adatta a farlo, con tanti spazi aperti, piazze e parchi. Così facendo, le occasioni per incontrarsi, fare cose ecc. nascono di conseguenza.
Valentina, negli anni, ha imparato che bisogna avere cura di se stessi, del proprio equilibrio mentale e della propria salute, tenersi del tempo per fare cose al di fuori del lavoro, mettere dei limiti alla disponibilità verso i pazienti.
Per il futuro del quartiere vorrebbe che i tanti locali sfitti si riempissero di attività, che ci fossero bambini che giocano nei giardini, persone anziane che si incontrano e camminano per le strade con qualcuno sottobraccio.
Carlo ha 80 anni, nella sua vita a fatto il dirigente d'azienda e l'imprenditore, circa 4-5 anni conosce Sergio Rosso, presidente e fondatore della rete Asili Notturni di Torino, insieme iniziano ad immaginarsi come sviluppare lo stesso progetto sul territorio Pinerolese, però costruito in base alle esigenze di una cittadina diversa da Torino e che già ospitava e ospita tanti progetti di sostegno sociale, nasce così uno studio dentistico per le fasce più fragili, l'Asilo Notturno di Pinerolo offre quindi le sue prestazioni a chi ha bisogno di cure odontoiatriche che il Sistema sanitario nazionale non copre.
L'obiettivo è fornire cure dentistiche gratuite a tutti quei pazienti che non si possono permettere di andare dal dentista e grazie al lavoro di rete sul territorio, si sviluppano collaborazioni con altre realtà e associazioni per diffondere l'iniziativa tra chi ne può aver bisogno, particolare cura viene messa nell'aiutare famiglie numerose e bambini.
Il loro è un welfare di comunità, perché dalla salute della bocca passa sia il benessere psicologico che quello fisico delle persone, il male ai denti può compromettere digestione, cuore, circolazione, e molto altro.
"Il coraggio delle idee e la costanza nelle azioni sono il nostro modo per contribuire a cambiare il mondo. Questo semplice principio è stato il fondamento sul quale si è sviluppato il processo per la realizzazione dell'ambulatorio dentistico di Pinerolo. [...] Salvaguardare la dignità di coloro che si rivolgono agli asili notturni in cerca di sostegno è sempre stato per noi prioritario e in tal senso, i recenti progetti portati avanti dalla nostra associazione, oltre alla loro fattività e concretezza, sono davvero funzionali per una fetta di umanità fortemente fragile o marginalizzata, e solitamente ignorata dai più. Grazie alla nostra equipe di volontari professionisti, possiamo sentirci dei veri innovatori accoglienti del cosiddetto welfare no profit."
Sergio Rosso, Presidente Asili Notturni Torino
Simone è laureato in architettura, ma non ha mai fatto l’architetto con continuità, lavorando principalmente come grafico. Ha cambiato lavoro perché si sentiva chiuso in un vortice, non riuscendo a fare ciò che voleva, come voleva. Oggi lavora con l’Associazione culturale Noau, realtà che gli permette di essere parte di un gruppo con una visione comune. Inoltre è volontario nell’Associazione Origami con cui organizza eventi musicali. Continua ad essere incasinato tra le tante cose da fare, ma soddisfatto nel farle.
Per lui il detto “Fai della tua passione un lavoro e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita” è una grande falsità: è fondamentale ritagliarsi del tempo per gli interessi, per non fare nulla e per staccare la testa e trovare un equilibrio.
L’arrivo della figlia Carlotta, sei anni fa, ha modificato la vita di tutta la famiglia e lo ha portato a fare alcuni cambiamenti.
La sua passione più grande è la musica, il suo più grande rimpianto è non saper suonare. Ha messo questo interesse anche nel suo lavoro: era il “sesto elemento non suonante” di un gruppo cuneese, organizzava concerti, tour e scriveva pezzi. È stato inoltre tour manager e social media manager per alcuni artisti.
Per lui è fondamentale passare del tempo con persone diverse per entrare in contatto con altri punti di vista, confrontarsi, cambiare insieme, crescere.
Con la famiglia vive in Cuneo Centro, dove abita da quando aveva 6 anni. Frequenta il quartiere, dando una mano con le sue competenze, ad esempio disegnando il logo del Comitato. Recentemente ha potuto lavorare nella zona insieme a Noau, portando iniziative culturali inedite.
Pensa che Cuneo sia una buona “zona di comfort”, anche se il suo quartiere è un incastro non sempre facile di persone diverse per abitudini, culture, punti di vista. Vorrebbe che ci fosse più disponibilità a ragionare sulle necessità anche degli altri, non creare conflitti per cose piccole e irrilevanti: è compito di tutti impegnarsi ad ascoltare e capire, prima di giudicare.
Roberta abita nel quartiere Cuneo Centro, è mamma di tre figli, è educatrice professionale e ha sempre lavorato a contatto con la disabilità.
Quando frequentava le superiori, faceva volontariato con i disabili e così ha deciso di iscriversi al corso di formazione per educatori.
Ha iniziato lavorando, per circa un anno, nell’ex manicomio di Racconigi ed è stato molto pesante e impegnativo. Oggi segue le attività di un centro disabili a Borgo San Dalmazzo.
Roberta, nel suo tempo libero, lavora a maglia, all’uncinetto e al ricamo. Inoltre le piace realizzare i fiocchi nascita: al momento li prepara per parenti e amici. In un precedente lavoro, sempre con i disabili, aveva messo questa sua passione nell’attività e realizzato un laboratorio di cucito.
Abita a Cuneo fin da quando era bambina, ma all’epoca viveva dove oggi ci sono le piscine comunali. Quella zona un tempo era già campagna: i suoi nonni stavano lì e avevano le mucche. Anche i suoi figli sono cresciuti lì, nonostante lei abitasse in centro, perché tutti i suoi familiari vivono lì e lei torna spesso perché si sta bene.
Roberta ama molto la sua città, un amore “viscerale”: quando le capita di allontanarsi per un tempo più lungo, rientrando si sente bene guardando ciò che la circonda. Vedendo la “corona di montagne” si sente subito a casa.
Nel suo quartiere è attiva: non le piace lamentarsi, ma poi tirarsi indietro se le viene proposto qualcosa.
Per il futuro è un po’ preoccupata perché ha visto un cambiamento repentino e in negativo nel suo quartiere, oltre che in altre zone della città: negozi abbandonati, sporcizia, violenza. Spera possa esserci una maggior sicurezza e tranquillità tornando la sera da soli, soprattutto per ciò che spesso avviene sotto casa. Ha anche pensato di spostarsi, però le dispiacerebbe per i legami che ha creato nel quartiere e inoltre vorrebbe dire svendere l’alloggio perché gli immobili in zona hanno perso valore.
Riccardo è nato a Fossano nel 1935 e, dopo aver lavorato in un Autogrill per quattro anni, è stato gestore del Bar Ricky per 35 anni, dal 1970.
Quando arrivò a Cuneo, tutti gli dicevano “Non andare a Cuneo, non riuscirai ad andare avanti”: era difficile entrare nei giri di amicizie e conoscenze già esistenti. In effetti, in confronto a Fossano che era più un “paesone”, a Cuneo era difficile conoscere anche chi abitava sul tuo stesso pianerottolo.
Prima del suo arrivo, il bar prima era un’osteria, “Da Demo”: per qualche mese la gestì ancora come osteria ed era frequentata da uomini che già al mattino bevevano mezza bottiglia di vino.
Poi trasformò l’osteria in un bar e così l’attività divenne più remunerativa. Partendo dalla sua esperienza in Autogrill, iniziò a proporre alcuni cibi che si proponevano ai clienti internazionali in autostrada e a cui i cuneesi non erano abituati, come gli hot dog. Nel suo bar mise anche un microonde, comprato a Milano, tecnologia che all’epoca nessuno conosceva.
Il suo bar era un ritrovo per studenti, data la vicinanza alle scuole. Nella tavernetta, dove gli studenti che “schissavano” la scuola andavano a nascondersi, aveva inserito un jukebox.
Riccardo abitava e lavorava nella stessa zona che era bella e tranquilla: c’erano molti uffici e lavoratori.
Il suo bar apriva alle 5:00 per dare un servizio a chi partiva presto dalla stazione e chiudeva alle 20:00, presto rispetto agli altri locali presenti in città. Era un bar principalmente di passaggio, con soli due tavolini. All’epoca era anche l’unico gestore di bar di Cuneo a fare le ferie, cosa che fu motivo di critiche dai clienti che dicevano “Guarda questo che si è già fatto un sacco di soldi e può andare in ferie”.
Oggi il suo bar è gestito dal figlio e ha cambiato il nome in “Torrefazione Dotta”.
Patrizia è volontaria da circa 20 anni nella San Vincenzo, un’associazione di laici cattolici presente a Cuneo dal 1855 che promuove la persona umana attraverso un rapporto di vicinanza. Il volontariato per lei è uno strumento straordinario che educa alla carità, un’esigenza dell’uomo di interessarsi agli altri, mettendo in comune ciò che ha per partecipare alle vite altrui.
L’Associazione lavora in rete con altri enti sociali del Terzo Settore, il Comune e molte altre realtà e i suoi volontari seguono tutte le attività, non occupandosi di un solo settore. Patrizia è tesoriera, si occupa delle questioni amministrative e di emergenza abitativa (San Vincenzo mette a disposizione 5 case per famiglie in emergenza). È inoltre referente di Casa Madre della Speranza, una casa di accoglienza femminile che in 10 anni ha accolto circa 90 donne in difficoltà, talvolta accompagnate da bambini. Le donne ospitate lavorano nella stireria creata con il progetto “Donne di ferro”, un servizio gratuito per i fruitori che permette alle ospiti di fare un’azione “restitutiva”. In questo momento si occupa inoltre dell’accoglienza di alcune famiglie ucraine.
La visita in famiglia è l’attività che a Patrizia piace di più: andare a casa delle persone crea una relazione diversa, porta le persone ad aprirsi di più e ti porta anche a essere coinvolto maggiormente.
La San Vincenzo ha inoltre dei centri viveri per la distribuzione di borse con alimenti di base. Prima della pandemia, la domenica mattina, presso il Duomo, distribuivano la colazione alle persone bisognose. Quest’attività coinvolgeva i giovani a differenza delle altre che richiedono maggior tempo e costanza. Per far crescere lo spirito volontaristico nei ragazzi, la San Vincenzo ogni anno promuove nelle scuole il progetto “Nei suoi panni”: una premiazione di progetti sociali da sviluppare.
Per l’associazione sarebbe utile rinnovare i linguaggi e migliorare la presenza sui social per poter arrivare maggiormente alle nuove generazioni.
Patrizia vive in via Meucci e, da 20 anni, lavora nel suo bar in Via Silvio Pellico, che è un luogo familiare, un punto di riferimento del quartiere, dove ognuno si sente a casa sua. Ascolta le problematiche dei suoi clienti davanti ad un caffé e cerca di essere d’aiuto a tutti, anche a chi non può permettersi un panino.
Prima di gestire il bar con la sua socia Chiara, ha lavorato nella cucina di una casa di riposo e poi ha fatto pasta fresca per 7 anni.
A Patrizia piacciono le mucche, i pascoli, la montagna: i suoi genitori erano contadini e da piccola ha allevato un suo vitellino. Oggi a casa ha due gatti con cui dialoga la sera quando torna a casa. Le piace molto andare a camminare. Non le piace, invece, stirare e infatti si fa aiutare da una signora del quartiere.
A Patrizia piace Cuneo per la tranquillità e la qualità di vita, anche se pensa che per i giovani ci vorrebbe un po’ di movida in più.
È innamorata del viale di Via Silvio Pellico, le piace lo scambio etnico, anche se non è sempre facile: crede che spesso bisognerebbe mettersi nei panni di chi arriva da altre parti del mondo.
Il suo sogno nel cassetto è aprire un piccolo chioschetto su una spiaggia…non si sa mai.
Nicolò ha 26 anni e nel suo tempo libero ama vivere la montagna, soprattutto la Valle Maira perché è selvaggia, affascinante e congelata nel tempo.
È operatore dell’accoglienza in Caritas. Segue prevalentemente le attività legate al progetto Presidio, volto a combattere il caporalato e lo sfruttamento in ambito lavorativo. Lavora anche nel CAS per l’accoglienza dei profughi ucraini, allo sportello fisso di presidio del punto .Meet e in progetti di accompagnamento a persone senza fissa dimora.
Da circa un anno collabora con la Caritas, realtà che ha incontrato nel suo precedente lavoro in Diocesi all’interno del progetto Policoro, dedicato ai giovani.
Nicolò ha studiato presso la scuola agraria di Cuneo, in seguito si è iscritto a Educazione Professionale e poi ha frequentato due anni di Teologia, ma non ha terminato i percorsi iniziati. Il mondo del sociale gli è sempre piaciuto e lo ha approcciato da diversi punti di vista: come volontario in parrocchia e nell’ambito dei corridoi umanitari e come assistente alle autonomie.
Nell’ambito in cui opera, percepisce un bel lavoro di rete, una rete che sostiene tutta la mole di azioni da portare avanti. Una nota dolente è la scarsa partecipazione dei giovani, anche se, quelli che ci sono, sono molto motivati e bravi. Sicuramente è necessario cambiare il modo di comunicare per rendere appetibile e attraente per le nuove generazioni la scelta di impegnarsi nel volontariato.
Per parte sua, agli altri giovani dice: “impariamo ad ascoltare e prendiamoci il nostro spazio per chiedere ad alta voce quello che crediamo ci spetti, perché questo è il nostro tempo”.
Mauro è un ex operaio di una fabbrica di serramenti. Oggi è un pensionato con una grande passione per la bicicletta, lo sport e i viaggi. Ha scoperto la bicicletta, quando ha iniziato ad utilizzarla per andare a lavoro. Le capacità manuali, invece, le ha sviluppate grazie al suo lavoro da serramentista.
Seguendo i suoi interessi, è diventato volontario nella biciofficina de La Boa. Per lui è un’attività piacevole, soprattutto per i sorrisi che riceve quando aggiusta una bici.
Ha sempre viaggiato, spinto dalla curiosità di scoprire sempre posti nuovi. Prima si muoveva in vespa o in moto dormendo in tenda, poi in albergo e infine con il camper, con cui ha girato tutta l’Europa e gli permette di fermarsi ovunque voglia. Anche quando è in vacanza, non si dimentica la bicicletta: la usa per spostarsi da dove parcheggia il camper alle spiagge o alle città da visitare.
Prima di vivere a Cuneo, Mauro abitava in una frazione. Il cambiamento più grande da affrontare è stato quello di non vedere mai chi abita di fronte a te. Con il tempo, ha imparato ad occupare solo i suoi spazi, senza condividere troppo con gli altri. Pur non vedendosi tra vicini, a Cuneo si sa sempre tutto di tutti: la mentalità è tanto “da paesino”, soprattutto in relazione ad alcuni personaggi.
Mauro apprezza le comodità della città: piste ciclabili che ti permettono di lasciare la macchina ferma per settimane.
Apprezza molto i Paesi del Nord, caratterizzati da una forte cultura eco-sostenibile. A Cuneo non ci sono ancora la mentalità e le infrastrutture giuste, anche se gli spazi ci sarebbero: Mauro sogna un cambiamento in questa direzione per la sua città. Immagina un sistema di parcheggi di testata con un servizio di navette che portino in centro e permettano di lasciare l’auto in periferia e una rete di piste ciclabili che colleghino tutte le frazioni.b
Matteo ha 23 anni, da quando ha cinque anni abita a Cuneo, in via Silvio Pellico. Per questo motivo ha vissuto tutte le evoluzioni del quartiere, rendendosi conto che la situazione e gli abitanti sono cambiati molto. Le attività storiche si sono spostate o hanno chiuso e sono state sostituite da attività etniche. Cambiando i negozi, si è modificata anche la frequentazione.
Alle superiori ha frequentato l’I.T.I.S., scuola che non gli è piaciuta per niente. Poi ha deciso di andare all’università e studiare comunicazione, una delle sue passioni. Un’altra è il calcio: gioca in una squadra fin da quando era bambino. Il suo sogno sarebbe unire le cose che gli piacciono e occuparsi di comunicazione sportiva, diventando il social media manager di una squadra calcistica importante. Nel suo piccolo ha iniziato a farlo per il Caraglio, la sua squadra.
Ritiene che il Social Media Manager sia un lavoro importante per aiutare le attività ad essere presenti su Internet, perché oggi qui avvengono tutte le ricerche.
Essendo nel quartiere da quando ha 5 anni, Matteo vede la “Cuneo per i giovani” molto altalenante: ci sono alcuni eventi per i giovani, ma gestiti e organizzati non con continuità. Tra i giovani è diffusa l’idea che Cuneo sia una città per i vecchi, dove prevalgono gli ostacoli alla possibilità di fare festa la sera e non ci sono altre possibilità di fare cose diverse dal mangiare e bere qualcosa in un locale o andare in una delle poche discoteche rimaste. Manca un vero luogo di ritrovo riconosciuto in cui fare qualcosa di diverso. A Matteo piacerebbe ci fosse un appuntamento fisso ogni settimana attrattivo per i giovani, nello stesso spazio, che potrebbe diventare per i ragazzi un punto di riferimento.
Matteo non vorrebbe vivere in un posto diverso da Cuneo, per la sua posizione vicina a montagne e mare, per il suo clima, per il suo essere “città-non-città”, con una dimensione giusta perché si possa stare in tranquillità e anche per le persone un po’ chiuse, ma piacevoli.
Matteo è un tatuatore da più di 25 anni, quando non era nemmeno considerato un vero lavoro, ma per Matteo è molto di più: l’ha aiutato ad affrontare il mondo.
Ha trasferito il suo negozio in Via Silvio Pellico nel 2017, perché aveva bisogno di alberi, verde e quiete: dove stava prima c’era troppo chiasso.
In merito alle problematiche di quartiere, Matteo pensa che, in realtà, i problemi ci siano dappertutto e che il problema vero sia far sempre finta di non vedere o guardare solo per poi giudicare, mentre bisognerebbe saper ascoltare per abbattere i muri.
Grazie al suo lavoro, è entrato in contatto anche con situazioni “estreme” e ha imparato a coglierne il lato positivo: la multietnicità della zona gli ha permesso di conoscere tante persone, usi e costumi, sensi estetici, simbologie diverse, situazioni molto stimolanti. Il suo mondo è fatto di immagini, simboli, culture: quando può incontrare culture differenti, gli si spalanca un mondo.
Si definisce molto curioso. Oltre che per i tatuaggi e il disegno, ha una grande passione per la musica: definisce la sua vita come una grande colonna sonora.
Gli piace inoltre andare in bici, isolarsi, stare nei boschi e in tutti quei luoghi che gli permettono di staccare la spina e uscire per un po’ dalla quotidianità.
Ha tante idee che gli piacerebbe sviluppare nel suo studio, aprendo alcune attività al pubblico.
Sogna un grande concerto (o tanti concerti diffusi) in una via Silvio Pellico chiusa al traffico, con persone che si incontrano, si scambiano punti di vista e una grande jam session finale.
Perché non unire le idee? Se si è in tanti, il peso dell’organizzazione diventa più gestibile.
Mariella lavora per la Cooperativa Sociale Orso; a Cuneo, è la coordinatrice del progetto e luogo Città dei Talenti, nato da un bando in cofinanziamento tra l’Impresa Sociale Con I Bambini e la Fondazione CRC. In quel periodo alcune organizzazioni in Provincia di Cuneo stavano lavorando sull’orientamento precoce e questa è stata l’occasione di creare un luogo fisico dedicato al tema.
La Città dei Talenti, situata al primo e secondo piano del Rondò dei Talenti, mette insieme 17 partner tra cooperative e agenzie formative, che collaborano per organizzare attività volte a sviluppare una riflessione sull’orientamento a partire dal tema dei talenti destinate alle classi terze e quarte della scuola primaria e prime della secondaria di I grado. L’obiettivo è aiutare bambini/e e ragazzi/e (dai 7/8 anni) a esplorare i loro talenti, capire le loro predisposizioni e attitudini che in futuro possono guidare le loro scelte: infatti chi trova la strada giusta, non la abbandona.
A Città dei Talenti si può accedere per diverse attività: il percorso esperienziale con il gruppo classe o come singoli, laboratori, ecc. Tutta l’offerta è disponibile su www.cittadeitalenti.it, e ci si può anche iscrivere alla newsletter per rimanere aggiornati.
Chi accede allo spazio può fare un viaggio per scoprire soprattutto i talenti che non conosce: ognuno di noi naturalmente ne possiede almeno cinque. Inoltre si possono scoprire lavori meno conosciuti, in ambiti diversi da quelli normalmente presentati.
Il messaggio che si vuole trasmettere è che l’importante è fare bene le cose che ci piacciono, al di là dello “status” che nella società i vari lavori hanno.
Margherita è nata a Polonghera il 26 febbraio 1925 da una famiglia di nove fratelli e sette sorelle avuti da due madri diverse (tra loro sorelle), in una cascina in campagna.
Custodisce molti ricordi legati alla guerra partigiana, che toccò da vicino la sua famiglia.
A 21 si è sposata e ha fatto la mugnaia per vent’anni, a Osasio (TO), in un mulino tradizionale alimentato dalla forza motrice dell’acqua.
La sua prima figlia, Luigina, ha lavorato per molti anni all’Ospedale Santa Croce a Cuneo e viveva nel convitto dell’ospedale. Per lei, Margherita e il marito si sono poi spostati a vivere a Cuneo.
Negli anni ’60-’70 Cuneo finiva dove c’era l’Ospedale e di quel periodo si ricorda il Cantagiro a Cuneo. In quell’epoca si costruirono molti palazzi che sostituirono le cascine. Nel vicinato gli abitanti erano molto uniti, ci si conosceva tutti. Margherita potrebbe raccontare aneddoti su ciascuno di loro.
Luca è un agente di commercio in un ingrosso di formaggi e salumi. Da alcuni anni ha scelto di andare al lavoro in bicicletta: da San Rocco Castagnaretta a Confreria, tutto l’anno, 15 km tra andata e ritorno, con tutto il necessario per ogni condizione meteo.
Passando dal Movicentro, ha iniziato a notare alcuni stranieri che si mettevano a posto la bici ma spesso erano in difficoltà anche nel fare piccole cose, più volte ha pensato di andare ad aiutarli. Poi è venuto a conoscenza dell’esistenza della bici-officina e così ha deciso di collaborare come volontario dando una mano con le poche competenze in suo possesso e mettendosi in gioco.
Con il servizio in bici-officina, ha la possibilità di impegnarsi per fare qualcosa per chi ha bisogno, rendendo concrete quelle che spesso sono solo parole. Inoltre dal confronto con i frequestatori di questo spazio, impara ogni giorno qualcosa: loro fanno davvero i chilometri pedalando tra casa e lavoro. Prendendo esempio da loro, la bicicletta potrebbe diventare il principale mezzo di trasporto ogni volta che è possibile sostituirla alla macchina.
Per Luca la bicicletta è una passione, poi è diventata mezzo di trasporto: lo rilassa e gli permette di avere del tempo per sé. Nella mezz’ora che impiega per andare a lavoro pensa, incontra e saluta altre persone; piccoli aspetti che diventano parte della sua routine.
Per lui la bicicletta dovrebbe diventare uno status symbol, in grado di attrarre anche i giovani, come oggi lo sono l’iphone o la macchina: pulita, economica, silenziosa. Forse un problema è che non sostiene il consumismo.
Lui ama pedalare per il Parco Fluviale, che offre scorci bellissimi da godersi e che consiglia a tutti.
Spera che Cuneo rimanga il “paesone” che ora è, con persone che si conoscono e si salutano e con tante piste ciclabili.
Helen è nata in Ecuador nel ’79 ed è in Italia da 14 anni. Quando è arrivata, non conosceva né la lingua né il Paese. Ha iniziato facendo tanti lavori differenti tra cui la badante e la baby-sitter.
In Ecuador ha avuto una figlia, che ora ha 19 anni, poi qui in Italia si è spostata e ha avuto un altro figlio.
Oggi gestisce un locale, il Chicken King, in via Silvio Pellico, che ha rilevato nel 2018 inseguendo il suo sogno di lavorare nella cucina, ma non sapendo nulla su come gestire l’attività. All’inizio si è sentita un pesce fuor d’acqua e negli anni ha avuto anche momenti difficili e tanti ostacoli da affrontare e superare. Sente che ancora oggi non ha raggiunto quello che sognava per il suo locale.
La cucina che propone è ecuadoriana e domenicana (pollo fritto, pesce, gamberi, chevice, empanadas, platano) ed è apprezzato dagli altri sudamericani che vivono a Cuneo. Gli italiani invece non la conoscono ancora abbastanza.
Quando ha aperto il suo locale, si aspettava maggiore apertura da parte degli abitanti. Invece si è trovata ad affrontare uno scontro tra abitudini locali e modo di vivere sudamericano (aperto, rumoroso, con musica ecc.). Con il tempo, sta riuscendo ad adattarsi al contesto in cui si trova, controllando maggiormente la sua clientela.
Sono stati tanti i momenti in cui ha pensato di andarsene e mollare, ma è difficile staccarsi da qualcosa che si è creato.
In futuro spera che i residenti possano vederla con occhi diversi, non solo per il rumore creato dal suo locale, ma anche per il suo impegno come lavoratrice e impreditrice, rispervandole maggior rispetto. Helen vorrebbe che il quartiere si popolasse di nuove attività in grado di riempire i locali vuoti e creare un luogo vivo, ma anche maggiormente sicuro e controllato.
A tutte le persone che vivono nel quartiere, Helen vuole lanciare un invito a venire conoscerla e ad assaggiare i suoi piatti (dice che il suo pollo è il migliore di Cuneo!).
Guido ha 66 anni ed è in pensione da un anno e mezzo. Ha lavorato in Posta per 35 anni, occupandosi delle spedizioni e interagendo con il pubblico allo sportello.
Ha vissuto 3 anni a Roma in una comunità internazionale e un anno e mezzo a Torino. Andandosene ha aperto la propria mente e capito che Cuneo non è che un puntino del mondo.
Fin da giovane ha deciso di dedicare parte del suo tempo libero al volontariato. Ha svolto il servizio civile in Caritas come alternativa alla leva militare, occupandosi di prima accoglienza e di attività parrocchiali per i giovani. Oggi è volontario alla bici-officina del progetto La Boa. Ha scelto questa attività perché voleva impegnarsi in un contesto “laico”, non legato al mondo religioso, lontano dal dare insegnamenti.
Nel restante tempo libero si dedica alla manutenzione della sua casa e all’apicoltura, per la quale ha ereditato la passione da suo suocero. Nell’apicoltura non si finisce mai di imparare, ogni volta è come andare a scuola per entrare nella mentalità delle api.
Per il futuro di Cuneo vorrebbe idee nuove che permettessero di recuperare realtà aggregative che oggi rischiano di scomparire.
Lucrezia e la sua collega gestiscono come associazione culturale “Gioie di Creta” una bottega in cui vengono prodotti manufatti artistici in ceramica e svolte attività didattiche.
Lucrezia è pugliese e fa l’insegnante a Cuneo, dove vive da alcuni anni. Ha studiato restauro all’Accademia di Belle Arti di Milano e qui entrata in contatto con il mondo della ceramica.
I primi anni a Cuneo svolgeva il lavoro al tornio a Torino, dove condivideva la sede con altre associazioni culturali che mettevano i loro spazi a disposizione di artisti. Nel 2016 ha dato vita all’associazione a Cuneo, con cui svolge prevalentemente attività didattica: I suoi workshop, della durata di una o massimo due giornate, non sono tanto professionalizzanti, quanto ludico-creativi. Dall’utilizzo di semplici strumenti nascono oggetti strani, imperfetti, ma che custodiscono la personalità di chi li ha creati. Le attività sono rivolte a tutti dagli 8 anni in su e si collocano nel periodo tra settembre e giugno. Organizzano anche apposite attività per le scuole.
La bottega è nel quartiere Cuneo Centro ed è frequentata da chi la cerca appositamente e non da chi ci si imbatte per caso.
Secondo Lucrezia il quartiere ha una buona potenzialità, ma necessita di essere rivalutato e non abbandonato. Vorrebbe che attività come la sua fossero scoperte anche da chi frequenta il quartiere. Il rapporto con il vicinato è ottimo e qui si respira quell’umanità che in altri posti è difficile da trovare: ci sono piccole botteghe, negozi e attività di vicinato che è importante preservare.
Gianluca è un artista e un compositore di musica per strumenti elettronici e acustici. La sua attività l’ha portato a viaggiare tanto, ma ha poi deciso di tornare a Cuneo, dove insegna al conservatorio. Con la famiglia vive nell’unica via di Cuneo che “non quadra”, la “diagonale”. Le situazioni troppo regolari, del resto, non gli sono mai piaciute: qui c’è tanto di trasversale e questo è sia un limite che un’opportunità.
Il locale Kebap sotto casa ha aperto quando lui è arrivato e Gianluca è diventato amico del gestore: queste sono le opportunità della diversità, una salvezza contro un pensiero sterile che non segue il ritmo a cui sta andando il mondo.
La casa in cui vive era stata acquistata dai suoi genitori, trovata “per caso” entrando nell’agenzia immobiliare sbagliata. All’epoca, ci viveva la sorella dei Fratelli Vaschetto, partigiani morti per la libertà. Questa memoria storica gli ha trasmesso angoscia e energia allo stesso tempo e così ha messo lo studio in casa perchè l’arte, come la libertà spesso sembra inutile, ma è indispensabile come l’aria.
Il lavoro lo porta a essere spesso fuori città per tessere legami e relazioni che non si possono creare a Cuneo. Però è contento di aver viaggiato prima ed essere tornato a Cuneo che reputa ottimo posto per diverse cose: per crescere i propri figli, per essere creativi. Spesso sono gli stessi cuneesi a non rendersi conto di questo; c’è un “understatement” diffuso che vede sempre migliore quello che c’è fuori.
È affezionato all’isolato in cui vive: è una zona “vera”, però purtroppo c’è una carenza di spazi per stare insieme e fare socialità, al di fuori degli spazi commerciali.
Vivendo qui ha dovuto abituarsi a lavorare con il rumore, cosa non sempre semplice. Crede che la trasformazione del quartiere debba avvenire passando dalla condivisione e dalla conoscenza, mettendosi sullo stesso piano, diminuendo la paura e dandosi regole comuni. Solo se ogni residente si metterà in gioco creando un terreno comune rispettato e condiviso, si potrà arrivare ad un clima positivo.
Franco è stato funzionario europeo e ha vissuto in Belgio per oltre 30 anni. Quando è rientrato a Cuneo, ha scoperto una provincia più ricca di qualità di quanto possa sembrare dall’esterno, ma ancora poco aperta sul mondo e con scarse capacità di relazione sia all’interno che fuori. Come la definisce lui, Cuneo è una “provincia talpa” che lavora molto e mette poco il naso fuori.
Franco ha studiato filosofia e ha insegnato per qualche tempo prima di partire per il Belgio. Poi è stato a Roma, dove ha raccolto l’esperienza belga con i migranti, occupandosi di accoglienza ai tempi della Legge Martelli. Per alcuni anni ha collaborato con il Gruppo Abele a Torino. Nel 2005 ha fondato, insieme ad altri amici, l’Associazione per l’Incontro delle Culture in Europa (APICE) con l’obiettivo di raccontare il mondo, in particolare l’Europa, e semplificarne le complessità altrimenti difficilmente percepibili. APICE fa formazione, scrive articoli per i giornali piemontesi e organizza attività nelle scuole per sensibilizzare ai valori dell’Unione Europea; la sua sede si trova, non a caso, a Cuneo in un’area densa di istituti scolastici.
In una stagione di comunicazione orizzontale e volatile, crede che sia importante che i giovani leggano libri, strumenti di “penetrazione verticale” che trattano un tema in profondità. Il libro è stato un grande veicolo della costruzione europea e ha fatto la modernità dell’Europa.
Franco reputa che i cittadini di Cuneo e del cuneese siano “Europei a loro insaputa”: non hanno ancora capito che le frontiere non sono muri, ma saldature tra popoli.
Per lui la Cuneo del futuro esiste già, deve solo esserne cosciente, aprire le finestre verso l’esterno e dare la parola alle giovani generazioni, ma in un dialogo intergenerazionale, perché senza storia è difficile immaginare il futuro.
Longboard Crew Italia, nasce da un gruppo di appassionati di skateboard, con la voglia di trovarsi e praticare insieme divertendosi. Non è un caso se il loro motto è "sport, amicizia, divertimento".
Da gruppo Facebook per organizzare le uscite in tavola, si trasformano in associazione per poter partecipare ad eventi e manifestazioni e per poterne organizzare loro stessi. Nasce quindi un'associazione sportiva che oltre a fornire insegnamenti e organizzare eventi in tavola, si occupa di progetti sociali anche nelle scuole.
Lo sport, la tavola e il gruppo, diventano il mezzo attraverso cui generare inclusione sociale, creare senso di appartenenza e sviluppare cittadinanza attiva. L'obiettivo è valorizzare l'unicità, facendo delle diversità un punto di forza da apprezzare e sviluppare.
Ad oggi, i progetti portati avanti da Longboard Crew Italia sono progetti di diffusione della pratica sportiva nelle scuole e per le strade, lotta alla dispersione giovanile, educazione civica e partecipazione sociale, sviluppo di capacità e autofomazione di competenze attraverso lo sport e il lavoro di squadra.
Sono tanti i progetti di insegnamento gratuiti e accessibili a tutti, finanziati anche grazie ai corsi e ai laboratori a disposizione per ogni livello ed età.
Francis arriva dalla Nigeria ed è in Italia dal 2016. I primi 4 anni ha vissuto a Borgo San Dalmazzo, in un centro di accoglienza. Pur avendo riscontrato alcune difficoltà, è riuscito a superarle più velocemente di altri.
All’inizio ha seguito corsi di italiano ottenendo il certificato A2. Pur avendo la maturità, ha dovuto frequentare la scuola serale a Cuneo per avere il diploma di terza media. Contemporaneamente ha frequentato un corso di falegnameria a Savigliano.
Quindi ha prestato servizio civile in Croce Rossa a Borgo San Dalmazzo, dove continua a collaborare. Dopo aver frequentato un corso, nel 2020 ha iniziato a lavorare come mediatore interculturale, lavoro che per lui è un modo per aiutare coloro che vivono oggi quello che lui ha vissuto alcuni anni fa. Si è iscritto ad un corso da OSS per poter essere di supporto fisico e morale a chi ne ha bisogno. Oggi lavora nella Casa di riposo di Robilante: il suo lavoro gli piace molto.
Come mediatore interculturale collabora all’interno del progetto La Boa per l’associazione Spazio Mediazione Intercultura. Inoltre aiuta i volontari della Biciofficina a entrare in relazione con gli stranieri che si presentano per richiere una bicicletta o far aggiustare la loro. Anche questo lavoro per lui è facilitazione: infatti la bici è il mezzo che gli stranieri utilizzano per andare a lavorare nei campi.
Nel 2019 ha anche preso la patente, cosa che gli ha permesso di essere ancora più attivo in Croce Rossa.
Francis oggi è felice del suo percorso e di quello che sta facendo. Dopo sei anni e dopo tante trafile, ha ottenuto un permesso di soggiorno per due anni, documento che gli permette davvero di poter pensare al suo futuro.
Francis vede un miglioramento nelle trasformazioni di Cuneo Centro. Se tre anni fa era diventato un posto “maledetto”, dove lui stesso aveva paura a venire, oggi vede più convivenza e comunicazione e meno discriminazione e disuguaglianza. In generale trova il quartiere più vivo e meno frequentato da nullafacenti. Si augura che per il futuro la situazione possa ulteriormente migliorare.
Romeo ha un sogno, vuole diventare un attore. Gli piacerebbe diventare il protagonista di un film d’azione, anche se predilige il genere horror alla Dario Argento. Non ha avuto una vita molto semplice, ma ora vive con 4 persone in un appartamento gestito dalla Cooperativa Biosfera, tra cui Enza, che è diventata la sua compagna. Insieme vanno al mare, nuotano e condividono molti interessi, tranne il ballo, perché Romeo non ama ballare. Pare abbia anche una bella voce, ma non ama esibirsi.
Lorenzo è un ragazzo di 21 anni, con la passione per il rap e la trap. Ha un produttore e un team che lo seguono nel suo progetto musicale, che comincia a dare i primi risultati. Vive in un alloggio gestito dalla Cooperativa Biosfera, con altre 4 persone, con le quali va d’accordo, anche se con alti e bassi. Ha conseguito un diploma di perito aziendale e ha frequentato un corso prelavorativo ad Avigliana per diventare un magazziniere e sta studiando per ottenere la patente per poter finalmente cercare un lavoro. È un ragazzo un po’ solitario che ama trascorrere il tempo libero, dopo aver svolto i suoi turni di lavoro in casa, ascoltando la musica, componendo e giocando alla Play Station. Ama il calcio, infatti da ragazzino ha giocato in alcune squadre, ma per via del covid, ha dovuto interrompere l’attività fisica che vorrebbe riprendere per rimettersi in forma e trovare una nuova squadra.
Vincenza vive da un anno in un appartamento gestito dalla Cooperativa Biosfera, con altre 4 persone. Nonostante la sua non sia stata una vita facile, Enza, come preferisce farsi chiamare, è una donna con una vitalità invidiabile. È molto brava nei lavori domestici, che le piacciono molto. Quando si organizzano attività di gruppo non si tira indietro e collabora con tutti volentieri. Coltiva la passione per le gite nei dintorni della città, ma anche viaggi in Italia. Ha visto Venezia e quando può va al mare con Romeo, il compagno conosciuto nella casa. Cucina, ama il cinema, sa ballare la tarantella ed il tango argentino e le piace passeggiare per il centro e guardare le vetrine di abiti nei giorni feriali, quando c’è poca gente.
Marissa è originaria di Lima, con il marito ed i figli si è trasferita a Torino da pochi mesi, congiungendosi al resto della sua famiglia, che vive qui da più tempo. È psicologa e in Perù ha lavorato presso il ministero della pubblica istruzione, nella selezione del personale addetto alla scuola. Ha anche svolto attività di supporto psicologico per bambini con disabilità e prima della laurea ha conseguito un diploma in amministrazione, che le ha permesso di lavorare, nell’ambito del ricevimento clienti e contabilità. Ha due bambini e sta cercando di organizzare la sua nuova vita in Italia. Le piacerebbe vedere riconosciuto il titolo di studio conseguito in Perù e ricominciare a lavorare, riuscendo ad affidare i suoi figli in mani sicure ed esperte, durante la sua assenza. Ama leggere romanzi impegnativi, vedere film con suo marito e soprattutto occuparsi dell’educazione dei suoi bambini. In particolare in Perù accompagnava la sua bimba più grande a vedere musei, assistere a rappresentazioni teatrali, perché’ pur avendo solo nove anni, è una giovane artista che ha girato pubblicità ed è stata protagonista di un film ambientato nella foresta peruviana. Il sogno di Marissa, oltre a contribuire a mantenere la sua famiglia, sarebbe quello che la figlia continuasse la sua carriera e potesse riprendere la sua formazione, frequentando corsi di ballo e recitazione, che però hanno dei costi elevati. Marissa è anche un’abile cuoca specializzata in cucina peruviana, ma sta imparando anche a cucinare piatti italiani.
Francesco è presidente del Comitato di Quartiere Cuneo Centro dal 2021 e risiede a pochi metri dalla sua sede.
È economista del lavoro, analista di dati, studioso di fenomeni socio-economici e lavora nel centro studi di Fondazione CRC.
Da quando è nato il Comitato (inizialmente come gruppo informale), è attivo nella vita di quartiere. È un impegno oneroso, ma le dinamiche del quartiere l’hanno appassionato fin da subito e spinto a investire parte del suo tempo libero per risolvere problemi e raccogliere proposte.
Trova utile e prezioso per tutti avvicinarsi alla vita del quartiere perché questo può avere impatti positivi nella quotinianità, nelle relazioni, nel sentirsi parte di una comunità più grande.
Al di là del direttivo, il comitato è aperto a incontri, scambi e dialogo con tutti gli abitanti; organizza momenti in cui raccogliere le voci di chi abita questa zona per indirizzarle, se serve, verso l’amministrazione o verso chi è competente rispetto ai temi trattati.
In estate, il giovedì, il comitato diventa una sorta di “sportello cittadino”: per un’ora si mettono alcune sedie fuori, ci si confronta su come è andata la settimana e si esprimono necessità e proposte. Le problematiche vengono raccolte e diventano argomento per cui immaginare possibili soluzioni da portare all’amministrazione comunale.
Nel gestire i cambiamenti in atto, Francesco trova difficile riuscire ad avere sufficienti informazioni per comprenderli, valutarli e poter attivare servizi e presidi che se ne occupino.
È compito di chi può farlo, anche solo in termini di tempo, provare ad accompagnare questi cambiamenti segnalando i conflitti da risolvere e ricercando le competenze necessarie a farlo.
Tra qualche anno immagina il quartiere con le stesse diversità attuali: bisogna cercare di stare nel cambiamento, essendone parte nel modo più virtuoso possibile. In questo il comitato continuerà ad avere il ruolo di collettore con l’obiettivo di alimentare gli scatti positivi degli abitanti nel vivere le trasformazioni in atto.
Fana viene dal Senegal e vive nel quartiere Cuneo Centro da 22 anni. Ha un marito e tre figli di 20, 18 e 13 anni che sono nati a Cuneo e sono ben integrati. Non hanno mai avuto problemi a scuola o a casa e hanno molti amici italiani. In casa si parlano diverse lingue (italiano, senegalese e il loro dialetto) mischiandole tra loro.
Quando è arrivata a Cuneo, gli africani erano pochi e ha imparato l’italiano per riuscire a inserirsi meglio.
Oggi Fana lavora con la Cooperativa Fiordaliso nel progetto SAI di accoglienza, imparando moltissimo sulla realtà e sulla sofferenza delle persone. Così ha capito di essere più fortunata di altri.
Inizialmente arrivavano solamente uomini; lei si occupava di aiutarli a capire come muoversi per fare la spesa, avere i documenti necessari e comprendere le abitudini italiane.
Fana trova faticosa comunicare con le persone da accogliere quando non capiscono che le numerose domande servono ad aiutarli. Il loro modo di fare prepotente deriva dalle storie difficili che li hanno portati a non fidarsi degli altri: ci vuole tempo per costruire un rapporto che li porti ad aprirsi e a raccontare il loro vissuto.
Un’altra parte del suo lavoro prevede il confronto con le mamme e i bambini e questo le piace molto.
Di Cuneo ama la tranquillità, ma non le piace la chiusura, anche se è meno marcata di 20 anni fa. Il problema è che ancora si fa fatica a capire che siamo tutti uguali: per esempio, molti proprietari di case non vogliono affittare ad africani.
Le piacerebbe che i cuneesi fossero più disponibili a conoscere le persone straniere, che ci fossero più spazi dedicati ai giovani e ai migranti per organizzare attività di comunità e più facilità nelle pratiche burocratiche.
Del Senegal le mancano la famiglia e la vita in un ambiente tranquillo, ricco di persone e aperto. Ha sempre detto di volerci tornare, ma lo farà solo quando i figli saranno completamente sistemati ed è consapevole che, ritornando, sarà difficile reintegrarsi, perché quando vanno là in vacanza si sentono come emigrati in Senegal.
Fabiano ha 26 anni, ha studiato lingue a Genova e in Germania, dove è stato in Erasmus. Conosce l’inglese e il tedesco, appresi all’università, e anche un po’ di spagnolo. Anche se si è appena laureato, ha già insegnato lingue e crede che sia il lavoro che fa per lui.
Gli piace molto viaggiare e scoprire nuove culture: si sente un “mediatore naturale”.
I Paesi, scoperti in viaggio, che ama di più sono quelli che si affacciano sul Mediterraneo: Italia, Croazia, Grecia, Turchia e Francia Meridionale. Spera di poter andare preso anche in Spagna.
Gli piace la musica e, da alcuni anni, segue dei corsi di ballo (hip hop e dance hall). Ama cucinare e ha una passione per le macchine, anche se si ritiene una persona attenta all’ambiente.
Abitava nel quartiere Cuneo Centro prima di andare a studiare a Genova. Questo gli ha permesso di apprezzare il valore ed il potenziale della propria città: le due visioni della città “da dentro” e “da fuori” sono molto diverse. Oggi trova Cuneo più aperta e “colorata” dal punto di vista delle persone che la abitano. Ne apprezza la tranquillità e i ritmi “da paese”, il fatto che sia una realtà protetta e la vicinanza con il contesto naturale che dà tanto respiro. Nonostante la riscoperta dei valori della sua città, si sente più a suo agio a vivere in una città più grande.
Gli piacerebbe riuscire a vivere di più il quartiere di Cuneo Centro perché lo vede pulsante di vita, anche se ricco di complessità.
Enrico è il direttore della Caritas Diocesana di Cuneo, il cui scopo è tradurre in atti concreti la proposta del Vangelo in particolare nell’ambito della carità.
La Caritas si occupa di sostegno alle persone povere e in difficoltà in un’ottica di profonda umanità svincolata da qualsiasi interesse.
Cuneo Caritas coopera con Comune, Prefetture, Enti del Terzo Settore, servizi sociali e Croce Rossa. Raccorda le Caritas parrocchiali, diffuse sul territorio, per creare una rete di accoglienza. Gestisce una mensa, alcuni dormitori e un centro vestiario. Tutti i servizi sono coordinati dal centro di ascolto, che si occupa di incontrare le persone, accoglierle e capirne le necessità per accompagnarle in un percorso di autonomia.
I dati raccolti dai centri di ascolto, analizzati da un osservatorio, fanno emergere che le problematiche principali sono la casa, il lavoro (sottopagato e in condizioni difficili) e l’istruzione da cui derivano povertà, bisogno di cibo e vestiario.
Al di là dei servizi (“opere segno”) sono attivi diversi progetti in rete con realtà locali:
Inoltre Caritas propone momenti che calino i giovani nel vivo delle attività assistenziali presenti sul territorio. Quest’esperienza li apre a una comprensione più profonda dei bisogni dell’altro.
Il lavoro di sensibilizzazione viene portato avanti anche nelle scuole, dove, attraverso l’alternanza scuola-lavoro e alcuni incontri, si informano le classi sui bisogni legati alla povertà e alle migrazioni.
L’Ente è sempre desideroso di accogliere proposte nuove, provenienti da singoli, da parrocchie o altre realtà; a prescindere dal prezioso apporto dei volontari, c’è sempre bisogno di idee e di “creatività” che possono e devono arrivare da tutti, soprattutto dai giovani.
Cristina ha 36 anni, è un’educatrice professionale e, dal 2019, vive nel quartiere Cuneo Centro con il marito e la figlia di 9 mesi.
La sua passione per aiutare gli altri, che la caratterizza fin da quando era bambina, l'ha spinta a scegliere la professione di educatrice. Per anni, ha lavorato con gli adolescenti in una comunità per minori, mentre oggi lavora con gli adulti, prevalentemente nel centro storico di Cuneo.
Cuneo per lei è cambiata molto e in meglio, rispetto a quando era piccola. Come mamma, vorrebbe però che ci fossero ancora più occasioni educative per i più piccoli.
A Cristina piace leggere e ascoltare musica. Vorrebbe che, nel suo quartiere, venissero organizzati eventi culturali o che aprissero locali in cui poter chiacchierare, prendere dei libri, godere di piccoli eventi culturali per tutta la famiglia.
Cuneo, per lei, è una città tranquilla, adatta alle famiglie, ma non molto attrattiva per i giovani. Vorrebbe che aumentassero le iniziative di integrazione per le persone straniere, così come di inclusione per chi ha disabilità.
Vorrebbe che non ci fossero “ghetti”, mentre spesso oggi è ciò che avviene.
Chiara abita a Borgo San Dalmazzo con un marito e due figli. Dal 2001 lavora negli Asili Nido; oggi è educatrice e coordinatrice dell’Asilo nido comunale I Girasoli e del Micronido Le Primule, in Via Silvio Pellico. Il nido, che è il primo ad essere aperto a Cuneo, ha una capienza di 75/80 bambini lattanti, semi-divezzi e divezzi, dai 3 mesi ai 3 anni di età. Il Micronido ha 24 bambini da 1 a 3 anni.
L’asilo supporta le famiglie nell’educazione dei figli e nell’inserimento sociale nell’ambiente che li circonda, con un’équipe di educatori e ausiliarie che fanno parte della ditta Sodexo Italia.
Le famiglie che accedono provengono da tante culture diverse: la priorità dell’asilo è l’integrazione e l’inclusione, che raggiungono anche grazie a mediatori culturali che sono di supporto nella comunicazione.
L’asilo nido è un punto fermo che risponde ai bisogni primari, in un percorso di relazione tra personale e famiglie che spesso porta ad instaurare rapporti molto belli con una valenza educativa forte. Negli anni la richiesta è sempre più alta e non si riesce a dare risposta a tutta la domanda.
L’asilo è fortemente legato al territorio, così come gli altri nidi comunali della città (che in totale hanno 200 posti): tutti gli iscritti provengono dalle aree circostanti.
Tutte le informazioni nenecessarie per iscrivere i propri figli si possono trovare sul sito web del Comune di Cuneo: l’accesso in graduatoria permette quasi sempre di entrare nei nidi, solitamente a settembre. Il servizio è a pagamento, in base all’ISEE.
L’asilo è “aperto” al quartiere tramite il giardino dei nidi, che può accogliere attività e pubblico al di fuori dell’orario di apertura ordinaria.
Chiara vede nel quartiere una sempre maggiore inclusione: una strada aperta dai progetti realizzati nella zona e che dialoga anche con l’asilo nido.
Cecilia ha quasi 25 anni, ha frequentato il liceo linguistico a Cuneo e si è laureata al triennio in Comunicazione Interculturale a Torino. Lavora da un paio di anni con la Cooperativa MOMO: ha iniziato con il Servizio Civile nel centro aggregativo della Casa del Quartiere Donatello e nel progetto SAI. Attualmente lavora nel quartiere Cuneo Centro: in una casa che ospita due donne del progetto SAI e in un’altra che ospita alcuni uomini che lavorano e sono inseriti nel progetto Accoglienza diffusa 2.0.
Grazie al Servizio Civile, si è completamente immersa in ambiti che pensava potessero essere interessanti per lei e, una volta avuta la conferma delle sue sensazioni, si è potuta inserire gradualmente nel suo attuale contesto lavorativo.
Il suo ruolo come operatrice dell’accoglienza del progetto SAI è quello di aiutare le donne rifugiate con asilo politico ad integrarsi nel territorio e a lavorare per la loro autonomia. Cecilia è la prima persona che chi viene accolto incontra e il suo ruolo è fare da filtro tra loro e l’equipe di operatori.
I principali lavori da portare avanti con le persone accolte sono: l’apprendimento della lingua, le questioni legali connesse ai documenti, la ricerca di un lavoro e della casa e, infine, l’uscita dal progetto di accoglienza.
Ama la vicinanza e la condivisione di un percorso con le persone accolte, da cui si riceve anche tanto, aspetti che il suo lavoro le regala. Anche se questo scambio e la relazione umana possono essere anche molto faticosi.
Dal suo punto di vista l’accoglienza delle ragazze in Cuneo Centro da un lato permette loro di essere vicine a Corso Giolitti che ha un’alta frequentazione multiculturale e una forte presenza di negozi di articoli etnici, dall’altra porta con sé la complessità di abitare in condomini in cui gli altri residenti, tutti italiani, hanno abitudini molto diverse e con cui è difficile integrarsi. Come operatrice, si mette in ascolto e cerca di far conoscere al resto degli abitanti il progetto e di trovare insieme una mediazione.
Per Cecilia, i tentativi di mettere insieme le persone che popolano il quartiere di Cuneo Centro, anche se diverse, facendole partecipare in maniera condivisa alcune piccole attività sono un tassello importante per sviluppare una convivenza e è importante continuare in questa direzione.
Caterina abita ai confini del quartiere Cuneo Centro, che frequenta per progetti legati al suo lavoro e per vicinanza al luogo in cui vive.
Ha studiato a Torino arichitettura per il restauro e la valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio. Ha iniziato a lavorare come architetto, ma non era la sua strada. Così ha trasformato il suo bagaglio di studi in qualcosa in linea con il suo modo di essere, formandosi presso la Fondazione Fitzcarraldo. Si è occupata di sviluppo del territorio in uno studio e per il Parco del Monviso all’interno di un progetto europeo; ha anche lavorato presso l’Abbazia di Staffarda come operatrice culturale.
Nel suo lavoro le mancava però una parte creativa e così è diventata progettista culturale nell’Associazione culturale Noau. Trasforma idee in progetti per cui cerca finanziamenti e che gestisce, una volta operativi.
Del suo lavoro ama le relazioni con le persone, la capacità di dare forma a un’idea, la scoperta continua di cose nuove e l’incontro con persone arricchenti e stimolanti.
Ama disegnare, fotografare, passeggiare, andare in bici, da poco ha ricominciato ad andare in canoa. Ha scoperto la fotografia durante l’Erasmus in Belgio e l’ha approfondita in un corso a Torino: le piace “leggere” l’interazione delle persone con gli altri e con il contesto, anche architettonico.
Ha vissuto a Torino e a Saluzzo, per poi tornare a Cuneo, dove, sempre in relazione alla sua dimensione medio-piccola, le sembra che siano aumentate le occasioni culturali. Spera che il fermento culturale cresca ancora: maggiore offerta di corsi creativi, più occasioni di socialità e tante contaminazioni da fuori, che pensa offrano uno sguardo diverso sulla città e portino novità.
Di questa città ama il potersi muovere a piedi e avere attorno un’atmosfera rilassata e tranquilla, cosa che in una città grande manca.
Vorrebbe vedere valorizzati luoghi come i Bagni Pubblici, la Villa Invernizzi, la Stazione e in generale le piazze di Cuneo (Piazza dello Sferisterio, Piazza Europa,..) che potrebbero essere ripensate come spazi di incontro.
Barbara ha 50 anni, 1 marito, 3 figli, 4 gatti, 3 cani, 2 conigli. Vive nel quartiere Cuneo Nuova, ha un negozio di occhiali, ma ha sempre fatto la mamma a tempo pieno. Questa decisione non l’è pesata e si sente realizzata, ma ora che i figli stanno prendendo le loro strade ogni tanto si sente un po’ “spersa”.
Definisce Cuneo una città “di apparenza”, in cui non è possibile esprimere totalmente quello che si è e le proprie scelte. Si può essere facilmente giudicati ed esclusi, se non si segue ciò che la maggior parte delle persone sceglie. Le fa male vedere come sia una città con una mentalità un po’ ristretta, legata alle vecchie abitudini perché questo non invoglia i giovani a rimanere.
Nel tempo libero ama leggere, passeggiare con i suoi cani, passare del tempo con le persone che ama. Riconosce che Cuneo offra tanto per vivere all’aria aperta, anche se nota come, nel tempo, sia diventata più sporca e meno civile: i grandi lavori di riqualificazione del centro storico hanno penalizzato la “parte alta” della città che definisce “morta”, dimenticata.
Per il futuro di Cuneo vorrebbe più possibilità per i giovani, eventi meno commerciali, iniziative più votate alla relazione tra le persone, alla socialità, all’incontro con la diversità, perché aiuterebbero ad aprirsi al mondo.
Arianna è originaria di Cuneo. Nel 2022 ha iniziato il Servizio Civile con la cooperativa Emmanuele (opportunità conosciuta tramite gli educatori de La Pulce e la scuola): ha deciso di cimentarsi con una cooperativa sociale, anche se le sarebbe piaciuto anche lavorare con il CRAS al recupero animali o negli asili nido con i bambini.
Con il suo Servizio Civile può dare un contributo alla società, vivendo esperienze che la riempiono soprattutto interiormente attraverso il contatto e lo scambio con le persone. Quest'occasione è per Arianna un modo per capire cosa potrà diventare il suo lavoro e inoltre le sta facendo conoscere alcune attività e iniziative (cinema, tornei, ecc) che prima non conosceva, per difficoltà comunicative tra tali realtà ed i giovani.
Le dà soddisfazione poter realizzare qualcosa per gli altri, permettere di fare cose nuove alle persone con cui lavora e in cambio ricevere anche solo un sorriso.
Da giovane abitante di Cuneo, un lato positivo che vede è il poter avere tutto a portata di mano. Dall’altra, pensa non esista un luogo di incontro e di riferimento per i giovani come lei, aspetto che porta i vari gruppi a disperdersi per la città e non incontrarsi.
I giovani passano il loro tempo “a fare avanti e indietro per la città”: crede che per avere appeal su di essi sia necessario proporre qualcosa di completamente nuovo oppure che riguarda e ricrea delle “sfere” che interessano loro.
Inoltre le mancano un’offerta ricreativa e occasioni di incontro in città, soprattutto serali e musicali, per giovani della sua età.
Immagina un evento per giovani in centro, con alcuni gruppi che suonano, ma in cui i volumi permettano anche di ascoltarsi e parlarsi e, sparsi per lo spazio, chioschi dove prendere da mangiare e bere.
Antonella è mamma e nonna. Da qualche anno fa parte della realtà delle Botteghe Equo Solidali, nata a Cuneo molti anni fa con l’apertura di una prima Bottega nel Quartiere San Paolo. Il commercio equo solidale si impegna per garantire ai produttori e lavoratori di avere il giusto compenso e il rispetto di orari sostenibili di lavoro, non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche a livello nazionale.
AltroMercato è il principale consorzio importatore di materie prime e dà la possibilità di lavorare ad altre realtà riconoscendo il giusto prezzo. In Italia ci si rifornisce da cooperative che lavorano con lo stesso spirito che Altro Mercato adotta all’estero. Il marchio è garanzia di qualità, di solidarietà e di equità.
Nelle botteghe si può trovare una vasta gamma di prodotti alimentari sia provenienti dal commercio equo solidale, che biologici locali. Inoltre si possono acquistare capi d’abbigliamento provenienti da progetti italiani in India, oggettistica artigianale e molti altri prodotti.
Le botteghe, che fanno tutte parte della cooperativa Proteo, si trovano a Cuneo, Mondovì, Fossano e Saluzzo. Lavorare in una cooperativa sociale significa avere un progetto, uno scopo che va oltre il lavoro di tutti i giorni, un messaggio da trasmettere agli altri.
Sarebbe utile poter creare un contatto diretto tra i cittatini e la bottega AltroMercato per far conoscere maggiormente il negozio, la filosofia, le persone e soprattutto i volontari che lavorano in bottega. Essere volontario in bottega significa decidere di dedicare il proprio tempo libero al progetto. I nostri volontari sono principalmente pensionati che hanno voglia di scoprire tutta la filosofia che sta dietro al prodotto venduto e di mettersi in relazione con altre persone.
Antonella desidera che il quartiere in futuro sia più vissuto, più frequentato dalle persone e cercato dai turisti. Oggi questa zona è un contesto completamente diverso rispetto al centrale e vicino Corso Nizza da cui vorrebbe prendesse spunto.
Anna ha 34 anni, è la compagna di Francesco, presidente del Comitato di quartiere Cuneo Centro, di cui anche lei fa parte. Da poco tempo è diventata mamma di Alice.
Nata e cresciuta nel quartiere, in Corso Dante, ha studiato al liceo scientifico e poi si è trasferita a Torino, dove si è iscritta a Scienze Matematiche. Dopo un anno di Erasmus a Friburgo, è rientrata e ha iniziato a lavorare in banca a Biella, dove è rimasta per 5 anni, mentre il suo compagno viveva in Germania.
Nel 2018 è stata lei, convincendo poi anche Francesco, a decidere di tornare a Cuneo perché qui sta bene: ha le sue relazioni, la famiglia e la comunità a cui sente di appartenere. Il ritorno è stato positivo anche perché nello stesso momento sono tornati altri amici.
Tornata a Cuneo, ha continuato a lavorare per la banca da remoto, ma sentiva che quel lavoro non le apparteneva più e, dopo il Covid, è diventato sempre più complicato e stressante. Si è resa quindi conto di non volere quella vita basata solo sul lavoro e ha deciso di dimettersi. Oggi insegna ed è molto felice di questo cambiamento.
Da neo-mamma, nel quartiere la comunità è molto accogliente e offre un senso di appartenenza che apprezza molto. La città offre molte iniziative per famiglie con bambini e anche per questo è un ottimo luogo in cui crescere i propri figli.
Le piacciono la pallavolo e il beach volley, le camminate, stare con le amiche, chiacchierare e condividere, soprattutto tra donne. Nei mesi di gravidanza si è dedicata molto alle discipline dello yoga e del rilassamento.
È sempre molto attirata dall’impegno civico e le piace dare qualcosa indietro alla comunità in cui vive e da cui riceve tanto.
Anna vorrebbe che a Cuneo ci fosse una maggiore visione politica sul futuro, soprattutto rispetto a temi quali la mobilità sostenibile, la vivibilità, le alternative al consumo di suolo.
Spera che tutta l’energia che c’è nel quartiere si possa convertire in una forza positiva in grado di trasformare la zona e renderla attrattiva.
Anna ha 55 anni, ha studiato al Liceo Artistico, poi all’Accademia Europea di Design e oggi è un’educatrice professionale. Lavora dal 2018 a Casa Famiglia, prima aveva già lavorato in altre Residenze per Anziani e con giovani in progetti di comunità, di prevenzione nelle scuole, di promozione giovanile.
Ha iniziato il lavoro sociale per caso: un giorno le è stato proposto di condurre alcuni laboratori in occasione di uno scambio internazionale. A questa proposta ne sono seguite altre rivolte ai giovani e così ha deciso di prendere il diploma da educatrice mentre lavorava.
Al centro del suo lavoro ci sono persone e relazioni: giovani e anziani condividono un grande bisogno di essere visti e valorizzati per quello che sono in una fase di transizione.
Nel suo lavoro è importantissimo da subito entrare in relazione con la persona e poi animarne le giornate, creando un “tempo di qualità” con laboratori che stimolino a mantenere alcune capacità attive. L’entrata in una RSA stabilisce un prima e un dopo: in questo “dopo” le attività programmate sono fondamentali per mantenere vive le menti delle persone e per far nascere una comunità. Le proposte sono musicali, creative, cognitive e fisiche. Anna porta le sue passioni, arte, natura e movimento, nel suo lavoro e le fa dialogare con le persone che abitano Casa Famiglia.
Nell’organizzazione di laboratori il rapporto con le scuole crea un legame con la città e mette in moto le energie migliori di bambini e anziani. Lo scambio è reciproco ed è cercato e atteso da entrambi i lati: bambini e anziani si arricchiscono a vicenda.
Per mantenere una partecipazione alla vita cittadina si organizzano uscite e gite. Casa Famiglia vuole sempre di più essere una casa aperta alla città, una risorsa di memoria che valorizza le persone che la abitano e che è ricchezza anche per chi sta fuori.
“Da cosa nasce cosa”: Anna crede nella possibilità che da progetti, iniziative, scambi, incontri possano nascere relazioni e nuove opportunità per tutti.
Andrea è cresciuto in via Meucci, dove ancora vivono i suoi genitori. Circa 15 anni fa si è trasferito a Torino per studiare comunicazione interculturale e lavorare nel sociale. Ha cominciato con persone di altre etnie, rifugiati politici: la sua prima esperienza è stata in Bosnia in un campo umanitario post-bellico, dove ha compreso l’importanza di lavorare a contatto con le persone. Poi si è avvicinato al mondo della psichiatria nell’ambito delle comunità e infine a quello della disabilità nei centri diurni.
Per 3 anni ha interrotto l’esperienza nel sociale, è andato all’estero sperimentando in parte la dimensione del “migrante”. Ha studiato e gettato le basi per quello che è il suo lavoro primario: l’insegnante di lingua, inglese in contesti aziendali e italiana ai parlanti altre lingue.
Per Andrea l’insegnamento è facilitazione, ovvero una posizione paritaria tra docente e studente.
Da poco ha iniziato a realizzare un documentario, seguendo la sua passione per il cinema, insieme a quella per la musica, indirettamente legata al lavoro con il video. Questo suo sperimentarsi mette insieme dimensione emotiva, creativa, intellettuale, in un decentramento da sé. Il documentario “L’isolato” lo vede indagare il cambiamento che vede nel quartiere: da un lato ritrovare il sé bambino e tutto quello che c’era, dall’altro ritornare a casa da adulto in un mondo che fisicamente è lo stesso, ma umanamente è cambiato. Un quartiere che, quando era piccolo, era una zona residenziale percepita tranquilla, ma con meno incontro e comunità. Gli piacerebbe che in futuro si cogliessero le opportunità date dall’attuale incontro/scontro, facendo coesistere tutte le visioni e le necessità nello stesso luogo, dove tutti rinuncino a qualcosa di sé, ma ritrovino qualcosa di più arricchente.
Ha un ottimo rapporto con Cuneo a cui ha imparato a non chiedere ciò che non può dargli, come un’offerta culturale particolarmente animata, e a rivalutare altri aspetti, come un contesto naturale altamente accessibile.
Alessandro ha 22 anni, originario di Barge, vive a Cuneo dall’estate 2022 nel cohousing 4G, in un appartamento con altri tre coinquilini: questo cambiamento gli permette di avere indipendenza e rivivere la socialità dopo gli anni di pandemia. Un cohousing è uno spazio condiviso con altre persone che spesso hanno altre culture. Alessandro convive con un italiano, un senegalese e un ecuadoriano: questo aspetto gli piace molto, perché il mondo “non è il posto in cui nasciamo, ma è molto più grande”.
Ha scelto la coabitazione dopo aver conosciuto altre realtà di cohousing collaborando con la Caritas a Saluzzo: qui ha iniziato a lavorare nel mondo dell’accoglienza ai migranti e a vedere come le équipe di operatori sociali operano e ne è rimasto affascinato. Ha quindi fatto domanda per il Servizio Civile per mettersi in gioco in questo ambito e così è iniziata la sua esperienza nella cooperativa MOMO, dando una mano nell’area migranti: gestione quotidiana del SAI (sistema di accoglienza e integrazione per richiedenti asilo e rifugiati), collaborazione nella scuola e nella Casa del Quartiere Donatello e nell’ufficio legale del punto MEET.
Allessandro collabora nei fine settimana con la Pro Loco di Paesana, un gruppo di giovani che organizzano eventi culturali e ricreativi per “togliere un po’ di grigiore” e riprendersi in mano i luoghi in cui vivono. È un ambiente che gli piace molto perché tutti sono “inesperti” e entusiasti di fare e provare, anche sbagliando.
Ad Alessandro piacciono il rap, il disegno e lo skate, che pratica quando ha un po’ di tempo libero.
Alberto lavora nell’ufficio di Cuneo Centro del Consorzio CIS (Compagnia di Iniziative Sociali), che ha sede ad Alba. Si occupa di inserimenti lavorativi, negli ultimi anni soprattutto riguardanti stranieri, collaborando anche con il progetto SAI del Comune di Cuneo. Gli piace interagire con le persone e aiutarle a superare le difficoltà. Lo scambio con gli stranieri può anche essere faticoso perchè può generare malintesi e/o incomprensioni riguardo la cultura lavorativa italiana.
Laureato in Psicologia del Lavoro, ha lavorato nell’ambito delle comunità terapeutiche e servizi per le dipendenze, prima a Bologna e poi, da circa 30 anni, a Cuneo, nel Consorzio che vede l’inserimento lavorativo come strumento per pensare al futuro della persona uscita dalla comunità.
Lo sportello di Cuneo Centro, sportello SAL accreditato dalla Regione Piemonte, si inserisce in Crocevia46, polo sociale con servizi per persone fragili e in difficoltà. Prima del Covid era possibile presentarsi direttamente, dopo è diventato obbligatorio prendere appuntamento, aspetto che ha reso più complesso l’accesso. Per rispondere a questo problema, si ascolta anche chi si presenta senza appuntamento dal lunedì al venerdì dalle 9:30 alle 12:00 e si riserva solo ad appuntamenti il giovedì pomeriggio.
Le persone si rivolgono allo sportello soprattutto tramite passaparola. Il primo colloquio è di conoscenza: si costruisce un curriculum e ci si iscrive al centro di collocamento. Dopo, la persona viene guidata nella ricerca lavorativa negli ambiti legati alle proprie competenze.
Nel cuneese rileva che non c’è in generale uno scetticismo da parte delle aziende nell’assumere stranieri, ma si richiedono di base la conoscenza dell’italiano e il possesso della patente. Le offerte sul territorio non mancano, spesso però non ci sono i presupposti per potersi candidare.
Pensa che a Cuneo si generino talvolta pregiudizi dovuti al fatto di non essere abituati a vedere alcune scene anche innocue, come un gruppo di persone straniere che aspettano il proprio turno fuori da un ufficio di collocamento. questi pregiudizi fanno interpretare eroneamente alcuni fatti.
Afshin fa il barbiere da quando aveva 18/19 anni e studiava disegno industriale all’Università in Iran. Oggi ha 29 anni, è un rifugiato politico e continua a fare il barbiere a Cuneo in Corso Giolitti nel suo negozio, King Hair.
Grazie al suo lavoro, conosce ogni giorno persone con diverse idee, colori, nazionalità, ragionamenti. I suoi clienti sono sia italiani, sia africani, sudamericani, asiatici: questo lo ha reso capace di ascoltare, sentire storie e capire persone diverse. Nel negozio lavora con lui un ragazzo nigeriano: gli piace avere un collega, che per lui è come una famiglia, di diversa nazionalità.
Nel quartiere si trova bene, per lui questo luogo oggi è una casa per le persone più deboli, che hanno bisogno di essere protette: non deve essere abbandonato, ma valorizzato. Gli dà fastidio che si dica “Una volta, Corso Giolitti era il posto più bello di Cuneo”. “Perché ora non lo è? Che cosa c’è che non va? Le persone straniere? Gli spacciatori? Le persone che bevono?“. Secondo lui, i problemi delle persone più in difficoltà spesso derivano dalla mancanza di documenti che impedisce loro di lavorare: la maggior parte di loro vorrebbe solo farsi una vita, ma mancano le basi per farlo. Per risolvere i problemi bisogna affrontarli all’origine, prima che diventino irrecuperabili, dando all’inizio un’opportunità per costruire qualcosa. Il mondo sta cambiando, ma noi dobbiamo entrare dentro i cambiamenti, capirne le radici e non cercare solo di eliminarli.
Afshin canta, scrive e registra video in un gruppo e sta costruendo una specie di studio di registrazione in casa. Vuole far crescere anche quest’attività perché qui ha la libertà di parola che gli mancava in Iran, dove c’era censura imposta dalla dittatura, motivo per cui ha dovuto abbandonare il suo Paese.
Per il futuro del quartiere vuole Libertà, a cui è intitolato il Piazzale della Stazione, perché significa permettere a ogni fenomeno di nascere.
Gabriele, masso erratico di Cumiana 15 - patto di comunità stipulato tra diverse realtà e associazioni - ci racconta BloomingTeam "il team che fa fiorire le idee" che si occupa di smart city e smart community, dal punto di vista sia tecnologico che sociologico.
Il loro obiettivo è di trasformare questo luogo in un think tank, in cui iniziare a pensare come trasformare i luoghi, far incontrare le buone idee e le buone pratiche per farne nascere di nuove, un cantiere da cui prendono vita "fioriscono" nuovi mondi immaginati, che siano per tutti e raccontino bellezza.
Ideificio Torinese vuole rispondere con l'associazionismo ai diversi bisogni dei giovani, in Cumiana 15, si occupa non solo della gestione di un'aula studio, ma diventa anche incubatrice di idee sociali, attraverso l'ascolto e la comprensione dei bisogni, cercano di dare risposte alle esigenze del territorio.
Attraverso un Patto di coprogettazione per la gestione dello spazio di via Cumiana 15, Ideificio Torinese e altre associazioni iniziano il percorso di cogestione del bene comune, ex sede di uffici Lancia.
In questo luogo d'incontro che a loro piace definire "piazza coperta", "laboratorio", "officina interattiva", viene sperimentata la gestione comune di uno spazio pubblico e aperto a tutti, che essendo modulabile, si presta a numerosi utilizzi e funzionalità.
Ideificio Torinese è uno spazio associativo che abbraccia temi a 360°, incubatore di idee e sviluppatore conoscenze, raccoglie proposte singole o iniziative collettive e aiuta a costruirne una forme sviluppando alleanze e progettualità comuni.
Elisa fa parte dell'Associazione popolare Via di Nanni, da quando si è trasferta nel quartiere, ormai da qualche anno.
Come lei ci racconta, l'associazione è un comitato spontaneo di cittadini e residenti del quartiere che lavorano per la promozione sociale, l'animazione, l'integrazione e la cura del territorio in cui vivono, in particolare nato con l'obiettivo di tutelare l'area pedonale di Via di Nanni.
L'idea è promuovere azioni di sviluppo di comunità e l'integrazione nel quartiere, attraverso momenti di aggregazione sociale come le feste di via, il guerrilla gardening, la pulizia e cura degli spazi comuni.
Michele ha 22 anni, ha frequentato l’istituto alberghiero e ha ottenuto la qualifica. Attualmente è alla ricerca di un impiego. Ha lavorato nel settore della ristorazione, in macelleria per la preparazione dei tagli e le consegne a domicilio, in gastronomia e come badante per persone anziane. Ama il contatto con il pubblico e vorrebbe lavorare presso un fast food. Ha una grande passione per il mondo dello spettacolo, in particolare per il teatro: recita e vorrebbe coltivare la sua abilità come truccatore, seguendo corsi di specializzazione, che hanno però dei costi troppo elevati. I suoi progetti futuri comprendono oltre la patente e una casa sua, la possibilità di fare viaggi che gli permettano di imparare le lingue e conoscere quanti più luoghi possibili. Se dovesse scegliere tra un film ed il libro da cui è tratto, sicuramente sceglie quest’ultimo, poiché gli offre la possibilità di immaginare i personaggi e immergersi nelle situazioni. La lettura dei romanzi di Stephen King occupa parte del suo tempo libero. Ascolta moltissima musica, è un grande fan di Lady Gaga, che rappresenta per lui una fonte di ispirazione. Non disdegna però l’ascolto di musica italiana, in particolare di Emma Marrone e Tiziano Ferro.
Cristina vive nel quartiere Madonna di Campagna da molto tempo con il figlio di 22 anni. I suoi genitori, di origine siciliana, sono emigrati in Canada e hanno poi fatto ritorno a Torino, dove lei è nata. Da molti anni lavora part time per un’azienda che fornisce i pasti alle scuole. Si occupa della distribuzione del pranzo ai bambini e quando riesce chiacchera e cerca di dare loro una mano a consumare le pietanze. Le piace molto ciò che fa, ma per arricchire le sue competenze, vorrebbe frequentare un corso per Operatrice Socio Sanitaria, teme però che i costi e la mancanza di tempo le impediscano di frequentare. Ama leggere romanzi, anche se lamenta la mancanza di una biblioteca in zona, che le permetta di prendere i libri in prestito senza doverli acquistare, perché’ il suo stipendio non le permette spese “superflue”. Le piace il mare e ascolta musica, quella italiana però.
Andrea ama molto il lavoro che fa: è un cameriere e sta svolgendo il suo tirocinio dopo il diploma conseguito all’istituto per il turismo. Si impegna perché’ vuole continuare a migliorare ed imparare quanto più possibile. Vive fuori Torino con la mamma e ama prendere i mezzi pubblici per spostarsi in città. È un abile nuotatore, pratica tutti gli stili e quest’anno ha partecipato alla XXVII edizione dei Giochi Nazionali Estivi Special Olympics, tenuti a Torino, raggiungendo un ottimo piazzamento. Oltre al nuoto, ama ballare danze di gruppo e ascolta musica popolare perché gli dà allegria. Gli piace molto passeggiare nei boschi e tagliare la legna nella casa di montagna della nonna.
Raffaella, Cecilia, Simone e Cristian sono il cuore pulsante della nuova Gastronomia Veg. Nuova, anche se esiste da più di 20 anni, perché ora si è ingrandito non solo lo spazio ma anche il team di lavoro.
Il team di Gastronomia Veg è variegato e composito, ognuno di loro porta dentro al gruppo capacità ed esperienze che arricchiscono, la gastronomia nasce da un'idea di Raffaella, che l'ha portata avanti per tutti questi anni, poi con la lungimiranza e l'entusiasmo di chi sa fare rete davvero, la famiglia si è allargata e in questa intervista ci raccontano che cosa fanno e che cosa continueranno a fare per i prossimi (glielo auguriamo) 20 anni.
Non solo gastronomia e servizio d'asporto, ma anche ristorazione, con ampio spazio interno e un bellissimo dehor su Via Dante Di Nanni, e catering per grandi eventi.
Jacopo ha 22 anni e le idee molto chiare. Dopo aver frequentato un corso triennale di FP sala bar e un anno di specializzazione ha colto l’occasione di fare esperienza in stage in Italia e all’estero e dopo essersi fatto una solida base lavorando presso ristoranti bar e come panettiere, due anni fa decide di aprire con mamma e fidanzata Sorsi e Morsi nella sua Felizzano.
Il locale è aperto già dalle 5 di mattina per le colazioni, per seguire con gli aperitivi e l’attività di ristorante soprattutto per persone di passaggio e lavoratori della zona che arrivano nella pausa pranzo, la chiusura è verso le 19.00.
La sua posizione in una via di passaggio fra Asti ed Alessandria porta il locale ad avere clienti per lo più in cerca di un pranzo veloce e soprattutto a kilometro zero, dove le materie prime sono semplici, legate alla tradizione locale e con fornitori del paese.
L’attenzione di Jacopo è molto sul cliente, che cerca la qualità, ma anche la relazione umana. Per ora non ha ancora avuto modo di ospitare ragazzi in stage ma gli piacerebbe, cercando di essere un buon maestro.
Asd Kombat System nasce a Felizzano nel 2015 dall’idea di Claudia e Romeo di essere punto di aggregazione sociale e sportiva per il paese in cui vivono, Felizzano.
L’idea alla base è fornire un servizio fruibile da tutti, soprattutto per quei ragazzi che non avrebbero la possibilità di spostarsi per fare sport, ed essere alternativa agli sport più comuni come il calcio.
La palestra è aperta dal mattino alla sera dando l’opportunità di scegliere l’orario migliore e trovare sempre un ambiente accogliente e familiare sia nel settore marziale sia in quello fitness del sollevamento pesi e del body building.
Altra attività proposta sono corsi di difesa personale che curano da un punto di vista non solo tecnico fisico ma anche da un punto di vista psicologico comportamentale e che sono frequentati da persone di tutte le età.
Caratteristica dei due istruttori è restare sempre aggiornati sulle evoluzioni più recenti delle discipline grazie al costante confronto con colleghi esteri.
Il loro approccio personalizzato ha portato anche un riscontro positivo nei casi di ragazzi iperattivi e nel loro obiettivi vorrebbero essere riconosciuti sempre più come polo innovativo rispetto alle arti marziali, al fitness, all’attività di palestra, in modo che ogni persona che entra possa trovare il modo di divertirsi.
R. ha 17 anni, è arrivato in Italia da 1 anno da Vlona una grande città dell’Albania.
Nel suo paese Rakip ha frequentato la scuola dell’obbligo e come molti suoi coetanei giocava a calcio e a basket.
Nella sua famiglia di origine il fratello maggiore fa il cameriere e anche per questo una volta arrivato in Italia oltre a imparare l’italiano in un corso A2 presso Cpia di Alessandria si è iscritto al 1° anno di un corso di formazione triennale per diventare cuoco.
Nel suo futuro vede questa come una professione possibile perché gli piace cucinare e vorrebbe proseguire a formarsi e avere la possibilità di imparare sul campo in un tirocinio.
Attualmente si trova presso la Comunità Il Galletto di Felizzano, in futuro gli piacerebbe spostarsi in una città grande come Genova o Torino.
R. è un ragazzo tunisino di 17 anni. È arrivato in Italia nel settembre 2021, dopo essere restato un mese a Messina è andato in una comunità a Solero, e da qui alla comunità il Galletto di Felizzano.
E’ nato a 30 km da Mahdia, una cittadina turistica sul mare, dove abita ancora la famiglia, che sente molto spesso al telefono, in particolare la sorella di 16 anni e il fratello di 13 che vanno ancora a scuola e sono orgogliosi di quello che lui fa.
In Tunisia ha studiato fino alla seconda liceo, nei weekend ha sempre aiutato il padre nel suo negozio di parrucchiere, attività di famiglia già da suo nonno. Questa è un’attività che sente sua perché l’ha sempre vista svolgere come una cosa normale.
In Italia si trova bene, non conosce bene Felizzano, preferisce prendere il treno e andare ad Alessandria e Tortona, dove si è fatto degli amici fra i suoi connazionali e anche qualche ragazzo italiano.
Fin da piccolo ha come hobby il disegno, si reputa una persona creativa.
Quest’anno fa frequentato il Cpia Liv A2, parla bene l’italiano e lo comprende, vuole prendere la Licenza media la patente e poi iscriversi in un corso di formazione professionale per fare l’unico lavoro che pensa di conoscere e che gli piace, il parrucchiere.
Spera di poter lavorare presso qualche parrucchiere esperto e poi riuscire ad aprire un negozio tutto suo, da uomo e da donna.
La titolare Franca ci racconta l’evoluzione dell’impresa di famiglia, Artepane rilevata da lei e il marito Antonio nel 1994 da un’attività di panetteria chiusa ormai da tre anni.
All’inizio si è dovuto farsi conoscere, quasi con un’attività di porta a porta che ha dato i suoi frutti iniziando a rifornire anche rivenditori di Alessandria e poi della provincia intera. Dai primi due supermercati clienti ora sono più di 50 i punti riforniti quotidianamente.
Nella sua crescita Artepane si è da subito configurata come un’impresa familiare; infatti, delle 13 persone impiegate attualmente in mansioni produttive di trasporto fanno parte anche la sorella di Franca, i due figli e il nipote, il sogno dei titolari è che i figli siano sempre più coinvolti e possano prendere le redini dell’attività.
La loro attività è prevalentemente basata sulla produzione di pane, grissini e prodotti innovativi che Antonio, anima creativa della produzione studia costantemente. A fianco della produzione salata hanno una produzione di prodotti da forno dolci e per poter far fronte alle diverse lavorazioni recentemente hanno ingrandito l’area produttiva in una nuova sede.
Trovare personale giovane disponibile in questo settore non è così facile, in quanto è un lavoro che richiede disponibilità ad orari notturni e a lavorare nei festivi. Per iniziare è utile aver frequentato un corso della scuola alberghiera o specifico di arte bianca come a suo tempo ha frequentato il titolare Antonio. Non è comunque obbligatorio, si può imparare anche appassionandosi al lavoro, con tanta gavetta e disponibilità.
Franca dice di avere sacrificato tanto a questa impresa ma di aver anche già realizzato tanti sogni, nel futuro vorrebbe affiancare alla panetteria in paese anche un’ attività commerciale in cui oltre alla vendita si possano servire colazioni e pranzi veloci.
Manuel è un ragazzo di 23 anni ed è di origine sarde. Da qualche anno vive a Torino con la sorella, il marito e 2 nipoti. Dopo aver abbandonato la scuola superiore per perito agrario, ha lavorato nell’azienda agricola di famiglia, poi la decisione di trasferirsi a Torino, per provare una nuova vita. Grazie all’associazione Insuperabili, di Corso Unione Sovietica, ha trovato degli amici. Ha seguito corsi di formazione presso l’Enaip e ora svolge il suo stage presso le Fonderie Ozanam di via Foligno 14. Lavora in cucina come lavapiatti, aiuto cuoco e si occupa delle pulizie dei locali. È molto contento del suo lavoro e quando torna a casa, si rende utile nelle pulizie o gioca con i nipotini. Se dovesse scegliere un’altra attività, farebbe il magazziniere.
Manuel è una persona molto gentile, educata e disponibile. Ama viaggiare ed è un appassionato di calcio, sia come spettatore, tifa per l’Inter, che da giocatore, con la squadra degli Insuperabili. Ha un sogno, gli piacerebbe fare lo stuart sugli aeri. Il suo futuro lo vede in una casa tutta sua, indipendente economicamente e da soprattutto da solo, perché’ vuole seguire le partite di calcio indisturbato.
Schadia è una giovane donna, molto energica e piena di iniziative; ama l’arte, la didattica e soprattutto le piacerebbe operare nell’ambito del sociale. Ha conseguito un diploma in tecnico del turismo, ad indirizzo sociale; un diploma universitario presso l’Accademia di Belle Arti a Torino, con una tesi sull’arte terapia, perché’ crede nel valore terapeutico dell’arte, in connubio con la natura. Il bello fa sentire bene, dice. Dipinge, si occupa di grafica e ha esposto alcune sue opere nel comune di Sant’Antonino di Susa e in alcuni locali pubblici. Al Caffè Basaglia, ha tenuto corsi di pittura e ha esposto alcune opere sulla psichiatria dell’arte. Si è occupata di laboratori artistici e attualmente si occupa di orti, altra grande passione, nello spazio WoW e al Parco Tonolli. In particolare degli orti in cassone, che hanno finalità educative e rigenerative per la cittadinanza. Ha partecipato a progetti per la preparazione e la distribuzione dei pacchi alimentari durante la pandemia. Le piacerebbe diventare educatrice. Attualmente sta seguendo un corso di apicoltura. Ha seguito anche un corso di teatro e le piacerebbe poter recitare e frequentare i teatri
Ama viaggiare, legge saggi di psicologia, critica d’arte, geopolitica. Ama anche i romanzi psicologici. Ascolta la musica trash, ma in realtà le piace tutta la musica, soprattutto quella che mette carica. Le piacerebbe lavorare in una casa di quartiere e partecipare a progetti di sfondo sociale.
Felizzano è un paese di 2200 abitanti situato al nord ovest della provincia di Alessandria, ma anche vicino ad Asti per questo i suoi abitanti si spostano a lavorare in entrambe queste città.
Felizzano ha avuto un passato industriale nel campo automotive ormai definitivamente finito, ma che fra gli anni ‘60 e ‘90 dava lavoro a 2000 persone, è stata la molla che ha fatto crescere il paese, ora alla ricerca di un’identità economica che in questo momento è rappresentata da un tessuto commerciale e artigianale vivace.
A Felizzano l’immigrazione ha vissuto più fasi, dalla prima degli anni 90 prevalentemente albanese, si sono poi aggiunte una comunità senegalese e marocchina, fra loro ci sono commercianti ed artigiani e le persone si sono sempre ben integrate.
Luca è un sindaco al secondo mandato nonostante la giovane età, è molto vicino agli abitanti con cui è in contatto costante anche grazie ai social ed ha come obiettivo far diventare il paese attrattivo per i giovani e le imprese, migliorando i servizi e mantenendo un occhio di riguardo alle iniziative culturali e legate ai giovani sia con manifestazioni tradizionali (festa della leva) sia con nuovi momenti in cui la comunità si possa aggregare grazie all’associazionismo.
La presenza della comunità Il Galletto di minori stranieri non accompagnati potrebbe essere inserita maggiormente, la difficoltà consiste nel fatto che i ragazzi restano poco tempo, non hanno il tempo di vivere Felizzano, sarebbe bello poterli legare al territorio con opportunità lavorative.
Valentina è originaria della provincia di Cuneo, laureata in antropologia vive a Torino da ormai 11 anni, città che le sta particolarmente a cuore ma vissuta sempre con sentimenti contrastanti, come lei stessa ci racconta. Sempre alla ricerca di nuove esperienze qualche anno fa Valentina ha deciso di cambiare vita per inseguire il suo sentire, un "salto" alla rincorsa di ciò che la rappresentava veramente...sicuramente non stazionario. Una delle sue grandi passioni è la poesia che ritiene vita e fonte di energia, specchio del suo modo di vivere.
Per Valentina scrivere e vivere sono una cosa sola e la ricerca di questa pura fonte di vita è sempre al suo ordine del giorno.
S. ha 17 anni e viene dal Bangladesh, esattamente da Munshiganj nel distretto di Dhaka.
Nel suo paese ha lasciato il papa, agricoltore, la mamma casalinga due sorelle più grandi e due fratelli uno maggiore e uno minore. In Bangladesh ha frequentato solo la scuola elementare (4 anni Primary school) poi è andato da subito a lavorare nelle coltivazioni di riso per problemi economici negli ultimi periodi il problema delle inondazioni ha reso la vita molto difficile.
Nell’aprile del 2021 è partito dal suo paese muovendosi con dei passaggi anche di fortuna, è passato dalla Libia e di li via mare è arrivato a Lampedusa. Successivamente è stato inserito nella comunità MSNA il Galletto di Felizzano.
S., che parla bengalese un po' di urdu ed inglese, sta frequentando presso il CPIA di Alessandria un corso livello A2 per migliorare il suo attuale livello di italiano, per il prossimo anno pensa di iscriversi anche alla Licenza media.
Vorrebbe poter prendere non solo la patente ma anche il patentino del muletto, per lavorare come scaffalista nel frattempo è in cerca di lavori semplici, di pulizia o cura aree verdi all’aperto o in fabbrica, in modo da poter imparare meglio la lingua che per una persona in arrivo dal suo paese è complicato.
Nel tempo libero esce con gli amici, per ora limitati alle persone che ha conosciuto in comunità e al CPIA, gli piacerebbe iscriversi in palestra e anche per fare nuove amicizie con ragazzi italiani della sua età.
Il suo sogno è poter mettere da parte un po' di denaro per avviare un’impresa tutta sua nel commercio, un emporio dove vendere vari tipi di merce anche abbigliamento, in questo il carattere aperto e gentile può essere un valore aggiunto. Chiacchierando con lui, nonostante la difficoltà linguistica si percepisce un’attitudine al vedere il lato positivo della vita, anche nelle difficoltà.
Gli piacerebbe rimanere in una città non troppo grande, magari proprio Felizzano o una città nelle vicinanze ad Alessandria o Asti
Francesca ha 22 anni e da più di due anni fa la volontaria presso la Croce Verde di Felizzano.
Per diventare volontaria ha fatto un corso di 9 mesi, 3 di lezioni teorico- pratiche e 6 di tirocinio.
Attualmente nella Croce Verde di Felizzano ci sono 90 volontari di cui 30 attivi, la loro età va dai 17-18 ai 65-70, in più dal 2018 sono stati assunti 7 dipendenti.
Felizzano si trova in mezzo a due province, capita quindi di essere chiamati non solo dalle vicinanze del paese ma di arrivare fino ad asti ed Alessandria.
L’attività si divide fra servizi ordinari, accompagnamenti a visite ed esami per persone impossibilitate a recarvici con i propri mezzi e chiamate di attivazione soccorso del 118, le urgenze. Tra le altre attività la croce verde organizza dei seminari sul primo soccorso su richiesta delle scuole per sensibilizzare i ragazzi sull’importanza del primo soccorso, inoltre fa assistenza in occasione di feste, sagre, eventi sportivi e musicali. In questi casi non è solo lavoro ma anche divertimento e svago, perché si passa del tempo con altre persone con cui si è affiatati.
Francesca che, come professione, fa l’assistente domiciliare si vede a lungo in questo ruolo di volontaria, una vera e propria passione iniziata con il corso 118, in futuro si vede sempre aggiornata, convinta nel frequentare corsi per migliorarsi.
A un ragazzo che vuole intraprendere questo percorso dice che i corsi sono importanti, ma poi la vera sicurezza te la fornisce la pratica ogni situazione è diversa dalle altre. bisogna prendere con serietà l’impegno preso, anche quando magari la persona che sta male non è facile da trattare. La parte relazionale è fondamentale ed è anche quella che da più soddisfazioni.
Il 30 Novembre 2012 nasce,da un’intuizione di Rocco Pinto e unitamente ai suoi soci, la libreria Il Ponte sulla Dora, di cui ricorrono a fine mese i nove anni della sua attività.
Possiamo senz’altro affermare che il vissuto di Rocco si è contraddistinto da un amore viscerale nei confronti della cultura e in particolare del libro infatti la sua esperienza sin da giovane è maturata prima in una libreria universitaria, poi nel gruppo Abele per poi confluire nell’attuale libreria.
Per determinare l’attuale denominazione di questo spazio culturale, Rocco e i suoi soci hanno svolto una puntigliosa ricerca, coinvolgendo tramite la rete gli abitanti del borgo ed i futuri lettori al fine di trovare un nome, il più possibile condiviso, per la libreria.
Da un'attenta esamina è venuto fuori che il prescelto era “Il Ponte sulla Dora”.
Muovendosi tra le strade del borgo e frequentando i locali, Rocco ha potuto verificare la vivacità del posto che all’epoca presentava al centro della piazzetta una vasca, ora non più presente, sulla quale si alternavano in volo aironi e gabbiani.
L’inizio dell’attività è stata caratterizzata da un attento censimento tramite interviste dei principali attori del borgo che vanno dalla panettiera Concetta di Cerignola, al pasticcere Raspino, ai maestri cioccolatai Perla e Gobino sino al ferramenta Carcano.
Questo ha permesso di avere una dettagliata mappa delle principali attività del luogo.
Il recente periodo di lockdown ha visto la chiusura per alcuni mesi della libreria.
E’ nata così una nuova iniziativa che ha coinvolto gli abitanti del borgo invitandoli a scrivere la propria storia. Si sono così create un insieme di racconti di famiglia perfettamente integrati tra di loro che hanno permesso grazie anche all’editore Graphot la nascita di un libro, Borgo Rossini Stories. Sull’onda di questa esperienza si stanno predisponendo nuove edizioni che riguardano i principali borghi della città come Porta Palazzo, Santa Rita, Barriera di Milano.
Il borgo per Rocco è unico, sia nel bene che nelle cose meno positive. Tutta la sua attività si può riassumere nella scritta che si trova all’ingresso e che recita :
“Libri lettori e idee in movimento”.
Giuseppe Mastruzzo è il direttore del IUC - International University College di Torino. Prima di entrare in IUC, dal 2003 al 2007 è stato Responsabile Studi e Ricerche di Confservizi Lazio, l'Associazione delle utilities e dei servizi pubblici di Roma. Il campus si sta trasferendo in Aurora in via Cigna nella sede della Fondazione di Giulio Einaudi. Qui nascerà il primo nucleo del nuovo campus universitario popolare destinato ad accogliere le attività didattiche e scientifiche dell’International University College of Turin, i quindicimila volumi della biblioteca personale dell'editore Giulio Einaudi, parte delle iniziative culturali e ricreative del Caffè Basaglia, storico centro di animazione sociale della comunità che vive nei pressi della Dora.
Silvano è una persona che non nasconde la propria precarietà attuale, gli manca di un lavoro stabile e non nega il disagio avvenuto per la perdita dello stesso, per la separazione dalla moglie, e per l'ingerenza della famiglia d'origine che non lo ha supportato e creduto, ormai i rapporto è perso. Ha ricostruito la propria esistenza con la famiglia attuale in cui si identifica per valori e capacità.
E. ha 17 anni viene dall’Albania, da Lushne, una città vicino al mare, grande circa come la nostra Alessandria. Nel suo paese ha lasciato il papa, muratore, la mamma casalinga e due sorelle già sposate. A Lushne ha frequentato la scuola dell’obbligo per 9 anni e 1 anno di professionale come elettricista. È arrivato in Italia nel 2021 ed è ospite della comunità il Galletto di Felizzano. Da quando è in Italia ha iniziato a frequentare il CPIA di Alessandria, adesso è al livello A2, è un ragazzo curioso e cerca di capire la lingua, quando non capisce chiede e si aiuta con il traduttore del telefonino.
Oltre all’albanese e all’italiano conosce l’inglese imparato a scuola. Gli piacerebbe poter fare un corso idraulico, perché è un lavoro che un po’ conosce, in Albania aiutava lo zio in questo lavoro, vorrebbe fare anche uno stage o un tirocinio
In Italia ha amici albanesi ed italiani, con cui gioca a calcio nel campetto del paese e gli piace uscire.
Felizzano gli piace perché è un paese tranquillo, per vivere si immagina a d Alessandria, un po' più grande dove c’è tutto ma non è caotico.
Cristina è una giovane donna che ha saputo trasformare i sogni in progetti e i progetti in realtà. Vive con una compagna a Argo CV abitazione leggera, dove ha anche la residenza.
Lavora attualmente presso il comune di Pinerolo è anche tirocinante, nonché cittadina e persona con una buona consapevolezza. La sua residenza abitativa prevede la presenza di operatori professionali che l'accompagnano nelle varie fasi del suo percorso.
Ha la passione per la lettura, per lo sport e per il teatro, ultimamente anche per la radio con un progetto in partenza presso COESA cooperativa sociale. Gioca a curling presso il Palaghiaccio di Pinerolo, pratica tiro con l'arco, e non manca mai allo sghembo festival teatro di strada sempre nella città Pinerolese.
La sua versione della città è inclusiva e non discriminante lo accenna nell'intervista, per questo ci tiene che sia alla portata di tutti senza barriere architettoniche e culturali. Non si tira indietro nelle sfide della vita, perciò si reca a lavoro a piedi nonostante lasua diversa abilità. Si è integrata benissimo nell'attuale contesto lavorativo, raccogliendo l'approvazione dei colleghi: i suoi bisogni sono appunto quelli di una città che pur fornendole stimoli e possibilità possa essere più percorribile.
Cristina nella sua vita non ha mai smesso di sognare e non solo è dotata di un carattere grintoso.
Patrizio Righero è il direttore del giornale VITA DIOCESANA PINEROLESE che, da alcuni anni, rappresenta un riferimento insostituibile per il pubblico lettore del bacino Pinerolese. Vita Diocesana nasce oltre dieci anni fa su iniziativa dell’allora vescovo emerito della diocesi di Pinerolo, monsignor Debernardi Piergiorgio con l'obiettivo di mettere in luce e dare respiro a tante belle iniziative culturali, sportive, politiche presenti sul territorio della diocesi di Pinerolo.
Il giornale ha una tiratura di circa quindicimila copie ed è stampato ogni quindici giorni. Il giornale è supportato da una fitta e motivata rete di volontari che si occupano, a vario titolo, di proporre articoli, cercare materiale innovativo e, soprattutto, aiutare nella distribuzione nei vari territori.
Vita Diocesana si propone ai cittadini come un dono di valore che, prova, a mettere in luce soprattutto quelle belle realtà piccole che, diversamente, rischiano di essere dimenticate e accantonate; proprio perché si ispira a valori cristiani, si propone come un interlocutore aperto e universale con tutti, attivando spazi di dialogo e confronto soprattutto con chi ha pensieri e ideali diversi.
Nel tempo, Vita Diocesana, ha offerto spazi di collaborazione a persone che correvano il rischio di essere emarginati e che hanno ritrovato, anche grazie a quel piccolo ma sostanziale impiego, una nuova opportunità di inclusione.
Michela e Linda sono cittadine Aviglianesi da sempre e hanno scelto di dedicarsi al territorio che vivono e amano per poter offrire servizi ai bambini e alle famiglie.
L'Associazione C'era Una Volta realizza attività e laboratori per bambini e ragazzi, i servizi che vengono maggiormente apprezzati dalle famiglie sono il doposcuola del periodo invernale e le settimane di Centro Estivo del periodo estivo. Le famiglie che incontrano hanno vissuti alle spalle molto diversi l'una dall'altra e le richieste di aiuto sono molteplici.
Nel rapporto con le famiglie riuscire ad essere davvero utili e accompagnarle nella comprensione dei servizi porta il sorriso ad operatori e operatrici che si prendono in carico i nuclei familiari a tutto tondo per cercare di dare sempre il migliore supporto alle richieste che arrivano.
I prossimi passi che vorrebbero fare sono costruire sempre più spazi e momenti di incontro e riuscire a strutturare sempre più attività, dal supporto psicologico, all'accoglienza per la fascia d'età sotto i 3 anni.
Roberto lavora da sempre nel mondo della ristorazione e dei locali. Il Bowie caffè, affacciato sul Lungo Dora, è la sua ultima avventura. Un posto per colazioni, pause pranzo e aperitivi, animato da giovani studenti e lavoratori che frequentano la zona. Un luogo di incontro con una bella musica che ti accompagna, in piena sintonia con il quartiere che è vivace e in movimento ma senza la frenesia del centro. Roberto trasmette con passione le sue competenze e la sua esperienza ai suoi dipendenti che nel corso degli anni sono stati molti e hanno aperto bar in tutta Europa.
Enea piace definirsi un grande appassionato attivista civico, legato al mondo delle associazioni particolarmente a quelle della salute mentale.
Amante della scrittura che quasi definisce come un ancora di salvezza, Enea si è specializzato nella scrittura autobiografica, un metodo che vuole lavorare sui ricordi e sull’auto narrazione.
Lo stare insieme è quello che secondo Enea ci porterà fuori dall'egocentrismo dandoci l’opportunità di vedere il mondo con occhi nuovi.
La Dott.ssa De Biasio lavora presso il servizio di medicina legale della città, nel distretto Torino sud, in via Foligno 14. Questo servizio svolge diverse funzioni sul territorio. Rispetto alla prevenzione si occupano delle visite per le pratiche di invalidità civile (leggi 104 e 68), su appuntamento, dopo la richiesta effettuata all’Inps. Si effettuano visite per riconoscimento di maternità anticipata, oltre che quelle legate al rilascio e rinnovo patente, procedure per la cessione del quinto e varie altre certificazioni medico legali. In via Foligno si effettuano anche le visite per il tribunale legate alle adozioni. Per quanto riguarda il riconoscimento dell’invalidità, a questo centro si rivolgono i residenti di zona. Le commissioni per queste pratiche sono composte da un numero di professionisti previsti dalla legge e, contrariamente a quanto si crede, non si tratta di visite, ma di una valutazione circa la documentazione medica specialistica presentata dal richiedente. La commissione esprime il proprio parere che viene inviato all’Inps, il quale prende la decisione definitiva e si occupa anche dell’eventuale revisione della pratica, nel corso degli anni. Molto del lavoro, una volta terminato il servizio al pubblico, si svolge prevalentemente su atti che in base alla legge richiedono solo l’invio di documentazione da parte del paziente.
Francesca abita nel quartiere Madonna di Campagna da più di 30 anni. È madre di tre figli; dopo la nascita del terzo, ha deciso di lasciare il lavoro presso un ente di formazione, per dedicarsi alla cura ed educazione dei suoi ragazzi, che la aiutano moltissimo nelle sue attività. Ora che sono cresciuti Francesca si dedica molto al volontariato, con una particolare predilezione per la cura dei cani. Collabora con associazioni e offre stallo agli animali in attesa di adozione, lei stessa ne ha 6. Cerca con cura le famiglie adottanti e le segue passo dopo passo, dal momento in cui prendono in carico il cane. È sempre a disposizione per dare loro una mano, come ad esempio occuparsi degli animali quando la famiglia non c’è, o si occupa di trovare qualcuno di fiducia all’interno di una vasta rete di conoscenze. Sono nate così tante belle amicizie che la sostengono, comprando ciò che è necessario per il mantenimento e la cura degli animali, che costituiscono un onere considerevole. Nel quartiere la riconoscono come una persona disponibile e degna di fiducia, per questo motivo, soprattutto le persone anziane, si rivolgono a lei per la spesa o lo svolgimento di commissioni. Diplomata come operatrice turistica, ha cominciato a lavorare presso un centro di formazione, con cui ha collaborato per 13 anni, ricoprendo diverse mansioni. Questo lavoro le ha permesso di entrare in contatto con realtà umanamente e socialmente diverse, che hanno contribuito alla sua maturazione personale. È stata anche una volontaria dell’associazione Paideia. Trascorre molto del suo tempo con i figli, con i quali ama viaggiare, soprattutto in Piemonte, vedere mostre, leggere libri ad alta voce.
L’associazione nasce nel 2000 da un progetto di convivenza tra anziani, prevalentemente donne e giovani studenti universitari fuori sede. Nata come costola di un’altra associazione operante sul territorio, Minollo, si è poi staccata per dedicarsi, tra le molte attività, ai progetti intergenerazionali, che rappresentano una novità nel panorama della attività del terzo settore. Il riscontro di questo lavoro è stato eccezionale, ma ancora di più il risvolto che si è venuto a creare, perché l’iniziale relazione di aiuto, si è trasformata in una relazione di affetto, come tra nonni e nipoti.
Il volontariato, ci racconta Ester, non è gratuito, perché porta qualcosa ad ognuno delle persone coinvolte, per cui la definizione che oggi si vuole dare al lavoro svolto dai volontari, è quello di scambio. I ragazzi portano la loro energia, forza fisica, passione, novità, tecnologia, dall’altra parte trovano tradizione, esperienza, memoria, ma soprattutto affetto.
Un altro principio importante è quello della consapevolezza che chiunque è portatore di competenze che, anche se non si vogliono mettere in gioco, devono però poter essere riconosciute. Questo è un aspetto importante, di cui si tiene molto conto, nella progettazione delle attività negli spazi gestiti dall’associazione. In particolare si lascia che siano gli anziani a portare le loro esigenze e desideri e da lì lasciare che siano essi stessi a mettersi in gioco, sia da un punto di vista pratico, ma soprattutto relazionale, perché ciò aiuta a superare le diffidenze e a creare comunità. Gli spazi, per casualità o volontà, sono frequentati da donne e gestiti da volontarie donne e questa rappresenta un’ulteriore caratteristica che rende particolari questi luoghi.
Ester vive fuori Torino e quando non lavora, passeggia in montagna, ama frequentare le persone “serene”, gioca a pallamano, sport che le piace moltissimo, soprattutto per l’ambiente positivo che crea. Ha un cane anziano che adora e con il quale cerca di trascorrere quanto più tempo possibile.
Erika è un’educatrice e coordina le attività educative sul territorio della circoscrizione 5, per l’Associazione Minollo, che nasce nel 1985, ma che dal 2008 ha la propria sede, presso la nave dell’architetto futurista Nicolaj Diulgheroff, in Via Foligno 14 a Torino. L’associazione si avvale della collaborazione di 10 operatori, di 14 ragazzi del servizio civile e di volontari. Le attività sue sono orientate ai giovani e la sede è anche un centro di protagonismo giovanile. Il lavoro si svolge prevalentemente con le scuole del quartiere e della città, attraverso la promozione di interventi di educazione informale, nell’ambito soprattutto, della prevenzione alla dispersione scolastica. Le attività si svolgono sia a scuola che in sede e comprendono il doposcuola, laboratori creativi e artistici; dal 2010 Minollo si occupa anche di Estate Ragazzi, sia in via Foligno che nelle scuole. Con il centro giovanile è in atto da 4 anni, una collaborazione con il Salone del Libro, che ha permesso ai ragazzi di entrare in contatto con realtà dell’editoria anche digitale e con il MUFANT, nell’ambito della fantascienza. Il rapporto che si instaura con le famiglie del quartiere è di grande fiducia. Loro affidano i figli agli educatori, durante l’Estate Ragazzi e continuano a mantenere il rapporto che durante l’anno scolastico. Le attività dell’associazione sono cominciate lavorando con i giovani delle classi minori del CPIA1 (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti), che oggi sono per la maggior parte di origine straniera e, sovente, appena giunti in Italia e non accompagnati. Attraverso i progetti in cui vengono coinvolti i ragazzi, come quello della solidarietà alimentare, si riescono a coinvolgere anche le loro famiglie, creando solidi legami. L’associazione crea e mantiene reti e collaborazioni, non solo con le scuole, ma con le realtà della zona come beeozanam, i commercianti ed il mercato di Borg Vittoria, per il recupero del cibo invenduto, le biblioteche. Nel tempo che le rimane, Erika fa la mamma e cerca di coltivare i rapporti con gli amici.
Lorenzo è un giovane residente del quartiere, animato da una grande passione per la recitazione, tanto da farla diventare la sua professione. Sin da bambino si divertiva a ripetere allo sfinimento le battute e recitava le scene dei film e dei cartoni animati che guardava. Un corso di teatro organizzato nel liceo che frequentava, il Giordano Bruno, gli ha permesso di cominciare a studiare recitazione, diventando poi lui stesso docente del medesimo laboratorio, anche se poi la pandemia ha interrotto momentaneamente questo percorso.
Collabora con il Bloom Teatro di Torino e con una compagnia teatrale nel canavese, recitando e conducendo laboratori di recitazione, per adulti e ragazzi. Il teatro ha permesso a Lorenzo di raggiungere una maggiore fiducia e consapevolezza di sé stesso, permettendogli di lavorare su alcune insicurezze. Lo gratifica molto, nella sua attività di insegnante, trasmettere le regole e le nozioni della recitazione, ma soprattutto sapere che il corso ha portato negli allievi, delle trasformazioni personali, se pur minime. Già l’interazione all’interno del gruppo fra persone di età differenti, che si scoprono unite da una comune passione e l’energia che questo genera, rappresentano per lui, motivo di grande soddisfazione.
Lorenzo è laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Torino, con una tesi sulla storia del cinema. Ama i film e la lettura di qualsiasi genere, ma con una predilezione particolare per il fantasy e i fumetti. La sua formazione di attore è avvenuta presso l’accademia Sergio Tofano di Torino, diplomandosi dopo un percorso di tre anni. Ha studiato recitazione, dizione, espressione corporea, danza classica, improvvisazione, elementi di regia teatrale, insieme a tutte le altre discipline curriculari.
La sua esperienza come attore spazia un po’ in tutti i generi, affrontando testi classici, ma anche di drammaturgia contemporanea. Collabora nella scrittura delle sceneggiature, nei riadattamenti per la scena di racconti, romanzi. Lavoro quest’ultimo, che gli permette di rendere ancora più personale la sua interpretazione dei personaggi che porta sul palcoscenico.
La Torre di Aly nasce come un centro ludico e doposcuola, ma in realtà le attività che si svolgono sono molteplici: oltre a supportare i bambini a livello scolastico, Sabrina Noemi, Claudia e gli altri collaboratori del centro, vanno a prendere i bambini all’uscita della scuola, cercano di seguire le famiglie nei rapporti con gli insegnanti, oltre che a livello educativo. Durante i periodi di vacanze o di chiusura della scuola, il centro accoglie i ragazzi organizzando giochi e attività, che gli permettano di socializzare fra di loro e con gli adulti, in un ambiente accogliente, inclusivo, sicuro e, soprattutto, ricco di stimoli. Le età dei bambini e ragazzi che frequentano il centro vanno dalla materna fino alle scuole superiori. Il rapporto di fiducia che si instaura con loro si basa sull’empatia, l’amicizia, ma soprattutto su una continua attenzione alle esigenze specifiche di ognuno di loro. Il centro collabora con psicologi, logopedisti e altre figure professionali, proprio per supportare in maniera completa il loro percorso di crescita.
Durante l’estate il centro estivo copre tutto il periodo delle vacanze, a parte due settimane di ferie, per offrire alle famiglie una copertura completa, a prezzi che sono adeguati alla realtà delle famiglie che vivono nella zona, con orari modulati in base alle loro esigenze. Anche in estate ai ragazzi vengono offerte innumerevoli attività come “Conoscere Torino con un Click”, progetto che li porta in giro per la città, facendo fotografie con i loro telefono, dando così loro l’occasione di conoscere oltre il loro quartiere, la città in cui vivono.
Sabrina che ha da sempre una vocazione all’attività educativa, ha intrapreso un percorso di studi socio pedagogici, prima con il diploma, ora con l’iscrizione all’università. Legge, le piacerebbe viaggiare, ascolta musica, pratica attività fisica. Noemi ha studiato lingue, ha lavorato in azienda e ha viaggiato all’estero. La consapevolezza di voler diventare educatrice l’ha portata a iscriversi all’università e a lavorare direttamente con i ragazzi. Il viaggio è una grande passione, che coltiva anche attraverso il confronto con i bambini stranieri che frequentano il centro. Pratica lo Yoga, disciplina che intende portare nel suo lavoro, con il progetto “Yoga bimbi”, probabilmente già attivo dalla prossima estate.
Il Dott. Fiorenzo Calvo, con un’iniziale vocazione da architetto, studia farmacia grazie all’opera di convincimento di alcuni amici, con cui collaborerà, prima di iniziare a gestire la farmacia di via B. Luini, nel 1986. Il locale è ampio, luminoso e oltre allo spazio medicinali, propone aree dedicate alla cosmesi, all’igiene, trattamenti per il benessere e un’ampia gamma di servizi, tra cui la consegna dei medicinali a domicilio.
Nel corso degli anni, questa attività gli ha permesso di vivere i cambiamenti del quartiere, non sempre positivi purtroppo: negozi storici che hanno chiuso e che sono stati sostituiti da attività che si esauriscono in breve tempo; una maggiore incuria del territorio; la mancanza di relazioni stabili con i negozianti e i residenti, anche questi ultimi meno stanziali. Un tempo si instauravano relazioni di amicizia con i commercianti della zona, che si ritrovavano anche dopo il lavoro per mangiare insieme, fare feste. Si è persa quella dimensione di paese che contraddistingueva il quartiere, con le sue bocciofile ed i luoghi di ritrovo per tutti.
Il lavoro racconta il Dott. Calvo, dà ancora delle soddisfazioni, anche se un po’più sporadiche, proprio per la mancanza di rapporti umani, dettata oltre che dalla fretta, anche da modalità di lavoro che la tecnologia ha modificato profondamente, anche in questo settore. Però, soprattutto con l’emergenza pandemica, la farmacia è diventata un punto di riferimento per avere informazioni e rassicurazioni, rivalutando così il rapporto di fiducia che sta alla base del lavoro di farmacista.
Il Dott. Calvo ama frequentare i musei, va al cinema o a camminare in centro e quando il tempo lo concede, coltiva la sua antica passione per l’architettura, modificando, ristrutturando un antico casolare nell’astigiano. Qui si rilassa, praticando il giardinaggio e frequentando gli amici, nella quiete della campagna.
L’Associazione Don Bosco 2000 nasce l’8 dicembre 1982 per volontà di Don Gianni Moriondo e di un gruppo di giovani animatori dell’oratorio Valsalice, con l’obiettivo di dare supporto a ragazzi soprattutto quelli in situazione di difficoltà.
Dal 2000, grazie ad una donazione da parte della squadra della Juventus, le attività dell’associazione si svolgono in via Foligno, in una sede completamente ristrutturata che comprende: 2 aule studio, uno spazio segreteria e una parte, composta da cucina e stanze, dedicata all’accoglienza di ragazzi migranti. L’accoglienza rappresenta una delle 4 occupazioni di questo gruppo di venti volontari.
Oggi nella struttura vengono ospitati 6 ragazzi che stanno svolgendo, con il supporto dell’associazione, un percorso formativo individuale di studio e lavoro, per rendersi completamente indipendenti.
L’attività di formazione di giovani animatori, per supportare il servizio Estate Ragazzi o per far fronte a varie necessità di animazione, si svolge durante tutto l’arco dell’anno e porta l’associazione ad avere contatti con alcune realtà della zona, come le parrocchie.
Il progetto Provaci ancora Sam impegna alcuni dei collaboratori che svolgono un ruolo di supporto e animazione all’interno delle scuole.
Don Bosco 2000 si occupa anche della gestione di Cascina Moglia, un antico casolare ristrutturato nell’astigiano, che è un centro di accoglienza utilizzato anche da associazioni, per ritrovi durante i week end o nei periodi estivi.
Marcello e’ pensionato da poco, lavorava per L’attuale Stellantis in una fonderia di Carmagnola, esperienza che gli ha permesso di viaggiare e conoscere diversi posti del mondo ed ampliare conoscenze che coltiva ancora oggi. Ora che il tempo non gli manca si dedica alle sue passioni : montagna, minerali, fotografia naturalistica. E’ volontario soccorritore per la croce verde ed e’ stato eletto nelle ultime amministrative come consigliere di circoscrizione nella 4. Coordina la commissione viabilita’, attivita’ questa che lo impegna moltissimo, sia dal punto di vista operativo che di tempo dedicato allo studio di questioni che per lui risultano totalmente nuove.
Elena, una giovane ragazza che da qualche mese ha rilevato la cartoleria Nina, dalla storica gestione precedente di Lucia e Angela. È stata accolta con molto affetto dagli abitanti e dagli altri esercenti del quartiere. Insieme a Luca, il suo collaboratore maestro di scacchi, ogni giorno attraversa la città per aprire il negozio, di cui si è immediatamente innamorata dopo la prima visita.
La cartoleria oltre al materiale di cancelleria, gli articoli regalo ed i servizi di stampa e fotocopie, si è arricchita di una nuova sezione dedicata ai libri, sia di narrative per tutte le età, che di scolastica. Elena infatti è una grande lettrice e ha deciso di continuare a coltivare la sua passione anche al lavoro, organizzando incontri con scrittori torinesi e presentazioni delle novità letterarie di autori emergenti. Offre anche il servizio di acquisto dei libri on line, che poi si possono ritirare in negozio. Tra le varie iniziative della vulcanica proprietaria, anche la possibilità di trovare in cartoleria le creazioni di artigiani del quartiere.
Elena è una ragazza estremamente socievole che ha voglia di collaborare e creare rete con le realtà locali. Ha conosciuto Andrea, proprietario della cartoleria Joker poco distante da lei e insieme hanno deciso di organizzare la loro attività, ognuno secondo la propria indole e possibilità, con l’obiettivo di fornire ai clienti un servizio completo. Una collaborazione che permette di superare le criticità della concorrenza e incentivando l’acquisto di prossimità.
Elena, da sempre appassionata di cartotecnica e libri, si è laureata in giurisprudenza. Dopo molti tirocini finiti senza nulla di fatto, ha deciso di coronare il suo sogno e, nonostante non abbia nessuna esperienza commerciale, si è buttata in questa nuova impresa. È una ragazza con tante passioni: teatro, mostre, manifestazioni culturali, Street art, che coltiva e che vuole diventino parte integrante della sua attività.
Marcela è una giovane laureata in progettazione industriale, lavora in uno studio di architettura in cui si trova benissimo. La pandemia e soprattutto le costrizioni imposte dal lockdown l’hanno portata ad intraprendere il Cammino di Santiago. Un’esperienza che l’ha segnata profondamente e che l’ha resa ancora più consapevole della necessità di tutelare il proprio benessere, sia interiore che esteriore. Le ha instillato anche la voglia di creare qualcosa, di avere dei progetti che diano sostanza alla sua vita. Amante della bellezza in tutte le sue declinazioni, ha deciso di aprire un centro estetico, in cui si avvale della collaborazione di due professioniste altamente qualificate, per offrire trattamenti per il benessere generale del corpo, mentre lei si occupa del ricevimento, dell’amministrazione e di tutto ciò che serve per la gestione. Marcela ama rapportarsi alle persone e questa attività le permette di vederne un lato diverso, perché’ i clienti si mostrano con i loro difetti fisici, quindi su un piano molto più umano. Il quartiere in cui vive e lavora è molto importante per lei, soprattutto perché’ ritiene che collaborare con chi le sta intorno, sia fondamentale. Frequenta i negozi della zona, come lei stessa dice “ho comprato la macchina per il caffè, ma poi vado a prenderlo al bar, perché’ ritengo sia piu’ utile per tutti” e si fa preparare prodotti di alta qualita’ per i trattamenti, dalla dottoressa che gestisce l’erboristeria che si trova proprio vicino al centro.
Marcela ha anche una grande passione per i libri, soprattutto per le autobiografie.
La Roller Sport Accademy è una palestra dedicate agli sport rotellistici. Dopo anni all’inseguimento di un sogno, Sergio è riuscito ad aprire questo spazio in cui coltiva la sua passione, ovvero il pattinaggio a rotelle, che pratica, ma soprattutto insegna. La sua famigli ha una tradizione di pattinatori, che continua con la moglie ed i figli, questi ultimi atleti della nazionale, sia su ghiaccio che rotelle. Tutti accomunati anche dalla passione dell’insegnamento.
La palestra organizza corsi per bambini, ragazzi e adulti, perché il pattinaggio è uno sport che si può praticare un po’ a tutte le età: dai 4 anni in poi, ma con la dovuta propedeuticità. È un’attività che può essere praticata un po’ ovunque, perché in questi ultimi anni sono stati costruiti percorsi in molte località, anche turistiche.
Sergio, che vive con la sua famiglia in Madonna di Campagna, ha voluto che la sua palestra fosse in questo quartiere, perché’ il pattinaggio a rotelle è nato nella pista di via Sospello, dove i ragazzi al pomeriggio si ritrovavano, per pattinare e giocare fino a sera. Lì sono nate amicizie che durano ancora oggi.
La palestra aveva aperto i battenti poco prima dell’inizio della pandemia e solo da pochi mesi ha potuto riaprire le attività. Il locale, completamente ristrutturato, è accogliente e spazioso. Prima ospitava una pasticceria e poi un’attività di litografia. Oltre agli spogliatoi e al locale segreteria, una stanza ospita una piccola esposizione di pattini storici. Una parete del locale palestra è stata tappezzata con le fotografie che raccontano la tradizione familiare del pattinaggio. Le persone che la frequentano abitano prevalentemente nel quartiere, dove la famiglia Salino sta cercando di organizzare progetti con le scuole, per avvicinare i ragazzi a questa disciplina sportiva.
Sergio ha creato da 15 anni un proprio marchio di vendita di materiale specifico di alto livello per il pattinaggio, in particolare per lo speed action. Segue quindi tutte le manifestazioni più importanti del settore. Oltre a queste attività è anche agente di commercio di ricambi originali auto, da circa trent’anni.
Nel tempo libero, quando ne rimane, pratica altri sport con gli amici: mountain bike e sci. Segue inoltre un progetto di collaborazione con scuole di sci per promuovere l’attività di allenamento presciistico in estate.
Simone Ballari è il sindaco della città di Bricherasio e, da qualche anno, è preside dell’istituto paritario Maria Immacolata di Pinerolo.
L’istituto che lui coordina è un riferimento per la città di Pinerolo perché esso è in grado di produrre un’offerta trasversale a bambini, ragazzi e giovani. Infatti l’istituto, ormai da anni, mette a disposizione la scuola primaria, secondaria di primo grado e superiore. Simone lavora con passione al progetto di crescita dell’istituto e crede che la prerogativa che deve avere la scuola di cui è responsabile sia quello di poter produrre un’offerta valoriale ai ragazzi che la frequentano al fine di generare uomini e donne in grado di portare nel mondo gli stessi valori. Simone si avvale di un gruppo di docenti molto motivati che credono che il proprio lavoro non si esaurisca durante le ore trascorse a scuola. Infatti i docenti sono un valido supporto per Simone al fine di proporre idee e opportunità progettuali sempre nuove per i ragazzi dei loro corsi.
L’istituto Maria Immacolata è pienamente coinvolto con le dinamiche del territorio cittadino e cerca di interagire con lo stesso in modo continuativo e armonioso; per tale ragione permette a molti consulenti esterni di lavorare e relazionarsi con i ragazzi della scuola attraverso progetti fatti in sinergia con le realtà territoriali al fine di allargare la proposta educativa.
L'associazione Kallipolis nasce a Trieste, per poi estendersi su Bologna e su Torino. Qui, infine, sono Rita e Anna a portarne avanti i lavori. Amiche da lungo tempo, costituiscono un duo più che affiatato.
Nel capoluogo piemontese lavorano molto con ATC, in contesti di edilizia pubblica, con progetti che coinvolgano la popolazione residente in vari modi; da qualche tempo hanno “preso casa” all'interno dell'hub di comunità beeozanam.
E sul quartiere circostante stanno portando avanti delle progettazioni specifiche, come “Reality Shot”, che porta i giovani della zona ad analizzare il territorio con uno sguardo diverso attraverso la fotografia, e come un lavoro nel contesto delle case popolari di via Verolengo che, già sperimentato in altri contesti analoghi in città, utilizzare l'arte come strumento per creare confronto e coesione tra i nuclei famigliari che abitano quegli edifici.
Rita e Anna, a suo tempo, volevano creare una ong e occuparsi di cooperazione internazionale nei paesi in via di sviluppo. E l'hanno fatto, per esempio a lungo nell'est Europa. Ma poi, Kallipolis ha individuato con chiarezza che contesti “in via di sviluppo” si trovano anche nelle periferie della nostra città, peraltro in anticipo rispetto ai tempi attuali in cui l'argomento è sulla bocca di tutti. Ma nei loro percorsi di studio in architettura, le nostre non avevano trovato quel che il loro animo ambiva a poter costruire. Se lo sono dovuto creare un po' da sé, e l'hanno infine trovato in Kallipolis.
Elena è un architetto. Ma non è solo un architetto.
Elena, da sempre, ama muoversi fra campi diversi, cercare di connetterli, immaginare progetti che coprano spazi su ambiti di solito separati. Con UrbanLab ha contribuito a inventare strade che la aiutassero ad assecondare questa sua inclinazione, facendo arrivare la ricchezza architettonica della città ai suoi residenti.
La sua terza vita è OrtiAlti, associazione che ha fondato insieme alla collega – e sua ex allieva – Emanuela, per utilizzare superfici urbane non utilizzate rigenerandole e trasformandole in aree sì produttive, ma non nel senso che storicamente la Torino industriale dà a questo termine: produzioni verdi, produzioni di verdura e di frutta. Orti. E anche qui, la volontà non è solo creare spazi, ma attivarci tutto intorno una comunità che se ne prenda cura e ne tragga beneficio.
È in questo modo che, nel 2016, Elena ha messo piede per la prima volta all'interno del complesso di via Foligno 14, dando il via con le idee di OrtiAlti alla fioritura dell'ex fabbrica e successivamente alla nascita di quello che oggi è beeozanam, una cosa che all'epoca nemmeno si sarebbe immaginata. Ma il bello del lavoro suo e del suo ente è forse proprio questo aspetto immaginifico, che da un lato non le permette di sapere dove sarà e cosa farà da qui a 10 anni, ma dall'altro le lascia aperte mille possibilità differenti.
Già da piccola, Claudia vedeva le cose che gli altri generalmente non vedono. No, niente di trascendente, nessun fantasma: cose che esistono, ma su cui di solito le persone non posano gli occhi. Gli angoli della strada. Gli spigoli degli edifici. I pali della luce. E i dettagli, sempre più piccoli: segni, disegni, adesivi.
Così, Claudia (“Kiki” per tutti) ha iniziato a notare che alcuni segni si ripetevano, e che quindi c'era un linguaggio. E lei, appassionata di lingue e in quella materia anche poi laureatasi, ha preso a trasformare quella fascinazione in un interesse, quindi in una conoscenza, e infine in un progetto.
Il progetto SAT_Street ArtTourin_ nasce all'interno dell'associazione culturale Pigmenti, con Marco e Ricky. Oggi, Kiki fa opera di divulgazione: crea gruppi di persone, spesso giovanissimi, che vanno in tour per la città alla scoperta del linguaggio della street art.
E in Madonna di Campagna, i tour di SAT trovano il proprio fulcro, anzi è proprio qui che nascono, al Parco Dora che è un po' il tempio torinese della street art, transitando per le strade della borgata Tesso, e infine arrivando a beeozanam, dove Pigmenti ha una sua “casa” e dove la mano degli artisti è visibile (in cortile, sul tetto, nelle sale).
Kiki continua a far aprire gli occhi alle persone e a far alzare gli occhi verso l'alto, e lei stessa lo fa: sempre più su, da un po' sta studiando le stelle.
Enrico è una di quelle persone le cui giornate sembrano durare il doppio di quelle dei comuni mortali, per la quantità di cose che fa.
E' un medico di famiglia, scegliendo questa che è la definizione che lui preferisce tra le varie (“di base”, “della mutua” come si diceva un tempo, etc). Ma è anche molto di più. Da oltre 30 anni il suo studio si trova qui, in piena Madonna di Campagna, in una zona che è cambiata tanto. Cambiamenti che lui ha visto riflessi anche sulla salute delle persone: quando si guardava Torino dall'alto negli anni '80, racconta, su quella zona il cielo era viola. Come le polveri ferrose sospese nell'aria sopra acciaierie, officine e stabilimenti vari.
Oggi sotto quest'aspetto la situazione è migliorata, ma in compenso nuove povertà si sono affacciate alle nostre porte. Ed Enrico quelle porte le spalanca, insieme ai colleghi che con lui animano l'ampia offerta sanitaria dello studio di via Lemie.
Ha per anni diretto un'associazione che si faceva carico dell'aspetto della salute per vari centri di accoglienza a migranti richiedenti asilo; negli studi, cosa inconsueta, erano e sono presenti i mediatori interculturali.
Si è speso e si spende per la salute del paziente, cercando laddove possibile di risalire alle cause remote delle problematiche lo affliggono, specie quando queste sono in qualche modo collegate a un risvolto sociale, e non a una mera casistica individuale.
Oggi, Enrico continua il suo lavoro in prima linea, formando nuove generazioni di medici che affianchino alle competenze tecniche anche un forte bagaglio etico. Per fortuna che prosegue, perché c'è ancora bisogno di lui.
European Research Institute è un'associazione onlus che da una dozzina d'anni opera nella progettazione europea e che ha sede in Torino; da ormai un lustro, ha generato un nuovo ramo: ERI Educational.
Si tratta di un'agenzia formativa accreditata presso la Regione Piemonte, che costituisce il completamento delle attività dell'ente madre. Realizza corsi di formazione co-finanziata dalla Città Metropolitana di Torino, e a coordinarne le attività c'è Anna Brunetti.
Educatrice di grande esperienza, ha conosciuto ERI quando seguiva gli inserimenti lavorativi di alcuni beneficiari delle progettualità sociali dell'ente, e ha finito per entrarne a far parte, per poi dedicarsi al ramo formativo. Non aveva competenze specifiche in questo senso ma un'ampia conoscenza dell'ambito sociale l'ha supportata.
Ma il lavoro di ERI Educational, informalmente e per gli amici “ERI Edu”, può essere molto più vario dei semplici – e pur importantissimi – corsi finanziati: per esempio, ora Anna è impegnata in un progetto che porterà giovani a imparare l'arte della pizzeria e a trovare opportunità lavorative in Ungheria.
Anna, molisana d'origine, si sta impegnando per conoscere meglio questo ambito, così come il quartiere in cui ERI Edu ha sede, Madonna di Campagna, all'interno del complesso ex fonderie Ozanam. D'altronde, lei stessa si è reinventata, anni fa: da perito aziendale ha deciso di cambiare vita e operare nel sociale, rimettendosi allo studio e diventando educatrice. Per cui, ce la farà anche questa volta.
Non sono molte le associazioni che, operando nel sociale, superano il mezzo secolo di vita: A.I.Z.O. la Associazione Italiana Zingari Oggi, è una di queste.
Quando Carla ha deciso di fondarla, aveva già avuto il proprio personale incontro sulla via di Damasco: era stato padre Acero, un vecchio frate, a indirizzarla. Lei prese a bordo come autostoppista questo vecchio frate, che lavorava come cappellano presso tutti i sinti del torinese, e la sua strada fu segnata. Invitata da lui nei campi, non avrebbe più smesso di frequentarli quotidianamente.
La barriera linguistica fu presto superata, perché molti fra gli ospiti del campo non parlavano italiano, ma piemontese sì, lingua famigliare anche a Carla. Così iniziò a fare scuola per i bambini di queste comunità, finché dopo alcuni anni si trasferì a vivere con loro. Da allora la sua è stata la scoperta della vera anima di un popolo, ma anche la lotta contro uno dei più diffusi pregiudizi, l'atteggiamento ostativo anche della polizia, il sovraffollamento di campi pensati per un certo numero di ospiti e nei quali ne venivano stipati in realtà il triplo, la vita senza acqua corrente.
Oggi, AIZO assiste rom e sinti attraverso una grande crisi socio-culturale, con il nomadismo che viene via via sempre più accantonato, e la sedentarietà che trova ancora diversi ostacoli.
Nel frattempo, Carla – per il suo impegno e i suoi grandi meriti – è stata nominata addirittura Commendatore della Repubblica.
Maria Chiara, per tutti “Machi”, è una tipa tosta.
Tutti i giorni balza alla guida di un grosso furgone dipinto di rosso, su cui poi carica - e da cui poi scarica! - fra gli 800 e i 1500 kg di frutta e verdura.
Gestisce forse, Machi, un grande, grandissimo negozio di ortofrutta? No, si tratta di ben altro.
Si tratta della Carovana Salvacibo, un progetto ideato dall'associazione Eco dalle Città che, in collaborazione con la Città di Torino e la Rete delle Case di Quartiere, si propone di recuperare e appunto “salvare” frutta e verdura direttamente al CAAT, il Centro Agro-Alimentare di Torino, i vecchi “mercati generali” all'ingrosso.
Frutta e verdura non più vendibile, perché leggermente guasta, perché in eccesso, perché non venduta, ma ancora del tutto buona ed edibile. Un'azione di contrasto allo spreco che sta molto a cuore alla nostra autista, che appena ha sentito di questa opportunità ci si è buttata, ottenendo il ruolo grazie al proprio entusiasmo.
Accompagnata ogni giorno da un diverso “EcoMoro” (ragazzi stranieri richiedenti asilo che fanno opera simile presso i mercati rionali), Machi poi distribuisce la frutta e la verdura della Carovana presso associazioni senza scopo di lucro, enti religiosi, mense per i poveri etc. In Madonna di Campagna fa settimanalmente tappa presso il comitato delle case popolari di via Verolengo, la cooperativa de Le Fonderie Ozanam, le associazioni AIZO e Minollo.
Per tutti sceglie i prodotti migliori, aiutata in questo dalle competenze acquisite nei suoi anni di lavoro come cuoca.
Pur avendo speso decenni in mezzo ai ragazzi, Marcello non si è stancato di loro.
Per 30 anni ha svolto la professione di insegnante di religione nelle scuole superiori di Torino, vedendole cambiare, vedendone mutare la composizione; la presenza di studenti di origine straniera e di confessioni diverse da quella cattolica ha chiaramente avuto un significato particolarmente importante per la sua materia. Ma questo, da parte sua, è stato vissuto come un'occasione di crescita, perché il confronto può essere arricchente se impostato in maniera sana, come lui sapeva fare.
La sua vita, fuori dal lavoro, si è dipanata fra le strade di Madonna di Campagna, e in particolare nella chiesa che al quartiere dà il nome. Padre Benigno Cismondi ha rivestito per lui un ruolo fondamentale, con la nascita del gruppo “3G” che diede nuova linfa al movimento parrocchiale giovanile, gruppo che poi si è evoluto col trascorrere del tempo.
Abituato a educare e mediare, ha assunto un ruolo anche all'interno del complesso abitativo in cui risiede, dove si trova ad avere a che fare con oltre 1000 residenti: quasi il sindaco di un piccolo comune!
Il pensionamento suo e della moglie ha coinciso con l'esplodere dell'emergenza pandemica, per cui oggi, parallelamente agli impegni e della voglia di fare che non lo abbandona, Marcello spera di potersi finalmente godere un po' di svago e di meritato riposo.
Andrea è un “acquisto” recente, per Madonna di Campagna.
Si è trasferito in zona durante il lockdown, per cui il grosso della zona deve ancora scoprirlo; l'ha scelta per ragioni logistiche, giusta via di mezzo fra la comodità dei servizi cittadini e la campagna (quella “vera”, quella fuori città) in cui aveva vissuto negli ultimi anni con la famiglia.
Andrea è un ingegnere aeronautico, ma da lungo tempo lavora nell'automotive. Con soddisfazione, perché, come sottolinea, passando moltissimo tempo della nostra giornata sul posto di lavoro, sarebbe orribile se non ci piacesse quello che facciamo.
Essere tornato in città gli fa comunque piacere, perché ama Torino nonostante trovi che la sua popolazione sia un po' chiusa, e vorrebbe vedere più senso civico da parte dei suoi abitanti. In particolare, nella zona in cui si è trasferito a vivere ha già avuto modo di apprezzare il Parco Dora, per quella che definisce “l'ora d'aria”, uno spazio in cui muoversi e respirare meglio.
D'altronde, Andrea è uno sportivo, che negli ultimi anni ha scoperto il tennis, iniziando pian piano e ora avendo coinvolto anche i figli; ha un passato da pallavolista a buon livello, fino alla prima divisione; insomma, a differenza dell'italiano medio, gli piace darsi da fare ma non con il calcio!
Souad è una mediatrice interculturale. Lo è perché il suo percorso di vita ne fa un ponte fra culture: quella marocchina delle sue origini, che si va a congiungere non con quella italiana, ma con "quelle" italiane.Da ragazzina infatti cresce a Feltre, porta delle Dolomiti bellunesi, in un mondo fatto di lavoro, pochi fronzoli, pochissime problematiche sociali. E cresce perfettamente integrata nella società italiana, anzi senza nemmeno sentire la necessità di dover fare qualcosa per risultare integrata.Poi, all'università a Bologna, scopre l'esistenza di un altro mondo: un mondo dove esiste "il sociale", dove ci sono i poveri e gli emarginati; ma anche dove ci si può divertire, dove si può passare del tempo non necessariamente dedicato a lavorare.Insomma, culture diverse e lontane anche all'interno della stessa nazione.La sua conoscenza della lingua araba, unita all'emergere di queste nuove consapevolezze, segnano il suo percorso: la mediazione interculturale, il ponte.E anche a Torino, nella sua casa a pochi passi da beeozanam, continua con questa strada che più che essere un lavoro è un atteggiamento con cui affrontare la vita e il confronto col prossimo.
A Claudia piace percorrere le strade del suo quartiere all'alba. Lo fa per andare a lavorare in piscina, dove tiene corsi di acquaticità per adulti e per bambini, anche per neonati. E' una sportiva, ed è un'educatrice, che sa apprezzare lo sviluppo delle competenze nei "grandi" e il superamento delle paure nei piccolini.Nata e cresciuta in Madonna di Campagna, si sente legatissima al suo territorio, che però nel suo cuore - così come pure nei suoi orizzonti quotidiani - si riduce a un orizzonte preciso: quello dell'oratorio. L'oratorio della chiesa che dà il nome al quartiere.Lì dentro, per Claudia c'è tutto. C'è un mondo, il mondo che sente suo. Lì è diventata grande, lì continua adesso che è passata dall'altra parte della barricata, da animata ad animatrice; e per questo sta seguendo un corso per animatori interculturali, perché da fra' Luca ci sono ragazzi le cui famiglie arrivano da cento paesi diversi.E infine, collabora con un'associazione (ERI onlus) per conto della quale lavora a contatto con bambini e ragazzini in situazioni di difficoltà.Ma sempre, quando svolge le proprie attività, non vede l'ora di collegarle con l'oratorio, di portarle lì dentro, di tornarci. E' il suo mondo, per lei è grande, e ci sta dentro come un pesce nell'acqua.
La Circoscrizione 5 di Torino è un territorio estremamente popoloso: con i suoi 120.000 abitanti, se fosse un'entità autonoma sarebbe la seconda città del Piemonte (!). E com'è ovvio, quando c'è un'alta concentrazione di residenti ci sono anche necessità ed esigenze sociali forti. Alberto Masera le conosce bene: nei suoi 10 anni di lavoro nell'amministrazione locale ha ricoperto anche il ruolo di coordinatore delle politiche sociali, dunque conosce bene tutto l'ampio ventaglio di associazioni, gruppi spontanei e organizzazioni di volontariato che a diverso titolo cercano di fare del bene.
Alberto, cattolico praticante, fa risalire tale ricchezza al periodo dei santi sociali, quando Torino abbracciò una specifica vocazione alla solidarietà che non ha più abbandonato.
Ora, il suo seggio in seno alla Circoscrizione l'ha lasciato ad altri. La sua è stata una scelta deliberata quanto rara, volta a dare spazio ai giovani; ma ogni volta, racconta col sorriso, il suo intento di fare a tempo pieno il nonno dei suoi 13 nipoti viene rimandato perché qualcuno gli chiede un impegno nuovo. Ora è il Banco Alimentare a vederlo in un ruolo di responsabilità; è evidente, senza lavorare per la società, Alberto non sa stare!
Puglia, Piemonte, Romania. Francesco ha una terra d'origine, una d'adozione e una d'elezione. E di tutte e tre è un grande conoscitore.
Nativo di Corato, come giovane adulto si è trasferito a Torino, e con l'approssimarsi della terza età ha sposato in seconde nozze una donna romena, il che l'ha portato a interessarsi della storia e della cultura di questo paese, fondando un'associazione, “Lumina” (la luce, in italiano) che si fa promotrice dello scambio fra le due culture, italiana e romena.
Francesco ha lavorato una vita in IBM partecipando al rapido e stupefacente sviluppo della tecnologia informatica, ma nella vita ha fatto, conosciuto e approfondito mille cose diverse, compreso un certificato HACCP che gli permettesse di esercitare la propria attività di volontario in una cucina gestita da monaci, in città.
Sulla storia della Romania ha scritto diversi libri, come del resto sugli altri argomenti che lo appassionano e che ha studiato, arrivando a un totale di quasi 70 pubblicazioni. Così come numerose sono le associazioni che ha fondato o contribuito a fondare.
Francesco ama la divulgazione della conoscenza, e da migrante – prima, da giovanissimo, in Venezuela, quindi nel settentrione italiano, Milano e Torino – comprende appieno il fenomeno degli spostamenti di esseri umani da una parte all'altra di un paese o del pianeta, e cerca di aiutare gli altri a vederla con lucidità e a viverla apprezzandone le rinnovate ricchezze.
Caritas è un ente confessionale della Conferenza Episcopale Italiana, che si prefigge lo scopo di promuovere ad attuare pratiche di carità, sui piani dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace: in particolare, si concentra sull’attenzione agli ultimi, poveri e disadattati.
La sede della diocesi di Pinerolo, si occupa del sostegno alle povertà, nelle sue diverse forme: dall’aiuto economico, al sostegno alle persone in emergenza abitativa, alla distribuzione di cibo e vestiti. Dal 2019 ne è direttore Rocco, un ex educatore di 62 anni, diacono dal 2000, che nella sua vita si è sempre dedicato ad aiutare il prossimo, prima come volontario, poi come operatore nell’ambito della tossicodipendenza, per poi specializzarsi nell’aiuto ai disabili; ha dato vita ad una cooperativa ed un consorzio; ha avviato diverse comunità e gruppi appartamento; è stato missionario in diverse parti del mondo; ma è anche stato insegnante e, nel mentre, è anche riuscito a laurearsi e conseguire un Master in Economia no profit. Oggi è padre di 5 figli (ormai grandi), in pensione e può dedicarsi totalmente alla gestione della Caritas. I tanti anni trascorsi ad unire il volontariato e il lavoro in ambito sociale, lo hanno portato a rendersi conto che le associazioni di volontariato hanno bisogno di essere affiancate e guidate da professionisti, per poter rispondere al meglio ai bisogni delle persone; ora cerca di creare e guidare una rete, che comprenda associazioni, terzo settore e amministrazione, per offrire il miglior sostegno possibile alle povertà del territorio, cercando di dare vita a quello che definisce Welfare generativo.
Elena, Fabio e Anna sono capi scout del gruppo Agesci di Rivarolo, associazione che si pone come obiettivo l'educazione delle persone affinché possano diventare buoni cittadini del mondo con una metodologia riassunta nelle parole “osservo, deduco, agisco”.
A livello operativo gli scout si dividono in tre gruppi (branco, reparto e clan) in cui cambiano gli strumenti e gli obiettivi in base all’età dei ragazzi, rimanendo centrale l'importanza dello scambio nel rispetto della diversità. Partendo dal valore del gioco e delle regole con il gruppo dei più giovani, si passa via via alla fase dell’avventura in cui i partecipanti decidono l’attività che vogliono sperimentare e si formano per attuarla, fino al clan in cui si aprono riflessioni legate alle scelta politica e di fede.
Raggiunti i vent’anni di età, gli scout possono così decidere se continuare il proprio percorso all’interno dell’associazione come capi, educando i più giovani, oppure fare una scelta di servizio verso l’esterno, collaborando con le realtà associative e cercando di rispondere ai bisogni del territorio.
Ezio è il presidente dell’associazione FelizzanOltre, nata nel 2016. A Felizzano ci sono altre associazioni, manca la proloco.
Il desiderio dei soci è quello di sviluppare settori diversi, in ambito sociale, culturale ed enogastronomico anche valorizzando il patrimonio artistico del paese.
Dal 2016 nonostante il Covid hanno realizzato tante attività che mancavano in paese, fra cui l’estate ragazzi, giornate di prevenzione in ambito medico in cui invitano specialisti ad effettuare in paese esami gratuiti (cardiologo, senologo, otorino, prove glicemiche), giornate culturali come “Monumenti aperti” corsi serali di lingua e molto altro.
La loro attività, infatti, si è anche rivolta a serate a tema, su argomenti legati alla salute, all’agricoltura alla sensibilizzazione su tematiche di attualità. Offrono sostegno nella realizzazione della festa della Leva, molto sentita in zona e da quest’anno promuoveranno una festa in piazza per i ragazzi, coinvolgendo dj.
La loro forza, racconta Ezio, è di essere partiti dalle competenze dei soci per poi tessere una folta rete di collaborazioni con altre associazioni, che ha permesso di realizzare molte cose, mettendoci molta dedizione e impegno per il proprio territorio. Avere un occhio di attenzione ai Bandi regionali, inoltre, gli ha permesso fra l’altro in piena pandemia di far partire un progetto di telemedicina per gli anziani del paese dotandoli di tablet e saturimetro per essere sempre collegati con i medici, incontri online per la popolazione con personal trainer per fare ginnastica da casa.
Partita da un’idea di un gruppo di amici l’associazione si è allargata, un sogno per Ezio sarebbe quello di riuscire a coinvolgere sempre più giovani anche nella fascia 15-21 anni, per portare idee e contributi nuovi e permettere un ricambio generazionale graduale.
Andrea fa il cartolaio. Ma Andrea non è un cartolaio.Andrea sa anche gestire splendidamente la sua cartoleria, sì; ma lui nasce mobiliere, per prima cosa, con un talento nelle mani che sanno trattare il materiale, così come negli occhi che sanno immaginare le forme prima che siano create.E poi, c'è molto altro.Andrea non è un cartolaio, è un artigiano poliedrico; e il suo negozio non è una cartoleria, è un punto di riferimento.Nato e cresciuto in Madonna di Campagna, apre le porte del suo esercizio non solo per vendere il materiale (buona parte del quale è creato da lui stesso), ma per aiutare, consigliare, sostenere. Una sorta di sportello per il quartiere, un padre di famiglia che fa sempre quel qualcosa in più per il prossimo; e il prossimo lo cerca spesso, perché di lui si fida. Perché se c'è da organizzarsi, da aiutare qualcuno, lui c'è, ben al di là di quel che prevedrebbe il suo compito di "commerciante".E poi, c'è comunque il negozio, dove nulla è lasciato al caso: il nostro infatti voleva aprirlo proprio lì, per questioni che lo legano alla famiglia e alla sua storia personale, e l'ha fatto; e pure i materiali che ha usato, come il corten, non sono scelti per mere ragioni estetiche, ma perché sono un richiamo alla storia. Non quella famigliare in questo caso, ma quella del suo quartiere, di un territorio dalla storia operaia, di fabbriche e di acciaio. Un territorio che lui ama e dal quale, vien da dire, è ricambiato.
Era una arsenale di guerra, una fabbrica di armi.
Nel 1964 è stato fondato da Ernesto Olivero con il sogno condiviso di combattere le disugualianze nel mondo
Dal 1983 il lavoro gratuito di migliaia di persone lo ha trasformato in Arsenale della Pace, luogo di fraternità e di ricerca. Una casa aperta al mondo e all’accoglienza delle persone in difficoltà.
L’Arsenale della Pace è dedicato a Padre Michele Pellegrino.
Daniele fin da giovane pur avendo frequentato studi tecnici, è sempre stato attratto dall’educazione verso i giovani.
Scopre la prima volta l’esistenza dell’Arsenale nel 2002 e ne resta affascinato. Capisce che questo è il suo percorso di vita e da li a poco inizia la sua missione con esperienze in varie parti del mondo sempre alla ricerca “dell’oltre”.
Solo quand'era già adulta Luisa è diventata suor Luisa: quel che si dice una vocazione tardiva.
Tardiva ma fortissima, totalizzante, capace di mandarla missionaria in Sudamerica e di riportarla nella sua natìa Milano, e poi a Torino a costruire un percorso con i ragazzini malati di cancro all'opedale Regina Margherita e poi a lasciare tutto e a ripartire altrove. E infine a tornare a Torino.
Ha vissuto molte vite, suor Luisa, e l'attuale la vede suddividere il proprio impegno fra l'oratorio Madonna di Campagna, dove condivide con fra' Luca il lavoro sull'oratorio con le decine e decine di ragazzi che lo popolano, e il convento “Madre Francesca Rubatto” del quale lei è madre superiora.
Il convento condivide gli spazi con una comunità per disabili gravi, è un luogo accogliente e perfettamente calato nella realtà del territorio: i vicini di casa le salutano, le conoscono, le suore sono benvolute e sono inserite nel quartiere. Ospita un piccolo ambulatorio, dove una suora infermiera ha abbandonato il pensionamento per dedicarsi a piccoli interventi (iniezioni, misurazioni) per la gente di zona. E c'è un giardino, che suor Luisa ama particolarmente, che accresce ancor di più l'aura di “oasi” che investe questo luogo, all'interno del quale non sembra di trovarsi a due passi dal traffico di largo Grosseto.
E qui, suor Luisa coltiva anche la propria passione personale, alimentata dalle competenza e dagli studi: il disegno, portando avanti con enorme gioia una collaborazione editoriale che le permette di realizzare la propria arte.
Amedeo Pereno, originario del Brazile, torna a Oulx, insieme alla moglie, intorno ai 45 anni, dopo diverse esperienze in giro per il mondo. Parte attiva della comunità, Amedeo è vice-presidente e direttore sportivo del settore calcio; è impegnato nelle ultime tre amministrazioni locali.
Impegnato a 360° in ambito sociale, Amedeo sostiene che una delle esigenze della comunità sia quella di ritrovare una nuova socialità, soprattutto nei periodi di bassa stagione per i residenti. L'altra grande esigenza che Amedeo condivide è quella di coinvolgere i giovani, nella fascia adolescenziale.
La Polisportiva Oulx offre momenti sportivi aperti a tutta la cittadinanza. Attrezzata con aree pic-nic, campi da tennis o da beach volley, e, immancabili, i campi da calcio.
E' un amante della montagna.
Lino dopo aver frequentato le scuole medie, decide un po' per necessità e un po' per voglia di indipendenza di iniziare a lavorare, entra nel mondo dell'impiantistica telefonica, mentre lavora però decide di continuare a studiare frequentando le scuole serali.
Lui è nato e cresciuto in Piazza Vittorio, poi conosce Simonetta, la donna che poi diventerà sua moglie e si trasferisce in Borgo San Paolo, dove inizia la loro vita insieme. Lino raccoglierà l'eredità del padre di Simonetta, elettricista con un negozio in Corso Racconigi, così dal mondo degli impianti telefonici passa a quello poco distante degli impianti elettrici.
Portare alto il nome e la reputazione del cognato per Lino è molto importante, perché se si sbaglia un lavoro si può rifare, "ma se si sbaglia comportamento, difficilmente si può rimediare".
Quello su cui si può fare affidamento con Lino è sia la competenza e l'affidabilità professionale, che l'onestà e il rispetto umano.
Andrea, ha studiato come perito elettronico, ma da subito sapeva di voler lavorare in autonomia, così inizia la sua gavetta come idraulico.
Apre la sua ditta nel 1996, specializzato in idraulica cantieristica e industriale, per poi espandersi e specializzarsi anche in quella condominiale e privata.
Il suo punto forte è la reperibilità h24/24, disponibili per emergenze ed urgenze.
Negli anni Andrea è riuscito a costruirsi una rete di artigiani con i quali collabora che si occupano delle più svariate necessità abitative, dal decoratore al palchettista, ma sono anche in grado di sviluppare progetti completi di ristrutturazione grazie ad una rete di progettisti ed ingegneri.
Giovanni ha ereditato l'azienda del papà insieme ai suoi due fratelli, dal '93 si occupano di fornire assistenza all'installazione, manutenzione, riparazione di caldaie mono brand, sono un centro di assistenza specializzato, ma non dicono di no a chi li chiama per un consiglio, un parere o un contatto alla ricerca di assistenza idraulica.
Se possono una mano la danno a tutti, 'al massimo ci si è fatta una chiacchierata'.
Tante passioni animano il tempo libero di Giovanni, tra cui la costruzione di acquari e la fotografia, anche se gestire un'azienda-famiglia con più di 6 dipendenti è un grande impegno che occupa la maggior parte del tempo fisico e mentale.
Paolo più che un corniciaio, è un mastro di bottega, un artista e un vulcano di creatività e idee.
Nasce come tecnico operaio alla Olivetti, ma grazie alla camera oscura ereditata dal papà, che lui trasforma in un laboratorio in cui produrre ologrammi, si innamora della vita in laboratorio e così decide di cambiare la sua vita; vuole diventare artigiano, di cosa poco importa, così si presenta alla porta di una bottega di cornici e inizia ad apprendere il mestiere. Dopo poco rileva l'attività e realizza il suo sogno, avere un suo laboratorio in cui creare e sperimentare.
Per essere un mestiere scelto tra tanti, quello di corniciaio gli veste a pennello, come le cornici che crea per valorizzare qualsiasi pezzo d'arte che gli si presenta alla porta.
Decide di trasformare il suo laboratorio e le cornici in un bene comune, perché l'arte deve essere popolare, a portata di tutti perché qualsiasi cosa si decida di appendere ai muri è speciale e merita di essere valorizzata.
Il lavoro del corniciaio è un lavoro di comunicazione e progettazione, precisa e meticolosa, costruita su misura, per e con, il cliente.
Ma Artheos non è solo cornici, è una bottega piena di vita di creatività e di energia, difficile entrare ed uscirne uguali a prima, fosse solo per una chiacchiera, un consiglio, un'idea o una risata.
Dario ha ereditato dal papà l'autofficina e il mestiere di meccanico, sono aperti dal 1954 sempre in Borgo San Paolo, quartiere dove sono cresciuti e hanno lavorato.
Da quando ha 5 anni ripara automobili, lo sanno bene i clienti che sono restati fedeli al papà prima e a lui ora, anche se le auto sono cambiate e il lavoro anche, ora servono tanti corsi di aggiornamento per restare al passo con le tecnologie, il meccanico si è trasformato diventando un meccatronico.
E' difficile, ma non impossibile, quando si ha una squadra di lavoro su cui contare, alla quale Dario sogna di poter cedere l'attività quando dovrà andare in pensione, per continuare a far vivere il sogno del papà.
Il vivaio New Garden, in Frazione Argentera a Rivarolo, nasce negli anni ’70 dal desiderio del padre di Giulia di lavorare all’aria aperta. Inizialmente dedicato alla creazione e alla manutenzione di giardini, l’attività di famiglia si sposta col tempo verso la vendita di piante in vaso e di attrezzatura per il giardinaggio.
Con la scomparsa del padre, Giulia decide di affiancare la madre Nives e il fratello Francesco nel vivaio, integrando la tradizionale attività con le proprie competenze e dando vita, nel 2018, al Fiorcolto, un giardino didattico in cui vengono proposti laboratori tematici alle famiglie e in cui si tengono campi estivi durante le vacanze scolastiche.
L'attenzione per l'ambiente emerge anche dai progetti per il futuro: Giulia vorrebbe infatti creare una Flower Farm all’interno del vivaio, in cui le persone possano scegliere direttamente cosa acquistare con maggiore senso di responsabilità e consapevolezza verso la stagionalità dei fiori.
L’associazione ACMOS è nata a Torino nel 1999 e lavora nel rendere coscienti i giovani rispetto a tematiche diverse e creando percorsi di attivazione collettiva che possano portare a dei cambiamenti reali.
Le azioni dell’associazione si sviluppano principalmente attorno a due percorsi: Casa ACMOS e il progetto Scu.ter. Il primo permette di vivere un’esperienza comunitaria, accogliendo persone in difficoltà o gruppi, anche all’interno di beni confiscati alla mafia.
Con il progetto Scu.ter., invece, Giulia lavora nelle scuole superiori per incentivare la costruzione di reti con il territorio e individuare bisogni ai quali si cerca di rispondere attraverso percorsi di partecipazione attiva. In questi spazi è infatti emersa la necessità di avere un centro aggregativo e aumentare la presenza dei mezzi pubblici nelle fasce pomeridiane, permettendo a chi abita fuori Rivarolo di fermarsi alle attività organizzate dagli studenti.
Il professor Fabbri ha incominciato il suo percorso formativo a Roma città natale, ha insegnato in scuole pubbliche statali, è padre si 4 figli di età dagli 8 ai 22 anni. Poco prima che iniziasse l’emergenza sanitaria per il covid-19, Domenico intraprende una decisione importante, decide di trasferirsi da Roma a Pinerolo città d'origine della moglie, anche lui si sente in parte migrante, avendo lasciato parte dei famigliari a Roma. Il suo bagaglio di vita lo ha portato a maturare 20 anni di scoutismo con la moglie, perciò crede nell'importanza di mettere e spostare le tende, cambiando tragitti mentali e fisici.
Al CPIA insegna solo ad adulti per la maggior parte stranieri, cita di aver incontrato circa 25 etnie diverse.
Riconoscendosi nel ruolo di insegnante quello è il suo mandato principale come insegnante per adulti e quello di ridare una possibilità di crescita ai suoi alunni alcuni di essi anche persone fragili. Il suo motto è dello Scoutista: dove metto le tende, quello è il mio posto, ma l'obiettivo è spostarle per conoscere altro.
Giorgia Cristina allieva del Professor Fabbri e alunna presso il Centro Provinciale istruzione per adulti. Cristina è di origini rumene, vive serenamente vicino Pinerolo ha raggiunto l'obbiettivo di istruzione con cpia, è contenta di ciò che gli offre il territorio. Inserita integralmente lavora studia e riconosce al cpia e al suo insegnante un'opportunità per recuperare gli studi fatti in Romania rivalutare il suo percorso.
Jizrrel ha 35 anni, è arrivato in Italia più di 15 ani fa, attualmente vive a Pinerolo, dove ha intenzione di stabilizzarsi con la sua compagna. Lui e Greta lavorano presso CFIQ di Pinerolo come insegnanti. Jizzrel insegna lingue ma la sua formazione prevede anche un indirizzo filosofico. Greta ha competenze come insegnante ma soprattutto come coordinatrice, con un'esperienza presso CFIQ molto lunga. Le loro storie si uniscono in tale sede, sostanzialmente per la passione per l'istruzione, la formazione, l'insegnamento, la cultura e soprattutto per l'interesse ai giovani adolescenti che partecipano e frequentano il CFIQ. Greta, mantiene contatti come raccontato nell'intervista con i suoi alunni, anche se lontani geograficamente il ruolo non è più quello della “prof” ma qualcosa di più, un riferimento. Jizrrel, ama e non rinnega le sue origini colombiane anzi ne trasmette l'essenza la beltà; con e per i suoi allievi ricerca il sorriso il più bel mezzo comunicativo.
Entrambe vivono bene nel contesto pinerolese dove sono stabilmente residenti, apprezzano la dimensione il territorio e le strutture sportive. Accoglienza e educazione sono le basi della loro mission nella vita e in CFIQ: non approvano l'assistenzialismo fine a sé stesso ma la realizzazione della persona. CFIQ: Consorzio per la formazione l'innovazione e la qualità.
Jimmy ha 51 anni e vive a Pinerolo da 8 anni. E’ nato in provincia di Lecco e ha girato un po’ tutta Italia. Si definisce “barbone per scelta”, perché voleva capire le scelte che portano le persone ad adottare lo stile di vita della strada : si è sempre spostato, cercando situazioni nelle quali svolgere vari lavori (giardiniere, decoratore, addetto alle pulizie) e nelle quali poter vivere situazioni di vita comunitaria. Il periodo nel quale si è sentito più realizzato, è stato quello in cui ha potuto gestire una comunità di recupero e un dormitorio, situazione nella quale ha potuto mettere a frutto la sua esperienza e porsi nel ruolo di motivatore. Crede nell’esigenza di sviluppare politiche di prevenzione dai danni derivanti dall’abuso di sostanze e partecipa ad iniziative, organizzate da collettivi autonomi, che vanno in questa direzione: appassionato di musica e della musicoterapia come mezzo per aiutare le persone a capirsi e superare le proprie difficoltà.
Ora che ha raggiunto la maturità e gli sviluppi della sua vita lo hanno portato a Pinerolo, si è innamorato di questo territorio, del clima che si respira, della creatività del tessuto sociale e vorrebbe mettere radici, trovarsi un lavoro e una dimora stabile.
Vorrebbe che le istituzioni creassero un sistema che aiuti coloro che non hanno un lavoro a rendersi utili per il territorio (manutenzione di aree verdi, laboratori per lo scambio di saperi e competenze, cura di monumenti ed edifici pubblici), dinamica che aiuterebbe anche ad aumentare il comune senso civico. Auspica la creazione di centri di aggregazione, soprattutto per i giovani.
Seth è un ragazzo di 31 anni del Ghana, nel suo paese si occupava di manutenzione edile, muratore piastrellista, non aveva patente ma sapeva guidare le moto. Decise una decina di anni fa di migrare in Italia. Il suo esodo lo conduce in Libia, paese scalo da cui Seth dovrà uscire con molte difficoltà. Approda al porto di Taranto che dovrà lasciare dopo alcune settimane. La sua prima città italiana di riferimento sarà Bologna. Seth attenderà per un po' il permesso di soggiorno, che gli arriverà dopo 10/12 mesi dalla sua permanenza in Italia.
Seth vuole essere regolarizzato e integrato; così studia per prendere la licenza media, cerca un posto in cui vivere e un lavoro, in seguito verrà inserito in un corso di specializzazione formativa per addetto ai bancali e magazziniere, attraverso il tirocinio Seth attiva contatti e relazioni professionali, così incontrerà Mauro, titolare di piccoli supermercati di cui uno a Piscina di Pinerolo.
Seth si mostra una persona capace, motivata e educata.
Mauro non lo dimentica e quando si prospetta la possibilità di aprire un nuovo market a Piscina di Pinerolo, lo contatta per inserirlo nell'organico con assunzione regolare e prima qualifica da apprendista.
Ormai sono trascorsi più di 2 anni, Seth non molla, contratti rinnovati. A gennaio del 2022 il ragazzo del Ghana otterrà il contratto definitivo. Seth attualmente accompagnato dai suoi colleghi e amici ha un lavoro, è apprezzato, multilingue, abita non lontano da Pinerolo, che definisce un posto tranquillo in cui vivere, ha preso la patente.
Mauro il suo datore di lavoro, orgoglioso e contento di SETH , coinvolti entrambe nella possibilità della reciprocità, credibilità delle relazioni umane.
Lidia nel 1987 apre il suo negozio di tendaggi e corredi, da dipendente voleva essere titolare di se stessa. Il suo sogno era però aprire una merceria, così piano piano inizia la trasformazione eliminando le tende, aggiungendo intimo, merceria e riparazioni sartoriali.
Nel 2020 c'è un'ulteriore evoluzione, grazie all'aiuto di suo figlio, decide di aprire un canale youtube in cui fa video tutorial di uncinetto, appassionata fin da piccola a quest'arte della tessitura e dell'incrocio decide di condividere il suo sapere e la sua passione.
Entrare nel suo negozio è come entrare in una piccola bottega, si scorgono qua e là creazioni di tutti i tipi e materiali che possono essere utili a chi voglia replicare le stesse creazioni o sperimentarsi in nuove combinazioni.
Lidia partecipa a fiere di settore, le piace confrontarsi con appassionate da tutto il mondo, perché non è gelosa della sua arte, anzi, condivide le sue competenze con entusiasmo.
Simona ha 36 anni, ha studiato al liceo classico e preso una laurea in biologia.
Dopo gli studi decide di lavorare nel mondo del sociale presso un istituto religioso e in diverse città d’Italia.
Lavora con le persone Simona, si occupa di doposcuola per ragazzi, aiuto compiti, laboratori teatrali e di crescita personale, sostegno a persone in difficoltà, migranti ed emarginati.
Dopo tanti anni in giro per l’Italia, ora Simona ha deciso di ritornare nel quartiere in cui è cresciuta e di fermarsi per un po’, le piacerebbe riprendere ad approfondire gli studi sulle scienze della natura e trovare un lavoro a contatto con le persone mentre progetta di intraprendere il percorso di abilitazione all’insegnamento.
CYRIL e' un ragazzo nigeriano di origine biafrana di 31 anni .
Il Sig Ugwvu distingue la sua origine biafrana e da quella nigeriana dovuta a molteplici guerre che hanno travolto il biafra che è poi diventato facente parte della Nigeria. CYRIL appartiene originariamente a “quei bambini che non avevano cibo” lui stesso racconta. Cyril ha competenze maturate in Nigeria come idraulico (attraverso apprendistato) esperienza di addetto autolavaggio esperienza maturata in Libia .
Nel 2014 parte dalla Nigeria e arriva in Libia dove dopo poco viene privato dei suoi diritti, dei documenti, dei soldi e rimane alla mercé di delinquenti libanesi. Arriva in Italia nel 2016, prende la licenza media e attraverso la diaconia valdese e cfiq educare.
Il Sig. Ugwvu è una persona molto credente e praticante attraverso le relazioni i contatti e la permanenza in territorio montano pinerolese si ritrova anche in percorsi di appartenenza religiosa, fondamentale è stata in tal senso la diaconia valdese. Tramite 2 enti formativi di Pinerolo. Educare e CFIQ intraprende un percorso formativo istruttivo che gli consegna un attestato come multiruolo nel campo alberghiero, Caffè Londra diventa il suo trampolino di lancio .
Cyril progetta nuovi percorsi, ha un lavoro da tre anni come barista al Caffè Londra di Torre Pellice il lavoro è la garanzia che gli permette di programmare, progettare e pensare a nuovi percorsi di vita.
Riconosce il percorso di legalità che ha ottenuto anche attraverso i ricoveri ospedalieri, la croce rossa e le cure ricevute appena sbarcato in Italia, di cui è grato.
Antonello è nato a Sant’Antioco, in Sardegna, nel 1959; la sua famiglia si è trasferita a Torino quando lui aveva due anni. Da bambino aspirava a diventare architetto, ma ha capito presto che lo studio non faceva per lui: la sua vera aspirazione era l’arte, nelle sue diverse forme. Da piccolo amava già disegnare (per lo più paesaggi e nature morte) e, da adolescente, ha cominciato a lavorare nella bottega dello zio, esperto artigiano del vetro; si è, quindi, specializzato nella vetreria artistica, nel restauro delle vetrate di chiese e abitazioni, nella creazione di mosaici. Purtroppo gli avvenimenti della vita non gli hanno permesso di continuare ad operare nel settore e ha svolto diversi altri lavori, ma prediligendo sempre quelli a sfondo artistico (falegnameria, restauro, intarsio): è stato anche corriere, decoratore e addetto alle pulizie, oltre ad aver lavorato in fonderia.
A seguito di diversi lutti in famiglia, ha attraversato un periodo di depressione, che lo ha portato a sviluppare una dipendenza dall’alcol, dal quale è uscito, dopo un periodo di recupero. Oggi Antonello sta bene e ha voglia di riprendersi la sua vita, ma, seppur motivato e con molte competenze, fatica a trovare lavoro, a causa dell’età.
A Pinerolo ci è arrivato in età avanzata e se ne è innamorato. Vorrebbe che ci fossero, però più luoghi di aggregazione, soprattutto per i giovani. Il suo sogno sarebbe quello di avere un laboratorio, in cui insegnare ai giovani l’artigianato artistico che lo ha appassionato.
Fatima è in Italia dal 2002, prima di arrivare a Torino è stata per un po’ di tempo in Francia con un amica.
Si è subito innamorata di Torino e grazie all’aiuto di una famiglia che ha conosciuto, è riuscita ha trovare stabilità e ad imparare la lingua.
Si definisce molto aperta e sempre pronta a nuove sfide ed avventure che la vita le propone, e per questo non si arrende facilmente.
Al primo posto della lista dei desideri c’è il bisogno di lavorare e rendersi utile al prossimo.
Un dettaglio che la caratterizza e senz’altro il suo amore per la cucina. Fatima ama molto cucinare specialmente per chi ama come la sua famiglia.
I professori Diurno e Boglione sono docenti dell'Istituto Galilei da diversi anni e stanno cercando di costruire all'interno della scuola degli spazi sempre più innovativi che possano includere ragazze e ragazzi e rimanere sempre attuali.
L'istituto è stato caratterizzato da una spinta all'innovazione già dagli anni '70, oggi la scelta è stata quella di sfruttare i fondi a disposizione per riuscire a fare in modo che la scuola riesca ad anticipare il mondo lavorativo in modo tale da preparare ragazzi e ragazze al mondo fuori dalla scuola.
Alcuni dei progetti che ci hanno raccontato sono l'attivazione della web Radio, l'istituzione di Alma Diploma, l'introduzione del FabLab, l'organizzazione di eventi periodici aperti alla cittadinanza, l'attenzione alle tematiche ambientali, l'adozione di software di progettazione al passo con l'innovazione tecnologica, la presenza di laboratori ludici e didattici fuori dall'orario curricolare, l'adozione di metodologie didattiche inclusive e non formali e molto altro!
L'obiettivo che vogliono raggiungere è che l'Istituto Galilei venga considerato come un luogo in cui si può stare bene, non solo una scuola ma una realtà in cui tutti i cittadini possano avere la possibilità di sperimentare nuove metodologie e nuove pratiche. Per raggiungere questo obiettivo cercano quotidianamente di mettere al centro i ragazzi e le loro esigenze e stanno implementando una comunicazione social coprogettata con gli studenti.
Fabio ha dedicato la sua vita all'attenzione all'ambiente e alla biodiversità, per questo motivo 14 anni fa ha deciso di trasferirsi a Drubiaglio e successivamente di dedicare la sua attività alla tutela e alla valorizzazione della cipolla di Drubiaglio.
L'azienda produce prodotti seguendo solo un'agricoltura biologica e con una forte attenzione ai prodotti del territorio. Ad Avigliana Fabio si è dedicato non solo all'agricoltura ma ha anche contribuito alla gestione del gruppo di acquisto solidale della città sempre per poter valorizzare il territorio e creare sinergie con altre persone e aziende che condividono le sue passioni.
Il percorso di attenzione e valorizzazione ha portato anche all'acquisizione del marchio DECO per la Cipolla di Drubiaglio, già prodotto bandiera del territorio e con un percorso avviato di riconoscimento da parte di Slow Food.
Paraschiva vive ad Avigliana da vent'anni. In questo periodo ha avuto modo di sperimentare molte attività sia lavorative che ricreative nella città ed è molto felice per l'offerta che viene data ai bambini, in particolare per l'apertura del nuovo parco cittadino Alveare Verde.
Per Paraschiva le grandi difficoltà riscontrate ad Avigliana sono la ricerca di una casa e di un lavoro mentre i suoi punti di forza sono la bellezza dei luoghi e le persone incontrate.
Al momento è molto impegnata nella gestione dei suoi bambini ma è sempre pronta a mettersi a disposizione di altri abitanti che dovessero aver bisogno di una mano!
Michelle vive ad Avigliana da sempre e pensa sia il posto migliore in cui stare nella Valle.
Le sue grandi passioni sono gli animali e stare all'aria aperta. Le piace molto condividere i momenti di gioia con le persone che ha intorno, per questo ha preso l'abitudine di lasciare sassi del sorriso in giro per la Città e spera sempre di poter condividere la gioia del ritrovamento con altre persone.
Oggi lavora per il pedibus di Avigliana ma vorrebbe tornare a fare la segretaria.
Michelle è sempre pronta a nuove avventure e grazie all'apertura del Parco Cittadino Alveare Verde pensa che le occasioni di socializzazione e sperimentazione della città siano aumentate, tra i suoi desideri c'è quello di una città vivibile in tutte le sue parti e di un punto di ritrovo ricreativo anche per gli adulti.
Maurizio ricorda bene quando Madonna di Campagna era...soprattutto campagna. Campagna e fabbriche, in realtà: i fattori pascolavano le vacche proprio di fronte agli stabilimenti industriali, che poi coprirono la zona fino a far scomparire persino il fiume, e dopo alcuni decenni sono scomparse anche loro lasciando di nuovo spazio al verde, quello del Parco Dora.Maurizio ricorda tutto perché non ama dimenticare. Non dimentica le tracce scomparse del suo territorio, tanto da aver realizzato un lavoro specifico per far vivere la memoria delle numerose sale cinematografiche che lo animavano. E non dimentica le origine proprie e della propria famiglia, orgogliosamente friulane, una terra sulla quale non ha vissuto e cionondimeno sente forte come “sua”.Sportivo appassionato, prima calcio, poi podismo, ora ciclismo, con gli amici della zona ha dato vita anche in prima persona a squadre calcistiche, e lo stesso ha proseguito a fare poi nei posti di lavoro che nelle vita ha cambiato. Accanto allo sport, nel suo cuore c'è spazio per la musica, rigorosamente di qualità, con i tanti concerti visti e – spera – quelli ancora da vedere.Il tutto subordinato ai veri, grandi amori: la moglie e le figlie, un mix di Friuli, Sicilia e...Madonna di Campagna.
Anna è la responsabile degli aspetti organizzativi e didattici della sede ENGIM di Pinerolo, dove lavora da 25 anni, occupandosi anche della relazione con i ragazzi e con le famiglie. Franco è il direttore da 6 anni, ma lavora con l’ente dall’81.
Conosciuta come “Il Murialdo”, quella di Pinerolo è la sede ENGIM più grande del Piemonte, “qui ci occupiamo di obbligo di istruzione, corsi per adulti occupati e disoccupati, corsi per disabili, corsi per apprendisti e corsi a libero mercato” - ci spiegano.
L’offerta di corsi di formazione professionale rivolti ad adulti e ragazzi è ampissima: dal settore del benessere, all’elettronica, passando per l’artigianalità della falegnameria, e non solo.
Progetti per il futuro? “Speriamo di aprire già questo settembre il progetto di Impresa Formativa”, un’attività simile a un bistrot o a una bottega per far vivere una vera e propria esperienza di lavoro all’interno della scuola.
Lorenzo ha trent’anni, è nato a Moncalieri, ma ha sempre vissuto a Pinerolo. Dopo essersi laureato in architettura al Politecnico di Torino, ha deciso di concretizzare la sua passione per il food & beverage aprendo tre diversi locali nella città di Pinerolo: dalla cucina hawaiana all’enoteca, non facendosi mancare nulla. Secondo lui infatti, ciò che mancava nella cittadina era un’offerta per lo svago serale e/o notturno dei giovani abitanti, che piuttosto, si spostavano altrove. Un settore, il suo, talvolta oggetto di pregiudizi che ne precludono lo sviluppo.
Il suo tempo libero, seppur poco, è dedicato agli amici di infanzia e alla continua ricerca e scoperta di nuovi prodotti enogastronomici da inserire nei suoi locali.
Lorenzo crede nel futuro che questa città può avere, specialmente per i giovani, ma a parer suo c’è uno “scontro” con la vecchia generazione che si trova ad affrontare una città che anno dopo anno si sta sempre più ringiovanendo: “quando io avevo diciott’anni non c’era questa vita notturna”, e il fatto che oggi l’offerta di locali stia aumentando non dev’essere visto negativamente.
Christian è arrivato in Italia a Giugno dell’anno scorso.
La sua città d’origine è Abidjan in Costa D’Avorio, una città a lui molto cara perché ricca di divertimenti e per gli amici e famiglia che sono ancora li.
Ha lasciato la Costa d’Avorio alla ricerca dell’avventura e nuove opportunità e la prima tappa è stata l’Algeria dove ha vissuto di due anni ed ha lavorato in una boulangerie.
In Costa D’avorio studiava giurisprudenza, diritto sociale, e vorrebbe poter continuare gli studi per aiutare le persone che si trovano in pericolo.
Ama la moda e vorrebbe diventare uno stilista
Andrea riveste 2 ruoli professionali uno pubblico come neo presidente della Pro loco di Pinerolo, l'altro in veste di titolare del bar Caffè del chiosco.
Queste 2 posizioni gli danno la possibilità di ascoltare, accedere, rilevare con modalità differenti i bisogni, le istanze, le problematiche dei suoi clienti e dei suoi concittadini. In veste di neo presidente i suoi sforzi sono orientati a coordinarsi con le associazioni del territorio e con il Comune per progettare, programmare, migliorare il turismo, l'interesse sulla Città di Pinerolo, alcuni esempi sono eventi straordinari come i mercatini natalizi o le manifestazioni di carattere sportivo popolare come la Pinerolo che pedala, la notte dei dehor, senza trascurare la storicità della città che si riscontra nelle istituzioni come il Museo Storico dell'Arma di Cavalleria, Pinerolo culla della cavalleria e dell'equitazione.
Andrea non vorrebbe che Pinerolo apparisse solo come una città di pensionati, sente il bisogno di creare e proporre degli investimenti sui giovani, l'importanza di riconoscere e dare vita e spazi ai cittadini che si propongono per iniziative singole o di gruppo restituendo e riconoscendo agli stessi capacità e iniziativa.
L'ottimismo non manca, le sinergie con le associazioni sono attive, la progettualità, la voglia di fare e sperimentare sono essenziali e da stimolare.
Andrea, attraverso il suo bar che gestisce dal 2012 ha un’interfaccia diversa con i suoi concittadini e/o clienti, bisognosi talvolta di un confidente, di un ascoltatore non giudicante, clienti con cui si intersecano bisogni comuni, dialoghi piu' alla pari, quelli con il barista, incontri anche con persone fragili, o temporaneamente ai margini.
Mauro ha origini veneto piemontesi, risiede a Bruino, 59 anni, gestisce 2 supermercati di cui uno a Piscina di Pinerolo.
Si è diplomato come perito meccanico, nello specifico capo officina, si laurea intorno al 2010 in Scienze amministrative, consulenza del lavoro, facente parte di scienze politiche.
Per Unes riveste il ruolo di responsabile delle risorse umane e responsabile degli acquisti.
Conosce il territorio da circa 24 anni, nelle comunità piccole come quella di Piscina o Bruino ha investito molto, tale investimento non è mai stato disatteso per la facilità ad attivare rapporti e relazioni con i clienti, non solo a titolo commerciale, perché si crea coesione, dialogo, conoscenza che in alcuni casi si trasforma in amicizia.
Il piccolo borgo diventa facilitatore di comunicazioni e affiatamento.
Ha una moglie e 2 figli, per lui il valore della famiglia è essenziale e supportante.
Mauro si specializza da giovane nel settore commerciale e alimentare, ha lavorato in diversi supermercati.
Ritiene importanti le parole educazione, rispetto e riconoscimento del prossimo; per lui nella parola maestro risiede colui a cui dare rispetto, ricevendo conoscenze, possibilità, istruzione.
Si ritiene fortunato per aver costituito un supermercato a carattere famigliare, i suoi dipendenti, che non ama definire così, fanno parte per lui di una famiglia (la seconda) quella lavorativa che con il tempo si trasformano in relazioni più profonde.
Mauro si identifica e reputa essenziali i concetti di inclusione della migrazione, “siamo stati tutti migranti…”
Il cuore di Antonio Cicciarello batte forte per la sua Calabria, la terra natìa, che lui decanta con capacità descrittive che sfiorano il poetico. Ma anche per la Francia, il paese dov'è nata la sua compagna Delphine e per cui prova un'enorme considerazion. E infine per Torino, dove vive da decenni, e in particolare per il quartiere di Madonna di Campagna, che è la base in cui ha installato “Impresa & Territorio”, una realtà multiforme che affaccia proprio sulla Spina Reale.Si tratta di uno spazio dove Antonio mette a frutto la sua esperienza di consulente d'azienda, e che lo porta a gestire in maniera manageriale anche questa realtà, dove trovano spazio altre aziende quando lo vogliono, ma anche i residenti che possono trascorrervi dei momenti piacevoli, ballando, giocando, partecipando alle attività ricreative e culturali che la mente vulcanica del suo ideatore partorisce a getto continuo.L'ultima è il Coordinamento TO 5, una rete di comitati, associazioni e gruppi informali della Circoscrizione 5 di Torino, un'iniziativa dallo stampo prettamente culturale che per Antonio significa altro tempo da investire, e tanta stanchezza in più. Ma, come dice lui, è una stanchezza bella.
Skander è un ragazzo di 18 anni che viene dalla Tunisia, è un ragazzo molto sorridente e solare che sta cercando la sua strada.
In Italia da 1 anno ha lavorato nel campo della ristorazione come aiuto cuoco e lavapiatti, appassionato di calcio e del mare, gli piace imparare e si butta in nuove sfide senza troppo timore.
Riccardo ha da poco conseguito la maturità scientifica è appassionato di appassionato di arte e sta studiando per riuscire ad entrare al corso di design del Politecnico, in attesa del test sta imparando da autodidatta ad utilizzare diversi programmi per il design e il disegno digitale, anche attraverso l'uso della tavoletta grafica.
Un ragazzo con tanta determinazione e forza di volontà, si è appassionato in questi anni al kalistenics, disciplina di allenamento a corpo libero, per cui sono necessarie tante ore di allenamento che però come lui ci spiega, da tanta soddisfazione.
Riccardo vorrebbe andare all'università e studiare, ma anche trovarsi un lavoro per diventare indipendente economicamente, è una persona con le idee chiare che sa cosa vuole e che ce la sta mettendo tutta per ottenerlo.
Piero Alberto ha 21 anni, viene dal Perù ed è in Italia da 3 anni, ha già seguito un primo corso di sala bar e avuto esperienze lavorative in alcuni locali.
Quello che ama di questa professione è la possibilità di essere a contatto con le persone, con la sua personalità calma e tranquilla è in grado di portare serenità a tutti i lunedì mattina. E' affascinato dalla colazione all'italiana, cappuccio e brioche, mentre a Lima era solito bere un succo e farsi due uova.
Il suo sogno nel cassetto è aprirsi un bar tutto suo, fatto di mescolanze tra i suoi due mondi, se lo aprirà in Perù, gli piacerebbe far conoscere la colazione italiana e i cocktails più comuni che si bevono qui, invece se il luogo prescelto per l'apertura sarà l'Italia allora saranno i sapori e le usanze peruviane ad arrivare.
Peace ha 19 anni, viene dalla Nigeria ed è qui in Italia da 2 anni, va a scuola e gli piace l'informatica e la tecnologia. Gli piacerebbe continuare a studiare per mettersi alla prova e continuare a sviluppare la sua intelligenza e aumentare la cultura.
Gli piacerebbe poter lavorare del campo della ristorazione perché ama parlare e stare con le persone, si definisce un buon ascoltatore.
Ama la musica ma non troppo ballare.
Nahawende ha 18 anni ed è arrivata da sola in Italia dalla Tunisia 1 anno fa.
Ora vive con altre 4 ragazze provenienti da diversi paesi del mondo e va a scuola di italiano 6 ore al giorno, nel tempo libero le piace uscire con amiche e amici. In futuro le piacerebbe riprendere gli studi interrotti.
Marcela, una nessuna e centomila. Ha 20 anni, va al liceo socio-sanitario e ha tante ambizioni per il suo futuro. Vorrebbe studiare medicina o infermieristica o ingegneria o scienze biologiche, insomma ama la scienza e le persone, e vorrebbe trovare il percorso di studi che le permetta di coniugarle.
E' una ragazza che ha già avuto esperienze lavorative, riuscendo a coniugare studio e lavoro, anche se con molta onestà intellettuale è stata in grado di scegliere a quale lati della sua vita dare più spazio. Una persona realista e concreta, entusiasta per la vita e il mondo, molto sensibile, è un'attenta osservatrice che ha bisogno di capire e si dedica il tempo necessario per farlo.
Nel suo tempo libero ama uscire con le amiche, conoscere e ascoltare i mondi attorno a lei, le piace disegnare le sfumature che vede negli occhi delle persone che incontra e leggere i grandi classici che le aprono la mente.
Marcello Malandra assieme alla mamma già titolari del locale “Inside”, hanno rilevato due anni fa il "Km 5".
Il locale si trova in via San Domenico a Torino, in pieno quadrilatero romano, un quartiere storico della città che si contraddistingue per la presenza di numerosi ristoranti e cocktail bar.
Con l’acquisizione del locale, Marcello e la mamma hanno modificato e sviluppato l’attività passando da una ristorazione prettamente serale ad un’attività che copre tutto l’arco della giornata con colazione, pranzo, apericena e dopo cena.
La positiva atmosfera familiare che regna fa sì che nel locale i collaboratori, quasi tutti ragazzi giovani, si sentano un pò come a casa, dando ognuno il meglio delle proprie possibilità.
Un nuovo progetto aleggia e riguarda la prossima apertura nei pressi di Piazza Savoia in uno dei più storici palazzi Torinesi, Palazzo Barolo.
Davide inizia la sua esperienza lavorativa nel campo della ristorazione giovanissimo, gestendo un circolo per studenti e nel contempo faceva catering per vari circoli quali i Roveri, il Circolo della Stampa, Basic Net dove a Marzo 2020 ha preso in gestione il locale dentro lo spaccio aziendale della Robe di Kappa.
L’inizio dell’attività ha coinciso purtroppo con quello della pandemia, per cui Davide ha dovuto reinventarsi il lavoro facendo principalmente asporto.
Ora ad emergenza finita l’attività ha ripreso il suo normale corso, con buone prospettive di crescita e assieme al fratello ha già avviato una nuova iniziativa nel quartiere di Santa Rita ed ha in programma un'ulteriore apertura in Sardegna.
Mamadou ha 24 anni, da 7 in Italia, in Gambia era falegname. Arrivato qui ha seguito corsi e fatto esperienze in falegnameria, edilizia, come mulettista, cameriere, autista, lavapiatti e aiuto cuoco; se avesse potuto studiare, gli sarebbe piaciuto diventare maestro perché ama i bambini.
Parla 5 lingue: inglese, arabo, francese, italiano e il dialetto mandinka,
Mamadou è alla ricerca di un lavoro nel campo della ristorazione, trasmette serenità e affidabilità, con un curriculum di una persona che si da da fare e che non ha paura di mettersi in gioco e di imparare.
Gli piace fare piccoli viaggi alla scoperta del territorio, ha visitato quasi tutta Italia, ama la montagna, andare in bicicletta e ballare a ritmo di musica.
Kadiaiatou ha 24 anni, da 4 in Italia e con esperienza come aiuto cuoca in cucina di ristoranti e bar, ha fatto anche un corso di formazione come operatrice socio-sanitaria.
Ama le passeggiate e la musica, in Costa d'Avorio il suo sogno era diventare dottoressa. Ora in Italia vorrebbe ritrovare la sua indipendenza con un lavoro stabile che le permetta di essere autonoma e magari ricominciare a studiare.
Janet ha 22 anni ed è in Italia da 5 anni e ha sempre lavorato nel campo della ristorazione e sala bar. Si occupava della preparazione dei piatti, della caffetteria e della pasticceria.
Le piacerebbe anche iscriversi a qualche corso in cui imparare a fare manicure e trucco per aumentare le sue possibilità di impiego.
Janet è una ragazza sveglia, che sa di cosa ha bisogno e cosa deve fare per ottenerlo.
Great detta Greta, 24 anni, cittadina del mondo, nata in Libia ma di nazionalità Nigeriana è in Italia da 6 anni.
E' mamma di 2 bambini e ha energia da vendere, nonostante la vita l'abbia messa a dura prova non ha mollato e mette il sorriso, la vivacità e la tenacia in ogni sua espressione.
Greta, una vita tutta da vivere, finalmente in una città in cui si può fermare e iniziare a costruirsi il futuro. Le piacerebbe studiare panificazione e pasticceria, ama la cucina, in Libia i suoi genitori gestivano un ristorante e lì si è appassionata al mondo della ristorazione e del bar.
Un mondo che le permetterebbe di tirar fuori tutto il suo potenziale, l'amore per la cucina e quello per le persone, per i rapporti umani e per lo stare bene insieme.
Francesco ha 24 anni e tanta esperienza nel mondo della cucina. Diplomato in una scuola alberghiera, ha fatto esperienze come aiuto cuoco durante gli studi, poi si è iscritto ad economia per poi congelare la sua carriera universitaria, nonostante abbia anche fatto esperienza in uno studio di un commercialista.
Dopo questa parentesi economico-matematica, ha ripreso a lavorare come aiuto cuoco e cuoco durante le stagioni, anche all'estero, arrivando a gestire un'intero staff in cucina, riuscendo a coniugare il lavoro con l'altra sua passione: la danza hip hop e break dance, ha tenuto per diversi anni laboratori e corsi di danza.
Altra grande passione è quella per la lettura e per i fumetti, di cui è un collezionista.
Il luogo di lavoro ideale per Francesco è un posto in cui si lavora con rigore, organizzazione, tecnica e precisione, ma allo stesso tempo un luogo stimolante in grado di offrire sempre nuove sfide e competenze da apprendere.
Francesco è un ragazzo molto attivo, con tanti hobby e passioni, che cerca nel lavoro un posto felice in cui recarsi tutte le mattine con il sorriso e che sia in grado di accogliere e stimolare il suo entusiasmo verso le novità, che gli dia la possibilità di crescere e mettersi in gioco ogni giorno.
Federico ha 21 anni, tanta esperienza nel mondo della ristorazione perché tutta la sua famiglia gestisce bar e locali a Torino.
Affascinato da questo mondo sempre a contatto con le persone, ha scelto di studiare in una scuola alberghiera, specializzandosi in sala bar e caffetteria.
In questo momento sta lavorando nel bar di suo padre, ma il suo desiderio di autonomia e indipendenza è forte e vorrebbe mettersi in gioco in contesti non 'familiari'.
E' un ragazzo molto solare e attivo, gli piace fare lunghe passeggiate con le cuffie nelle orecchie, ama la musica e lo sport, ma anche leggere libri e fumetti, per immergersi in mondi sconosciuti che non ha ancora potuto visitare.
Gli piacerebbe tanto viaggiare per il mondo e visitare grandi metropoli come Cuba, Hong Kong, Pechino e Napoli, città natale della sua nonna che spesso va a visitare durante le sue passeggiate solitarie.
Il sogno di Federico è l'autonomia, vorrebbe trovare un lavoro stabile per poter andare a vivere da solo e iniziare il suo percorso di vita indipendente, avere la possibilità di viaggiare e scoprire il mondo, e chissà magari un giorno aprirsi un locale tutto suo.
Fabio ha 20 anni, ha studiato per 4 anni come grafico pubblicitario per poi rendersi conto che lavori statici e al computer non erano la sua strada, ha lasciato la scuola per iniziare il suo percorso nel mondo del lavoro.
Ha fatto qualche esperienza in una ditta di traslochi e ora sta frequentando un corso di formazione nel campo della ristorazione e sala bar.
Gli piace cucinare e sicuramente ha voglia di sperimentare e sperimentarsi anche in questo settore, amante dei viaggi e del mondo ha voglia di partire per scoprirlo, per vedere cosa c'è oltre il nostro modo di fare le cose.
Parla francese e inglese a livello scolastico, con il desiderio di migliorare con la pratica, ama la musica, soprattutto quella rap.
Fabio è un ragazzo che sta cercando la sua strada e che ha voglia di trovarla, facendo tante esperienze che potrebbero aiutarlo a scoprire se stesso.
Elena Pozzallo è nata, cresciuta e tuttora vive a Oulx (TO). Attiva a 360° nella comunità grazie alle diverse associazioni che la animano. Il territorio e la sua popolazione è cambiata: nel tempo le proposte e le associazioni si sono strutturate, favorendo una sinergia.
Negli ultimi anni, Elena è una volontaria attiva del Rifugio Fraternità Massi di Oulx (TO) gestito dalla Fondazione Talità Kum Budrola Onlus. Il centro di accoglienza è stato aperta nel mese di settembre 2018, destinato ai migranti di passaggio in alta Valle di Susa. Secondo Elena, questa emergenza e la conseguente apertura del Rifugio ha messo in luce un fenomeno che caratterizza l'epoca moderna. La popolazione ha risposto positivamente a questa apertura: presentandosi come volontari, portando vestiti o altri oggetti utili, ad esempio.
La necessità, secondo Elena, è di creare uno spazio polivalente, che diventi un punto di incontro per la comunità.
Si chiama Vitale, ma tutti lo conoscono come “Bunna”, il cantante del gruppo reggae “AFRICA UNITE”.
Pinerolese da sempre, si è diplomato in Ragioneria e, dopo aver fatto diversi lavori (tra cui anche il falegname, con lo zio), ha dedicato la sua vita alla musica ed è ben felice di poterlo considerare il suo lavoro a tutti gli effetti. Il successo lo ha raggiunto già a fine anni ’80, quando gli Africa sono diventati un gruppo di livello internazionale: ha viaggiato in tournè in tutta Italia e in buona parte d’Europa, diventando una delle voci più conosciute del panorama Reggae; ciò nonostante, ha sempre mantenuto un forte senso di appartenenza con il territorio Pinerolese, del quale ha sempre colto il lato provinciale, ma stimolante. Oggi è anche un padre di famiglia, con due bambini, ma riesce comunque a conciliare musica e vita privata.
Per Pinerolo è un punto di riferimento: collabora con diversi musicisti locali, favorendo artisti emergenti, ma prende anche parte a eventi culturali; non ha mai puntato ad essere un personaggio ed è ben contento di essere riconosciuto più per le sue qualità umane, che per il curriculum.
Vorrebbe che il territorio fornisse maggiori possibilità di aggregazione per i giovani e luoghi di ascolto, per intercettare i bisogni degli individui. Ritiene che ci sia l’urgenza di affrontare in modo concreto l’emergenza ambientale e si fa promotore di eventi di divulgazione su argomenti green.
Simone ha 22 anni, è nato e cresciuto a Torino da papà Croato e mamma Romena.
Il suo sogno è quello di fare il parrucchiere, una passione che coltiva da autodidatta, ma che gli piacerebbe trasformare in una professione con l'esperienza e la pratica. Ama molto anche cucinare e gli piacerebbe imparare il mestiere del pasticcere.
Vorrebbe lavorare in un gruppo di lavoro e non da solo, per poter ricominciare a socializzare dopo la pandemia da covid-19, gli piacerebbe anche ricominciare ad organizzare le partite di calcetto con gli amici.
Non ama tanto il posto in cui vive e vorrebbe trasferirsi in un quartiere più centrale e tranquillo.
Samuel ha 19 anni, ha frequentato il primo anno di un istituto tecnico a Torino per poi decidere di abbandonare gli studi per problemi economici, le materie che preferiva erano storia e scienze.
La vera passione di Samuel però, sono i viaggi, per scoprire nuovi luoghi e culture, conoscere persone e culture differenti e aprirsi la mente.
E' una persona socievole, che vorrebbe lavorare a contatto con il pubblico, ed è disposto ad imparare e a mettersi in gioco. Madrelingua italiana, parla anche lo spagnolo e vorrebbe imparare l'inglese proprio per poter girare il mondo.
Samuel è un nostalgico degli anni '80-90, anche se li ha conosciuti solo attraverso la musica che ascolta, musica che lui definisce "senza bandiere", di tutti i luoghi e di tutti i generi, con una predilezione per il blues e il jazz.
Alex ha 21 anni, cresciuto a Torino, con una passione per la tecnologia e l'informatica, ha imparato ad aggiustare strumentazione tecnologia da autodidatta, non è riuscito a proseguire gli studi, ma gli piacerebbe tanto diventare un tecnico informatico.
In attesa di poter eventualmente riprendere gli studi, Alex desidera un lavoro per riuscire a trovare la sua indipendenza, gli piacerebbe trovare una casa e andare a vivere da solo.
Gli piacerebbe lavorare a contatto con il pubblico, come barista o addetto alle vendite in qualche negozio di elettronica, quello che gli piace di queste tipologie di lavori è la possibilità di rispondere alle esigenze delle persone, "di dargli quello di cui hanno bisogno".
Nel suo tempo libero Alex gioca a calcio con gli amici e ascolta la musica hip hop, gli piace anche la musica tradizionale Croata, lingua che non parla ma che comprende oralmente, è madrelingua Italiana e Rom.
Lo European Research Institute nasce nel 2009 da un gruppo di amici, ex compagni di scuola che mettono insieme le proprie competenze e le proprie storie in un ente che cerca di mettere in pratica una visione comune.Fra questi c'è Federico, che ci racconta la storia dell'associazione, e di come nel 2014 questi inizi il proprio rapporto con via Foligno n. 14 allorquando la Ozanam House diventa un C.A.S., un centro di accoglienza straordinaria per persone straniere richiedenti asilo, quasi tutte di nazionalità pakistana; ora, da un paio d'anni la funzione della struttura è cambiata, ed E.R.I. accoglie famiglie e singoli in situazione di emergenza abitativa, nell'ambito di un patto con il Comune di Torino. Federico cerca di aiutare i beneficiari di questo progetto a integrarsi, specie attraverso gli inserimenti lavorativi.Ma l'associazione fa anche altro, opera nel settore delle politiche sociale con varie attività e poi in quello della tutela dell'ambiente, per esempio sull'inquinamento da plastiche nei mari e negli oceani del mondo.Federico conosce ormai piuttosto bene il territorio di Madonna di Campagna, che vede come strutturato per essere un quartiere-dormitorio, e cerca anche lui personalmente a farsi trovare pronto per creare occasioni d'incontro fra le persone insistendo sul fatto che debbano essere gratis, perché la povertà ha colpito in maniera pesante le famiglie residenti.
Darius ha 19 anni, è un ragazzo che ama la tranquillità e l'organizzazione sul lavoro, è diplomato in studi alberghieri e vorrebbe iniziare il suo percorso lavorativo in uno degli eleganti bar di Torino, dove a suo dire il lavoro è ben organizzato e rigoroso.
Specializzato in sala bar, ama questo lavoro perché gli permette di stare a contatto con le persone, di entrarci in relazione mentre si lavora.
Ama viaggiare anche in solitaria, cuffie nelle orecchie e passo sicuro, però ama la città in cui è cresciuto, si sposterebbe da Torino solo per lavoro che è la sua più grande necessità al momento.
Nel suo tempo libero Darius si allena in palestra e va in bicicletta, esplorando la sua città e le colline che la circondano.
Benson ha 28 anni ed è in Italia da 5, è alla ricerca di un lavoro e sta svolgendo diversi corsi di professionalizzazione nel settore bar, ristorazione e cucina. Ha frequentato anche una scuola per diventare mediatore culturale e parla 3 lingue, italiano, inglese e pidgin.
In Nigeria oltre a frequentare la scuola dell'obbligo, lavorava come addetto all'interno di un locale per scommesse.
Benson è un'anima artistica, gli piace disegnare, ama la musica, in particolare il rap, scrive canzoni che parlano di sé, e balla hip hop.
Verano nasce nel 1956, a Pinerolo, secondo di 9 fratelli. Oggi è il titolare del negozio Chiale, una realtà nata nel 1889, a conduzione familiare: il fondatore dell’azienda era il suo bisnonno, che ai tempi svolgeva il lavoro di calderaio (stagnava l’interno di pentole e tegami in rame, per evitare che rilasciassero sostanze nocive). In questi decenni, la ditta si è trasformata, adattandosi alle esigenze del mercato, passando dall’essere una realtà artigiana, al diventare un polo commerciale, con due negozi (uno a Pinerolo e uno a Saluzzo) ed un mobilificio. Ditta a conduzione familiare, in cui ogni fratello ha un proprio ruolo di responsabilità, a seconda delle proprie attitudini e competenze, ma con più di trenta dipendenti, che vengono considerati parte della famiglia allargata.
Verano ha studiato per diventare geometra, andando a scuola al mattino e (come tutti i suoi fratelli) aiutando i genitori in negozio al pomeriggio, un po’ per gioco, un po’ per senso del dovere; tuttavia, appena ha finito gli studi, in modo naturale ha cominciato a lavorare a tempo pieno, partecipando attivamente all’espansione e all’ammodernamento dell’azienda, che continua a gestire con i fratelli, anche oggi che ha raggiunto l’età pensionabile.
Molto attento ai bisogni del territorio, si dedica al volontariato e alla beneficienza, sia a titolo personale, che a nome del marchio “Chiale”: gli ambiti nei quali agisce sono il sostegno alle povertà, la valorizzazione e la salvaguardia del suo territorio, dei monumenti e dell’ambiente; crede molto nella necessità dell’alternanza scuola-lavoro, occasione formativa per generazioni di giovani, sempre meno abituati alla fatica e al sacrificio. Nel tempo libero, si dedica allo sport (tennis, sci e ciclismo) e alla famiglia.
Michelle ha 24 anni, da quasi 5 è in Italia, dopo essere venuta a trovare sua sorella ha deciso di fermarsi, anche se la sorella ora vive nel sud Italia, lei ha deciso di restare a Torino, le piace il fresco.
In Nigeria aveva iniziato l'università per diventare farmacista, le piace prendersi cura delle persone e aiutarle a stare meglio.
Qui a Torino, vorrebbe trovare lavoro per diventare indipendente, ha seguito diversi corsi sulla ristorazione, come sala, bar, collaboratrice in strutture alberghiere, cucina. Le piacerebbe trovare un impiego come barista ma ama molto anche cucinare, ora sta imparando i piatti delle tradizione italiana come gli gnocchi e le lasagne.
Oltre alla cucina, Michelle ama molto anche il canto, i viaggi e lo sport, ha anche una capacità incredibile nell'imparare le lingue, ne parla ben 4 (inglese, francese, italiano e arabo) imparate solamente ascoltando e parlando con le persone incrociate nella vita.
Rossano, imprenditore da più di 25 anni, si occupa di ristorazione ed ha aperto undici anni fa ha aperto il primo locale “Lino passami il vino” a Torino nord, a cui sono seguite nuove aperture negli anni successivi.
La denominazione dell’attività fa riferimento al nome del fratello di Rossano, anche lui uno dei soci.
Il prodotto tipico del locale è “l’arrosticino”, cibo tipico abruzzese costituito principalmente da carne di pecora e cotto esclusivamente al carbone.
A partire dalla fine del mese di Marzo, il locale di C.so Siccardi, nel pieno centro della città di Torino, oltre al tradizionale menù con protagonista l’arrosticino, proporrà anche una degustazione di vini con incontri coi produttori.
Martina eclettica ragazza, un pò barista, un pò cuoca e un pò pittrice, assieme alla sorella Alice hanno deciso di lanciarsi nel mese di Aprile del 2019 in una nuova avventura aprendo questo locale battezzandolo “Le sorelle bistrot”.
Una leggenda aleggia sul locale e narra che vent’anni fà due sorelle, una cuoca ed una barista, “Le Wonder Woman”, iniziarono l’attività chiamando il locale “ Wonder bar”. L’attività nel corso degli anni è cresciuta molto tant’è vero che venne assunto un barista che a sua volta portò suo fratello, cuoco, ed insieme rilevarono l’attività.
Subentrò un’altra gestione che assunse Martina la quale in seguito portò la sorella, barista, ed insieme come le prime due sorelle rilevarono il locale.
Si dice che l’attività tornata nuovamente alla gestione di due sorelle sia ben augurante.
Dalle sorelle l’atmosfera è molto calda e si è messi subito a proprio agio.
Dai primi di Aprile il locale dopo le ore 16 cessa la sua attività di bistrot e diventa a tutti gli effetti una piola con pane, salame e vino per tutti.
Il Forno Ricca nasce da un’idea di Maurizio assieme ad altri due soci circa un anno fa.
Maurizio e il socio Davide, che si occupano prettamente di comunicazione e marketing hanno sviluppato l’idea dal punto di vista commerciale, mentre Davide Castoldi che è uno chef si è occupato di tutto ciò che riguarda il food and beverage.
L’iniziativa è una start-up nata in sei mesi durante il periodo pandemico e porta con sé un brevetto, la focaccia, che rispetta le antiche tradizioni produttive e delle materie prime che compongono l’impasto. Per arrivare alla commercializzazione del prodotto si è dovuta attuare una sperimentazione che è durata 30 mesi con oltre 1000 test di prodotto.
Nei prossimi quattro anni sono previste diverse aperture di locali lungo l’asse portante dell A4, Piemonte, Lombardia e Veneto.
A Torino il Forno Ricca è presente con due locali, uno in Via IV Marzo e l’altro in Via Sant’Ottavio.
Abdiraxiin è un ragazzo di origine somala, arrivato in Italia un anno e mezzo fa, che attualmente vive a Borgiallo. Dopo i primi corsi di alfabetizzazione, Abdiraxiin sta frequentando la terza media al CPIA di Rivarolo, un po' lontana con i mezzi pubblici rispetto al luogo in cui vive, ma dove ha migliorato la conoscenza della lingua italiana. Inoltre, Abdiraxiin parla somalo, arabo e un po’ di inglese e ha frequentato un corso di alcuni mesi sulla coltivazione dell'orto e uno per diventare muratore, dopo i quali ha potuto svolgere degli stage e lavorare sul territorio. Come gli altri ragazzi italiani, Abdiraxiin vorrebbe andare all’università e sogna di diventare un dottore, in modo da poter aiutare le persone che a volte non hanno accesso alle cure.
Gli obiettivi per il futuro sono terminare la terza media e trovare lavoro e casa nei luoghi che Abdiraxiin conosce e che sente come se ci avesse sempre vissuto perché le persone sono gentili con lui.
Luca è nato e cresciuto a Pinerolo, dove ha iniziato a collaborare con un’associazione culturale fin dai tempi del liceo per poi specializzarsi in progettazione sociale e culturale.
Oggi è il coordinatore dell’Ambulatorio sociale e del progetto più recente Sinergie. L’idea è quella di creare una rete delle associazioni presenti sul territorio: “tramite la condivisione di spazi e esperienze, cerchiamo di far nascere delle sinergie, collaborazioni e forme di mutualismo” - spiega. Sono tante e variegate le attività che si svolgono all’interno degli spazi messi a disposizione da Sinergie: dai corsi di formazione specifici per gli operatori del terzo settore, alle attività pratiche e al dopo scuola per lo più rivolte a famiglie con background migratorio.
Guardando al futuro, Luca si augura maggiore partecipazione, “che gli spazi siano vissuti” e che ci siano più scambi possibili tra le persone. “Abbiamo sempre avuto ottimi rapporti con tutti, ma la maggiore criticità rimane quella di far nascere effettivamente nuove collaborazioni tra le associazioni già esistenti”.
Elisa, project manager per diversi anni e con una forte passione per la pasticceria, ha sempre avuto il desiderio di aprire un’attività propria. Il sogno si concretizza tre anni fa con la nascita di I dolci di Elisa, uno spazio che è biscotteria, pasticceria e caffetteria.
Tutto ha inizio con una vacanza in Alto Adige con i genitori, dove Elisa scopre i biscotti speziati, esperienza che la porta ancora oggi a ricercare nelle tradizioni dolciarie austroungarica e inglese nuove commistioni.
Parallelamente, la pasticceria lavora con l’obiettivo di permettere a chiunque di mangiare dolci, creando soluzioni senza latticini e glutine e ospitando al proprio interno i ragazzi in stage provenienti dai corsi di formazione professionale.
Angelo ha 24 anni e, a seguito del percorso in ambito meccanico, ha lavorato in un’azienda metalmeccanica come operaio per poi passare alla progettazione e al disegno dei pezzi.
Stanco del lavoro da impiegato, nove mesi fa Angelo decide di lasciare il posto fisso, iniziando a lavorare come pizzaiolo ed entrando nell’ambito della ristorazione, una delle sue grandi passioni.
Attualmente Angelo è alla ricerca di nuove esperienze e a breve inizierà una stagione in Trentino-Alto Adige, per poi spostarsi in Australia. Secondo lui il territorio d’origine manca di possibilità di crescita, spesso per mancanza di fondi e investitori, situazione che lo ha portato a scegliere di viaggiare e accantonare momentaneamente un suo progetto imprenditoriale. L’obiettivo per il futuro è quindi aprire e gestire una propria attività ristorativa, con la convinzione e la determinazione che chiunque possa raggiungere gli obiettivi prefissati.
Oltre alla ristorazione, Angelo ha praticato molti sport e da circa tre anni si dedica alle arti marziali.
GASnavese è un Gruppo di Acquisto Solidale composto da persone che si associano per acquistare insieme prodotti possibilmente locali, che rispettino l’ambiente e la legalità.
Il gruppo è nato all’interno dell’associazione Banca del Tempo e si pone l’obiettivo di ridare alle persone la consapevolezza dei meccanismi produttivi e di come l’acquisto sia una scelta in grado di modificare il territorio e le persone al tuo interno. Agendo secondo meccanismi etici e di valorizzazione del lavoro, gli associati ridanno una storia a ciò che si acquista, creando rapporti di solidarietà e reciproca conoscenza tra acquirente e venditore.
Per il futuro il gruppo vorrebbe riuscire ad aumentare il numero dei produttori, offrendo un paniere sempre più vario e in grado di sostituire la spesa al supermercato, e incentivare la conoscenza delle aziende sul territorio attraverso visite e scambio di buone pratiche.
Bomber Comics è la fumetteria che Manuele, soprannominato Bomber dai tempi delle scuole superiori, ha aperto dieci anni fa, trasformando la sua grande passione per i fumetti in professione. In questo luogo è possibile trovare tutto ciò che ruota attorno alla cultura pop: dal gioco da tavolo e di ruolo al manga, oltre ad una sezione di musica in vinile e audio video.
La fumetteria non è la prima sul territorio rivarolese, ma è attualmente l’unica, inserendosi in un settore molto vivace che, nonostante le restrizioni pandemiche, sta riuscendo a riprendersi. Prima del lockdown, Manuele organizzava infatti tornei di giochi da tavolo e di carte, oltre ad ospitare fumettisti e creare momenti di scambio tra appassionati in un luogo che gradualmente si è trasformato in spazio di aggregazione. Per il proprietario l’aspetto centrale è proprio incentivare la lettura e la creatività tra i giovani, stimolando le passioni di ognuno e creando contesti in cui le si possa condividere senza pregiudizi.
La passione di Manuele è così condivisa con le tre figlie e la moglie, entrata a tutta gli effetti nell’attività, e i progetti futuri sono riprendere le attività dal vivo e creare un sito per la vendita online.
Favour è una donna di 31 anni che arriva dalla Nigeria, con un passato difficile da lasciarsi alle spalle e alla ricerca di un futuro migliore.
In Italia dal 2008, ha lavorato in tanti ambiti, dalla ristorazione alla grande distribuzione, ha partecipato a tanti progetti per cercare di trovare una stabilità lavorativa, è una persona che ha voglia di mettersi in gioco e di sperimentare, non ha paura di imparare cose nuove e di lanciarsi in nuove sfide.
Fiera di sua figlia di 18 anni rimasta in Nigeria per studiare Medicina, ora Favour ha voglia (e bisogno) di trovare un nuovo lavoro che le permetta di vivere e mantenersi, ma anche di aiutarla a capire quale può essere la sua strada, cosa le piace fare e quello per cui è portata.
Da quando ha 10 anni ama creare acconciature, intrecciarsi e intrecciare i capelli, è un sapere che si è formata tutto da sola, provando e riprovando, anche se non vorrebbe diventasse la sua attività principale.
Fulvio da 10 anni, da quando è andato in pensione, ha deciso di mettere il suo tempo e le sue energie a disposizione della città di Avigliana e dei suoi abitanti.
Nella sua esperienza da volontario e da cittadino attivo per un periodo ha anche scelto di dare il suo contributo all'interno dell'amministrazione cittadina. Questo percorso gli ha permesso di comprendere meglio quali sono le potenzialità e le criticità della città.
Oggi dedica buona parte del suo volontariato per progetti volti alla socializzazione e alla cura dell'ambiente. Attraverso l'associazione sportiva IRIDE sono diversi gli eventi organizzati sul territorio, dal Plogging alla Via Francigena Marathon, e tra i primi obiettivi che si sono dati per riuscire a tutelare il territorio e portare dei cambiamenti c'è quello di sensibilizzare le amministrazioni comunali.
Lebban Kheltoum, per tutti più semplicemente “Khati”. Oggi ha 42 anni, e poco meno della metà li ha trascorsi in Italia, un paese che conosce più di molte persone che qui ci sono nate: ha vissuto a Varese, poi a Mantova, in Sicilia, a Venezia, a Roma, a Trento, lavorando soprattutto negli alberghi come cameriera, lavapiatti, aiuto cuoca. E poi, a Torino.Ma non è arrivata come una turista, no: ai suoi figli, due peperini gemelli di 9 anni matti per il calcio, lei mostra in tv le immagini dei barconi che attraversano il Mediterraneo in cerca di un futuro, e spiega loro che “la mamma è arrivata così, come quella povera gente”. E loro spalancano gli occhi e dicono “Mamma, meno male che tu ti sei salvata!”.No, non ha fatto la turista, ha lavorato duramente per mantenere se stessa e la sua famiglia, favorendo l'ingresso nel belpaese di fratelli e nipoti e aiutando tutti quanti, un intero gruppo di parenti che contava su di lei. Tratto distintivo della personalità di Khati è la capacità di ricominciare da zero, più e più volte. Ha avuto la forza di tornare al suo paese natìo, di diventare mamma e di lasciare temporaneamente i suoi figli per ricostruire in Italia una vita migliore per se stessa e per loro. Ora, a Torino si è da pochissimo trasferito sul territorio di Madonna di Campagna, ma per lei conoscere luoghi nuovi non è proprio un problema.
Le Rondini è un ristorante in Piazza della Repubblica a Torino, aperto dal padre di Stefano nel 2004, attività nella quale sono entrati immediatamente anche Stefano e suo zio.
Ormai da diciotto anni Stefano segue l’attività, impegno che è aumentato, insieme allo zio, dopo che è venuto a mancare il padre.
La denominazione “ le Rondini” prende il nome dallo stemma di famiglia, è un locale a gestione familiare aperto sia a pranzo che a cena e come sua specialità vanta prodotti di loro produzione come il riso "Acquerello" ed i vini della cantina Villa Fiorita.
Il locale è molto apprezzato dai turisti Francesi che appositamente vengono dal loro paese al mercato di Porta Palazzo.
Alberto Corrado, musicista da sempre, fa parte come direttore artistico sin dal 2017 dell’Arteficio, insieme al socio Stefano Bernardi che si occupa della parte gestionale amministrativa.
L’Arteficio è un Centro Culturale situato in via Bligny interessato ad ogni forma artistica come musica, teatro, fotografia, pittura, danza.
I suoi spazi sono a disposizione degli artisti già affermati e non, nei quali ognuno è libero di esprimere al meglio le proprie sensazioni, nuove idee e progetti.
E' un luogo di confronto tra diverse realtà e generazioni dove è sempre presente la socialità tra le varie culture e idee.
Molte sono le progettualità per il prossimo futuro, sempre alla ricerca di nuovi stimoli che li portano ad affrontare con positività le prossime sfide.
Alberto Mossotto è direttore commerciale e marketing dell’azienda gastronomica Galup, nata nel 1922.
Durante la crisi del 2013/2014 l’azienda viene rilevata e alcuni spazi ristrutturati: alcuni di questi non erano mai stati modificati dal 1949.
Alberto racconta che negli ultimi anni c’è stato un grande lavoro sul packaging e ricorda che oltre all’amato panettone, la produzione riguarda circa 350 prodotti.
Il filo conduttore che l’azienda cerca di mantenere è la qualità, come dimostra la glassa nocciole IGP. Il percorso per raggiungere la sostenibilità è difficile ma avviato. L’intento è quello di continuare a festeggiare sulle tavole degli italiani e diversificare: i prodotti senza glutine piacciono, così come le collaborazioni con gli chef stellati. Questo naturalmente comporta un aumento dei prezzi ma il riscontro coi clienti è sempre stato positivo, anche durante la pandemia.
“Ci siamo accorti che online compravano anche persone over 50, questa è stata una soddisfazione!”.
Obiettivi futuri? Espandersi a livello mondiale tramite i social. Galup mantiene i rapporti con il territorio: “ ad esempio, siamo sponsor del Pinerolo FC e cerchiamo di aiutare le realtà territoriali, anche se il futuro è l’estero, manterremo sempre le nostre radici nel pinerolese”.
Marco è un ingegnere meccanico di 53 anni, che da molti anni lavora in un’azienda che si occupa di stampa in 3D. Ha dedicato la sua vita prima allo studio, poi al lavoro. Nel tempo libero gli piace giocare a calcetto con gli amici. É l’attuale presidente del Rotary Club di Pinerolo, un’associazione di servizi, nata nel 1905 negli Stati Uniti e presente in tutto il mondo. Nel suo anno di mandato, Marco tiene le fila dei vari progetti, rappresentando l’associazione sul territorio. La sede pinerolese viene fondata nel 1955 e conta attualmente 69 soci iscritti. Il suo spirito conviviale ha come scopo di raccogliere idee e risorse per soddisfare le necessità del territorio, promuovendo non solo l'alfabetizzazione, lo sviluppo comunitario e la cura dell’ambiente, ma anche la prevenzione dei conflitti.L'attenzione dei soci è anche rivolta a realtà lontane da Pinerolo come, ad esempio, l'Africa. Il Rotary club crede nella necessità di formare le nuove generazioni e, infatti, assegna annualmente borse di studio a studenti meritevoli, in situazioni economiche fragili. Da un paio d’anni la collaborazione con la fondazione SPECCHIO DEI TEMPI, ha dato origine allo sportello d'ascolto SPECCHIO POINT presso cui le persone possono richiedere un sostegno per impellenze economiche alle quali non riescono a far fronte. Uno dei punti cardine dell’associazione è, inoltre, il volontariato attivo che permette la realizzazione di progetti concreti.
Francesco Ambrosiano nasce a Torino il 29/12/1971.
Durante la sua vita ha sempre abitato ad Oulx, dove attualmente lavora come escavatorista. Inoltre è il capo del distaccamento dei vigili del fuoco di Oulx ed è presidente dell'associazione SOS-Onlus per i vigili del fuoco.
Il suo hobby principale è il rally. Infatti spesso partecipa a delle gare di slalom e salita libera.
A Francesco piace vivere ad Oulx e pensa che in alcuni campi (come turismo e commercio) ci sia bisogno di un rinnovamento sociale, di più apertura mentale da parte degli abitanti.
Emilio Gardiol è il presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Pinerolo, fondata nel 1848, la prima in Italia.
In occasione del primo festival del mutualismo, nel 2019, proprio nell’ottica del mutuo soccorso nasce l’iniziativa dell’Ambulatorio Sociale. Sono 17 i medici volontari che partecipano alla costituzione del progetto con l’idea di offrire servizi sanitari ad un prezzo conveniente ai soci SOMS e, soprattutto, servizi sanitari gratuiti a chi non può permettersi di accedere al servizio sanitario nazionale per le lunghe liste di attesa ad esempio, o a quello privato per i costi elevati. In più, oltre alle visite mediche specialistiche e generali, vengono istituiti tre sportelli specifici: supporto psicologico, nutrizione e assistenza legale.
L’utenza dell’Ambulatorio è composta principalmente da immigrati e profughi, che arrivano attraverso i corridori umanitari. Emilio si dice grato e riconoscente a medici e infermieri, che, ci tiene a sottolineare, esercitano tutti la propria professione gratuitamente.
Il territorio pinerolese è per tradizione molto ricco di iniziative sul piano sociale: “è una delle città in Italia che ha il maggior numero di associazioni in proporzione alla popolazione”, purtroppo però, non sempre queste dialogano fra loro, “questa ricchezza va messa in rete, c’è mancanza di collaborazione”, ci spiega, evidenziando le priorità da affrontare “in più mancano locali e spazi fisici di aggregazione dove attuare le iniziative”.
Iolanda lavora per l’ Asl servizi sociali e nel contempo frequenta il terzo anno della scuola di moda per stilisti, ha iniziato sin da quattordici anni a dilettarsi nel cucito, la cui passione le è stata tramandata dalla nonna.
Il suo sogno è quello di aprire in un prossimo futuro una sartoria sociale che permetterebbe di unire al suo impegno verso le persone più vulnerabili con quello professionale di sarta.
In tutto questo Iolanda ha trovato un ulteriore spazio per dedicarsi al volontariato presso la Croce Rossa Italiana dove svolge la sua attività sin dal 2017.
Era il 1989 quando Loris entrava nella neonata cooperativa Meeting Service Catering; aveva 20 anni, la sede dell'ente si trovava in via Santa Chiara, a Torino, ma già allora operava sul territorio della Circoscrizione 5, senza ancora sapere quanto in futuro si sarebbero legati.Sin da subito, l'idea fu quella di formare persone in difficoltà per prepararle a lavorare nel mondo della ristorazione; una preparazione che non prescindesse dall'aspetto educativo, e che soprattutto mettesse i corsisti davanti alla realtà del lavoro, superando quello “shock” che a volta provano i ragazzi che escono dalle scuole alberghiere e vengono catapultati direttamente in mezzo ai clienti...Poi, la cooperativa è cresciuta, ha aperto il primo ristorante cui ne hanno fatto seguito altri, impiegando molto del personale che usciva propri dai corsi erogati, compresi soggetti svantaggiati a vario titolo, persone con disabilità, molte delle quali non lasciano Meeting Service o, se lo fanno, spesso cercano di rientrarci anche a distanza di tempo.Loris ripete che la cosa più bella nella vita professionale (e non solo) è l'incontro: imbattersi in persone diverse, molte delle quali poi possono imparare e insegnare, alcune sono diventate i suoi soci attuali, partendo sempre dall'attività di formazione.La cooperativa è cresciuta, è stata la prima a credere nelle potenzialità degli spazi di via Foligno 14, all'epoca cadenti e malconci, creando le Fonderie Ozanam attorno alle quali oggi fioriscono molte altre attività, sempre nel solco della sostenibilità e dell'integrazione.
Marco Vola è il proprietario della Libreria Volare di Pinerolo dal 1996, una delle librerie indipendenti più importanti a livello nazionale. Prima di diventare librario ha lavorato nel settore marketing in varie aziende, ma col tempo si è stancato della mansione e di un ambiente poco etico. Subito dopo essersi licenziato ha viaggiato per il mondo con la moglie, per visitare librerie e trarne ispirazione, attività che ha sempre amato anche quando si spostava per le gare sportive di corsa, che lo hanno portato dal deserto di Atacama al Circolo Polare Artico.
Insieme alla famiglia ha deciso così di ristrutturare i locali dei nonni macellai e di inserirvi all’interno grossi scaffali pieni di volumi. Gli spazi sono larghi, pensati apposta per potervi girare comodamente.
Negli anni di boom economico e senza internet, gli affari andavano bene: il centro città era attivo, i negozi erano aperti e al pubblico è sempre piaciuto leggere. Inoltre Volare era una libreria moderna per i tempi. “Per sopravvivere bisogna essere sempre un po’ avanti. Ad esempio ora bisogna saper usare internet: io non so farlo, se ne occupano i miei figli, ma per continuare a vendere siamo obbligati ad adoperarlo, perché il libro fortunatamente, non è destinato a morire, ma sta già cambiando il modo di venderlo.”
Marco sostiene che Pinerolo sia una città in cui si legge molto per vari motivi: c’è un buon sistema bibliotecario e un ottimo sistema scolastico, così come la minoranza valdese che, come tutte le minoranze, traina la comunità.
Ciò che dispiace ammettere è come sia cambiato il modo di entrare in libreria: prima lo si faceva timorosi ma incuriositi, adesso lo si fa dopo che si è andati su internet e il libraio non può più permettersi di consigliare.
Alla domanda sui progetti futuri risponde : “Sopravvivere e sviluppare l’online, anche con prodotti di cartoleria di un certo livello (Saypaper). Sul territorio dobbiamo essere più bravi di Amazon, ce la faremo.”
Patrizia fa parte di Anffas da circa 30 ,il suo accesso fu dovuto al riconoscimento di una disabilità importante di sua figlia Irene.
La signora Patrizia ha 65 anni, il ruolo di direttrice la coinvolge molto, sia per l'organizzazione delle molteplici attività di supporto alle famiglie iscritte, circa 60, sia pragmaticamente per l'avvio di progetti, attività, organizzazione soggiorni estivi, gite che vengono attivate, organizzate e proposte per le persone disabili e le loro famiglie.
L'Anffas è un’associazione Onlus nazionale di famiglie con persone con disabilità fisiche o relazionali, gestita fondamentalmente da volontari. Patrizia sostiene che la pandemia da covid-19 ha fortemente ostacolato e impedito il mantenimento e l'avvio delle attività di supporto per le famiglie, che hanno subito un impoverimento.
I progetti e le attività svolte sono coadiuvate dal Ciss (consorzio intercomunale servizi sociali), si integrano come partner di collaborazione anche altre realtà e istituzioni, come le scuole, il Comune di Pinerolo e l’Asl.
L'associazione si autofinanzia attraverso i suoi prodotti, vengono fatti mercatini con i lavori realizzati.
Le parole chiave: lavoro in rete, progetti accessibili ai portatori di disabilità, sostegni economici e inclusione.
Alessandro è il presidente dell’USAC Rivarolo Basket, associazione sportiva nata nel 1981 che promuove la pallacanestro dal mini basket con i bambini fino alla partecipazione alla C Gold, un importante campionato a livello regionale. La società, con sede a Rivarolo, raccoglie numerosi iscritti, grazie anche alla forte collaborazione con le scuole sul territorio nelle quali vengono create giornate di avvicinamento al basket e alla promozione delle attività sportive presso il Parco del Malgrà.
Con l'avvento della pandemia, l'USAC ha dovuto affrontare restrizioni per l'accesso del pubblico agli impianti sportivi e ha quindi iniziato a fare ampio uso dei social, pubblicando le registrazioni delle partite, in modo da rendere partecipi le famiglie e i tifosi anche a distanza.
Gli obiettivi futuri sono continuare ad allenare i giovani iscritti per dare continuità alle squadre esistenti, anche attraverso la collaborazione con le altre società sportive sul territorio, ed incrementare la partecipazione femminile.
Ilenia abita a Rivarolo Canavese, fa la barista ed è mamma di un bimbo di tre anni. Diplomata in ragioneria, inizia l’attività al bar quasi per caso e poi se ne innamora grazie alla possibilità di potersi rapportare sempre con persone nuove e di lavorare in un ambiente molto comunicativo. Ilenia ha infatti sempre lavorato in bar, pasticcerie e gelaterie, spesso in orario serale e nei weekend, ma con l’arrivo del figlio tutto è cambiato e sono emerse nuove esigenze. Le problematiche riscontrate sono simili per molte altre donne: nonostante la disponibilità di colleghi e famiglia e della presenza del doposcuola, Ilenia a volte deve chiedere permessi a lavoro e vorrebbe che i datori rendessero più flessibili gli orari e comprendessero che lo stato attuale porta le donne a fare una scelta tra lavoro e casa.
Inizialmente con l’idea di arrotondare lo stipendio, Ilenia si avvicina al mondo del network marketing e successivamente inizia a pensare alla possibilità di svolgere un lavoro da casa in modo da gestire meglio il proprio tempo. Infatti, soprattutto durante il lockdown, Ilenia e il marito si sono resi conto di quante ore venivano passate fuori casa e oggi, cercando di fare tesoro dell’esperienza, organizzano serate a tema gioco, passeggiate e cene, anche se Rivarolo, una buona via di mezzo tra un paesino e Torino, manca di intrattenimento serale.
Lorenzo è attualmente insegnante di musica in una scuola media, direttore di una banda e due cori e componente di una street band folkloristica. Formato grazie alle numerose esperienze, ha anche lavorato nell'ambito della formazione e della recitazione teatrale, un contesto che permette di liberare sé stessi attraverso il gioco e l'immaginazione.
Grazie alla passione del padre per la musica, Lorenzo già durante le scuole medie aveva ben in mente il suo percorso, tanto da portare con sé il proprio clarinetto all’esame di maturità di geometra, prima di entrare in Conservatorio.
Per Lorenzo, l’arte permette di esprimersi e dare un senso di infinito che va oltre alla morte fisica delle persone, realizzandosi in dimensioni e livelli differenti e creando collaborazioni dove ognuno possa mettere in campo le proprie competenze.
Con l’avvento della pandemia, il mondo dell’arte e della cultura ha subito un forte arresto, in mesi in cui le persone non avevano più la possibilità di vedersi e avere uno scopo comune, ma la speranza è che si possa aprire una nuova fase di collaborazioni e voglia di stare insieme. Per Lorenzo, lavorare nei contesti di paese permette di far emergere il ruolo sociale che la musica e le bande svolgono, riuscendo a unire persone di generazioni diverse e rappresentando realtà a volte molto piccole ma culturalmente presenti da più di un secolo.
Alberto è il titolare della Cartolibreria Vota dal 1998, succedendo alla madre che aveva aperto l’attività nel 1959. Il negozio è molto radicato sul territorio, tanto da fornire libri e materiali scolastici a ormai tre generazioni di clienti.
L’attività commerciale è molto cambiata negli anni, dovendosi adattare alla concorrenza dei supermercati e, soprattutto dopo il Covid, del commercio online. La risposta di Alberto è creare un commercio di prossimità, dove il negozio non rappresenta solo uno spazio di acquisto, ma anche di scambio di aneddoti ed esperienze comuni: la cartolibreria è infatti sede ufficiale della società sportiva di basket e punto di appoggio per alcune associazioni locali per piccoli scambi di oggetti e messaggi.
Il negozio ha inoltre beneficiato di importanti trasformazioni strutturali negli anni ’90, con la ristrutturazione dello stabile e la creazione dei portici e, negli ultimi anni, della vicinanza ad un parco a seguito della demolizione delle scuole elementari. Questi cambiamenti hanno aumentato la visibilità dell’attività commerciale, ma l’obiettivo è cercare sempre di rispondere alle esigenze dei clienti tenendo insieme richieste e mode e utilizzando i social come strumento pubblicitario.
Serena vive in Borgo San Paolo dal 2011, è una Social Media Manager che dopo la nascita dei suoi 2 gemellini, ha deciso di far nascere una pagina Instagram proprio sul quartiere in cui vive, ha iniziato a conoscerlo meglio durante le passeggiate con i 2 figli e da lì ad amarlo.
Il suo è un racconto soggettivo della vita del quartiere, vissuto quotidianamente, Serena vive in un complesso di ex case popolari, dove abitavano gli operai della Lancia, si tratta di un modello abitativo che invita alla costruzione di reti sociali e di mutuo aiuto, vicinato che si supporta a vicenda.
"Alzando un po' lo sguardo" dalla frenesia della vita quotidiana, si può scoprire una ricchezza di realtà e relazioni intorno a noi.
https://www.instagram.com/borgosanpaolo/
Francesca 6 anni fa finalmente riesce ad aprire il suo B&b, le piace l'idea di poter accogliere persone da tutte le parti del mondo, e farle sedere allo stesso tavolo, dall'incontro nascono belle atmosfere, ma Francesca non è solo una locandiera, è anche insegnate di Yoga, a due passi dal Bed & Breakfast c'è lo studio / palestra.
Le piace l'idea un giorno di poter coniugare i suoi due mondi, per creare un'esperienza ricettiva differente, sviluppare nuovi itinerari in cui far immergere i suoi avventori e far scoprire "quanto è bella Torino, come tutti noi che ci viviamo la conosciamo."
Michele è il presidente dell'associazione Progetto Gnosys, che nasce dal 2016 con l'intento con intento di approcciare le difficoltà scolastiche attraverso un approccio educativo in chiave 'olistica', partendo dal presupposto che ogni persona è differente e necessita di stimoli educativi che gli permettano di sviluppare e di accrescere le sue personali capacità.
'Educere' per tirare fuori da ogni individuo.
Attraverso le collaborazioni con esperti, professionisti e specialisti dell'approccio educativo, Progetto Gnosys studia metodologie nuove per un nuovo approccio educativo, che punti alla valorizzazione delle diversità e delle differenti necessità educative, per affrontare l'educazione da tutti i lati possibili.
Michele è una persona entusiasta, che sa mettere tutto se stesso nelle cose in cui crede, ed è convinto che la pratica dell'educazione debba necessariamente coinvolgere tutti, scuola e famiglie, ma anche gli enti e la società nel suo complesso, ognuno di noi deve essere parte di un processo educativo più inclusivo.
Mauro Viecca è commerciante di terza generazione, il nonno per primo intraprese l'attività di vendita tessuti per la casa, tendaggi e abbigliamento, prima della guerra. Poi furono costretti a scappare e a chiudere il negozio durante la Seconda Guerra Mondiale, finita la guerra nel 1945 il negozio rialza la serranda, da allora non si è più abbassata.
Dopo il nonno, il testimone prima è passato al padre di Mauro e alla zia, ora sono i due fratelli che portano avanti l'attività di famiglia, che nel tempo si è dovuta modificare per rispondere alle esigenze del mercato, orientandosi alla vendita di abbigliamento multibrand per uomo e donna.
Viecca si affaccia su Piazza Sabotino da quasi 100 anni, ne ha visti tanti di cambiamenti nel quartiere, forse è per questo che non sono spaventati dal futuro, anzi c'è sempre una buona ragione per migliorarsi e imparare a fare sempre meglio, per offrire un qualcosa in più ai propri clienti.
Alberto è il fondatore di Mental Care, centro clinico di psicoterapia e psicologia su strada, la mission è quella di abbattere pregiudizi, stereotipi e lo stigma che circonda la cura mentale attraverso la creazione di una clinica accessibile a tutti.
Il lavoro che viene fatto è di tipo olistico, si guarda e si ricerca il benessere della persona a 360°, per questo oltre ad essere una clinica per adulti, da poco ne è stata aperta anche una per bambini e un centro con servizi di medicina complementare: l'agopuntura, il Qi kong (una sorta di ginnastica energetica e meditativa), lo yoga terapia e molto altro.
Alberto ha seguito un percorso di vita originale, fin da giovane appassionato di arti marziali, in particolare di Kung Fu, inizia a viaggiare per conoscere i grandi maestri che seguiva nei seminari di approfondimento, finisce così in Cina e in Oriente in genere. Inizia così il suo percorso di formazione in medicina cinese, yoga terapeutico, agopuntura e impara l'arte della meditazione e molto di più.
Tornato in Italia riprende gli studi e completa la sua formazione accademica in psicoterapia e decide di dedicarsi alla cure delle persone, che necessitino di una seduta di psicoterapia o una di arti marziali. L'obiettivo è aiutarle a ritrovare sé stesse.
Giulia e Francesca sei anni fa hanno deciso di aprire Sacco Matto, negozio di prodotti sfusi in Borgo San Paolo, da loro potrete trovare alimentari secchi e freschi, prodotti per la cura del corpo e per la pulizia di casa, inoltre per risparmiare è possibile ordinare cassette a prezzo fisso con all'interno prodotti che variano tutte le settimane, secondo le disponibilità e la stagione.
La loro è una scelta di vita prima che di lavoro, hanno scelto di minimizzare il loro impatto sull'ambiente, anzi hanno scelto di diventare un motore del cambiamento, a partire dalla scelta dei fornitori, produttori selezionatissimi, la maggior parte di prossimità e con un'etica del lavoro che gli permette non solo di produrre rispettando diritti umani e ambiente, ma anche di migliorarsi costantemente grazie al confronto e allo scambio continuo.
Fiammetta, vive in Borgo San Paolo da quando è nata, qui è andata a scuola e ha vissuto le sue prime esperienze, qui ha trovato lavoro e si è spostata, qui ha continuato a vivere per tutta la sua vita.
Bancaria ora in pensione, da sempre è appassionata di matematica, di libri e di biblioteca, avrebbe voluto diventare una bibliotecaria infatti, ma ha potuto comunque portare avanti il suo amore per i libri attraverso il volontariato dentro un'associazione che si occupa di gestire una biblioteca di 20.000 libri.
Il suo più grande desiderio è rivedere il suo quartiere stare bene, curato e vivace, con tanti banchi del mercato, persone nelle strade, progetti e nuove opportunità aggregative per anziani, bambini e famiglie.
Omar e Davide, due amici con la passione per la bicicletta che come tanti, durante la pandemia, hanno deciso di cambiare la loro vita e dal mondo della ristorazione hanno deciso di seguire i loro sogni e di far diventare la passione un lavoro.
Nella loro ciclofficina in Borgo San Paolo aggiustano e ristrutturano biciclette, da quelle vintage alle più moderne e all'avanguardia.
Davide e Omar hanno un sogno, trasformare Torino in una città a mobilità sostenibile, per avere aria più pulita, mente più rilassata, uno spirito sorridente e un corpo in salute, tutto questo per loro sono le biciclette.
Enrico è un artista, pittore, fotografo, cantante e scrittore; è una persona che ricerca negli spazi e nelle persone la relazione vera, anche nel conflitto, anche nel degrado.
In questo particolare momento della sua vita si è riavvicinato alla pittura paesaggistica, con la bicicletta e la macchina fotografica girovaga alla scoperta dei territori di confine, paesaggi che si scoprono tra una periferia e un'altra, per lui è lì che risiede l'incontro del passaggio umano sul non umano.
Questa visione la trasmette anche nei racconti e nei testi musicali che scrive per il gruppo post-Punk di cui fa parte, è il cantante della band.
Per il futuro Enrico si augura di aumentare le possibilità di interazione tra artisti, continuare uno scambio che diventi un confronto e una crescita sempre più aperta e allargata, per creare un ambiente libero dalle paure della competizione e in cui la conoscenza possa circolare liberamente.
https://enricopartengo.jimdofree.com/
Tra i 4 figli che ha cresciuto e che sta ancora crescendo, le persone disabili con cui lavora in una comunità sul territorio di Madonna di Campagna, i boschi nei quali scapperebbe appena può fra i monti che sente come vera casa, i migranti che vorrebbe aiutare non appena ne ha l'occasione, il cuore di Paola sembra avere dentro di sé uno spazio quasi infinito.Non è un caso se il suo telefono scoppia di messaggi, mandati dalle tante persone che a vario titolo ha assistito nella sua vita di educatrice (nata psicologa), e che continuano a cercarla per chiederle aiuto o, in alcuni casi, per ringraziarla anche a distanza di molto tempo per le cose che lei ha fatto e di cui magari non si è neppure resa pienamente conto.Paola è venuta su fra i monti sopra Almese, ma nel quartiere in cui tutt'ora lavora è arrivata molti anni fa, lavorando in un centro di accoglienza prima, e in una comunità per disabili adesso, per conto della cooperativa Biosfera. Il tutto all'interno del complesso delle case popolari di via Verolengo, dove l'opera con i beneficiari diretti si intreccia all'interrelazione con i residenti, da coinvolgere laddove si riesce, o solamente da tranquillizzare nei casi meno felici.E il tempo libero? La sua scelta è di impiegarlo per supportare una piccola associazione che si occupa di accogliere stranieri. Sperando, il prima possibile, di potersi di nuovo rifugiare fra le borgate della Val Sessi.
Giulia Gallo è un'artista, pittrice e insegnante di pittura e disegno.
L'idea di aprire Studio 8 San Bernardino come spazio di co-working multidisciplinare è venuta da sé, nata prima dal desiderio di avere uno spazio per i suoi laboratori e le sue creazioni e poi dalla necessità di aprirsi al quartiere, alle relazioni e collaborazioni; così è nata e sta continuando a crescere una bellissima rete di persone che si scambiano idee, consigli, contatti, possibilità.
https://www.giuliagallo.it/
Pasquale arriva a Torino quando aveva 13 anni, inizia a lavorare come lavapiatti in una pizzeria che poi diventerà la sua casa per oltre 50 anni, dopo averla rilevata dal vecchio proprietario, Poldo. La rileva, ma non la cambia, perché da Poldo si va per la pizza non per il soffitto, e poi quando i muri parlano è bello starli ad ascoltare. r
Una vita vissuta tutta con passione, sul lavoro, nella famiglia e in politica al servizio del proprio quartiere, che ama e che ricorda quando era agli antichi splendori, una via piena di persone, di botteghe e di banchi del mercato.
La speranza di Pasquale è di veder tornare le persone nella sua amata Via Dante di Nanni.
Lucia e Elisa, si sono conosciute sul posto di lavoro, da colleghe che si stimavano ad amiche, hanno deciso da poco di aprire insieme un'agenzia di comunicazione.
Zeg Communication è la fusione delle loro competenze ed identità, comunicazione e marketing, diverse ma complementari, indispensabili l'una all'altra. Aspirano a crescere continuando a fare rete, perché è grazie all'incontro e allo scambio continuo con con ciò che ci è dissimile, che sono arrivate dove sono, libere professioniste piene di entusiasmo e con un'attività in espansione.
Cristina e Francesca, sono insegnanti di yoga e amiche, unite dalla stessa passione che poi hanno deciso di trasformare nel loro lavoro.
Il loro centro non è solo una scuola di yoga, ma un luogo in cui incontrarsi e riscoprirsi, anche grazie all'approccio multidisciplinare, che va dallo yoga, alla meditazione e alle arti marziali, con un approccio olistico e completo al benessere e la salute della persona nella sua totalità.
Roberta ideatrice e responsabile dell'Arca di Noè, cooperativa asilo nido e scuola d'infanzia da 22 anni in Borgo San Paolo.
Si occupano dell'educazione e della cura dei bambini dando supporto alle famiglie rispondendo alle diverse esigenze lavorative dei genitori, l'Arca di Noè è aperta tutti i giorni, anche d'estate e durante i periodi di vacanza, i genitori posso scegliere in quale orario preferiscono portare i loro figli in base alle loro necessità, la parola d'ordine è flessibilità.
Rosanna, ha rilevato da qualche anno la storica cartoleria Rota, nata negli anni 60', cambiando ben poco dello storico locale se non il nome, che parla di lei e delle sue passioni: il gruppo storico Medievale nel quale la 'volpe' si occupa di gestire il gruppo sportivo di tiro con l'arco e di cui è anche istruttore e la passione per il decoupage che l'ha fatta collaborare con Cecilia, insieme realizzano composizioni creative con materiali di recupero con cui abbelliscono e arricchiscono la loro vetrina.
Cecilia e Rosanna sono molto attive nel quartiere, insieme alla Parrocchia San Bernardino organizzano laboratori di tutti i tipi per i bambini del quartiere, di formazione magistrale entrambe, riscoprono e combinano la loro passione per le arti creative con il piacere di realizzare laboratori nei quali stare con le mani in pasta e giocare a dar vita alla propria fantasia.
Cristina e Ornella, guide turistiche e organizzatrici di itinerari turistici, sia verso l'estero che in Italia, con una particolare attenzione alla storia del quartiere e della Città di Torino.
Appassionate di viaggi e di scoperte, la costruzione di viaggi insoliti e curiosi è fatta su misura, seguendo la voglia di raccontare i territori e creare vacanze che somiglino a sogni.
Il mondo in Valigia è un'agenzia attenta al confort del viaggio, l'organizzazione è per piccoli gruppi e gli itinerari sono studiati per essere attraversabili da tutte le persone, in modo da offrire un'esperienza insolita e speciale alla portata di tutti.
Mario è un cittadino Aviglianese dal '77.
Nel tempo ha deciso di fermarsi a vivere nella città perché ne apprezza il territorio e le opportunità e da quando è andato in pensione dedica il suo tempo al volontariato.
Le principali attività di volontariato che svolge sono in progetti di recupero dell'invenduto e della sua distribuzione a nuclei familiari del territorio, le motivazioni che l'hanno spinto a proseguire in queste attività sono l'evitare gli sprechi per un'attenzione alle tematiche ambientali e allo stesso tempo riuscire a fare del bene all'interno della comunità in cui vive.
Mario dedica molte ore di volontariato al progetto "Resto... Mangia Plus" e insieme agli altri volontari cerca sempre nuove persone da coinvolgere e spera di riuscire a coinvolgere tutto il territorio della città nella costruzione di una comunità attiva, che possa anche essere da stimolo per invogliare turisti e avventori a visitarla.
Rinaldo coltiva la passione per la ceramica e per l'artigianato da tutta la vita, ma è dopo la perdita del suo lavoro che decide di trasformare la sua passione nella sua attività.
Quella di Rinaldo è una vera bottega, dove lo spazio espositivo si mescola con il laboratorio, nel quale tra l'altro tiene anche dei corsi per chi vuole approcciarsi o approfondire l'arte del ceramista, nel quale sono le mani gli occhi dell'artigiano e dove si riscopre la percezione corporea come mezzo per la creazione.
Si fa quasi fatica a individuare il confine tra il lavoro che svolge Christian, e le altre attività che svolge e che gli riempiono una giornata che sembra durare il doppio di quella normale.
In particolare, sfuma quello dell'impegno tra la sua professione di tecnico delle apparecchiature ospedaliere (un mestiere particolare nel quale è uno dei rari e più riconosciuti professionisti in Italia) e la palestra che ha aperto e fondato quasi un quarto di secolo fa.
Il dojo Kangei, parola giapponese che in italiano significa “accoglienza”, viene aperto per l'insegnamento di diverse arti marziali orientali, anche se la “sua” è il judo. Judo che ha scelto tanti anni fa da ragazzino controcorrente, che amava la lotta anziché il calcio, il Toro anziché la Juve, l'oratorio anziché la discoteca.
L'oratorio, perché la formazione di Christian passa in gran parte tramite la parrocchia, che lui frequenta sin dai tempi del servizio civile, quando si appassionò all'educativa di strada mentre guardava i ragazzini che doveva aiutare, e sentiva nascere in sé una domanda: “Come si divertono con poco?”. E questa filosofia la porta in palestra, dove oggi conta fra i 40 e i 50 iscritti e in cui cerca di portare un aspetto educativo e famigliare prima di quello competitivo.
Oggi, oltre a queste due occupazioni principali, Christian porta la comunione agli anziani e ai malati dopo la Santa Messa, e fa visita a una casa-famiglia a Villanova d'Asti dove cerca di recare conforto e affetto a minori allontanati dal nucleo d'origine; gli resta poco tempo per gli hobby che ama, come le escursioni in montagna, ma è felice così. Perché, ripete, per lui “il tempo non donato è tempo sprecato”
I genitori di Massimo, nonni di Alice, hanno aperto Floralba 70 anni fa, qui in Borgo San Paolo, pionieri nell'arte delle cure naturali, creavano le proprie ricette, formule che ancora oggi si trovano nei prodotti in vendita, tradizione erboristica che Massimo e Alice continuano a portare avanti, innovando(si) e sperimentando(si) sempre, anche grazie all'aiuto di Daciana, l'artista e creativa del team.
Massimo, Alice e Daciana sono una bella famiglia, la luce che brilla nei loro occhi è passione e amore per il loro lavoro e per il loro quartiere, loro casa da sempre.
Giancarlo conosce da sempre la zona dell'Alta Valle di Susa. Il suo lavoro, come gestore di eventi, gli ha permesso di girare tutto il mondo fino a portarlo a gestire l'Hotel Chez Toi di Oulx. Questo luogo si trova nel borgo vecchio del paese, è una casa familiare del '600, restaurata nel 2006. Questo luogo caratteristico, Giancarlo lo ha dedicato ai suoi autori preferiti, attenzioni molto gradite dai suoi clienti.
Secondo lui, la limitazione del traffico nel borgo vecchio e la creazione di un'isola pedonale favorirebbero il commercio in questa zona.
E' un appassionato della letteratura e della storia, ma la sua più grande passione è il teatro. Pensa che un'attività simile potrebbe essere implementata sul territorio.
Giancarlo, negli anni, ha osservato che le persone del territorio sono molto affezionate ad esso ed hanno una forte identità culturale ma, soprattutto, culinaria. Questo lo considera una valore aggiunto ad un paese turistico.
Il territorio ha un'ottima risorsa: la stazione ferroviaria, ma mancano i servizi navetta che la collegano ai paesini o alle borgate circostanti. Inoltre, continua Giancarlo, dovrebbero essere messi a disposizione dei turisti dei supporti che rendano chiari e accessibili i servizi offerti dal territorio: ad esempio, siti culturali, zone alberghiere, sentieri per camminare.
Fiorella Arcieri, di origini abruzzesi, si trasferisce in Valle di Susa all'età di sette anni.
Lavora per anni presso il polo ospedaliero di Susa e Giaveno, ma alla nascita della terza figlia decide di interrompere questa esperienza. Da 20 anni lavora presso la Cooperativa P.G. Frassati, OSS di formazione, adesso svolge il ruolo di referente per alcuni servizi gestiti dalla Cooperativa.
Ha partecipato ad un corso, promosso dalla Città Metropolitana di Torino, di formazione per OSS e animatori di borgata il cui obiettivo era il potenziamento delle capacità professionali per avviare, sostenere e valutare azioni per lo sviluppo delle Comunità. Da questa esperienza nasce il progetto pilota Piter - Cuore solidale che coinvolge alcune borgate della Valle di Susa.
Nel suo lavoro quotidiano, Fiorella riscontra che il maggior bisogno della popolazione che abita nelle borgate è di socializzare. La pandemia ha acuito questo bisogno, ma non ha fatto fermare le azioni delle OSS di borgata! Il territorio ha risposto con un'attiva e costante partecipazione.
Il territorio valsusino è ricco di sentieri che dovrebbero essere mappati, affinché tutti, residenti o turisti, li conoscano, e dovrebbero essere resi visibili e puliti perché possano essere utilizzati.
I genitori di Matteo hanno inaugurato il Mannus Club nel 1981, basandosi principalmente sulle attività equestri.
Negli anni sono state molte le attività che hanno avviato negli spazi del maneggio: dall'Ippoterapia ai Centri Estivi, dalla Subacquea alle Arti Marziali.
Grazie ai progetti realizzati a Mannus e alle collaborazioni con le altre associazioni del territorio Matteo è riuscito ad entrare in contatto sia con chi pratica abitualmente sport sia con persone in difficoltà sia con famiglie e a offrire a tutte e tutti la possibilità di sperimentare nuovi sport e attività.
Attraverso lo strumento del gioco costruiscono occasioni di avvicinamento alle attività all'aria aperta e momenti di socializzazione anche per chi abitualmente non fa attività sportive, creando così nuove opportunità su misura per chi si avvicina a Mannus.
Nicole, nativa della Valle di Susa, più precisamente di Oulx (TO), vive da sempre sul territorio. Studia all'I.I.S.S. Des Ambrois di Oulx (TO) e prosegue gli studi all'università di Torino nel corso di laurea magistrale Economia della cultura. Nella sua famiglia viene tramandata la passione per la montagna e per gli sci, tanto che il nonno, i genitori, la sorella e anche Nicole sono tutti maestri di sci.
Quando parla di Oulx, Nicole lo racconta come il fulcro dell'Alta Valle perché collegato, in particolare, attraverso il trasporto ferroviario e la rete dei bus, a tutti i paesi limitrofi. Se da una parte questo rappresenta, certamente, una risorsa per il territorio, dall'altra Nicole pensa che non sia sfruttato pienamente.
A differenza dei paesi confinanti, caratterizzati dai periodi turistici, Oulx è un paese di residenti che lo vivono tutto l'anno.
Da giovane adulta, pensa che il territorio non sia valorizzato anche da un punto di vista storico e naturalistico. Ritiene importante che vengano tramandate le conoscenze di generazione in generazione affinché queste non siano dimenticate. Aggiunge, vista la particolarità del territorio, di frontiera, che sia importante anche coinvolgere la popolazione migrante affinché vi sia uno scambio di culture!
Per il futuro? Si augura un maggior scambio di opinioni e conoscenze.
Pape è un uomo di origine senegalese di trentacinque anni che è arrivato in Italia nel 2009. Attualmente vive a Porte di Pinerolo con la moglie e tre figli e svolge attività di collaborazione col centro sportivo del Malanaggio come operatore di accoglienza e manutenzione.
In Senegal ha giocato a calcio ai massimi livelli ma non è riuscito ad avere successo in Italia e quindi si è reinventato come operatore in diverse aziende del territorio come operatore di macchine a controllo numerico. Purtroppo nel 2021 l’azienda è fallita e Pape Assane Bodian è rimasto senza lavoro.
Gianluca ha trentun anni e, attualmente, vive presso un gruppo appartamento a Pinerolo. E’ uno dei pionieri della squadra di calcio del Pinerolo for disable (poi Juventus for special) in cui milita dal 2011 nel ruolo di portiere. Nel tempo ha svolto vari incarichi lavorativi mediante tirocini ma mai nessuno di questi gli ha permesso di stabilizzarsi e di essere assunto. Ha svolto vari incarichi, come scaffalista nei supermercati, cameriere, cucina e operatore in aziende che si occupano di verde pubblico. Per l’associazione asd Nessuno Escluso è parte del team di formazione nelle scuole per portare avanti progetti educativi e di sviluppo della cultura dell’inclusione.
Negli anni ottanta e novanta l’oratorio San Domenico era un punto di riferimento assoluto per la città di Pinerolo. All’ombra di quel campanile, posto ai confini del centro storico della città, si catalizzavano bambini e adolescenti, figli di immigrati e figli dei nativi della città, e, attorno ad un pallone ed un campo di terra e polvere, facevano un’esperienza di integrazione ed inclusione autentica e spontanea. L’oratorio San Domenico era un luogo dove i ragazzini della città sperimentavano opportunità uniche di amicizia, solidarietà e sport. Nel tempo, con i cambiamenti sociali e culturali avvenuti nei decenni successivi, la forza propulsiva ed il richiamo affascinante dell’oratorio si è arenato. Pino e Gianluca, che negli anni novanta erano tra i frequentatori dell’oratorio, decidono, a partire dal 2017 di restituire all’oratorio e alla città tutto ciò che loro avevano preso nei decenni precedenti. Come? Facendo rivivere l’oratorio e facendolo risplendere di quella nuova vita e di quel fascino di un tempo dando vita al progetto “Officina della quotidianità”: uno spazio di aggregazione e amicizia in cui creare nuove opportunità di gioco e esperienze culturali di crescita.
La vita dell’oratorio rappresenta quindi un polmone pulsante di vita all’interno della città di Pinerolo.
L’esperienza dell’associazione GRUPPO ARCOBALENO prende il via nei primi anni novanta, grazie ad un gruppo di amici che si catalizza attorno ad un bisogno concreto: portare generi di prima necessità nella ex Jugoslavia.
Il lavoro dell’associazione prende forma in maniera più strutturata e consapevole nella seconda metà degli anni novanta in cui i volontari si recano spesso nella Bosnia colpita dalla guerra civile e costruiscono con le persone del luogo rapporti di fiducia che si manterranno solidi ed inalterati negli anni.
Silvano Fera, presidente e anima dell’associazione, organizza vari viaggi e raccolte di fondi per sostenere progetti di supporto e progetti educativi nell’immediato dopo guerra. Si organizzano anche viaggi da Pinerolo per permettere a cittadini ed istituzioni di conoscere la realtà in cui Silvano ed il primo gruppi di pionieri, si sono recati per molti anni.
Il rapporto tra Pinerolo e Derventa si cristallizza in modo profondo e fecondo fino al punto in cui si propone un gemellaggio tra le due città a suggello del lavoro di solidarietà e scambio culturale che Silvano e i suoi amici hanno portato avanti per molto tempo.
Attualmente l’associazione prosegue il lavoro di mantenimento delle relazioni e di scambio culturale con la Bosnia e la città di Derventa.
Pochi anni fa, Silvano Fera ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Derventa.
Giorgio Aimone ha imparato a svolgere il suo mestiere di allevatore, crescendo professionalmente nell’azienda di famiglia. La sua passione per la natura e per gli animali lo hanno condotto a compiere la stessa scelta professionale del padre!
Giorgio si dedica alla gestione dell’azienda ma, nel tempo, comprende che la gestione intensiva dell’allevamento non è congruente coi suoi principi e decide di dedicarsi ad un tipo di approccio alla professione con una metodologia di lavoro più rispettosa di ambiente e animali.
Nel frattempo Giorgio e Giannella si sposano e costruiscono la loro bella famiglia di cinque figli i quali sono in buona parte coinvolti nello sviluppo dell’azienda di famiglia.
A partire dalla primavera del 2022 l’azienda gestirà anche un agriturismo chiamato “Granello di senape”
Lorenzo è una persona talassemica di quarant’anni, originario di pizzo Calabro che si è trasferito in Piemonte, a inizio millenio, per motivi di studio.
Laureato in giurisprudenza, convive con Laura, la compagna di una vita ed è tra i primi elementi storici della squadra di calcio della Juventus for special (già Pinerolo for disable).
Lorenzo è sempre stato attivo in ambito sociale ed è stato membro attivo dell’associazione talassemici già da diversi anni. L’associazione opera in ambito sociale per diffondere l’importanza della donazione del sangue, indispensabile per le persone con talassemia.
Da pochi mesi è presidente dell’associazione talassemici e sta continuando a produrre nuove idee e pensieri per rendere più capillare possibile l’esigenza e la pratica della donazione di sangue.
Mattia è il libraio della Libreria Nisa, libreria indipendente di varia con tante proposte per adulti, bambini e ragazzi.
Una formazione e un passato lavorativo come archeologo, che lo aiutano nello scovare perle nascoste tra i cataloghi delle sue case editrici e che prontamente consiglia alla sua già affezionata clientela, un assaggio di queste belle scelte le troviamo anche nella sua intervista, in cui oltre a consigliarci qualche testo ci racconta come è nata Nisa.
Nel suo lavoro ci mette la passione e la pazienza di chi sa che per lavorare bene ci vuole tempo, con la tenacia, il coraggio, ottimi consigli di lettura (e qualche biscottino per gli amici a quattro zampe) sta conquistando il quartiere.
L’Associazione Liceo Musicale di Rivarolo nasce nel 1993 e oggi si dedica alla formazione di bambini e adulti nello studio amatoriale di uno strumento e, più ampiamente, nella formazione di un pubblico attento e consapevole. Dal 2010 sono inoltre attivi corsi pre-accademici per l’inserimento nei conservatori nazionali per preparare tutte le figure professionali che ruotano attorno alla musica.
Senza sostituire l'interazione interpersonale, l'approccio didattico si è aperto, facendo tesoro dell'esperienza pandemica, anche all'utilizzo di piattaforme digitali che permettano di seguire i corsi a distanza, investendo nella sperimentazione tra linguaggio informatico e musicale.
I nuovi spazi in cui l’associazione si è trasferita sono connotati dall’educazione alla diversità in tutte le sue forme e dalla collaborazione con le realtà sociali anche per favorire l’inserimento lavorativo degli studenti con disabilità. Mancano, tuttavia, sul territorio strutture artistiche e culturali, con la conseguente necessità di spostarsi sul territorio torinese.
Confindustria è la più grande associazione datoriale d’Italia e la sua sezione canavesana, nata nel 1945, copre un territorio molto ampio e diversificato, con circa 350 aziende associate.
Le sfide che Confindustria Canavese oggi deve affrontare sono l’aumento dei costi energetici e la carenza di personale, soprattutto nei settori legati a informatica, meccanica e automazione industriale, a causa anche della disparità di riconoscimento verso la scuola professionale. Confindustria lavora quindi in collaborazione con le scuole di vario grado presenti sul territorio organizzando giornate e laboratori per avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, insegnando la pari dignità di formazione e spingendo all’imprenditorialità.
Inoltre, anche a seguito della pandemia, le modalità di lavoro da remoto e la progressiva nascita di professionalità legate a settori inesistenti fino a poco tempo fa mettono in luce la necessità di saper lavorare in rete, individuando le priorità e creando opportunità che siano sostenibili da un punto di vista economico, sociale ed ambientale.
Il Collettivo Cromocinque è un'associazione di promozione sociale nata nel 2007 con l’obiettivo di raccontare le storie del territorio canavesano attraverso la realizzazione di documentari legati alla realtà produttiva e culturale del territorio. Con il progetto KinoCanavese, l'associazione si occupa inoltre di mappare i luoghi cinematografici del passato e del presente, mettendo in luce la trasformazione del cinema come luogo di aggregazione e la conseguente necessità di creare momenti di formazione con le generazioni più giovani. Inoltre, con la graduale chiusura di cinema e cineforum sul territorio, sarebbe importante organizzare proiezioni all'aperto in contesti periferici e montani per dare vita a momenti di dibattito anche conviviali.
Tra i progetti futuri, il Collettivo Cromocinque vorrebbe produrre podcast utilizzando registrazioni in contesti industriali per poter creare suggestioni e sensazioni a partire dai suoni e raccontare nuove storie con il metodo cinematografico.
Il C.IA.C. (Consorzio InterAziendale Canavesano) nasce nel 1969 a seguito della decisione di alcuni imprenditori del territorio di aiutare i ragazzi ad acquisire competenze da spendere nel mondo del lavoro. Dopo una prima proposta formativa in ambito metalmeccanico, l’offerta si amplia ai settori benessere, abbigliamento e alberghiero, in modo da rispondere alla crescente esigenza territoriale. Oggi le sedi C.IA.C. sono cinque e presenti a Rivarolo, Valperga, Ciriè e Ivrea, lavorando in continua sinergia con le aziende e i Centri per l’Impiego.
L’ente di formazione si occupa della gestione di corsi per l’obbligo formativo (indirizzati ai ragazzi di età 14-24), per adulti (occupati e disoccupati) e per l'apprendistato all'interno della formazione obbligatoria. I corsi di formazione, di tipologia e durata diversa, sono connotati da una forte componente pratica, in cui la presenza di laboratori e talvolta di stage permette agli studenti di mettere alla prova gli insegnamenti appresi.
Inoltre, il C.IA.C. lavora nell’ambito dei servizi al lavoro, cercando di incentivare l’incontro tra la domanda e l’offerta. In alcuni settori, però, specialmente in quello metalmeccanico, si osserva uno scollamento tra la domanda di lavoro delle aziende e l'offerta del territorio.
Milena negli anni ha collezionato diverse esperienze negli uffici turistici, si può dire, di tutta Europa: Italia, Spagna, Belgio. Attualmente è impiegata presso l'Ufficio del Turismo di Oulx (TO). L'ufficio è gestito dalla Cooperativa Culturalpe che gestisce anche la biblioteca in loco. Negli anni, grazie all'acquisto e al volontario dono dei fruitori, hanno collezionato più di 0000 volumi!La Cooperativa organizza dei momenti di lettura e dei momenti laboratoriali, prevalentemente all'esterno, di valorizzazione del territorio.Milena, insieme ai suoi colleghi, raccoglie la sfida di questo periodo pandemico come momento per reinventarsi, in cui riscoprire il valore umano delle persone.Secondo lei, il bisogno di questo tempo è quello di ascoltare. Ed è quello che fanno ogni volta che un nuovo utente si affaccia al loro ufficio: si prendono del tempo per ascoltarlo.A questo aggiunge che la fascia adolescenziale e dei giovani adulti ha necessità di avere luoghi di aggregazione che siano diversi dal passato: una volta si andava all'oratorio, oppure siano diversi dai luoghi sportivi.Questo posto dovrebbe essere un posto laico, non discriminante, aperto a tutti, in cui loro possano esserne i protagonisti.Per far incontrare domanda e offerta dei cittadini, Milena e la sua collega hanno pensato ad uno strumento: la creazione di bacheche. In cui è ben visibile quello che viene offerto, quello che si sta cercando, oppure l'aiuto di cui si ha necessità. Questa bacheca deve essere sia fisica sia virtuale per poter raggiungere il più vasto numero di utenti.
Laura e la sua famiglia vivono a Oulx. Lei lavora in un paesino limitrofo, Sauze d'Oulx (TO), come impiegata.
Impegnata da sempre nell'associazionismo, Laura ed alcuni amici hanno gestito il baby parking di Oulx (TO) e per un paio di anni anche le estate-ragazzi.
Terminata questa esperienza, Laura adesso è coinvolta nell'associazione A.S.D. Orfù. Questa associazione nasce nel 2014, con l'intento di valorizzare il lago da cui prende il nome. Se capiterete dalle parti del lago Orfù, probabilmente incontrerete Davide e Tony, presenza costante del posto, che vi accoglieranno e forniranno tutte le informazioni necessarie.
Laura pensa che mancano dei momenti di aggregazione per gli adolescenti e i giovani adulti che siano diversi dallo sport e dalla scuola.
Luca Minuto è nato a Venaria, ci è rimasto fino a quando aveva 24 anni, poi ha iniziato un mini-giro d'Italia che infine l'ha visto tornare nei pressi di casa con altre vesti, più precisamente con un saio. Nel frattempo era diventato fra' Luca, un frate minore cappuccino.
La sua vocazione oggi si concretizza in quella parrocchia della Madonna di Campagna che dà il nome all'intero quartiere che la circonda, una zona che ha iniziato a percorrere in lungo e in largo perché – afferma - “un modo responsabile di vivere il proprio territorio è conoscerlo”.
Ma non si ferma certo al quartiere, Luca, che in sella alla sua bicicletta passe giornate, e spesso nottate, in mezzo agli ultimi, spesso migranti, in quegli angoli di città dove molti non osano mettere piede. Per portare conforto e aiuto, per ascoltare, per comprendere. Per fare.Nel frattempo continua a coltivare le proprie passioni personali, che poi comunque porta, tutte, anche nel suo lavoro quotidiano coi ragazzi: il judo, di cui è cintura nera, e le lingue, che parla e conosce in quantità impressionante (inglese, francese, spagnolo, ebraico, arabo, russo, urdu, hindi...).
I suoi occhi vedono una città che risponde alla sfida dell'immigrazione, che scommette sul dialogo interreligioso e sull'educativa di strada. I suoi pomeriggi di norma invece passano in oratorio, dove le poche forze della parrocchia accolgono decine di ragazzi, per i quali il frate sogna più spazi per le attività ricreative ed educative, affinché nessuno debba – come oggi accade, seppur raramente – essere lasciato fuori.
Elena, ceramista da 18 anni ci porta nel suo Atelier e ci presenta le sue creazioni, fatte con diverse tecniche di manipolazione e decorazione. Dentro al suo mondo troviamo gioielli, complementi d'arredo, accessori e utensili da cucina, perché prendere il caffè la mattina in una bella tazza di design sicuramente abbellisce la giornata.
Di formazione pedagogista, lavora la ceramica e cura le persone, attraverso corsi e percorsi laboratoriali, perché l'argilla è uno strumento che permette di connettere mente e mani, la testa è obbligata a restare connessa al movimento del corpo.
Giorgio e Antonio sono due volontari di Croce Rossa Italiana e, all’interno del comitato di Rivarolo, svolgono attività in aree differenti, ma accumunati dal senso di appartenenza ad una grande famiglia.
Giorgio, entrato in CRI quasi per caso con il sopraggiungere della pensione, decide di formarsi per svolgere le attività di soccorso alpino, specializzandosi successivamente nella gestione di emergenze umanitarie. Antonio, oltre a svolgere l’attività di formatore 118, all’interno del comitato rivarolese ricopre l’incarico di vicepresidente e di rappresentante giovani. La componente giovanile è infatti molto presente all’interno dell’associazione e si è rivelata cruciale nel periodo pandemico, sostituendo temporaneamente i volontari più anziani o fragili.
Le attività sono svolte in collaborazione con le associazioni locali e gli altri comitati sul territorio, cercando di sensibilizzare le persone su tematiche diverse e cercando di rispondere ai bisogni, ad esempio attraverso la spesa a domicilio e la consegna di pacchi viveri. I progetti per il futuro sono poter continuare a collaborare sul territorio per poter riprendere le attività che ci svolgevano prima dell’arrivo della pandemia e aumentare il numero dei volontari.
Francesca si trasferisce quattro anni fa a Torino per motivi di studio, a cause delle difficoltà di spostamento con i mezzi pubblici, e successivamente viene raggiunta dai genitori. Anche se gli affetti e le amicizie sono a Feletto, Francesca non pensa di tornarci per ora, sia per le maggiori opportunità lavorative sia per l’offerta culturale e di tempo libero presenti nel capoluogo piemontese. Oltre a studiare all’università, Francesca lavora da due anni in un asilo di Moncalieri, esperienza che ha consolidato la sua convinzione di voler lavorare con i minori. Iscritta anche all’albo degli Assistenti Sociali, sta valutando diverse strade lavorative, tra cui l’insegnamento in ambito umanistico, non escludendo la possibilità di prendere una terza laurea e rafforzare le competenze per poter lavorare in settori in cui si incide molto sulla vita delle persone.
Nel periodo estivo, Francesca continua a svolgere le attività di coordinamento del gruppo di animazione felettese, al quale si è avvicinata quando aveva 15 anni, in un territorio in cui oggi continua a mancare una proposta strutturata di attività da fare svolgere a bambini e a ragazzi, spesso costretti a giocare per strada vista la mancanza di uno spazio in cui ritrovarsi. Molte attività hanno subito un arresto con il Covid, ma c'è anche molta difficoltà nel coinvolgere i ragazzi del paese che sono sempre meno e che spesso non riescono a prendersi responsabilità diverse da quelle scolastiche. Secondo Francesca, in un contesto così piccolo sarebbe sufficiente coordinare le associazioni e i gruppi presenti e cercare di estendere la rete anche ai paesi vicini, in modo da avere stimoli e aiuto reciproco. Inoltre, bisognerebbe strutturare più proposte culturali e incentivare l’apertura mentale, in un contesto in cui c’è difficoltà a relazionarsi con le diversità.
L'associazione nasce nel 1993 da un gruppo di amici rivarolesi con la voglia di rendere nuovamente vivo il castello di Malgrà. Oggi, i volontari si occupano di tenere aperto e fruibile il castello tutte le domeniche pomeriggio da aprile ad ottobre, ma anche di organizzare eventi collaterali e ampliare le ricerche storiche. Il castello è abbracciato da un ampio giardino che ha ospitato concerti, laboratori ed eventi bibliografici ed è anche stato messo a disposizione, durante il periodo pandemico, delle varie associazioni locali per permettere la continuazione delle attività.
L’obiettivo dell’associazione non è solo fare conoscere il castello e la sua storia, ma rendere lo spazio vivo ed accogliente, costruendo legami con i vecchi e i nuovi rivarolesi ed integrando la storia del luogo con quella degli abitanti e le loro esperienze. La conoscenza che emerge non è solo quella dei libri scolastici, ma è anche quella orale e degli archivi, ricca di aneddoti e ricordi: l'associazione ha infatti curato e realizzato vari testi e giochi di società per far apprendere aspetti spesso inediti della città. Per il futuro il gruppo vorrebbe approfondire maggiormente la storia degli ultimi abitanti del castello e lavorare su tutto il patrimonio culturale di Rivarolo, anche attraverso la collaborazioni di nuovi volontari, per fare emergere come le nuove generazioni e le diverse culture si rapportino con lo spazio e gli edifici.
Andrea ha svolto per anni l’attività di fabbro nell’azienda di suo padre che si occupava di costruire e posare in opera delle cancellate di ferro ed inferriate.
Dopo la morte del papà, avvenuta nel 2007, la famiglia è costretta a cedere l’azienda e Andrea resta senza occupazione. La situazione emotiva diventa sempre più fragile e precaria ma lui, decide di non scoraggiarsi e si forma da autodidatta all’ambito informatico. Purtroppo non riesce a trasformare questa passione in attività lavorativa ma, grazie all’associazione Nessuno Escluso e alla cooperativa Coesa, inizia ad operare nel sociale, inserendosi attivamente nei vari progetti di inclusione portati avanti dall’associazione. Si occupa di supportare, dal punto di vista informatico, le varie attività di formazione nelle scuole e supporta l’associazione in qualità di social media manager.
È fondatore dell’associazione Inclusion lab che, ha finalità di portare avanti vari percorsi di inclusione soprattutto da un punto di vista culturale e formativo.
Dal novembre 2021 ha iniziato un tirocinio lavorativo presso il centro diurno La Gabbianella di Orbassano, gestita dalla cooperativa Coesa.
Monica è un’avvocatessa che svolge in modo appassionato la professione di avvocato. Monica ha la consapevolezza che, pur essendo più faticoso, è molto più appagante e gratificante, vivere per unire e non per dividere. Monica inserisce nel suo modus operandi professionale anche una buona dose di gentilezza, attenzione a chi rischia di restare indietro, occupandosi quindi anche di persone che, per motivi vari, non hanno la forza economica per permettersi un difensore in caso di contenzioso.
Per tale ragione Monica Volpin è anche amministratore di sostegno e gestisce il patrimonio economico di persone fragili che fanno fatica ad occuparsene oppure per tutelarle da pericoli e da persone che potrebbero approfittare della loro fragilità.
Monica cerca di instaurare con i propri “assistiti” un rapporto paritario di relazione amichevole e distesa al fine di progettare insieme la gestione della vita della persona nella logica dei valori di scelta responsabile del singolo e di autodeterminazione.
Don Massimo Lovera è il parroco della parrocchia Santo Spirito di Pinerolo. Il contesto socio culturale della parrocchia ed il quartiere che lo circonda è un ambiente decisamente molto popolare. Per tale ragione l’operato di don Massimo e dei suoi collaboratori (corresponsabili, come ama chiamarli lui) guarda nella direzione di offrire risposte concrete ai bisogni di emarginazione, isolamento e nuove povertà. L’oratorio è un ambiente aperto che offre continuamente nuove opportunità di incontro, amicizia e relazione attraverso spazi di formazione, recupero percorsi scolastici, sport.
La parrocchia lavora molto in sinergia con le istituzioni civili ed è attenta ai bisogni dei singoli abitanti del quartiere e alle necessità più lontane: da un po’ di tempo collabora con un progetto sostenuto dal vescovo emerito della diocesi in Burkina Faso.
Il Podio è un’attività imprenditoriale che si occupa di commercio di articoli e abbigliamento sportivo. Fabrizio lavora in azienda da molto tempo e ha contribuito in modo sostanziale all’implemento ed allo sviluppo dell’azienda, aiutando l’ampliamento di punti vendita in altri territori piemontesi, soprattutto in provincia di Cuneo.
Il Podio resta un riferimento per tutti i pinerolesi che, oltre a prodotti di ottima qualità, trovano tra i collaboratori di Fabrizio, anche persone alla mano, disponibili e professionalmente preparati.
Il Podio non si limita solo al commercio. Fabrizio ed i suoi collaboratori sono molto attenti alle problematiche sociali e, nel tempo, hanno sostenuto ed alimentato, progetti di utilità sociale e di solidarietà in piena sinergia e collaborazione con varie associazioni del territorio. Negli ultimi tre anni, in collaborazione con Banca Generali e l’associazione sportiva Nessuno Escluso (che si occupa di progetti di inclusione sociale) il podio promuove e sostiene il progetto SPORT INCLUSION che consiste nello sviluppo di una realtà locale di pallavolo dedicata ad atleti o aspiranti tali con disabilità cognitiva, intellettiva e relazionale.
L’associazione SPORTIKA è un riferimento sportivo ed aggregativo per la città di Pinerolo. Esiste dal 1991 su iniziativa di Paola Martina che, allora, era una neo laureata in Isef. L’esperienza dei pionieri della Sportika inizia in un garage di Pinerolo e, fin da subito, diventa un riferimento irrinunciabile per tutti i bambini, bambine, ragazzi e ragazze che vogliono cimentarsi nella ginnastica artistica.
Dopo alcuni anni arriva la grande opportunità di espandere le proprie attività e viene inaugurata la sede di Via cattaneo a Pinerolo. Da quel momento l’offerta della sportika si espande e raggiunge, oltre alla ginnastica artistica anche la giocoleria, l’arrampicata, la ginnastica acrobatica, il parkour, e la ginnastica dolce dedicata a persone anziane che, alla sportika, trovano, oltre ad uno spazio in cui cimentarsi nello sport, anche uno spazio aggregativo e utile per generare opportunità di confronto e amicizia. Alla sportika hanno mosso i loro primi passi anche alcune atlete che, oggi, sono diventate un punto fermo della nazionale italiana di ginnastica artistica come la pinerolese Irene Lanza.
Beppe fa teatro da diversi anni e ha vissuto una sua rinascita con l'associazione Fabula Rasa e il progetto Teatro Senza Confini con cui si impegna perché il teatro sia uno strumento alla portata di tutti e in cui ci si possa esprimere liberamente.
Il progetto nasce dall'osservazione dei gruppi di teatro a scuola in cui spesso ragazze e ragazzi con disabilità venivano messi da parte o coinvolti con sempre gli stessi ruoli. Per uscire da questa dinamica e raggiungere l'inclusione di tutte e tutti Beppe ha avviato laboratori e attività che mettessero al centro i cuori, le menti e i corpi degli studenti e ne assecondassero le propensioni, uscendo dalla rigidità della drammaturgia e trovando linguaggi sempre nuovi.
Giuseppe ci racconta di come è stato possibile costruire questo percorso, che una delle soddisfazioni che porta con sé è di essere riuscito a mettere insieme diverse realtà e a portare in scena in piazza 60 persone provenienti da contesti diversi perdendo, nel tempo, lo sguardo di compassione del pubblico che spesso si ritrovava all'inizio.
Il teatro all'interno di questo progetto è uno strumento per costruire una comunità attiva e attenta, per ritrovare il piacere di incontrarsi e di esprimere se stessi in modi sempre diversi.
La biblioteca di Rivarolo Canavese è situata da quaranta anni all’interno di un edificio di impronta medievale, in passato teatro comunale e cinema, condividendo fino agli anni ’90 gli spazi con l’installazione di mostre. Oggi, assieme alle sfide legate alla diffusione della lettura e al processo di digitalizzazione del patrimonio librario, uno dei progetti per il futuro è creare un polo di aggregazione che possa racchiudere dentro di sé molteplici sfaccettature del mondo culturale.
La biblioteca rivarolese lavora inoltre nella conservazione del patrimonio librario e documentario attraverso il mantenimento dell’archivio storico, e nella promozione delle tradizioni del territorio con l'organizzazione di conferenze e presentazioni bibliografiche. Tra i progetti promossi vi è Nati per Leggere, indirizzato ai bambini 0-6 anni, ma anche Biblioteca fuori di sé, in cui la creazione di dotazioni librarie in luoghi esterni, come negozi e bar, permette l’avvicinamento alla lettura in contesti non tradizionali.
Fra Raffaele, insieme ai suoi altri 4 confratelli, gestisce la Parrocchia di San Bernardino, che oltre alle normali attività di una chiesa, si occupa anche della cura e del supporto dell'intera comunità del quartiere.
La parrocchia ospita un gruppo di ascolto, uno di mutuo aiuto per supporto economico ed alimentare, un oratorio per ragazzi, un'aula studio per universitari, un gruppo musicale che anima le cerimonie religiose, un bellissimo campetto da calcio, un gruppo sportivo e uno storico che organizza rievocazioni musicali.
Quello che ci racconta Fra Raffaele è di una parrocchia che è di tutti ed è aperta a tutti, pronta ad accogliere, a conoscere e ad ascoltare, perché di questo le persone hanno bisogno, qualcuno che abbia "orecchie e cuore per ascoltare".
Nadia è una delle socie fondatrici, Carmen si è aggiunta in seguito, entrambe formatrici dell'Associazione Artù, loro si occupano di portare l'arte nelle scuole.
Attraverso laboratori creativi di pittura, scultura, collage, disegni e tutto quello che può venire in mente, l'obiettivo è far conoscere l'arte attraverso il fare, i bambini si sporcano le mani, pasticciano, inventano e scoprono che l'arte si fa davvero con qualsiasi cosa, basta la creatività, così pennellata dopo pennellata, macchia dopo macchia, si perde la paura.
I loro laboratori sono aperti ai bambini/e delle scuole dell'infanzia e le scuole primarie, ma anche a insegnanti ed educatori/e, e perché no, a qualche adulto e genitore che abbia voglia di mettersi in gioco.
Nel 2011 nasce la società agricola We Can, per tanti anni dedita alla produzione di latte e oggi, con l’arrivo di Miriam, passata alla produzione di orticole e cereali.
Proveniente dal settore dei diritti umani e delle migrazioni, Miriam decide di tornare nel contesto familiare per mettere a frutto le competenze maturate nell’ambito della gestione della piccola impresa, anche grazie all’esperienza presso la cooperativa sociale Cartiera, di cui è stata presidente.
Il lavoro nell’azienda familiare permette a Miriam di vivere con maggiore intensità le stagioni e i cicli della terra, in un contesto in cui cambiamenti climatici si abbattono con forza e a cui si cerca di rispondere lavorando con metodi che non impoveriscano il terreno e avviando la conversione al biologico per la produzione degli ortaggi. A queste trasformazioni il riscontro del territorio è positivo: le persone hanno infatti maturato una maggiore consapevolezza verso ciò che mangiano, forse anche a seguito della pandemia, creando bei rapporti e visite all’azienda. L’aspetto sociale e l’attenzione per le tematiche migratorie sono evidenti anche nell’inserimento lavorativo di alcuni ragazzi richiedenti asilo politico e nella continua necessità di essere luogo aperto alla formazione continua e allo scambio di buone pratiche.
L’associazione Banca del Tempo del Canavese nasce nel 2019 con la necessità di creare una realtà che possa fare da collante tra persone di generazioni e culture, creando una realtà che non si leghi ad un territorio specifico, ma a cui possano partecipare comuni, associazioni e persone diversi.
L’associazione si basa sui meccanismi di buon vicinato, centrali nei rapporti di una volta sia per le attività quotidiane sia per rispondere a momenti di criticità. Ogni socio, infatti, può mettere a disposizione le proprie competenze e abilità, maturando in cambio un credito di ore verso la Banca del Tempo e non nei confronti della persona per cui ha svolto un’attività. Riparare un oggetto, accompagnare ad una visita o insegnare una lingua hanno dunque pari valore, eliminando il riconoscimento economico e creando un’economia alternativa basata sui meccanismi di mutuo aiuto. L’associazione organizza anche gite sul territorio, in modo da creare contesti di reciproca conoscenza e di fiducia tra i soci, incentivando la possibilità di chiedere aiuto.
All’interno della BdT è sorto anche un gruppo di acquisto solidale, il GASnavese, e si stanno sviluppando progettualità legate all’outdoor education. L’associazione è sempre aperta a collaborare con le varie realtà e i tavoli di lavoro sul territorio soprattutto sulle tematiche legate allo scambio e all’uso del denaro. Con il miglioramento della situazione sanitaria, uno degli obiettivi sarà infatti organizzare degli incontri nei comuni limitrofi in modo da far conoscere l’associazione e poter essere di supporto all’eventuale nascita di sottogruppi operativi più alle necessità territoriali.
Emerge inoltre il bisogno di avere una sede dove poter accogliere le persone e dare informazioni sull’associazione, ma anche di poter avere nuovi soci per l’organizzazione e l’ampliamento delle attività.
La Comunità di San’Egidio nasce nella sua esperienza piemontese a Novara, realtà da cui Arianna si è spostata per trasferirsi in Canavese e in cui dal 2008 sostiene numerose iniziative.
Attualmente la Comunità è attiva su Ivrea, grazie soprattutto alla disponibilità di uno spazio all’interno dello Zac! e alla creazione di una rete di solidarietà di imprese e cittadini che hanno permesso di avviare un progetto di distribuzione di alimenti, intercettando in particolar modo le persone esterne ai classici circuiti di assistenza. L’aiuto alimentare è un primo passo all’interno di un percorso di costruzione di amicizia e riconoscimento reciproco, dove la distribuzione diventa un momento di ritrovo e in cui persone spesso invisibili vengono chiamate per nome e acquistano importanza per l’altro. La rete che si è creata di mutuo aiuto è alla base delle attività che vengono svolte, a cui si unisce però la necessità di poter ricevere fondi e accogliere nuovi volontari in modo da poter rispondere con più forza alle necessità del territorio.
Sul Rivarolo è invece molto forte la presenza della Comunità all’interno della casa di riposo, in cui sono stati organizzati momenti di preghiera e di svago, anche con la partecipazione dei ragazzi provenienti dai centri di accoglienza per richiedenti asilo e delle scuole, alimentando rapporti interculturali e intergenerazionali di affetto e amicizia. Sul territorio è inoltre prevista l’apertura di una scuola della pace, con l’intento di sostenere l’alfabetizzazione dei bambini, sul modello di quella tenuta a Favria alcuni anni fa.
La testimonianza di Arianna ricorda che aiutare fa bene non solo a chi riceve ma anche a chi dona, dove ognuno può esprimere il proprio potenziale per fare qualcosa di grande e dove sentire di avere delle forze da poter spendere per gli altri è motivo di serenità.
Michele, consigliere comunale e presidente circoscrizione 3 per oltre 10 anni, ha anche scritto alcuni romanzi proprio ambientati nel quartiere, in questa intervista ci racconta la sua San Paolo, quella di ieri e quella di oggi.
Ora è il vicepresidente della Bocciofila La Frejus, luogo storico del Borgo, un cortile verde racchiuso tra le case che si scopre solo addentrandosi tra i palazzi. Luogo che mira a recuperare la dimensione del noi, a ricostruire la comunità di San Paolo a riscoprire la tradizione culinaria e dello stare insieme come a casa.
Davide, è il Presidente Regionale di Anla, Associazione Nazionale Lavoratori Anziani, che si occupa di fornire assistenza a ex lavoratrici e lavoratrici in pensione.
L'associazione si occupa di assistenza sanitaria ed operativa, dall'assistenza domiciliare, all'accompagnamento per visite o aiuto nella spesa alimentare o per farmaci, grazie ai tanti volontari che si spendono per l'aiuto e il supporto.
Uno degli obiettivi di Anla, è quello di mettere a disposizione della collettività le competenze e tutti i saperi racchiusi dentro a tutte le persone di cui è costituita l'associazione, attivando un passaggio generazionale di competenze, costruendo rapporti e reti intergenerazionali, vitali per ricostruire e mantenere vivo il tessuto sociale, commerciale e produttivo di una comunità.
Enrico Crescimanno oggi si trova a governare un'ampia fetta della periferia nord della città di Torino: la Circoscrizione 5, che comprende i quartieri di Borgo Vittoria, Madonna di Campagna, Borgata Tesso, Lucento e le Vallette.Lui non è originario di questi paraggi, ma ha comunque un'ampia esperienza di periferie: è infatti nato e cresciuto in un ambito ancora più marginale della stessa città, ossia la Falchera, che amministrativamente ricade sotto la Circoscrizione 6 ma che in fondo è sempre l'estremo nord del territorio comunale.Là ha vissuto con la propria famiglia, profondamente immerso nei valori della tradizione cattolica e frequentando gli ambienti parrocchiali, e ha iniziato gli studi che l'hanno poi portato a diventare un ingegnere meccanico, impegnato da molti anni in seno alla cosa pubblica presso la Regione Piemonte, prima di compiere il passo in politica che l'ha portato oggi ad amministrare il nord-ovest torinese.Nel suo lavoro si augura di migliorare piccole cose fattive, a partire dalle condizioni delle strade, ma anche ad accrescere il senso di sicurezza della popolazione residente sul territorio che l'ha votato, così come a contrastare le forme di povertà incipiente che lo vedono oggi attivo promotore di un tavolo che si pone l'obiettivo di armonizzare l'opera dei vari soggetti che, parrocchie in testa, si occupano dei tentativi di tamponare questa emergenza sociale.Nel frattempo, proseguendo il proprio lavoro da ingegnere affiancato al compito di presidente della Circoscrizione, usa il poco tempo libero che gli resta per rinfrancarsi con la famiglia, possibilmente con qualche soggiorno sulle amate montagne.
Anna Laura è un'educatrice professionale della Cooperativa La Rondine, si occupa di gestire i servizi di riabilitazione psichiatrica, principalmente si tratta di risocializzazione e riabilitazione delle persone con difficoltà nei rapporti sociali.
E' un lavoro di cura, attraverso cui si ricostruisce la capacità di stare nelle relazioni sociali, attraverso attività di gruppo all'aperto, creative e momenti conviviali.
Anna Laura ci insegna che senza " l'altro " non riusciamo a stare, che grazie alle persone e alla relazione ricostruiamo noi stessi, accettandoci e accettandole nell'imperfezione, riscoprendo la verità di ciò che siamo.
La libreria Belgravia si trova in via Vicoforte 14, al centro di tre grandi direttrici, Corso Peschiera, Corso Trapani e via Frejus, nel Borgo San Paolo. Entrando dalla porta di ingresso, si accede ad un open space molto luminoso, con ben dodici vetrine che si affacciano su una piazzetta, che rappresenta il crocevia culturale e sociale del borgo.
Prima del 1994 la sua sede si trovava in via Monginevro, in un piccolo spazio con un soppalco. L’ingresso nel nuovo negozio coincide con una fase di cambiamento nella prospettiva delle modalità di vendita, che richiedevano una mentalità aperta, che portasse la libreria al di fuori, verso le persone.
La struttura, che prima ospitava un presidio sanitario, è stata studiata in maniera tale che dall’esterno si possa vedere tutto l’interno. Gli spazi sono stati organizzati per essere flessibili ad una offerta varia, alla possibilità di muoversi liberamente attraverso gli scaffali e alla necessità di organizzare eventi che possano ospitare un certo numero di persone.
Le peculiarità della libreria Belgravia sono molte. La prima è rappresentata sicuramente dalla sua offerta, che è molto varia, ricercata e curata. Non di minor importanza la scelta di collaborare attraverso una rete informale con le librerie della zona. Il negozio si trasforma in un luogo che accoglie eventi di promozione di scrittori, poeti, musicisti che possono godere, in questo modo, di una visibilità che altrimenti non avrebbero. La partecipazione a progetti che promuovono la lettura e la cultura ad ogni livello, rappresenta un’altra scelta importante. Alla base di tutto, una visione aperta a cogliere varie sollecitazioni e soprattutto una lettura attenta e puntuale delle necessità del quartiere e delle persone che lo vivono quotidianamente; oltre ad uno sguardo attento verso i cambiamenti congiunturali e le conseguenze che da esso derivano.
Al di fuori della libreria, Luca ha una famiglia e coltiva la passione per la fotografia e la poesia, quest’ultima in particolare, lo accompagna dall’adolescenza. La sua indole e come lui sostiene, la necessità, lo portano ad una continuità di pensiero con la sua attività di libraio. È quindi una persona curiosa, che porta i suoi interessi e le sue passioni sugli scaffali del negozio.
Comincia la sua carriera di libraio, grazie all’editore della Casa Editrice Sonda che apprezza le sue competenze amministrative e commerciali e, attraverso una formazione che parte del riordino degli scaffali nel magazzino, gli fornisce le conoscenze che oggi gli permettono di gestire la sua attività. La libreria è stata rilevata dal precedente proprietario di cui ha mantenuto il nome, per rispetto alla continuità.
Luciano è un cittadino Aviglianese che da quando è andato in pensione ha deciso mettersi a disposizione della comunità come volontario su molti progetti.
L'attività principale a cui si dedica è Avigliana Riusa, un progetto che si occupa della raccolta e la redistribuzione di oggetti in disuso ma ancora utilizzabili in rete con diverse associazioni e iniziative della Città. Gli obiettivi di questo progetto sono sia di tutela ambientale sia di inserimento sociale e lavorativo, all'interno dei volontari ci sono anche dei percettori di reddito di cittadinanza che dedicano parte del loro tempo per la comunità.
Gli utenti sono circa 1800 su 63 comuni e per garantire al meglio il servizio, anche in tempi di distanziamento fisico, si è sviluppato sempre di più il lato organizzativo e informatico di supporto al progetto oltre agli aspetti operativi di raccolta e distribuzione.
Luciano dedica ad Avigliana Riusa, oltre al suo tempo, le sue competenze informatiche e invita cittadine e cittadini a mettere in gioco le proprie competenze per la comunità in un'ottica ci collaborazione e di costruzione di percorsi condivisi. Dopo una prima collaborazione con la Biblioteca di Avigliana tra gli obiettivi che vorrebbe raggiungere c'è l'istituzione di un punto di prestito di oggetti e strumenti, sempre nello spirito di una sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle attività quotidiane.
Cristina ha iniziato a lavorare in ORSO una quindicina di anni fa spinta dell'interesse per le politiche sociali e per la costruzione di comunità di cittadini attivi.
Negli anni ha deciso di diventare un'operatrice legale e oggi lavora all'interno del progetto SAI di Avigliana per l'accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Al momento sono 21 le persone ospitate a cui si aggiunge un'ulteriore disponibilità di posti per persone provenienti dall'Afghanistan.
Grazie ai progetti realizzati sono molte le persone che Cristina ha avuto modo di accompagnare nel loro percorso di crescita e autonomia e spera di poter fare sempre di più. Il sogno più diffuso tra chi è stato coinvolto all'interno di questi progetti è quello di poter avere una casa propria, grazie al supporto di operatrici e operatori riescono a trovare il giusto supporto per fare i primi passi per il raggiungimento della propria autonomia e dei propri desideri.
Manuela è la fondatrice di Vita e Pace e ci racconta come in questi 25 anni sono stati diversi gli eventi di cui sono stati protagonisti.
L'associazione è nata quasi per caso con l'intento di prendersi cura della cultura ad Avigliana e nella Chiesa di Santa Maria Maggiore in particolare.
Gli eventi sono stati caratterizzati dall'accoglienza di tutte e tutti e dalla passione per la cultura in tutte le sue forme, dalla musica alla scultura costruendo uno spazio in cui molti scelgono di andare quando sono in cerca di un luogo sicuro. Le sfide non sono mancate ma la forza dell'entusiasmo di volontari e avventori e la capacità di collaborazione e accoglienza ha permesso di arrivare fino ad oggi e di continuare ad organizzare iniziative sul territorio.
Giovanni è presidente FIDAS ADSP ad Avigliana da 9 anni.
La sua scelta di diventare volontario è stata mossa anche dalla sua esperienza personale e cerca di trasmettere alle persone che incontra l'emozione che vive ogni volta che effettua una donazione, lo slancio emotivo che mettersi a disposizione della comunità gli dà tutte le volte.
Nel corso degli anni le responsabilità e le difficoltà nella gestione delle attività sono state molte ma non per questo le ambizioni dell'associazione si sono fermate. La prossima azione che hanno scelto di intraprendere è rendere più accessibile la donazione del sangue adattando i loro spazi per fare in modo che anche alle persone con disabilità sia possibile accedere e vivere la stessa gioia che provano in molti a donare.
Patrizia vive ad Avigliana e partecipa alla sua vita da sempre. Con l'Associazione Gruppo Storico Borgo Vecchio si prende cura del patrimonio storico della Città.
Uno degli eventi principali per gli 8 borghi aviglianesi è il Palio, per lei è una tradizione di famiglia partecipare e spera che per le nuove generazione possa essere emozionante tanto quanto lo è stato per lei vivere e conoscere questa tradizione.
Nel futuro spera di poter riportare Avigliana allo splendore che ha già vissuto non troppi anni fa, di poter rivedere Avigliana come centro culturale della Val di Susa che attiri sul suo territorio l'attenzione e l'interesse di molti.
Gabriella ha sempre sognato di fare la maestra, un lavoro che considera un po’ una missione, e oggi è insegnante di sostegno alla scuola primaria di Rivarolo.
Forse per segno del destino, nel 2007 nasce Stefano, un ragazzo con autismo, che ha richiesto una riorganizzazione totale nella vita di Gabriella e del marito, possibile grazie anche al supporto di familiari, amici e di personale esperto. All'esigenza di potersi ritagliare del tempo per sé e di confronto, risponde anche l'offerta di alcuni corsi sul territorio per la creazione di personale qualificato nel lavoro con persone diversamene abili, soprattutto nell'ottica del "dopo di noi". La nuova situazione ha permesso a Gabriella di conoscere famiglie in condizioni analoghe, con cui poter condividere dubbi e piccoli successi e con le quali è stata creato uno sportello ANGSA ad Ivrea, gestito da volontari il giovedì pomeriggio, in collaborazione con una cooperativa sociale.
Nelle azioni di tutti i giorni, Gabriella esprime una tenacia costante nel voler abituare le persone a riconoscere e vivere la diversità e la disabilità, in un contesto in cui tutti debbano avere pari diritti e doveri.
Tutto ha inizio durante l’estate 2021, quando un gruppo di circa trenta studenti, sulla spinta di alcuni professori, hanno dato vita ad una serie di laboratori con l’obiettivo di riaffezionarsi alla scuola e poter svolgere delle attività. Grazie all’alta partecipazione, il progetto è stato esteso anche durante l’anno scolastico, dando vita ad un’ampia offerta di attività gestite e seguite sia dagli studenti sia dagli insegnanti.
Nasce così DiMoro al Moro, un comitato studentesco, oggi composto da circa trecento persone, che ha dato vita all’appuntamento fisso dei laboratori del venerdì pomeriggio, riuscendo a mettere insieme studenti di plessi diversi (liceo ed ex ITIS) e appartenenti a tutte le classi, in cui ognuno è libero di proporre la propria idea. L’obiettivo diventa quindi riuscire a creare una scuola in cui si ha il piacere di stare insieme e dove l’apprendimento acquista una forma più partecipativa e non solo nozionistica.
Tra gli attuali laboratori si possono trovare, ad esempio, il gruppo di teatro, lettura, giornalismo, robotica, sostenibilità ambientale, ma anche pallavolo e basket, in cui la necessità è poter avere spazi dove coltivare i rapporti umani e poter condividere l’entusiasmo di stare insieme, soprattutto a seguito dell’isolamento vissuto con due anni di didattica online. Gli obiettivi per il futuro sono moltissimi: innanzitutto poter estendere la partecipazione ai laboratori anche alle persone esterne all’ambiente scolastico, aumentare la consapevolezza degli studenti su servizi e diritti attraverso informazioni più snelle, ma anche collaborare attivamente con le associazioni e gli istituti sul territorio alle attività sportive e di impegno politico.
Manifattura F nasce cinque anni fa dall’esigenza di poter accogliere in uno spazio persone con cui condividere un progetto e non solo un prodotto. L'impresa individuale permette a Federica di sperimentare e creare nuovi modelli fuori dagli schemi dell'alta moda in cui le clienti sono collaboratrici attive nel processo di creazione, come all’interno di un club, rendendo la produzione sempre mutevole. Come designer, Federica unisce in sé tante sfaccettature del proprio lavoro: progettazione, produzione, comunicazione - soprattutto grazie ai social - e ricerca di collaborazioni, riuscendo ad esprimere quotidianamente la propria individualità.
La scelta di creare accessori e borse parte dal valore che viene dato alla pelle, un materiale a cui ci si affeziona immediatamente e di lunga durata e che Federica ricerca personalmente in Toscana, recuperando ciò che andrebbe eliminato e dando un valore aggiunto al prodotto finale.
Dopo esperienze abitative a Milano e Torino, Federica torna con il compagno nel contesto rivarolese riavvicinandosi a famiglia e amici per la gestione dei figli e trovando uno spazio bello, centrale ed economicamente accessibile per la propria attività. Con il desiderio di poter tornare un giorno in un contesto più metropolitano, Federica partecipa periodicamente ad eventi e fiere per la promozione del proprio marchio, esprimendo l'esigenza di creare in ogni luogo spazi che raccolgano stabilmente le botteghe artigiane.
Simone, 24 anni, nato a Susa, si diploma all'I.I.S.S. Des Ambrois di Oulx (TO) all’indirizzo Istituto Tecnico Economico per il Turismo.
Dopo il diploma, prende la licenza come Operatore Socio-Sanitario, e dopo si iscrive al Corso di Laurea in Scienze delle Attività Motorie e Sportive. Attualmente, frequenta la magistrale di Scienze Motorie e nel frattempo svolge un anno di volontariato con il Servizio Civile Universale, presso il Con.I.S.A. Valle di Susa - Val Sangone presso il polo di Susa.
Ha svariate passioni: la musica, nello specifico il musical, e il mondo dello spettacolo.
Simone è molto sportivo e allena i bambini di atletica leggera, oltre ad essere un ex-atleta agonista proprio di atletica leggera.
Vorrebbe più considerazioni dei giovani sul territorio e più attività ricreative.
Samuele, 21 anni, nasce a Vallo della Lucania e vive a Susa.
Si diploma al liceo scientifico di Bussoleno, e successivamente si iscrive al Politecnico di Torino, dove tuttora frequenta il corso di studi di Matematica per l'Ingegneria. Frequenta il Politecnico e svolge un anno di Servizio Civile Universale, presso il Con.I.S.A. Valle d Susa - Val Sangone. Ciò che ha spinto Samuele in questa esperienza è la voglia di mettersi in gioco, soprattutto a seguito di questo periodo pandemico.
Negli anni ha anche svolto degli esami di pianoforte e organo al conservatorio di Torino. Nel tempo libero scrive canzoni, lo fa per un gruppo emergente di cui fa parte.
Vorrebbe più attività ricreative per i giovani e un miglioramento dei servizi di trasporto pubblico.
Laura è una cittadina attiva di Avigliana da 30 anni.
La sua passione per l'ambiente e per il mondo naturalistico l'hanno portata ad avviare diversi progetti all'interno della città: dalla guida naturalistica ai percorsi educativi nelle scuole, dalla riduzione dei rifiuti al contrasto alle povertà alimentari.
Ritagli è solo l'ultimo dei progetti di cui è protagonista all'interno di Avigliana insieme ad altre volontarie. Questa iniziativa mira a valorizzare tutti quei prodotti e materiali abbandonati e dargli nuova vita attraverso l'upcycling creativo.
In tutti i percorsi intrapresi la stretta collaborazione con le associazioni presenti sul territorio ha dato grandi contributi per il raggiungimento degli obiettivi e la creazione di opportunità per tutte e tutti. Per poter raggiungere obiettivi sempre più grandi una delle risorse di cui si sente sempre il bisogno è quella dei volontari, nella speranza che l'attenzione alla tutela dell'ambiente sia un tema sempre più centrale per i nostri territori.
Alessandro ha 33 anni e vive Avigliana fin da quando era piccolo. Ha scelto di investire molte delle sue energie da cittadino attivo a favore della città e, in particolare, delle nuove generazioni che la attraversano.
Fa parte degli Scout da diverso tempo e nel 2015 ha deciso di aprire un bar all'interno del centro polifunzionale "La Fabrica" di Avigliana. In entrambe queste attività ha costruito relazioni con diverse fasce d'età e in particolare dai giovani aviglianesi ha modo di approfondire tematiche nuove e affrontare esperienze sempre diverse.In questi anni di lavoro al bar sono molte le collaborazioni che Alessandro ha avuto modo di avviare: dagli inserimenti lavorativi all'organizzazione di eventi in collaborazione con le associazioni attive sul territorio.
Secondo le ragazze e i ragazzi che frequentano gli Scout e il bar "La Fabrica" per poter uscire al meglio da questi periodi complessi la strategia vincente è avere sempre più luoghi di socialità aperti al pubblico per giocare e per dare spazio a passioni e propensioni di tutte e tutti.
Non avrebbe mai pensato di fare questo lavoro, sino a pochi anni, fa Franca. Eppure, già superata la soglia della “mezza età”, insieme al suo Marino ha aperto una tabaccheria. E ha scoperto un mestiere che le piace moltissimo, anzi piace più a lei che a lui, il marito che pure ha avuto l'idea.Franca aveva fatto l'impiegata per la maggior parte della sua vita, crescendo una figlia ormai già laureata, mentre in gioventù aveva abbandonato la sua autentica passione: la pittura. Aveva anche iniziato lo studio con un maestro, ora resta un piacere delegato soprattutto alle visite a mostre e musei che compie col marito.Nel frattempo, però, ha scoperto il piacere di lavorare a contatto col pubblico: le piace, si trova bene, anche se a volte qualche cliente la fa arrabbiare; le piace al punto che sta spingendo, nelle valutazioni fatte con Marino, per rimandare sempre di un po' il pensionamento. E per aprire la tabaccheria, è tornata non lontano dal quartiere (Lucento) in cui era nata, all'epoca campagna in mezzo agli animali; animali che sono l'altro suo grande amore, fra gatti e cani salvati dalla strada e che, placidi e pazienti, fanno compagnia a lei e al marito nelle lunghe giornate trascorse dietro il banco della tabaccheria.
Lorenzo, dopo gli studi superiori da geometra e un’esperienza universitaria ad architettura, è attualmente al termine della triennale in Storia a Torino. Fortemente appassionato di storia moderna e contemporanea, ammette un po’ rammaricato di essere nato nell’epoca sbagliato e spera di poter trovare un’occupazione lavorativa nell’insegnamento o nel contesto museale, soprattutto a seguito della bella esperienza di stage all’interno della biblioteca presso il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.
Nato e cresciuto a Feletto, Lorenzo appaga la sua curiosità con la vita di paese in cui tutti si conoscono, come all’interno di una grossa soap opera, e vive l’università da pendolare sia per non pesare troppo sulle finanze familiari sia perché profondamente innamorato del paese di origine.
Da circa quindici anni suona all’interno della banda felettese ed è appassionato di musica classica, grazie anche all’eredità del nonno, medico di paese, che trasformò l’ambulatorio dismesso in luogo pieno di libri e dischi. Lorenzo collabora con il quotidiano Il Canavese, per cui scrive articoli di varia natura.
L’associazione Pandorama nasce nel 2018 come supporto organizzativo all’Alfred Clown Festival, un evento teatrale di comunità organizzato a Bosconero in concomitanza con la tradizionale fiera dell’artigianato e dedicato al padre di Riccardo, Alfredo Forneris. Il nome dell’associazione, frutto di mescolanza tra una parola usata dal gruppo di amici di Riccardo e il vaso di Pandora, sottolinea l’essenza di un progetto aperto all’uscita inaspettata di sorprese belle, così come la maschera di un clown che non copre ma denuda e che permette di parlare di tante sfaccettature del proprio essere.
Riccardo si avvicina al mondo della clownerie quasi per caso, grazie all’incontro con un’allieva del Teatro Fisico di Philip Radice e a seguito del quale inizia l’esplorazione in ambienti diversi alla ricerca di continue connessioni, ma in cui il clown rimane il filo conduttore.
Dopo una serie di esperienze a Torino, Barcellona e Parigi, Riccardo torna a Bosconero iniziando a creare una serie di attività sempre coinvolgendo gli abitanti e le associazioni locali come “I lunedì di Richi” nella casa di riposo della zona e “Butta la chiave” il dialogo del giovedì mattina con i passanti e i commercianti del mercato settimanale. Soddisfatto di essere riconosciuto come il pajasso del paese, Riccardo lavora in una continua sfida tra lo stare in un luogo, con la conseguente possibilità di intessere rapporti di reciproca conoscenza, e il muoversi in ambienti diversi alla ricerca di nuovi stimoli e spunti. La sfida diventa dunque riuscire a trasformare Bosconero nella base operativa e portare gli spettacoli in giro per il mondo. A ciò si aggiungono la necessità di dare nuovo impulso al teatro, un luogo spesso non conosciuto dagli stessi abitanti di un paese, che deve essere in grado di diventare accessibile a tutti, e riuscire a unire la comunità bosconerese con gli artisti esterni per nuove edizioni del festival teatrale.
Enrica nasce a Torino.
Dopo gli studi superiori si laurea al Corso in Servizio Sociale presso l'Università degli Studi di Torino. Inizia a lavorare sul territorio Valsusino come Assistente Sociale, per il Con.I.S.A. Valle di Susa - Val Sangone. Impiego che ricopre tuttora. Per professione, ma anche per indole personale, il suo obiettivo è supportare le persone in difficoltà: conoscendo le loro storie e valorizzando i punti di forza.
Sottolinea un forte senza di comunità che caratterizza i valligiani: molto legati alla loro terra.
Ci sono delle criticità, rappresentate dalla dispersione territoriale: i servizi primari dovrebbero raggiungere anche piccoli comuni o borgate lontane dalle località principali: Bardonecchia, Oulx, Susa, Bussoleno e Avigliana.
Elisa, originaria di Pinerolo (TO), si trasferisce in Valle di Susa dopo 25 anni. Seppure la Val Sangone sia la sua terra di origine, tuttora risiede in Valle di Susa.
Sulla scia dei suoi fratelli, si iscrizione e diploma al Liceo Scientifico. L'anno successivo frequenta la Scuola Professionale per educatori per convertirla in Laurea presso il Corso di Laurea in Scienze dell'Educazione - indirizzo animatore socio-culturale.
Educatrice presso il Con.I.S.A. Valle di Susa - Val Sangone, la motivazione e la curiosità sono le cause che hanno spinto Elisa a scegliere questa professione.
Rappresenta la Valle di Susa come ricco di relazioni, di cultura e di natura, nonostante la dispersione territoriale perché è un territorio montano. Quindi lungo tutta la valle è possibile attraversare 40 comuni e più di 600 borgate!
Una necessità del territorio è la creazione di momenti di condivisione per favorire il sentimento di comunità! Secondo Elisa l’aiuto alle persone più fragili dovrebbe essere più valorizzato sul territorio.
Il Centro Famiglie è ubicato a Rivarolo all’interno del parco del Castello Malgrà, negli spazi un tempo occupati dalla Pretura. I servizi offerti al suo interno sono frutto di progettazione tra privato sociale e servizio pubblico, attualmente gestiti dalla cooperativa sociale Andirivieni in collaborazione con associazioni ed enti sul territorio.
I servizi che si possono ritrovare al suo interno sono molti, nell’ottica di poter rispondere ai bisogni e al loro variare nel tempo, anche attraverso l’istituzione di un servizio online con la prima fase pandemica. Attualmente è possibile trovare supporto educativo, psicologico e legale, sostegno alla genitorialità, usufruibili sia a seguito di segnalazione degli operatori sociali sia attraverso l’accesso diretto, previo appuntamento. Agli sportelli individuali si affiancano una serie di attività collettive che strutturano il Centro Famiglie anche come spazio di aggregazione attraverso laboratori artistici e incontri di gruppo dedicati ai genitori con bambini 0-6 mesi, unendo proposta sociale e culturale in un unico spazio.
L’obiettivo, nel tempo, è stato strutturare le attività in uno spazio che potesse essere non solo accogliente e quieto, ma che potesse educare alla bellezza e al rispetto di luoghi usufruibili da tutti, in cui la sfida continua è la necessità di non connotare lo spazio solo come servizio sociale, ma di luogo aperto a tutti per esigenze e attività diverse.
STURIELLET, nome gergale che prende spunto dai fumetti di Andrea Pazienza, è un gioco di parole che ne sottolinea però il DNA : un libreria specializzata in fumetti. Nasce nel 2014 in Borgo San Paolo dalla collaborazione fra Corrado e Marco, che avevano già maturato esperienza presso un’altra fumetteria di Torino, per dare invita ad un loro percorso indipendente, oggi accompagnato dal vivacissimo cucciolo Leone. Con il tempo si sono fatti conoscere e la loro clientela affezionata, proviene da tutte le parti della città e da fuori ed è composta prevalentemente da adulti.
L’offerta della fumetteria comprende volumi di modernariato riproposto in ristampe, che portano nuovamente sugli scaffali fumetti in voga negli anni quaranta e cinquanta. Un’ampia sezione è dedicata al fumetto giapponese, forma di racconto che attira i giovani, affascinati dal mondo orientale. Tutto ciò che viene pubblicato in Italia è proposto dalla libreria. Un settore è dedicato ai supereroi che hanno ancora molto seguito presso il pubblico adulto, cresciuto con gli eroi della Marvel. Grande spazio hanno anche i fumetti della scuola franco-belga con la vasta produzione avventurosa e storica.
Per aprire e gestire una fumetteria, come racconta Corrado, non basta essere appassionati lettori, bisogna conoscere bene il mondo del fumetto per poter proporre, consigliare al cliente che entra in negozio. Bisogna anche essere sempre aggiornati circa le novità in uscita. Corrado vive nel mondo del fumetto sin dall’infanzia, quando acquistava le sue copie all’edicola e le collezionava gelosamente. Per Marco, il suo socio, l’interesse già presente da bambino è diventata una passione quando, per un esame universitario, aveva dovuto studiare il linguaggio dei fumetti. Da lì una tesi sull’argomento e la voglia di diventare autore, che poi si è trasformata nella gestione di Sturiellet.
Oltre il Catalogo, nel cuore del Borgo San Paolo, è una libreria particolare che propone libri non da vetrina, ma che sono il frutto di ricerche molto accurate da parte di Dario. Dettate dai suoi gusti e dalla necessità di trovare particolarità da consigliare a clienti che si rivolgono a lui, per interessi che vanno al di là del libro da classifica. Infatti è facile trovare saggi storici, vecchie edizioni di classici, case indipendenti di circolazione ristretta, libri di storia della musica. Dopo due esperienze importanti, presso la libreria Zanaboni ed un grossista di libri, attività ormai chiuse da tempo, Dario decide di aprire Oltre il Catalogo. Un nome che sottolinea la diversità della sua proposta e che è stato suggerito da un amico editore, che pubblica libri inerenti al tema della disabilità. L’idea è partita dalla possibilità di fare qualcosa di nuovo attraverso volumi in disuso, ingialliti, trovati nelle fiere, nei mercatini, o buttati in giro, per dare loro nuova vita. La vendita, cominciata online e con la partecipazione a fiere, si è poi aperta al quartiere, in un piccolo spazio in cui si ritrovano clienti affezionati, che prediligono la dimensione umana nel momento dei loro acquisti. Sono soprattutto donne, molto giovani e anziane, appassionate lettrici.
Dario ama i libri sin da bambino, grazie ad uno zio lo portava in un magazzino pieno di volumi, che lui sfogliava e in cui si immergeva. Ha continuato a coltivare la sua passione anche da ragazzo, andando a lavorare presso le bancarelle di libri usati in Corso Siccardi e ancora oggi con Oltre il Catalogo.
Michela e Stefano hanno ampliato la Rete Radie Resch, un’associazione di solidarietà internazionale nata negli anni’60, con la creazione nel 1998 di un gruppo sul territorio di Torino e provincia, grazie anche alla conoscenza di Leonardo Boff durante il Salone del Libro.
La Rete ha oggi numerosi nuclei attivi sul territorio nazionale, ognuno composto da persone e famiglie che, in base al principio di autotassazione, sostengono i vari progetti alla cui base vi sono tre principi: la ricerca delle ragioni che creano la povertà nel mondo, la sensibilizzazione su di esse, riconoscendo il peso delle azioni compiute nel mondo occidentale e la necessità di dare mezzi che vengano amministrati secondo le competenze e la cultura del luogo.
Dopo il primo intervento in Palestina, la Rete ha infatti ampliato l’area geografica di azione, concentrandosi soprattutto sull’America latina, ma sempre mantenendo il focus sulla necessità di equilibrare la distribuzione di ricchezza tra nord e sud del mondo, anche attraverso la diffusione del consumo critico e anticipando gli stili di vita basati sul consumo equo e solidale. Per far ciò, i vari nodi all’interno della Rete organizzano eventi e attività per sensibilizzare la popolazione, illustrando la forte connessione tra la disparità di ricchezze e i flussi migratori e cercando di creare ambienti inclusivi e di supporto all’inserimento di nuove persone. La Rete di Torino e dintorni ha infatti creato negli anni numerosi progetti come l’istituzione di un doposcuola, la creazione di un corso di giornalismo e di una mostra sul tema della migrazione collaborando con le realtà associative e le scuole del territorio.
Cercando di essere sempre aperti a nuovi stimoli e alla collaborazione con giovani volontari, il gruppo sta attualmente organizzando una serie di eventi in modo da poter raccogliere denaro per la costruzione di un pozzo nel villaggio natio di Moussa, un giovane nigerino da poco entrato nella Rete.
Donostia è una piccola libreria indipendente che si trova in via Monginevro 85/A, in Borgo San Paolo. Il suo nome significa San Sebastian, cittadina dei Paesi Baschi, territorio a cui Il Sig. Rinaldo, il proprietario, e’ molto legato.
Il negozio ha una metratura di 30 mq, ma la sua offerta è ricca e varia. Una parte molto importante è rappresentata da volumi, anche in dialetto, sul territorio e la storia piemontese proposti da piccoli editori. Anche la narrativa e i gialli, soprattutto di ambientazione torinese, trovano ampio spazio, perché incontrano il gusto di una parte molto ampia della clientela. Le persone che frequentano prevalentemente la libreria, vivono nel quartiere, che nel corso degli anni è cambiato molto. Da zona industriale e operaia, ha visto dopo gli anni settanta scomparire le piccole fabbriche, sostituite da condomini che ospitano cittadini che sono nati e vivono nel borgo, ma anche nuovi residenti giunti con le migrazioni, che danno al quartiere una connotazione multietnica. La clientela storica della libreria si e’ arricchita di nuovi fruitori amanti della lettura.
Donostia, prima Libreria Piotti, è presente in via Monginevro dagli anni 50, prima al civico 78 ed è stata probabilmente il primo negozio di libri fuori dal centro. Nel 1973 viene rilevato dai genitori del Sig. Rinaldo che subentra al padre nella gestione nel 1980. Nel 1987 il trasferimento al numero 85 e il nuovo nome. Nel tempo il negozio è diventato un punto di riferimento per il quartiere: i clienti entrano non solo per gli acquisti, ma anche per scambiare due chiacchere. La collaborazione con i negozi vicini è molto attiva, così come con la circoscrizione e soprattutto con le altre librerie della zona, rendendo ancora più piacevole un lavoro interessante, ma molto impegnativo.
Rinaldo che ha viaggiato molto in gioventù, ora si sposta meno e con il tempo sono cambiati anche i suoi interessi. Coltivava particolarmente la passione per i modellini dei treni (modellismo), ma problemi di spazio e di costi l’hanno resa insostenibile. Amante del calcio visto allo stadio e del cinema vissuto nelle sale, coltiva amicizie e relazioni con persone diverse con cene a casa, quindi ama molto cucinare. Le passeggiate solitarie in montagna o in collina, in mezzo alla natura, rappresentano momenti importanti del suo tempo libero.
PANTALEON nasce nel 2015. Dopo esperienze diverse nel mondo del commercio, Davide decide di intraprendere l’avventura della sua libreria. A distanza di sei anni è molto radicata nel quartiere e riconosciuta dai suoi abitanti, come un luogo in cui ritrovarsi, chiedere consigli sui libri, affidandosi alla competenza e alla sensibilità di Davide, che ripaga il loro affetto con consegne quanto più veloci e puntuali possibili. Pantaleon cerca di essere un punto di riferimento culturale, anche attraverso l’organizzazione di attività: presentazioni, corsi di letteratura, laboratori per bambini.
Pur essendo una libreria di tipo generalista, si è data un’identità particolare attraverso tre filoni di offerta. La narrativa, con i volumi di catalogo che non possono mai mancare, che affiancano le novità che vengono selezionate con l’aiuto del pubblico che è molto esigente. In questo spazio una sezione è dedicata ad editori, circa una ventina, piccoli ed indipendenti ma di grande qualità.
C’è poi la parte dedicata alla saggistica di storia e società, perché più affine a interessi e preparazione di Davide. Una piccola sala, arredata e decorata diversamente dal resto della libreria, è riservata all’editoria per l’infanzia e per ragazzi. Uno spazio molto vivo e frequentato perché’ la narrativa per bambini sta vivendo una fase di grande sviluppo, sia come quantità e qualità di offerta, che come domanda da parte dei genitori e dei ragazzi.
La scelta del luogo in cui aprire la libreria è stata un po’ casuale. Davide conosceva Cit turin, un quartiere in via di espansione che gli piaceva. Dopo averlo frequentato, osservato la sua quotidianità, è cominciata la faticosa ricerca di un locale. Un giorno, passando casualmente in via Grassi, la vetrina del civico 14 ha attirato la sua attenzione, perché ricoperta da fogli di giornale. Un negozio di fiori aveva appena terminato la sua attività e Davide dava inizio alla sua avventura.
Bufò è una libreria specializzata in editoria e giochi per bambini, nata nel 2014 a Ciriè. Nel 2016 si è trasferita a Torino, nel quartiere San Paolo, dove Marta, la proprietaria, e’ nata e vissuta e che ha accolto l’arrivo della libreria con grande curiosità.
Come un cantiere in continuo movimento, Bufò cerca di offrire ai suoi piccoli avventori un’accurata e vasta selezione di libri, giochi creativi e di società. Una sezione è dedicata anche agli adulti attraverso l’offerta libri illustrati che incontrano un grande favore nel pubblico.
L’edificio che ospita la libreria, di recente costruzione, sorge dove prima c’era una fabbrica di vernici e lo testimonia la parete curva che ospita lo “spazio morbido”, con la poltrona per l’allattamento e la pedana, su cui si svolgono molte attività: corsi e serate di lettura ad alta voce, incontri tra genitori ed esperti, laboratori per bambini.
La comunicazione attraverso i canali social permette a Marta di fare rete con attività presenti nella zona, che è viva e animata da persone giovani ed intraprendenti, di portare la sua offerta anche al di fuori del quartiere e di promuovere progetti a sostegno di realtà locali e non.
Il nome Bufò nasce da una curiosa combinazione di lettere e parole: B da book, bambini e pianeta B, da cui proviene Ufo, appellativo con cui Marta era solita chiamare il suo bambino prima che nascesse. Un nome che per la sua semplicità rimane facilmente nella memoria, soprattutto dei bambini.
Silvio ha scelto di avvicinarsi all'Associazione Amici di Avigliana quando è andato in pensione.
Oggi ne è il presidente e racconta e diffonde la storia dell'Associazione che da poco ha compiuto 50 anni e fin dalla sua costituzione ha scelto di prendersi cura di Avigliana e dei suoi beni.In particolare è stata rivolta grande attenzione ai beni culturali presenti sul territorio, alla fruibilità dei suoi laghi e di tutti i beni comuni che la caratterizzano.
L'obiettivo personale dei singoli soci e dell'associazione intera è tutelare la storia della città e renderla fruibile a tutte e tutti, per farlo portano molto entusiasmo e sono sempre pronti ad accogliere nuovi volontari.
L’Associazione Piemonte Cultura nasce nel 2008 a Torino, con lo scopo di preservare e coltivare la tradizione culturale popolare e storica del Piemonte. La sua sede operativa, la Casa di Contrada San Paolo, in via Luserna di Rorà 8, rappresenta un luogo di socialità e condivisione di un progetto culturale e ospita le Officine Folk ed il gruppo di danze popolari “Ij Danseur Dël Pilon”, attraverso cui Piemonte Cultura svolge le sue attività che le permettono di finanziarsi.
Lo stabile, negli anni trenta del secolo scorso, era adibito a bagni e lavatoi pubblici e la ciminiera annessa, faceva parte del sistema di riscaldamento a carbone dell’acqua utilizzata. Nei locali, che sono stati completamente ristrutturati, si svolgono numerose attività delle officine Folk: teatro, concerti di musica tradizionale, balli popolari piemontesi; corsi di musica (ghironda, cornamusa, organetto diatonico, flauto dolce, violino), canto, danza sempre legati alla tradizione popolare. Alcune stanze sono adibite a foresteria per ospitare gli artisti che transitano alle Officine. Piemonte Cultura, in veste di ambasciatrice della cultura popolare, con il gruppo di danzatori e musicisti, svolge scambi con paesi stranieri: Austria, Bretagna, Paesi Baschi, Catalogna. Attualmente è in programma un viaggio in Argentina, in cui è presente una forte e radicata comunità piemontese, per uno scambio di esperienze.
La struttura ospita inoltre La Mediateca folk, Centro di Documentazione Regionale, composta da 700 volumi indicizzati online, consultabili in presenza, che preservano la storia e la cultura piemontese. Contiene oltre ad un’ampia rassegna di libri in lingua piemontese, una sezione dedicata ai Bagni Municipali di Torino.
Attraverso le sue attività l’associazione raccoglie intorno a sé un nutrito gruppo di soci, che la sostengono e tra i quali si sono create relazioni, inizialmente basate sulla condivisione di interessi comuni e che sono sfociate in rapporti amicali importanti.
Il sig. Bruno Donna, suo presidente, dedica tutto il suo tempo libero all’Associazione, mettendole a disposizione l’esperienza organizzativa e gestionale maturata in anni di lavoro nell’azienda di famiglia, che si occupava di moda. Nonno orgoglioso di 4 nipoti ama la natura e le passeggiate in montagna.
Il Melograno esiste da 70 anni, nasce come libreria di quartiere e continua ad esserlo ancora oggi, con i suoi clienti affezionati che non solo acquistano libri, ma sono amici, famiglia, partecipi della vita della libreria e di chi la gestisce.
Oltrepassata la porta di ingresso, si fa un balzo indietro nel passato e si entra in un piccolo negozio con scaffali di legno, su cui sono ordinati i tantissimi volumi e dietro il bancone una porta in legno massiccio lavorato.
Monica, la proprietaria, che ha una formazione artistica, ha scelto di fare la libraia seguendo la sua passione per la lettura. La sua storia professionale nasce in una piccola libreria poco distante da Corso Racconigi. Poi l’incontro con Tullio, l’allora proprietario del Melograno e la scelta quasi casuale, di unire le forze e di gestire insieme il negozio. Sono passati 15 anni ed il rapporto con Tullio, che è purtroppo mancato da poco tempo, si è trasformato da una relazione di lavoro ad un’amicizia profonda. Monica è contenta della sua scelta di vita, ma sottolinea anche la fatica di questo lavoro, che comporta molta dedizione, ma anche impegno economico: l’acquisto dei libri deve essere sempre misurato, ma è necessario anche andare incontro alle esigenze del cliente in un mondo, quello dell’editoria, che propone settimanalmente più di 600 nuovi titoli. Scherzosamente cita un libro dal titolo “Vendere l’anima. Il mestiere del libraio”.
La parte che considera più interessante del lavoro, al di là del rapporto con i suoi clienti, riguarda la selezione dei volumi, che rispondono alla sua sensibilità e ai suoi interessi. I libri d’arte sono parte dell’offerta di Monica: saggi illustrati, storie delle vite di pittori, pittrici, scultori. C’è anche un angolo dedicato ai bambini e quando con le madri o le nonne entrano in negozio, si infilano subito nella piccola stanza arredata con tavolini e seggiole.
La Saletta è un’associazione musicale che nasce alla fine del 2009, seguendo due direzioni: la didattica musicale e l’organizzazione di eventi musicali. Come afferma Riccardo: “qui ci si occupa di musica e lo si fa con cura”. Ciò significa che gli insegnanti sono professionisti di lungo corso, con una grande passione per la musica, l’insegnamento, particolarmente attenti all’aspetto umano e di coinvolgimento della didattica. L’associazione, visibile grazie ad un’insegna apposta sui vetri, si trova in San Paolo, lungo Corso Racconigi. Storicamente è un borgo di aggregazione, in cui Riccardo è nato e vissuto e in cui ha deciso di svolgere la sua attività.
Gli ambienti, molto curati, sono suddivisi in una sala acustica, in cui si tengono le lezioni di canto, pianoforte, batteria, chitarra e una sala prove. L’offerta di corsi è molto varia e ha un taglio prettamente moderno, senza però escludere il mondo classico e le commistioni anche con altre forme artistiche. Lo sguardo è sempre aperto verso le novità che il mondo musicale propone.
Per quanto riguarda la parte eventi, l’associazione segue artisti in tour, organizza concerti, corsi musicali, seminari. “La serata Saletta” evento ormai storico, organizzato in vari locali torinesi, rappresenta un momento aggregativo importante, che dà la possibilità agli allievi e ai soci di sperimentarsi in un ambito live.
La Saletta è frequentata da persone di tutte le età: i piccoli allievi che si avvicinano alla musica; ragazzi che vivono nel quartiere o ne frequentano le scuole, che si trovano per provare, formano band e hanno anche occasione di registrare i loro pezzi; gruppi di adulti che si ritrovano per fare musica.
Riccardo ha cominciato a suonare da bambino, poi ha sviluppato un aspetto più educativo, come studi e come attività lavorativa, per tornare alla musica come insegnante di canto, dopo aver studiato e perfezionato la sua tecnica negli Stati Uniti.
Sei anni fa inizia la storia di Camellia, che non vuole essere solo un luogo dove si consuma o si beve del buon tè pregiato ma anche un luogo di ritrovo e cultura.
Ezio e le sue sorelle si sono avvicinati alla cultura del tè sin dalla giovane età, sulle orme del padre, amante come tutta la famiglia del tè in foglia.
A differenza del precedente lavoro dove Ezio svolgeva mansioni prettamente amministrative e manageriali, e i rapporti interpersonali erano marcatamente formali, ora è un reciproco incontrarsi con la clientela con la quale si confronta sulle varie problematiche.
Il nome deriva dalla Camellia sinensis che è la pianta del tè le cui foglie e i cui germogli sono usati per produrre la bevanda.
Si può senz’altro dire che il locale permette ai suoi frequentatori di età ed estrazioni culturali diverse, di avvicinarsi al consumo della bevanda approfondendo la sua storia.
L’unicità del locale è rappresentata proprio dall’intimità dei suoi ambienti dove sala da tè e negozio si integrano alla perfezione.
La perseveranza nel raggiungere i propri obiettivi ha permesso ad Ezio e alle sue sorelle di conseguire importanti traguardi che rispecchino sempre il loro modo di essere.
Arianna e Andrea otto anni fa iniziavano la loro nuova avventura dando vita al Pai Bikery, unendo in un unico locale la ciclofficina con annessa cucina dai piatti tradizionali con vecchie ricette tramandate dalla nonna e poi rivisitate.
Da subito inseriti nella realtà del borgo che negli ultimi anni, anche con l’avvento del polo Universitario, ha visto un rifiorire di attività ed iniziative sociali e culturali.
Il locale che si trova all’angolo di via Catania con via Modena rappresenta il giusto connubio dei desideri di Arianna e Andrea, dove incontrano i clienti con i quali interloquiscono e si scambiano i loro pensieri. Un posto non molto grande in cui l’intimità permette di creare un ambiente confortevole e casalingo.
Negli ultimi due anni anche a causa della pandemia, la ciclofficina ha subito una battuta d’arresto mentre si è venuta ad incrementare la consegna a domicilio. Si è creata così una sinergia con la libreria il Ponte sulla Dora di Rocco Pinto in cui alla consegna della torta preparata da Arianna e consegnata da Andrea in bici si univa, un libro.
Fiduciosi nel futuro continuano a sviluppare nuovi progetti, nuove idee, nuove ricette da proporre ai loro affezionati clienti.
Da una passione per l’arredamento e antiquariato che si tramanda da padre in figlio o come Lorenzo definisce una “malattia genetica”, nasce la Bottega Ranzani. Il padre infatti è uno dei primi tre collezionisti di telefoni in Italia, da Meucci in poi.
Lorenzo, laureato in architettura presso il Politecnico di Torino, effettua un repentino cambio di rotta, da una promettente prospettiva di lavoro in Cina, per dedicarsi alla sua passione più grande,la ricerca dei pezzi di antiquariato dando vita a quella che ora è la sua bottega.
L’attività di Lorenzo viene esercitata in un ex fabbricato industriale in cui sono inserite anche altre realtà produttive. La ricerca dei “pezzi” avviene principalmente con il passaparola e la frequentazione dei mercatini di antiquariato nonché, visite nelle dimore, dove è possibile incontrare l’unicità del pezzo. La recente pandemia che ha rivoluzionato il mondo del lavoro ha determinato un nuovo impulso della sua attività, infatti le persone con lo smart working hanno dovuto ripensare il proprio posto di lavoro e quindi adattare uno spazio intimo della propria casa alla loro attività. Questo, anche tramite l’e-commerce, ha permesso un incremento delle vendite di parti di arredo. L’unicità di molti dei suoi pezzi di arredamento ha permesso un notevole sviluppo verso l’estero delle proprie vendite, anche grazie al particolare design degli arredi made in Italy.
In tutto ciò Lorenzo è supportato dall’intera sua famiglia, dall’esperienza nel settore del padre, alla preziosa collaborazione del fratello e della sorella, nonché quello della fidanzata fotografa.
Nella bottega possiamo ritrovare pezzi che ci aiutano a far rivivere luoghi e momenti di un passato che non può essere dimenticato.
Silvia nasce a Milano e all’età di venti anni si trasferisce, insieme al suo compagno, a Torino dove inizia il suo percorso di studi e professionale nel campo teatrale con Philip Radice e canoro con Marco Farinella.
Silvia ama definirsi una cantante comica e ha portato le sue performance in giro per tutto il mondo, con spettacoli interattivi e non di teatro di figura, comico e di strada.
Con Martina Soragna ha creato una compagnia, “Le Due e un Quarto” con la quale ha allestito spettacoli fra i quali uno in particolare di strada in cui si camuffano da bebè ed interagiscono con gli spettatori. Sempre con Martina ha visto la luce anche un network di donne clown di tutta Italia.
Assieme al compagno Roberto, attore circense e acrobata, nasce l’esigenza di avere uno spazio in cui poter sperimentare la propria ricerca artistica; nasce così nel 2017 Spazio DiLà, luogo in cui oltre all’uso personale viene anche messo a disposizione di altri artisti che hanno necessità di provare i loro spettacoli, o semplicemente allenarsi. I locali vengono altresì usati come luogo di formazione e workshop.
Le loro molteplici iniziative hanno visto anche la nascita di un loro chapiteau, ovvero un tendone da circo, nel quale portare in giro per le varie località la propria idea artistica e poetica. Come Silvia ama rimarcare, lo spettacolo circense a differenza di quello teatrale classico permette un maggior coinvolgimento del pubblico presente.
A partire dalla metà del mese di Dicembre 2021 e sino dopo l’Epifania il loro chapiteau verrà allestito presso il Bunker a Torino, dove ci saranno spettacoli ed in particolare Hesperus in cui viene celebrata la morte dello spettacolo dal vivo.
Possiamo senz’altro dire che Spazio DiLà è un laboratorio di idee, progettualità in continua evoluzione che ama coinvolgere nuovi artisti emergenti e non che abbiano voglia di sperimentare.
La dott.ssa Federica è una giovane farmacista specializzata in botanica che nella Regia Farmacia in via XX Settembre ha trovato il suo posto nel mondo. Fin da subito infatti si percepisce l’entusiasmo e l’impegno che la dottoressa e i suoi colleghi mettono tutti i giorni nel proprio lavoro creando un team dinamico e affiatato. In particolare la dottoressa, esperta in erboristeria, pone una grandissima attenzione alle ricerca sempre attiva di prodotti ecosostenibili in tutta la loro filiera, dalla scelta delle materie prime, alla produzione artigianale fino agli stessi imballaggi zero-waste e nel canale social della farmacia, che gestisce con competenza e allegria, posta spesso ricette di autoproduzioni green e consigli su tisane funzionali.
Nella lunga chiacchierata che ha fatto con noi emerge in maniera forte il fascino che emana la farmacia dove lavora, una delle più importanti farmacie storiche di Torino nata nel 1824 come Farmacia Schiapparelli, fornitrice della Casa Reale.
Non solo, infatti, una parte del locale mantiene ancora intatte le sue stupende architetture d’interni ottocentesche ma la tradizione si respira anche, per esempio, nella scelta di continuare la produzione degli amari medicinali seguendo alcune ricette uniche e segrete che risalgono addirittura al 1600, come il famoso Balsamo di Gerusalemme, vino liquoroso con incenso e mirra molto apprezzato anche da Camilleri.
La farmacia è una delle poche che vanta al suo interno la presenza di un vero e proprio laboratorio galenico che, oltre ai famosi amari, produce medicinali su misura e integratori sempre con una massima attenzione alla qualità della materie prime, ai metodi di preparazione e alle procedure burocratiche. In questo senso riscopriamo qui la figura tradizionale del farmacista ovvero l’unico professionista in grado di preparare le medicine. Oltre a questa competenza, la dottoressa tiene a sottolineare che un buon farmacista debba anche possedere un’innata attitudine all’ascolto, base necessaria per sviluppare una relazione con i clienti e poter trasmettere informazioni e consigli su misura alle persone che non si sentono così abbandonate in balia del solo foglietto illustrativo.
Proprio per questo la farmacia è diventata un vero e proprio punto di riferimento, con le sue curatissime vetrine sempre accese anche di notte e l’apertura tutti i giorni della settimana, al crocevia di realtà diverse: la parte più benestante del centro, con il Duomo, i monumenti, i palazzi storici e le vie dello shopping e alle sue spalle la zona vivace e multietnica di Porta Palazzo.
Shanti e Scianti è un circolo ARCI che si occupa di BEN-ESSERE, in cui si propongono trattamenti per la cura della persona nella sua totalità. È uno spazio accogliente che comprende la sala trattamenti ayurvedici, con il bagno turco e la sala relax, in cui si svolgono i corsi di musica, le sedute di pilates, yoga, tai chi chuan.
Nasce nel 2009 anche come luogo di incontro, per dibattiti, piccoli eventi. La fondatrice, Barbara, è legata all’india per due aspetti, quello ayurvedico e quello della cooperazione, seguendo in particolare il progetto di una cooperativa di sarte indiane. Queste donne fanno parte di un’etnia indiana, che vive secondo i valori della conoscenza e del rispetto della terra. Producono abiti con un’attenzione particolare al benessere di chi li indossa, che vengono distribuiti a Torino dall’associazione.
Un pezzo di India a Torino, che dà seguito ad altri progetti, come la nascita della Cooperativa Sociale Johar che dopo vari progetti decide di concentrare l’attività sull’ accoglienza migranti, con una particolare attenzione alle persone che fuoriescono dai progetti. La collaborazione con l’equipe del Moi porta l’associazione e la cooperativa ad ospitare, in quattro strutture e fare da garanti, a immigrati che pur avendo tirocini, lavori precari, non riescono a raggiungere una loro autonomia. L’esperienza condotta dall’associazione e dalla cooperativa si concentra sulle fragilità, facendo però leva sulla valorizzazione dell’esperienza e delle competenze che queste persone portano, insieme alla loro cultura.
Nelle case di accoglienza oltre a garantire l’ospitalità, vengono organizzati corsi di italiano e di avviamento alle professioni. Attualmente la cooperativa sta partecipando al bando Inclusione del Comune di Torino.
Paolo ha cominciato la sua esperienza di cooperazione, lavorando in India per creare piccole realtà autosufficienti che valorizzasse, nella vita quotidiana, l’idea stare insieme e di commerciare in maniera diversa. Piccole esperienze, in questo risiede il valore di questo lavoro, perché’ è un piccolo che dà stabilità e continuità. Ne è prova l’esperienza di una famiglia armena, la prima accolta da Johar, che nel tempo è riuscita ad aprire un proprio ristorante di cucina tipica dell’Armenia, in cui l’accoglienza e l’ospitalità rappresentano il biglietto da visita.
Valerio è stato per quarant’anni dirigente sanitario ASL e dirigente dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, occupandosi quindi sia di aspetti igienisti che della tutela del territorio e dell’ambiente. Dal 2005 è il presidente dell’associazione Vestireciclo, che è molto di più di un negozio di abiti usati, diversamente da come si potrebbe immaginare da una prima occhiata distratta alla vetrina. Il progetto è quello di “fare un salto di qualità” nel recupero di abiti usati, avendo un negozio, e coinvolgendo un’ampia rete di volontari/e e figure fondamentali come le donne di Casa Betania: “le persone devono sapere che quando comprano un capo, dietro c’è solidarietà”, che, ci spiega, è lo scopo principale con cui nasce l’Associazione.
Tra le tante azioni di sostegno attivate, Valerio racconta anche dei progetti realizzati oltre oceano per un ospedale a Cuba e in Brasile con un’associazione di donne del movimento Sem Terra; mentre a Pinerolo, con molto orgoglio spiega cos’è il “Muro della gentilezza” che troviamo di fronte al negozio, “l’esperienza del dono nella forma più corretta”.
La cittadina risponde positivamente all’attività di Vestireciclo e la predisposizione delle persone all’acquisto di abiti usati e a comprenderne il significato è decisamente maturata nel tempo. Tuttavia, Valerio sostiene che sia ancora difficile “fare rete”: sono tante le iniziative interessanti sul territorio, sarebbe interessante confrontarsi tra attori e magari collaborare, cosa che non sempre risulta facile.
Alessandro, insieme a ASD Nessuno Escluso, collabora a numerosi progetti sia nell’ambito scolastico che sportivo sul territorio pinerolese. Nelle scuole segue il progetto “Italia educante” occupandosi principalmente di contrastare il rischio di dispersione scolastica di alcuni ragazzi, ma non solo. Sui campi sportivi, invece, da più di tre anni segue “Juventus for special”: progetto di inclusione che nasce a Pinerolo diversi anni prima con l’intento di riunire tutti i ragazzi con disabilità sul territorio per allenarsi insieme e formare una squadra di calcio. Il progetto sportivo cresce rapidamente, comprendendo anche la scuola calcio che da l’opportunità ai giocatori di esordire nelle prime squadre: “oggi sono previsti quattro livelli in cui i ragazzi vengono suddivisi sulla base delle abilità sportive, non delle loro disabilità”.
Nel tempo libero Alessandro ama viaggiare, ma anche godersi il territorio facendo escursioni in montagna. Per lui Pinerolo è la città più bella del mondo, e nonostante molti dei suoi amici e coetanei si sono trasferiti altrove, lui non ha intenzione di lasciarla: “io immagino il mio futuro qui, c’è tutto, ma immagino un futuro in cui Pinerolo deve camminare stando al passo con i tempi”.
Khalid nasce a Casablanca, Marocco, dove rimane fino al secondo anno di università, prima di seguire il fratello in Spagna. La sua è una famiglia di migranti: “chi vive in Spagna, chi in Belgio, Olanda (…)”, e poi lui, che arriva in Italia ormai più di vent’anni fa.
Inizialmente raggiunge la sorella in Veneto e dopo aver svolto diversi lavori nel settore delle costruzioni, si trasferisce a Pinerolo nel 2013 con la famiglia, dove rileva dal cognato la macelleria Lasri.
Oggi, qui, Kahlid non vende solo carne, ma moltissimi prodotti della sua terra, dal tè al cous cous, passando per spezie e datteri, e soprattutto incontra e parla con tante persone di provenienze diverse: “Qui bisogna parlare spagnolo con chi arriva dall’Ecuador, inglese con i nigeriani e anche francese”. È proprio questo uno dei motivi per cui a Pinerolo vive bene: è piccola, c’è tutto e “si riesce a parlare, a discutere”, spiega Kahlid, “ci sono meridionali, c’è immigrazione in generale, e quando è così l’integrazione è più facile”. Certo, non esclude che in futuro possa tornare in Marocco, alla fine “tutti vorrebbero tornare dalla propria terra madre”, mai dire mai.
Giacomo è la quarta generazione a guidare l’azienda storica di specialità piemontesi pluricentenaria, nata dall’intuizione del bis-nonno che inaugura il primo albergo del territorio a Pragelato nel 1908, dando il via al turismo di montagna. Quella di Albergian è una storia familiare che parla di artigianalità, tradizione e prodotti che valorizzano la territorialità e la stagionalità montana. “Lavoriamo anche all’estero ma cerchiamo di preservare saldamente il cuore dei nostri prodotti locali” spiega Giacomo “Per questo oggi continuiamo a produrre dai liquori alle caramelle e dalle confetture agli antipasti piemontesi”.
Nonostante quella con l’azienda di famiglia sia una vera e propria storia d’amore - scherza mostrandoci il tatuaggio -, Giacomo trova il tempo per la Croce rossa, prestandosi per le Unità di Strada, ma anche per lo sport, dal calcetto al padel, dallo sci al ciclismo.
Secondo lui Pinerolo ha molto da offrire, c’è “comunità”, si cerca di fare rete. Fa parte del Rotary che, insieme ad altri enti, agisce su interventi importanti nel sociale. L’esigenza che emerge di più è quella di “fare squadra”, anche se a volte è complicato per lo scarso ricambio generazionale.
Franca e Carla, sono la Presidente e la Vicepresidente di Insieme, associazione di genitori che si occupa di supporto ai malati psichici e alle loro famiglie.
I progetti di cui si occupano vanno dalla pet therapy all’interno delle Asl, al supporto all’avvio di una vita autonoma e all’inserimento lavorativo, al gruppo di mutuo aiuto per i familiari.
Hanno avviato anche un progetto editoriale, con la pubblicazione di un giornale “Ufo” e hanno realizzato dei video sul tema della salute mentale, con l’obiettivo di sensibilizzare e informare.
Alberto è il Presidente di ANVOLT, Associazione Nazionale Volontari Lotta contro i Tumori, associazione che si occupa di assistenza e trasporto ai malati oncologici.
La sede di Torino ha un ambulatorio nel quale vengono effettuate visite di prevenzione oncologica: visite ginecologiche e pap test in collaborazione con il progetto Prevenzione Serena, palpazione al seno, mappatura nei, visite urologiche e proctologiche per entrambi i sessi, viene offerto anche un servizio infermieristico domiciliare.
Le visite sono libere ed aperte a tutti, viene richiesta un’offerta libera minima, in base a quale controllo si deve effettuare e a quali costi devono sostenere.
Le offerte sono necessarie esclusivamente per la copertura dei costi di attrezzatura, materiali e per il rimborso spese del personale sanitario, tutte le persone che collaborano dentro Anvolt lo fanno sotto forma di volontariato.
Grazie alle donazioni, tra cui il 5x1000, l’associazione riesce ad acquistare nuova strumentazione, come ad esempio un nuovo ecografo che permette visite e controlli più accurati, ma riesce anche offrire nuovi servizi e progetti, come quello che partirà dal 2022, collegato all’educazione alimentare come forma di prevenzione e supporto alla cura dei tumori, sarà presente in struttura un/a nutrizionista che effettuerà visite di consulenza all’alimentazione come strumento per prevenire e contrastare la malattia.
Inoltre vengono portati avanti laboratori e iniziative europee nelle scuole, come forma di prevenzione e lotta al tabagismo.
Giornate di prevenzione e di visite di controllo vengono offerte alle aziende come progetti di welfare aziendale, attraverso donazioni all’associazione è possibile organizzare visite di controllo per tutti i dipendenti.
Derio Oliviero, Vescovo di Pinerolo, è nato a Cuneo, prima di trasferirsi nella cittadina torinese: si definisce un “nuovo arrivato” anche se quando è giunto nella città della cavallerizza, quattro anni fa, si è sentito subito a casa. Dal primo momento, è stato colpito dalla vivacità del territorio, dalle peculiarità gastronomiche e dalle montagne, che vede nitidamente e con grande gioia, attraverso la finestra del suo ufficio. La curiosità e la forte passione per l’arte che Derio coltiva da anni, lo portano a scoprire ed apprezzare ancor di più la ricchezza storica del territorio. Ama osservare e studiare la materia, di cui ha anche spesso parlato nei numerosi incontri a tema tenuti proprio a Pinerolo: “Le opere d’arte riescono a dire cose che a parole non riusciamo a dire (…), l’arte è un ponte di mistero verso le cose” osserva.
L’altra grande passione del Vescovo è la montagna, alla quale si dedica specialmente d’estate facendo lunghi trekking nelle nostre valli e, chiacchierando scherzosamente, ammette che se non fosse diventato prete avrebbe amato fare la guida alpina o il professore di ginnastica.
Parlando della comunità locale, emerge come, nonostante la ricchezza di gruppi e associazioni, spesso si fatichi a “fare squadra” per perseguire un obiettivo comune, o a riconoscere un’identità del territorio. Tuttavia bisogna sottolineare una peculiarità interessante: la compresenza di due comunità religiose molto forti sul territorio, quella cristiana e quella valdese, fonte di stimoli continui.
Ci troviamo dentro ad uno spazio rigenerato, una ex fabbrica come tante nel quartiere, ma qui il Gruppo Abele ha fatto nascere un vero e proprio centro aggregativo, lo spazio è chiamato "Fabbrica delle e", perché genera connessioni, relazioni e collegamenti tra persone e culture, tra associazioni e realtà del territorio, tra pubblico e privato.
Lucia, si occupa della gestione dei progetti genitori/figli del Gruppo Abele, ma tanti sono i progetti del gruppo, l'accoglienza delle persone in difficoltà, la prevenzione, il lavoro contro le violenze, l'educazione e il recupero, il supporto alimentare, psicologico, legale e abitativo.
Questi obiettivi portati avanti mantenendo fisso un secondo binario, quello della cultura, con una ricca biblioteca, un archivio storico, una casa editrice e un ricco palinsesto di laboratori per bambini e adulti.
Luca ha 41 anni e da 5 anni e mezzo è il sindaco di Pinerolo, città di provincia dell’Area Metropolitana di Torino. Laureato in Scienze Forestali, è un Tecnico Ambientale e ha lavorato in ambito universitario e privato. La sua partecipazione politica comincia da giovane e si realizza, inizialmente, come volontario, nell’ambito ambientale (Alta Velocità in Val Susa, cura dell’acqua pubblica) e in ambito sociale (come volontario presso il Dormitorio di Pinerolo). Comincia la carriera politica come consigliere comunale, nello schieramento all’opposizione, per poi venire eletto sindaco, alla successiva tornata elettorale. Recentemente viene confermato sindaco, per un altro mandato. Durante la sua esperienza alla guida della città (per lo più durante la pandemia da Covid-19) ha imparato l’importanza del saper delegare e condividere gli oneri del suo ruolo con i suoi collaboratori: tuttavia, vive con consapevolezza l’inevitabile solitudine del sindaco, che è comunque chiamato a prendersi la responsabilità dell’ultima decisione. Cerca di proporre un modello di amministrazione locale in cui il sindaco possa occuparsi più del necessario, che dell’urgente e nel quale le associazioni di volontariato, che forniscono servizi alla persona essenziali, possano essere coordinate da professionisti. Vorrebbe che Pinerolo accettasse la propria condizione di città di provincia, orgogliosa di esserlo; auspica per la sua città una ventata di ottimismo, che aiuti i cittadini a valorizzare servizi e strutture presenti sul territorio. Nel (poco) tempo libero si gode il tempo trascorso con le 2 figlie e la moglie, ma cerca di tenersi in forma, pedalando in bicicletta, o andando a nuotare; però quello che davvero gli dà la carica per portare avanti le sue varie attività, è suonare la chitarra, cosa che fa orgogliosamente solo, nel suo angolino in casa. Auspica di poter mettere a frutto la propria esperienza e continuare a fare politica attiva, ma sempre a livello locale. Tuttavia, gli piacerebbe riprendere a fare volontariato al dormitorio
Mariangela è un'attivista - volontaria di Border Radio, web radio indipendente non commerciale nata nel 2009, il suo palinsesto è composto esclusivamente da musica copyleft e fa parte di un network internazionale di radio indipendenti.
In questa intervista si entra all'interno del mondo delle radio indipendenti, che promuovono la cultura copyleft e la tutela alternativa del diritto d'autore, si capirà cos'è il mondo delle licenze libere, creative commons, parlando dei movimenti internazionali sui diritti d'autore e della differenza che esiste tra diritti di utilizzo delle opere e appunto, quelli d'autore.
Border Radio promuove la cultura aperta, usando la radio come strumento educativo, attraverso programmi streaming, podcast, workshop e laboratori in un'ottica di formazione continua interna ed esterna, portando avanti la filosofia della conoscenza pubblica, condivisa, libera e accessibile.
Debora è un'educatrice - imprenditrice che gestisce il Nido in Famiglia “Mamma Oca Racconta”, nido che ospita bambini e che gli permette di sperimentare l’esperienza del nido dentro ad un contesto famigliare.
Dopo la nascita della prima figlia, Debora decide di lasciare il lavoro che non le permetteva di conciliare vita lavorativa e famigliare, così per un fortuito caso del destino incontra un’altra mamma come lei che le parla del progetto di aprire un nido in famiglia, nasce così una cooperativa di sole donne che gestisce diversi nidi.
Insieme costruiranno non solo un’impresa, ma un progetto educativo e formativo per i bambini che seguono, e per loro stesse grazie alla formazione continua a cui prendono parte.
Dal 2013 la cooperativa si scioglie (non i legami personali tra colleghe) e Debora decide di aprire il suo nido, nel quartiere dov’è cresciuta, Borgo San Paolo.
La giornata dei bambini inizia con una serie di canzoni d’accoglienza, sia in Italiano che in Inglese, perché grazie al suo passato da traduttrice, Debora conosce e parla 3 lingue, il suo è un nido bilingue.
La giornata prosegue con diverse attività e giochi che variano giornalmente, i bambini e le bambine vanno al mercato a comprare le verdure che poi cucineranno per il pranzo, girano per il quartiere alla ricerca del parco in cui hanno voglia di correre, fanno tanta attività all’aperto, yoga, sperimentano la pittura e la musica, si recano nella più vicina biblioteca pubblica per scegliersi i libri che vogliono farsi leggere, visitano musei e tanto altro.
Le attività dell’anno vengono scelte sulla base di un progetto pedagogico studiato per ogni bambino, durante l’inserimento iniziale di settembre, attraverso la metodologia dell’osservazione dei bambini, si definiscono quali sono le necessità di ognuno, e si studia il piano più adatto per ognuno di loro.
La vita dentro al nido in famiglia è un ambiente famigliare, dove la cura del bambino è più intima, ma allo stesso tempo più allargata, perché coinvolge più nuclei familiari.
La famiglia è parte integrante.
Binaria è la libreria del Gruppo Abele, parte del Centro Commensale (diverso dal Centro Commerciale perché non è fatto per essere consumato, ma vissuto, assaporato).
Filippo e Monica sono le persone che, insieme ad altre, si occupano della gestione dello spazio, che comprende oltre alla libreria, uno spazio per laboratori per i bambini e genitori, una bottega eco-solidale e un mercatino dell'usato.
La libreria è di varia, tratta diversi generi per bambini, ragazzi e adulti, specializzata in tematiche sociali e saggistica di intervento, oltre ad ospitare tutto il catalogo della casa editrice del gruppo.
La filosofia è portare avanti la cultura dell'accoglienza facendo cultura, due binari infatti, Cultura e Accoglienza che muovono lo spirito nella scelta dell'ampissimo catalogo, degli eventi, workshop, laboratori e tantissimi incontri organizzati dentro la Libreria Binaria.
Vittoriano Mega, Vice Presidente dell’Associazione Arcobaleno, onlus che si occupa di salute mentale.
Sono tre i fondamentali di cui si occupa l’associazione, casa, lavoro e socialità, con l’obiettivo di dare cittadinanza alla follia promuovendo l’occupazione di persone con disagio mentale, come forma di cittadinanza attiva.
Le loro iniziative spaziano da interventi urbani di artigianato sociale, supporto e assistenza alla conservazione della casa, anche attraverso una rete di artigiani che mettono a disposizione il loro sapere a prezzi calmierati.
L’associazione gestisce un centro di conservazione e vendita abiti usati, un gruppo di acquisto solidale (Gas), nel passato sono stati realizzati anche progetti editoriali, teatrali e oggi hanno una webradio che trasmette dalla loro sede di Via Virle, 21, all’interno si trova anche una biblioteca e un piccolo bar.
Il punto di partenza di tutte le loro iniziative è l’associazionismo come cura.
Circa 10 anni fa, Andrea con altri ragazzi e ragazze appassionati di musica e con i quali aveva fatto nascere l’associazione Comala, vincono un progetto comunale per la gestione e la rigenerazione di alcuni spazi dell’Ex Caserma La Marmora di C.so Ferrucci.
Questo enorme spazio presente nel quartiere San Paolo, viene costruito nel 1871 e nasce come area coperta del mercato del bestiame.
La storia e l’evoluzione di questo luogo, racconta la storia del quartiere, è stato il luogo del primo grande maxi processo d’Italia, quello alle Brigate Rosse, un po’ per la sua caratteristica di avere grandi saloni interni e un po’ per la sua posizione vicina all’Ex carcere Le Nuove (ora museo).
Un utilizzo dello spazio che il quartiere ancora ricorda, giorni di militarizzazione forzata, in cui per andare a lavorare gli abitanti del Borgo dovevano superare i varchi di polizia.
Dopo il grande processo, si è cercato di riutilizzare gli spazi in diversi modi, per anni vi è stata la sede della biblioteca civica del quartiere, ora definitivamente chiusa; c’è stata la sede del primo comitato di quartiere di Torino, da quella sperimentazione sono nate poi le Circoscrizioni cittadine, in ultimo si è provato a farla diventare la sede di un centro giovani.
Dopo la chiusura di questi progetti, la struttura è stata abbandonata per anni, fino a quando la Circoscrizione 3 non decide di recuperarne gli spazi.
L’Associazione Comala, un’associazione musicale di giovani, decide di proporre un progetto di recupero per trasformare gli spazi in sale prove, spazi di registrazione per musicisti e musiciste. Si organizzano attività ed eventi musicali, la concessione degli spazi è organizzata per fasce di prezzo in base all’età e addirittura gratuitamente ai ragazzi e alle ragazze delle superiori.
Lo spazio si apre al quartiere, che si scopre essere universitario con un’alta percentuale di fuorisede, grazie alla presenza del Politecnico.
Arrivano sempre più studenti, che propongono attività, eventi, chiedono in uso gli spazi, il quartiere e le realtà ne hanno bisogno e l’associazione ne ha parecchi a disposizione.
Borgo San Paolo è il secondo quartiere più popoloso di Torino, ma la circoscrizione 3 è la più piccola dopo il Centro. E’ un’area ad alta densità di popolazione, con tante necessità, ma pochi spazi pubblici per l’incontro.
Il grande salone, in cui all’interno sono ancora attaccate le foto del maxi processo alle BR, diventa uno spazio multifunzionale e Comala si trasforma da associazione di musica ad associazione che gestisce gli spazi, attraversati da più di 40 associazioni diverse che offrono tantissime attività per tutti i gusti.
Attraverso un progetto di costruzione partecipata, si riesce ad utilizzare anche il cortile, nasce lo spazio concerti, cinema all’aperto, e aula studio. L’ulteriore concessione dello spazio al piano terra, permette l’apertura del bar interno ed esterno, un nuovo spazio di aggregazione per il quartiere e per i quartieri più periferici.
Dopo la chiusura forzata dovuta all’emergenza sanitaria, la riapertura trasforma lo spazio in aula studio via via sempre più grande, con spazi all’aperto e al chiuso riscaldati, arrivando a contenere fino a 500 posti, la più grande di Torino, diventando un punto di riferimento per i giovani e gli universitari, che possono frequentare lo spazio dalla mattina alle 8 fino a tarda sera grazie ad eventi musicali e culturali.
La vocazione prettamente giovanile dello spazio e dell’Associazione Comala, continua ad essere viva, anche se grazie alla sperimentazione con altre associazioni della zona, lo spazio vuole aprirsi e rendersi attraversabile da tutte le fasce di età.
Aldo è appena andato in pensione. Per circa 40 ha ricoperto un posto di funzionario presso il Comune di Avigliana e ci racconta la sua esperienza per comprendere i funzionamenti del servizio, le connessioni con il territorio, con la storia recente. Nella sua esperienza sono diversi gli aspetti negativi e positivi che ha analizzato e cercato di affrontare e ha provato a fantasticare su come s’immagina un servizio perfetto!
Mariangela e Maria Grazia sono rispettivamente infermiera e assistente sanitaria all’interno dell’ASL TO4 e, nel tempo libero, gestiscono due gruppi di cammino come walking leader. I gruppi di cammino nascono nel 2017, a seguito di un’iniziativa promossa dall’ASL, arrivando a sessanta uscite con circa 1200 partecipanti a settimana su numerosi comuni. La partecipazione ai gruppi è gratuita e non necessita di certificato medico, ma solamente dell’abbigliamento sportivo e il rispetto delle normative legate alla situazione pandemica.
Il gruppo gestito da Mariangela è aperto agli adulti, mentre quello da Maria Grazia ha un focus su gestanti e famiglie presenti e future, in cui vengono organizzati momenti collaterali come le letture e le pause necessarie per il ristoro e l’allattamento. L’ambiente informale e i legami che si creano permettono di poter condividere tra i partecipanti informazioni e dubbi legati al tema della salute, riuscendo a svolgere un’educazione sanitaria a tutto tondo. Secondo le due walking leader la partecipazione a queste camminate comunitarie sviluppa anche il senso di responsabilità verso i partecipanti, soprattutto nei confronti delle future mamme e dei bambini, ed insegna ad apprezzare percorsi e strade che prima non si conoscevano, scoprendo di poter raggiungere obiettivi inaspettati.
I gruppi sono aperti a tutti coloro che vogliono camminare in compagnia e che, con il corso da walking leader, possano aumentare il numero delle uscite e dei territori coinvolti.
Consuelo è una giovane donna messicana che si è trasferita a Torino 12 anni fa.
Il suo carattere espansivo e solare l’ha senza dubbio aiutata ad inserirsi velocemente nella nostra società e ad imparare l’italiano in tempi record da autodidatta. Il segreto, secondo Consuelo, sta in un mix di umiltà, carisma e una mentalità sempre aperta all’incontro e al confronto con gli altri.
Grazie a queste qualità Consuelo è riuscita a fare negli anni i lavori più svariati, dalla benzinaia all’edicolante, per poi approdare circa 7 anni fa nel bar della famiglia di suo marito Gabriele, il Caffè Torrefazione Roma in Via Borgo Dora 1.
Proprio Gabriele si occupa dell’attività che da sempre contraddistingue questo bar, ovvero la tostatura, la creazione di diverse miscele e la macinazione sul momento del caffè a partire dalle principali varietà che arrivano crude dal Latino America (Arabica) o dall’Africa (Robusta).
Siamo dunque in un bar storico, un bar di caffè e colazioni arrivato ormai alla sua terza generazione di gestione familiare. La nonna 92enne che fa ancora i conti a mente alla cassa si ricorda i tempi d’oro quando c’era la coda per entrare nel loro bar mentre oggi, con le crisi economiche che si sono succedute e la pandemia, l’afflusso di avventori è calato ma rimane una vivace clientela fissa e molto affezionata favorita dai legami di buon vicinato che si sono creati negli anni.
Il sabato però per fortuna i clienti si moltiplicano e l’allegria di Consuelo può dare il meglio di sé. Con il mercato di Porta Palazzo aperto tutto il giorno e il mercato delle pulci del Balon proprio dietro l’angolo, il bar diventa un continuo via vai di gente, spesso anche tanti turisti e rispecchia a pieno l’anima del quartiere come crocevia di persone e culture.
Michela è una giovane psicologa di origini umbre. É arrivata qui a Torino 5 anni fa per frequentare la magistrale in psicologia con un programma approfondito nel campo delle neuroscienze, branca di studi della quale è particolarmente appassionata anche se è ancora poco conosciuto all’interno della psicologia più tradizionale. Dopo la laurea si è interessata all’area adulti e anziani facendo sia il tirocinio professionalizzante che il servizio civile in una RSA. Attualmente si occupa invece di affidi con minori e vorrebbe poter lavorare su progetti finalizzati allo sviluppo di risorse e interazioni fra le due realtà, minori e anziani.
Nel suo tempo libero ama leggere e fare tante escursioni immersa nella natura. Provenendo da un piccolo paese nelle campagne vicino a Perugia infatti, è stato difficile per lei ambientarsi alle dinamiche caotiche della città e al troppo cemento, anche se certamente apprezza la bellezza dei parchi torinesi e la vicinanza della città con le Alpi.
Michela si è avvicinata da poco alla realtà dello Spaccio di Cultura grazie ad un passaparola con alcuni colleghi psicologi e partecipa alla coprogettazione di quartiere attirata dall’idea di potersi mettere in gioco contribuendo a trovare nuovi modi per mettere in moto risorse ed energie comuni.
Monica e il marito Marco si trasferiscono a Feletto ventuno anni fa alla ricerca di una casa spaziosa che potesse diventare un luogo aperto a tutti. La famiglia che Marco e Monica hanno creato si è sempre impegnata attivamente in progettualità sociali, dall’affido diurno all’attivazione dell’oratorio, fino all’attuale accoglienza di un ragazzo proveniente dal Sudan. Per Monica, infatti, vivere attivamente un territorio è possibile solamente attraverso la conoscenza diretta delle persone e la sensibilità a coglierne i bisogni. Per far ciò, Monica ha preso delle decisioni in ambito lavorativo che le permettessero di gestire in modo autonomo il proprio tempo, combinando la presenza in farmacia con la professione di naturopata e, a breve, collaborando come insegnante di scienze.
Le attività svolte nel tempo, individualmente e nell’associazionismo, le hanno permesso di comprendere quanto sia necessario collaborare in un territorio tradizionalmente connotato da rigidità, ma che gradualmente sta imparando a mettersi in discussione e a cogliere le sfumature al suo interno, anche con la recente istituzione del Tavolo senza Confini, una rete sulle tematiche migratorie e la creazione di eventi tra associazioni di diversa natura.
Fabrizio è un cittadino di Avigliana che ha scelto di avvicinarsi al commercio equo e solidale come volontario e da 8 anni è riuscito renderlo il suo lavoro.
Lavorare nel contesto del Ponte gli ha permesso di approfondire le tematiche della solidarietà e dell’attenzione alla tutela a tutto tondo sia con adulti sia con bambine e bambini. Parte del suo lavoro è avvicinare il mondo dei produttori a chi acquista e consuma i prodotti.
Il desiderio che accompagna il commercio equo è che non ci sia più bisogno di negozi specializzati sul tema ma che l’attenzione alla produzione e al corretto trattamento dei lavoratori siano diffusi su tutte le produzioni. Per fare dei passi in questa direzione i bambini coinvolti attraverso le attività nelle scuole sono i primi ambasciatori e un grande arricchimento dal grande numero di produttori locali della Valle.
I piccoli produttori sono ancora i primi a portare avanti buone pratiche e tra i valori aggiunti della filiera corta c’è anche la possibilità di conoscere direttamente i produttori e raccontare insieme a loro quali sono i processi per arrivare ai prodotti finiti che possiamo assaggiare, indossare e ammirare.
Nessun uomo è un’isola, perché ogni uomo è parte dell’intera umanità e al contempo ne è contenitore e lo può sperimentare e scoprire solo dentro di sé e attraverso il dialogo, gli incontri interpersonali. Questo è il senso e l’obiettivo dell’associazione Nessun Uomo è un’Isola, fondata nel 2005, che gestisce il Museo del Carcere Le Nuove di Torino.
Il Museo, nasce negli anni 80, quando il Professor Felice Tagliente, l’attuale direttore, incomincia a lavorare in qualità di psicologo e psicoterapeuta all’interno del carcere. Viene a conoscenza che nell’istituto un cappellano Padre Ruggero Cipolla aveva allestito un museo, per lasciare una testimonianza viva esperienziale alle nuove generazioni, dopo aver vissuto la tragedia della carcerazione senza colpa e l’uccisione di giovani detenuti politici e il dolore delle loro madri. Lo scopo civile, formativo, educativo indicato da Padre Ruggero, ha guidato l’attività dell’associazione, che nel tempo ha condotto centinaia di persone, soprattutto ragazzi delle scuole, a conoscere la realtà e le storie, che sono passate all’interno del carcere.
Il museo è un luogo che parla, che non racconta solo la vita carceraria, ma rappresenta uno spazio di condivisione della memoria, non solo storica, ma anche esistenziale. Ciò che si vive all’interno di queste mura durante una visita, è un’esperienza che prende tutta la persona, a livello fisico, mentale, immaginifico e soprattutto valoriale. Attraverso la ricostruzione e la memoria della vita e della storia delle persone che hanno vissuto il carcere a tutti i livelli, si guarda alla storia del nostro paese, dalla prima guerra mondiale ad oggi, attraverso una diversa angolazione, quella del carcere.
Proprio per stimolare l’elaborazione collettiva di una memoria comune, l’Associazione organizza oltre alle visite e agli incontri con le scuole, convegni e incontri anche a livello internazionale. Un momento importante del lavoro riguarda l’organizzazione dalle cerimonie commemorative, con cui vengono celebrati momenti importanti della nostra storia cercando di attualizzarli: la Giornata della Memoria, il 25 aprile, con la collaborazione di Bruno Segre, il ricordo degli operai che scioperarono nel 1944, degli ebrei imprigionati e poi deportati, i partigiani e le partigiane, le guardie carcerarie che si ribellarono alle atrocità, le donne, i religiosi, i soldati italiani e stranieri detenuti. Persone comuni.
Il gruppo Agesci Torino 14 opera nei quartieri Cenisia e San Paolo, Circoscrizione 3, tra la parrocchia di San Pellegrino (Corso Racconigi) e la parrocchia di Gesù Adolescente (Via Luserna di Rorà), sedi originarie. Nasce e si sviluppa come movimento educativo di natura cattolica legato al movimento Scout, presente su tutto il territorio nazionale. Lo scopo dell’associazione è quello di educare i ragazzi, secondo principi che sviluppino la spiritualità e l’avvicinamento alla fede cristiana. Si propone loro un percorso che abbia una ricaduta sull’aspetto della crescita personale, imparando ad esempio ad assumersi impegni che siano personali o di gruppo, in base all’età.
A Torino sono presenti 23 gruppi ed il 14 è uno di questi, nella Circoscrizione sono presenti altri 3 gruppi. L’Associazione si rivolge ai ragazzi dagli 8 ai 21 anni, suddivisi in tre gruppi (branche):
La parte dell’attività più impegnativa si svolge durante l’estate, con l’organizzazione di campi estivi, per i Branchi prevalentemente in oratorio, per i Reparti all’aperto con l’allestimento di campi, con tende in cui i ragazzi imparano a costruire oggetti, a cucinare e vivere in natura. Per i ragazzi più grandi si organizza la Route estiva, percorsi che permettono camminando, di vivere la strada acquisendo consapevolezza e capacità di vivere insieme la dimensione del viaggio.
Sara e Tiziana, sono due colleghe che lavorano nell’Ufficio Progetti del Gruppo Arco, Cooperativa Sociale che nasce nel 1993, con la fondazione dell'allora omonima Associazione, in risposta al bisogno sociale di prevenzione nell’ambito della tossicodipendenza, avviando alcuni servizi di accoglienza, prima di tipo semi-residenziale e poi residenziale, rivolti a persone in situazione di marginalità e disagio a causa dell’uso di sostanze psicotrope.
Gli anni 2000 sono cruciali per la Cooperativa che deve rimodellarsi sulla scia dei cambiamenti sociali in corso, reinventandosi e diventando una realtà variegata aperta a nuove realtà.
Nascono nuovi servizi quali una casa comunità mamma-bambino in condizioni di disagio, una comunità per minori extra-comunitari non accompagnati, ed il Centro di Accoglienza Diurna per disabili gestito in collaborazione con un'altra cooperativa, che offre numerose attività e laboratori, aventi come filo conduttore il tema dell'ecologia.
Nell’ultimo decennio Gruppo Arco si trova davanti ad una nuova sfida decidendo di affacciarsi al mercato privato tramite l’apertura di nuovi servizi di tipo sanitario ed abitativo. Ne scaturiscono un ostello della gioventù, rivolto a studenti e studentesse maggiorenni con limitate possibilità economiche, un Poliambulatorio sociale che offre cure medico-sanitarie di qualità (odontoiatria, ginecologia, counselling psicologico e altri servizi) a prezzi calmierati e un R.S.A. nel centro della Città di Grugliasco per anziani non autosufficienti.
La sede del Gruppo Arco, sita in via Capriolo 18, ospita anche un social-housing ed una mensa per senza fissa dimora, gestita in collaborazione con diversi attori del no-profit torinese. Una grande famiglia quella del Gruppo Arco, che Tiziana e Sara raccontano con entusiasmo e amore, due persone visionarie che non smettono di immaginare nuovi progetti.
Tra i desideri c’è quello di aprire il grande cortile al quartiere, trasformandolo in un punto di riferimento attraverso l’organizzazione di un segretariato sociale ed offrire servizi alla comunità.
Questo servirebbe per farsi conoscere e lavorare sullo stigma sociale che ancora oggi viene associato alle persone tossicodipendenti e a quelle senza fissa dimora.
Maria Teresa svolge attività per gli abitanti della città di Avigliana da diversi anni ma nel 2018 ha avuto l’occasione di diventare bibliotecaria all’interno della biblioteca “Primo Levi” di Avigliana.
Ha lavorato per anni nelle politiche giovanili e non si è lasciata sfuggire l’opportunità di coltivare la sua passione per i libri e di avviare un percorso di innovazione e apertura della biblioteca ad un pubblico più ampio.
La biblioteca di Avigliana ha infatti una storia molto lunga e ricca di cambiamenti ed evoluzioni che non si sono mai fermate.
L’obiettivo principale che si sta cercando di raggiungere e sviluppare è quello della “Biblioteca diffusa”. Sono sempre di più infatti le iniziative sul territorio di Avigliana che mirano ad avvicinare i libri al pubblico: dalle iniziative nelle scuole al punto prestito allestito in piazza del Popolo, dal servizio a domicilio nei periodi di difficoltà all’attivazione di sempre più servizi che vengano incontro alle necessità di tutte e tutti.
Samira ha 48 anni ed è originaria di Rabat, la capitale del Marocco.
Si è trasferita in Italia nel 2008, lasciando dietro di sé i figli piccoli e il marito, alla ricerca di un futuro migliore per sé e la sua famiglia.
Per i primi anni ha lavorato instancabilmente come badante e collaboratrice domestica, anche nei weekend, per poter ottenere il tanto atteso ricongiungimento familiare avvenuto poi, finalmente nel 2011.
Da allora per 10 anni e mezzo ha svolto le pulizie al Mercato Generale di Grugliasco e, al momento, è in una fase di pausa e transizione a causa di un infortunio al ginocchio per il quale è in attesa di un intervento chirurgico. Nel frattempo cerca, nel quartiere Nizza-Millefonti, una casa in cui trasferirsi insieme alla sua famiglia che sia ai primi piani o in un palazzo dotato di ascensore proprio per evitare di dover fare troppi piani di scale.
Instancabile lavoratrice qual’è non vede l’ora di superare questa situazione. La voglia di tornare come prima è forte ma sa che non potrà più eseguire lavori estremamente faticosi e quindi è attualmente alla ricerca di un’occupazione nel settore della cura delle persone, come badante o babysitter, ambito nel quale ha da poco terminato un corso di formazione intensivo pur avendo già tanta esperienza.
Il suo carattere espansivo ma pacato e i suoi modi premurosi la rendono un’ottima caregiver capace di affezionarsi davvero non solo alle persone, solitamente anziane, di cui si prende cura ma anche alle loro famiglie.
La sua stessa famiglia è, difatti, il centro del suo mondo diviso fra le sue radici in Marocco, la sua vita a Torino e il reso della sua famiglia allargata, con 3 fratelli e tanti nipoti, in Francia. É fiera dei suoi due figli a cui piace studiare e che hanno la testa sulle spalle: la primogenita dopo il primo anno di università in Economia ha deciso di seguire un corso professionalizzante di Assistente alla poltrona per poter essere di supporto in casa in questo momento di difficoltà, mentre il figlio più piccolo frequenta con profitto il secondo anno di liceo.
Nel suo tempo libero ama cucinare, dalle lasagne al cous cous, e occuparsi di piccoli lavori di sartoria, in particolare cucire a mano i vestiti tradizionali marocchini che eseguiva anche su commissione quando viveva in Marocco.
Tutto è nato da un banco di tessuti a Porta Palazzo gestito dal nonno di Fulvio, a cui è subentrato il padre che nel 1959 ha aperto anche l’attuale negozio “Tessuti Arcobaleno” in C.so Regina Margherita 110.
Nel corso degli anni Fulvio dopo gli studi universitari si è affiancato ai genitori nella gestione dell’attività con il suo “fratello peloso” a quattro zampe Zeus.
Ormai solo nel condurre l’attività riceve nel suo negozio clienti che sono anche amici con i quali spesse volte si intrattiene a sorseggiare un caffè.
Fulvio ha visto nel corso di questi ultimi anni un rifiorire attorno a sé diverse attività che hanno reso più vivo il quartiere unitamente ad una riqualificazione ambientale.
Nel suo prossimo futuro vede una graduale riduzione della sua attività col trasferimento del negozio nell’altro locale di dimensioni ridotte rispetto a questo, destinando i locali dell’attuale negozio alla realizzazione di tre loft per l’accoglienza che saranno di supporto all’albergo che sta sorgendo in Borgone di Susa.
Il suo bacino di utenza spazia da giovani che frequentano IED e IAD a clientela più tradizionale che ha necessità di cambiare i tendaggi o sostituire i tessuti che rivestono divani o poltrone. Qui i clienti possono anche trovare quei particolari che difficilmente sono trovabili nei negozi di abbigliamento preconfezionati.
Come altri commercianti della zona, Fulvio ha riscontrato l'attuazione del sottopasso di C.so Regina Margherita che ha isolato un po ' il quartiere, impedendo così una maggiore coesione.
La vita di quartiere e la frequentazione dei locali alcuni dei quali ha contribuito all’arredo, gli permette di acquisire ulteriori conoscenze utili anche all’accrescimento della propria attività lavorativa.
Tessuti arcobaleno è una realtà ben inserita nel territorio che contribuisce, unitamente ad altre iniziative a rendere vivo il quartiere di Porta Palazzo - Aurora, 62 anni di presenza ininterrotta e in continua evoluzione.
Come nella favola di Arthur Schopenhauer dove i ricci devono trovare la giusta distanza senza pungersi, così i ragazzi dell’Associazione il Riccio devono imparare a stare alla giusta distanza per non invadere troppo l’altro ma nello stesso tempo non essere lontani senza entrare in relazione.
L’Associazione il Riccio si occupa di ragazzi con la sindrome di Asperger, una forma di autismo ad alto funzionamento.
In questa “casa” si cerca di coinvolgere i ragazzi sia nelle varie forme di ludicità che in laboratori come quello di falegnameria, riparazione delle canoe, teatro, danza e persino una radio. Non tutto però si ferma qui, infatti i ragazzi soprattutto nel periodo estivo, vengono portati in vacanza, in barca a vela dove il contatto è più vicino ma senza mai dimenticare le giuste distanze.
Il supporto che viene dato dall’associazione alle famiglie è fondamentale per il progressivo sviluppo di ogni singolo senza mai lasciare indietro nessuno.
Si arriva all’associazione molto spesso in giovane età e il percorso, sempre soggettivo, può durare anche diversi anni prima che se ne colgano i frutti. Se ne deduce quindi la delicatezza del lavoro poiché va a impattare direttamente sulla fragilità degli individui e un eventuale fallimento potrebbe andare a pregiudicare l’intero percorso.
Grande rilevanza assume la radio attraverso la quale si può comunicare senza essere direttamente coinvolti e quindi un ulteriore prezioso strumento per il coinvolgimento di questi ragazzi.
In attesa del prossimo “grande evento”, la navigazione in canoa sul Po fino alla foce che coinvolgerà i ragazzi, l’Associazione il Riccio rappresenta un'importante oasi tra Aurora e Porta Palazzo in cui questi ragazzi vengono aiutati nel proprio percorso di vita.
Sara 42 anni di Torino è una volontaria della Rete Italiana di Cultura Popolare e frequenta la coprogettazione di quartiere dello Spaccio di Cultura.
Fin da ragazza ha sempre avuto la passione per i viaggi e le culture straniere e per questo motivo ha frequentato il Liceo Linguistico e all’Università ha studiato sia lingue che lettere moderne con indirizzo letterature comparate.
Oltre all’italiano conosce ben 4 lingue diverse: inglese, francese, tedesco e spagnolo ed è proprio la conoscenza delle lingue che le ha consentito di fare le sue prime esperienze lavorative che ricorda con molto piacere: la traduzione di un libro per bambini dal tedesco all’italiano per una piccola casa editrice torinese e l’insegnamento del francese e dello spagnolo sia alle elementari che alle superiori.
Dopo la laurea per lungo tempo si è occupata di assistenza clienti in un call center, un lavoro che per quanto difficile e stancante le ha insegnato le doti fondamentali del problem solving e dell’essere multitasking, qualche abilità informatica soprattutto di creazione di contenuti e la capacità di essere paziente e di entrare in empatia anche con i clienti più esigenti.
L’attitudine di Sara è curiosa e aperta al mondo, lo studio delle lingue le ha permesso di scoprire il piacere di godersi un libro o un film in lingua originale e di capire i testi delle canzoni ma anche, e soprattutto, di riuscire a comunicare con le persone e ad avere un accesso privilegiato al mondo dell’altro attraverso le parole. Sara non a caso adora viaggiare ed ha girato parecchio tra la Spagna, l’Inghilterra, la Grecia e il Nord Europa ma il suo viaggio più importante lo ha fatto insieme al marito in Etiopia paese dal quale proviene Tilahun, il loro figlio adottivo di 12 anni.
Sara non aveva mai immaginato che un giorno sarebbe diventata mamma tramite l’adozione. É un’esperienza che descrive come un percorso lungo, difficile e complicato ma incredibilmente arricchente ed emozionante e che, senza dubbio, dimostra la sua capacità di non arrendersi mai di fronte alle difficoltà e di raggiungere sempre gli obiettivi che si pone anche in modo non canonico. Resilienza e versatilità sono dunque forse i lati più evidenti della sua personalità.
Come volontaria della Rete Italiana di Cultura Popolare Sara apprezza il valore del concetto di mutuo aiuto. Di recente ci ha dato una grossa mano nella consegna dei regali di Natale all’interno del progetto della Comunità del Dono e si è anche occupata di un laboratorio con i bimbi della scuola primaria su Dante e sull’importanza delle parole.
Mi chiamo Cinzia Dessolis e sono un’insegnante di sostegno del Des Ambrois, nonché ex allieva dello stesso istituto.
Insegno dal 2005 e ho sempre alternato l’insegnamento al lavoro in azienda, come formatrice, prima presso l’Isvor Fiat e poi per il Comitato olimpico Torino 2006 e Londra 2012.
Sono cresciuta in questa valle, dove ancora oggi vivo con la mia famiglia.
I ragazzi di oggi sono decisamente sacrificati, sono quelli che secondo me, hanno subito maggiormente le restrizioni del periodo, anche se mi preoccupa molto il fatto che si siano in qualche modo adeguati a questo periodo e che vivano questa situazione come la normalità.
I bisogni dei ragazzi non sono cambiati.
I ragazzi devono viaggiare, devono fare esperienza non solo in Italia, ma anche all’estero. Hanno bisogno di confrontarsi e di conoscere nuove culture.
Devono avere la possibilità di tornare ad interagire con i propri pari, abolendo le barriere che in questo momento ci vengono imposte
Il territorio ha sempre accolto i nostri ragazzi, sono stati accolti e coinvolti in manifestazioni, eventi sportivi e culturali, anche nel periodo pandemico, con associazioni che lavorano quotidianamente nel territorio e con cui abbiamo instaurato rapporti consolidati
I limiti di questo territorio sono legati alla distanza dalla città e lo dico soprattutto come ex allieva. Anche se oggi il treno ogni ora verso Torino facilita decisamente gli spostamenti, ma molti avvenimenti, penso a spettacoli teatrali sono complicati, se gestiti singolarmente
Il messaggio che vorrei lanciare ai giovani..
Non perdete il vostro entusiasmo, continuate ad avere curiosità e non smettete mai di farvi domande.
La sede di Rivarolo del CPIA 4 (Centri Provinciali Istruzione Adulti) nasce cinque anni fa ed è oggi situata all’interno di Villa Vallero.
L’offerta formativa è molto varia e prevede corsi di alfabetizzazione e per l’ottenimento della terza media, principalmente usufruiti da studenti stranieri che vogliono aumentare la conoscenza della lingua italiana o accedere alla formazione professionale. A ciò si aggiungono corsi di informatica, di lingua inglese, spagnola e francese e di preparazione al test della patente e per il corso da OSS.
Essendo i corsi aperti agli adulti, le difficoltà maggiormente riscontrate sono legate all’organizzazione oraria, a cui si cerca di rispondere organizzando corsi sviluppati su tre fasce giornaliere ma che, per la mancanza di trasporti pubblici, non si sviluppano in orario serale. Viene inoltre data la possibilità di frequentare in minima parte attraverso le lezioni online, strumento fortemente utilizzato con l’inizio della pandemia ma che dovrebbe essere potenziato per rispondere alle esigenze degli studenti.
All’insegnamento si aggiunge anche l’accompagnamento nella stesura del CV, attività che viene svolta in continua collaborazione con gli enti di formazione professionale locali nell’ottica di creare tavoli territoriali per formare una rete che permetta l'integrazione tra istruzione e mondo del lavoro.
Emanuele, nato e vissuto ad Ingria, in Val Soana, si trasferisce per motivi familiari nel 2012 a Rivarolo con le figlie Alessia e Francesca. La scelta della cittadina non è stata casuale, ma dettata dalla necessità di avere a poca distanza i servizi e di poter raggiungere città più grandi in breve tempo. Nonostante ciò, Emanuele rimane legato al paese nativo, in cui vi lavora come impiegato comunale da circa quarant'anni, e in cui vive la madre, un tempo conduttrice di un ristorante.
Prospettando la pensione tra pochi anni, Emanuele vorrebbe dedicarsi maggiormente al golf, sport che pratica con la figlia Francesca, e gestire più liberamente il proprio tempo senza essere vincolato dai ritmi lavorativi. I progetti per il futuro dipenderanno anche dalle scelte delle figlie, la maggiore attualmente impiegata come cameriera e la seconda al quarto anno del liceo linguistico.
INTI, che in lingua quechua significa sole, è anche l’acronimo di Integrazione Nuovi Cittadini Torino Insieme. L’obiettivo dell’associazione è infatti quello di integrare le persone che arrivano nella nostra città, partendo dalla comunità stessa e dalle sue famiglie. Originariamente nata come associazione boliviana, perché al suo arrivo Matteo aveva e sentiva la necessità di far conoscere la sua cultura e le sue radici, per sé e la sua famiglia. Nel 2006 la necessità di aprire ad altre realtà latino americane le ha dato nuova forma.
Oltre alla dimensione culturale INTI cerca di curare e di andare incontro ai bisogni dei suoi associati, sori nel corso del tempo. Particolare attenzione alle esigenze delle famiglie e dei ragazzi, cercando di far conoscere a questi ultimi, se nati in Italia, la loro cultura e tradizioni di origine. L’associazione cerca anche di agevolare l’integrazione nella scuola, spesso difficile anche per i bambini nati in Italia; aiuta i nuovi cittadini con le pratiche burocratiche relativamente a permessi, ricongiungimenti familiari, domande di cittadinanza; li istruisce circa le leggi e gli adempimenti fiscali, i diritti e i doveri. INTI organizza anche corsi di lingua italiana, corsi di informatica di primo livello per la terza età, in collaborazione anche con altre associazioni, come il Gruppo Abele, che mettono a disposizione gli spazi adeguati. Per coinvolgere i ragazzi vengono organizzate gare di ballo di danze popolari latino americane, a cui partecipano spesso anche giovani da altre regioni italiane e altri paesi. La celebrazione di feste commemorative rappresenta un altro momento importante della vita associativa.
Gemma è una doula, una figura professionale che si occupa di sostenere e accompagnare le mamme durante il loro percorso di gravidanza, parto e post-parto, di solito fino al primo anno di vita del bambino o bambina, eventualmente si può occupare anche degli altri figli se ce ne sono.
Il tipo di sostegno che danno alle mamme varia in base ai bisogni, può essere emotivo o pratico, continuativo o saltuario. Si tratta però sempre di restare in ascolto e vicino alla mamma, incoraggiandola nelle scelte che compie e che sente come giuste, è un percorso di impoteramento delle mamme e di sviluppo della fiducia nelle proprie capacità genitoriali.
Si ripone profonda fiducia nel sapere femminile e si sostiene la mamma anche favorendo la creazione di una rete femminile intorno a lei, fatta di familiari, amicizie, una rete già esistente ma a cui si da stimolo e si incentiva la vicinanza, oltre che fornire anche una rete di figure professionali nel campo della neo-natalità e genitorialità che possono essere utili.
In breve quello della doula è un accompagnamento amichevole, una doula è come un’amica amica o sorella, il suo lavoro si basa su l'umiltà e l'ascolto amorevole, attento e attivo, senza giudizio, una persona al servizio della mamma.
Le doule si definiscono come custodi della nascita, che si formano attraverso cerchi di donne, che si ascoltano e si accettano.
Erre Musica è un'associazione che esiste dal 1996, con l’obiettivo di diffondere la musica tra le persone più giovani.
Marisa e Stefania, fanno entrambe parte dell’associazione, Marisa ne è la Presidente e Stefania, oltre a far parte del direttivo è un’ insegnante, laureata al Conservatorio in pianoforte.
Erre Musica organizza corsi musicali nelle scuole primarie e materne, sia corsi con strumenti, spesso mettendoli a disposizione degli studenti e delle studentesse, oppure corsi di coro, che permettono alle persone di avvicinarsi alla musica senza dover necessariamente affrontare la spesa di uno strumento.
I corsi sono sia individuali che collettivi, e si svolgono attraverso attività giocose per avvicinare i bambini, anche di 4-5 anni, alla musica.
Gli strumenti che si possono usare sono i più variegati, dal pianoforte fino al sassofono, la musica spazia dalla contemporanea al jazz.
Organizzano per gli studenti e le studentesse visite guidate nei luoghi più importanti della musica di Torino; al Teatro Regio per esempio, dopo una lezione propedeutica all’ascolto e una visita dietro le quinte, i ragazzi assistono a spettacoli di opera dedicati ai più piccoli.
Organizzano anche spettacoli e rassegne musicali, al conservatorio o alla Tesoriera, con giovani musicisti e musiciste internazionali di musica classica, contemporanea e jazz.
Edoardo ha 18 anni, vive a Susa (TO) e studia all’IISS Des Ambrois di Oulx (TO).
Il lato positivo dell’indirizzo grafica multimediale è il lavoro nelle attività pratiche, che si affianca, purtroppo come dice lui stesso, a quello teorico. Creano materiale audio-visivo, studiano regia in campo cinematografico e grafica del web per siti oppure profili social.
Le sue passioni sono gli sport adrenalinici: che “fanno battere il cuore”. Pugilato, mountain bike, sci e snowboard sono alcuni degli sport che glielo fanno battere! A questi si associano foto e video che produce per passione.
Il territorio offre spazi ed eventi a questi sport, ma la necessità, secondo Edoardo, è di creare momenti di promozione a questi sport che li facciano conoscere anche a chi non li pratica.
Edoardo pensa che la realizzazione di riprese e foto per il Comune di Oulx possa nascere con la giusta idea.
Il suo sogno, come per molti suoi coetanei, è di poter lavorare per di che gli piace: sport e fotografia.
Antonella, insieme al fratello gestisce l’Osteria Antiche Sere, un presidio in San Paolo fin dagli anni ‘90. La cucina è tradizionale piemontese, in un’atmosfera famigliare in cui non manca un’ottima scelta di vini.
Un posto che ricorda le vinerie di una volta, dove gli anziani si ritrovano per giocare a carte tutto il giorno, infatti Antiche Sere ha raccolto l’eredità proprio di uno di questi luoghi, mantenendo la vocazione casalinga.
Un piccolo tesoro è nascosto oltre le sale che accolgono gli ospiti, un bellissimo cortile con il soffitto di vite rossa, un oasi verde nel cuore del borgo.
Micaela è cresciuta nella circoscrizione 3, è una freelance e lavora nell’editoria, campo che ha scelto per il suo amore per i libri, si occupa di copy editing, traduzione, correzione di bozze e di revisione di traduzioni dall’inglese. E’ laureata in lingue e parla inglese, spagnolo, tedesco e francese.
L’educazione è il suo secondo settore lavorativo, soprattutto con bambini delle elementari e delle materne, gestisce doposcuola per bambini e si occupa di babysitting, ha aperto e gestisce un corso di inglese per bambini e si occupa di insegnare italiano agli stranieri.
Grazie alle sue esperienze di volontariato in contesti multiculturali, ha il desiderio di far nascere un progetto per i bambini e adulti che permetta l’incontro e lo scambio attraverso attività ludiche e creative.
L’idea sarebbe quella di far nascere uno spazio di aggregazione per bambini che sia un doposcuola come contenitore di tante altre attività, come laboratori creativi, di esplorazione del territorio, uno spazio multiculturale attraversato e attraversabile anche degli adulti, attraverso la lingua come momento di incontro e di scambio, anche attraverso il racconto, laboratori musicali e fotografici, usando anche il cibo come mezzo per incontrarsi.
Luca è presidente di Tilt Music, associazione culturale che si occupa di musica, nata nel 2018 dopo una lunga collaborazione con Associazione Comala dentro gli spazi della Ex Caserma La Marmora.
Tilt gestisce gli spazi musicali all’interno dell’ex caserma, si occupa dell'organizzazione delle sale prove e dei corsi di musica. Le lezioni possono essere individuali con strumenti come basso, batteria, pianoforte, chitarra, ecc.. o collettive come quelle di percussioni afro, si svolgono anche lezioni di musicoterapia e lezioni per bambini, ma restano aperti a qualsiasi tipo di richiesta.
Oltre alle lezioni di musica che spaziano tra diversi tipi di generi, a seconda della richiesta, come la musica pop, il jazz, fino alla musica classica, Tilt organizza anche rassegne musicali, concerti, eventi e iniziative di promozione sul territorio, cercando di creare un circolo virtuoso tra giovani studenti e studentesse, insegnanti e artisti e artiste, che passano dall’apprendimento all’insegnamento fino ad arrivare all’esibizione. In un circuito di collaborazione che coinvolge le famiglie, le associazioni e le comunità.
Il prossimo progetto in cantiere è l’apertura di un piccolo studio di registrazione con il desiderio per il futuro di far nascere una piccola casa di produzione.
L’azienda agricola Merlo, situata nella frazione di Argentera a Rivarolo Canavese, è nata negli anni ’60 ed è oggi gestita dalle sorelle Tiziana e Cristina. Accanto all’allevamento e alla vendita di carne di razza piemontese, è nato da alcuni anni il punto Bottega Coldiretti in cui trovano spazio differenti prodotti del territorio.
Negli anni il lavoro nell’azienda famigliare è molto cambiato sia con l’implementazione della meccanizzazione sia con l’utilizzo della tecnologia nella gestione della salute degli animali. Nonostante questi miglioramenti, la scelta di dirigere l’azienda agricola ha comportato grossi cambiamenti nella vita di Tiziana, ripagati però quotidianamente dalla risposta positiva dei clienti. Accanto alla tradizionale produzione, viene infatti portata avanti una continua educazione alla vita contadina e ai suoi ritmi anche con la possibilità di visitare gli spazi dell’allevamento e di poter vedere da vicino gli animali da cortile. Per il futuro Tiziana vorrebbe implementare questo percorso educativo attraverso la costituzione di reti con associazioni e rendere più sostenibile l’azienda tramite l’installazione di pannelli fotovoltaici.
Eufemia è un’associazione di promozione sociale, operante in campo nazionale e internazionale, si occupa di sviluppo di competenze, attraverso l'educazione non formale.
Giulia e Roberta, dentro Associazione Eufemia, si occupano di immaginare e gestire i tantissimi progetti che l’associazione porta avanti.
Le aree di sviluppo sono:
Area Digital: si occupa di promozione delle competenze digitali nelle scuole, attraverso la sensibilizzazione ad un uso consapevole dei social network e degli strumenti digitali in generale. Gestisce una scuola di alfabetizzazione digitale per sole donne, con lo scopo di creare una comunità di donne formata, per migliorarne le competenze e la competitività sul mercato del lavoro, oltre a facilitare i processi di inclusione sociale.
Area Food: si occupa di educazione all'alimentazione, di lotta agli sprechi e alla povertà alimentare e promuove la consapevolezza verso la filiera alimentare. Gestisce inoltre progetti di recupero del cibo invenduto nei mercati rionali, in un’ottica partecipativa, le famiglie partecipano attivamente al processo di raccolta e distribuzione, si crea quindi una dimensione comunitaria che dà vita ad altri progetti o momenti di comunità.
Quest’area si occupa anche dell'organizzazione di un laboratorio di cucina sociale, in collaborazione con il dormitorio di via Marsigli, l’obiettivo è permettere alle persone senza fissa dimora di ri-aquisire competenze nella preparazione dei pasti, mangiare sano e riscoprire i sapori e inoltre sviluppare una nuova dimensione relazionale.
Dentro agli spazi della Ex Caserma La Marmora, partirà un progetto di Cibofficina: uno spazio aperto dedicato al cibo, con fornelli pubblici a disposizione per chi volesse cucinare, ma anche per permettere a tutti e tutte di poter fruire di pasto caldo a prezzi calmierati, ci sarà inoltre un servizio di dispensa sociale, in cui verranno stoccate le eccedenze alimentari raccolte dai mercati e dal network di commercianti che aderiranno all’iniziativa.
L’area Food, come tutte le aree, si occupa anche di educazione e attività nelle scuole, con progetti dedicati alla sostenibilità ambientale, all’impatto dei rifiuti alimentari sull’ambiente, alla corretta alimentazione e a come ridurre i rifiuti anche attraverso acquisti più consapevoli.
Area Youth: si occupa di scambi internazionali, progetti di mobilità europea come Il Servizio di volontariato europeo (SVE), progetti di partenariato strategico e dialogo strutturato con i decisori politici (k2, k3) e il progetto Erasmus.
Area Social Arts: si occupa di cogestire il Teatro Marchesa in Barriera di Milano, organizza è gestisce progetti teatrali delle scuole, laboratori teatrali e spettacoli.
Area Serious Games: anche quest’area è dedicata ad attività educative, attraverso giochi e attività esperienziali si cerca di approcciarsi ad argomenti complessi, facendolo attraverso modalità bottom-up, l’apprendimento attraverso le proprie capacità. Lo scopo è la promozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, ad esempio vengono organizzate escape room a tema razzismo, cambiamento climatico e giochi di ruolo sul tema risorse e potere.
Questi giochi prevedono sempre una Call to action finale, una chiamata che incentiva a diventare parte attiva nella società.
Perché gli obiettivi principali di Eufemia sono la promozione di una cittadinanza attiva, la creazione di comunità e il coinvolgimento delle persone per il miglioramento della società.
Nicola e Pietro, con un gruppo di altri genitori, hanno fatto nascere la loro Cooperativa Vale un sogno 2, a partire dall’esperienza di una cooperativa di Verona a cui hanno chiesto di poter replicare il progetto a Torino.
Vale un sogno 2 - si occupa di persone con disabilità intellettiva e sindrome di down, sviluppando con loro un progetto di vita autonoma che abbraccia i tre ambiti della vita di ogni persona: lavoro, casa e tempo libero.
L’inserimento lavorativo viene fatto in collaborazione con aziende del territorio, disponibili a partecipare al progetto attraverso l’inserimento della persona nel proprio staff in azienda oppure appaltando la commessa lavorativa alla cooperativa stessa. In questo caso Vale un sogno 2, ha a disposizione un capannone, nel quale soddisfare la commessa dei clienti e nello stesso luogo, provvedere alla formazione in situazione dei ragazzi e delle ragazze grazie alla creazione di un Hub formativo.
Il progetto di vita autonoma prevede anche la vita in appartamento, dove i ragazzi e le ragazze, gradualmente e accompagnati da educatori e educatrici, imparano a vivere e a gestire una casa, in coabitazione con una o più persone.
La terza fase è un progetto di formazione allo svago, un laboratorio sul tempo libero in cui si impara a divertirsi e ad organizzarsi il proprio tempo facendo attività ludico- formative , come ad esempio andare al museo o a mangiarsi una pizza.
Questo tipo di progettualità prevede un accompagnamento e una formazione gratuita anche per le aziende che decidono di partecipare al progetto ed in questo modo di soddisfare i requisiti della legge 68.
L’obiettivo finale è permettere alle ragazze e ai ragazzi un pieno inserimento in società in autonomia.
La cooperativa prevede inoltre, il supporto di uno psicoterapeuta alle famiglie e ai caregivers, in modo che possano sentirsi aiutati nel difficile compito di insegnare l’autonomia ai propri figli senza farsi sopraffare dalla paura.
Meriem, arriva dal deserto del Marocco nel 2004 a soli 18 anni, inizia a frequentare il suo primo corso di italiano quando nasce suo figlio, inizia poi a collaborare con la scuola come mediatrice culturale.
Inizia a maturare in quel periodo il suo sogno di aiutare le donne straniere, sa che sono sole in un paese nuovo che non conoscono e la lingua è il primo grande scoglio da superare per iniziare qualsiasi processo di integrazione, senza capirsi non si sa come muoversi e si ha sempre bisogno di qualcun altro che ci aiuti, ma Meriem vuole che le donne imparino a cavarsela da sole, che diventino forti e indipendenti.
Grazie alla collaborazione con la Parrocchia San Bernardino, organizzano una festa in Via Dante di Nanni, in occasione della fine del Ramadan e della festa di parrocchia, una grande cena con più di 1000 persone, in questa occasione Meriem riesce a conoscere persone che le daranno una mano nella realizzazione del suo sogno.
Nasce così, La speranza - Al Amal, associazione che insegna italiano a donne straniere, che non solo imparano una lingua, ma fanno anche attività di artigianato insieme, come corsi di cucito o di maglia, insegna l’indipendenza, a ritagliarsi del tempo solo per loro e la possibilità di sognare un futuro per se stesse, diventano una famiglia e si aiutano l’una con l’altra, infatti l’associazione si occupa anche di dare supporto a donne maltrattate con l’aiuto di un’avvocata.
Per continuare ad aiutare le donne nella costruzione di una vita in Italia, Meriem apre una ditta di pulizie con cui poter dar lavoro alle donne della scuola.
Sonia Cosentino è la titolare del “Panificio-Pasticceria Alta Valle Susa” che si trova a Oulx, in Via Riccardo Ghiotti – frazione GAD. L’azienda, diventata di famiglia nel 2006, è stata aperta nel 1980.
Oulx è un “polo molto importante per l’Alta Valle Susa”, come lo definisce Sonia, cittadina di Oulx fin dalla nascita. È molto fornito di servizi sia per i residenti, sia per i cittadini, ma ha ancora molte potenzialità inespresse.
A seguito dell’emergenza sanitaria, molti turisti hanno riscoperto le bellezze della montagna, secondo Sonia.
Le criticità che Sonia riporta riguardano la mancata o scarsa comunicazione. La digitalizzazione, per la fascia di popolazione più anziana, ha portato alcune difficoltà nel semplice pagamento di una bolletta piuttosto che nell’accesso ad alcuni servizi. In questa direzione, le giovani generazioni sono una risorsa inutilizzata.
Ama leggere e andare al cinema, ci sono molte sale nei paesi limitrofi, che offrono le migliori anteprime!
Augusta lavora presso Enoteca Rizzollo, da quando aveva 15 anni, è un negozio storico nato nel 1970, in via Monginevro vicino all’ex Lancia.
Un posto che ha accompagnato il quartiere in tutte le sue trasformazioni, prima popolato dagli operai Lancia, poi attraversato dai “colletti bianchi” come li chiama Augusta per arrivare fino ad oggi, dove i clienti dell’enoteca sono intenditori e alla ricerca del prodotto regionale particolare.
Gianluca, il proprietario, ha raccolto l’eredità dei genitori e non ha cambiato l’anima del locale aperto negli anni ‘70, qui si continua a bere bene abbinando ottimo cibo, grazie all’esperienza della Sommelier Augusta.
Rosanna è entrata in Caritas circa vent’anni fa, appena raggiunta la pensione, ed è oggi una delle volontarie con maggiore esperienza al suo interno. Per individuare le esigenze sul territorio, all’interno dei locali in cui è presente l'ente caritatevole è stato istituito un Centro Ascolto a cui chiunque può accedere il lunedì e il martedì mattina e il mercoledì e il venerdì pomeriggio. I servizi che attualmente vengono offerti sono la distribuzione di vestiario, di alimenti, di farmaci e il sostegno economico per il pagamento di bollette e affitti. A ciò si aggiunge il corso di lingua italiana per persone straniere tenuto dai volontari del Buon Samaritano, un’associazione sorta all’interno di Caritas. Nell’ottica di inserirsi in tutti i contesti in cui si individua un bisogno, i volontari si occupano anche la stesura del CV, collocandosi tra chi cerca e chi offre lavoro, soprattutto nell’ambito dell’assistenza familiare.
Per cercare di coprire la molteplicità dei servizi e soddisfare le richieste, è anche molto intensa la collaborazione con i volontari di altre associazioni sul territorio, in particolar modo durante il periodo pandemico quando la distribuzione dei prodotti di prima necessità avveniva a domicilio. Attualmente la distribuzione di alimenti avviene grazie al sostegno del Banco Alimentare e alla donazione di prodotti da parte di alcuni supermercati locali ma, così come per il vestiario, la Caritas è aperta alla donazione di tempo e denaro da parte di chiunque abbia la possibilità, in modo da poter sviluppare nuovi servizi, come la creazione di un alloggio da utilizzare in situazione di sfratto.
Eva è attualmente insegnante presso il CPIA (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti) di Rivarolo, in cui oltre ad insegnare inglese si occupa soprattutto di integrazione. Il suo percorso lavorativo è molto vario e articolato, ma il fil rouge rimane costantemente la necessità di restare accanto al mondo della letteratura e di non annoiarsi. Dopo l’iniziale gestione di un ristorante a Torino con alcuni soci, in cui venivano proposti eventi e concerti, Eva ha insegnato letteratura ispanoamericana all’università e ha collaborato con Il Circolo dei Lettori e con il Premio Grinzane Cavour, occupandosi dell'accoglienza degli ospiti stranieri.
Nata e cresciuta a Rivara, ha vissuto gli anni universitari a Torino, città di cui sicuramente le manca la varietà degli eventi culturali, del divertimento e la possibilità di instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti. Ammette infatti, quasi divertita, che i tempi per riuscire a prendersi un caffè in Canavese con qualcuno si aggirano attorno all’anno.
Assieme al marito, decide di spostarsi nuovamente nella casa di famiglia, spinta soprattutto dalla necessità di permettere alle figlie di passare più tempo possibile con i nonni materni, in un ambiente pulito e in cui si potesse raggiungere i servizi a piedi. È tuttavia consapevole di molte mancanze nel territorio canavesano, in primis della rete, intesa come conoscenza reciproca delle varie realtà, con conseguente difficoltà a trovare soluzioni comuni in un territorio non più ricco come un tempo. A ciò si aggiunge la scarsità dei trasporti pubblici, penalizzando chi, come molti dei suoi studenti, non possiede un mezzo proprio per potersi spostare.
Forte sostenitrice della mente sana in un corpo sano, ha sempre praticato sport: pallavolo per tanti anni, danza di vari generi, arrampicata, e adesso è approdata alla ginnastica acrobatica aerea, che è diventata un’importante valvola di sfogo. Con il marito e le figlie condivide la forte passione per la camminata in montagna.
Daniele è un insegnante dell'istituto superiore Itis Des Ambrois di Oulx. Secondo Daniele i ragazzi sono molto interessati a fare pratica, a provare e sperimentare gli attrezzi del mestiere. Dopo il periodo difficile che abbiamo vissuto legato al Covid-19, i giovani si sono un po' isolati. Hanno voglia di comunicare, di dimostrare, di mettere in atto. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di incontrarsi, di avere una vita sociale, di momenti di aggregazione. Avere occasioni extra scolastici, hanno bisogno di conoscenza, di comunicazione. Sul territorio mancano i cinema, mancano luoghi legati alla cultura, all'opera artistica. Uno spazio nel quale i giovani si sperimentano come artisti. Daniele è un insegnante ma è anche un musicista e regista di musical. Questa è un'occasione per lui di coinvolgere i ragazzi anche in altri ambiti extra scolastici. E' un batterista, suona in una band tributo ai Queen. Fa concerti e questo gli permette di avere un'altro mondo in cui esprimere le sue passioni. Per Daniele il punto di forza della scuola in cui lavoro è il ventaglio di indirizzi scolastici che possiede, è un fiore all'occhiello della Valle. Daniele invita i ragazzi a "uscire di casa, a documentare ciò che vedono, ciò vogliono essere, il loro punto di vista, quello che solo loro sanno e conoscono"
Giulia e Giulia si sono conosciute durante una lezione in prima liceo scoprendo, oltre al nome comune, di essere entrambe dell’Acquario, essendo nate a distanza di un giorno. Da allora non si sono più separate. Oggi, entrambe studentesse universitarie a Torino, a Lettere Moderne e a Farmacia, portano avanti un progetto nato circa due anni fa e in cui hanno riversato due grandissime passioni: la scrittura e la fotografia.
L’idea è esplosa quasi per caso grazie ad un corso di geografia umana e culturale e oggi si è concretizzata nella collaborazione con la rivista Erodoto 108. Il progetto "Un passo verso di noi" parte dalla necessità di raccontare i luoghi cari, lo sfondo della vita quotidiana, le montagne e il Parco Nazionale del Gran Paradiso. Da una parte è forte l’urgenza di diffondere una maggiore consapevolezza, cercando di incentivare la tutela ambientale. Ma anche di ricordare, soprattutto ai coetanei e alle persone più giovani, che il giorno perso è quello dietro ad uno schermo e non quello passato a camminare in montagna, in cui raggiungere nuovi spazi permette di mettersi in gioco e di arrivare all’inesplorato. "Un passo verso di noi" è proprio questo: il noi è al contempo origine e arrivo, raggiungibile proprio attraverso il cammino.
L’invito che le due ragazze fanno è di non fermarsi al racconto dei luoghi, ma di recarvisi, scoprendo quanto la natura sia mutevole in forma e colore, valorizzando in prima persona i diversi territori. Gli obiettivi per il futuro sono tanti: ampliare lo sguardo, riuscendo a raccogliere in un blog personale i racconti di nuove mete, anche suggeriti da altri appassionati viaggiatori, laurearsi e riuscire a coltivare le passioni, magari trasformandole in un lavoro. Ammettono infatti, un po' divertite "fotografia e scrittura fanno parte di noi, anche se le abbandonassimo, in qualche modo ci riacchiapperebbero, sono un po' come le calamite della nostra vita".
Daniele ha solo 26 anni, eppure è già riuscito a far cambiare direzione alla propria vita, più volte.Cresciuto in un ambiente famigliare improntato all'impresa e alle istanze dell'integrazione sociale, ha assecondato con gli studi la propria inclinazione verso il bello, dedicandosi al design.Ma la giovane età e una contingenza particolarmente poco felice, quella che ha fatto coincidere la fine degli studi e quindi il presunto ingresso nel mondo del lavoro con la pandemia che ha bloccato il mondo e l'Italia, lo hanno costretto a fermarsi e a ripensarsi. Proprio il lockdown ha fornito l'occasione di rivedere gli arredi di casa, e da lì è scoccata una scintilla: l'amore per il restauro dei mobili, specie di modernariato, che oggi sta diventando un vero lavoro, accompagnato da un talento autentico. Che non è l'unico, perchè Daniele, oltre a essere stato atleta a buoni livelli nel nuoto e soprattutto nella pallanuoto, ama (e sa) anche scrivere: si occupa di comunicazione sul web, e nel cassetto ha almeno cinque libri già completati, lo stesso cassetto che, in alcuni dei mobili che restaura a nuova vita, gli regala ogni tanto qualche sorprendente pezzo di vita dei vecchi possessori dell'arredo, e che a sua volta può divenire lo spunto per un racconto da scrivere...
Antonio, sposato con Francesca da mezzo secolo, rappresenta la metà della mela più incline al sorriso e al buonumore. Ma anche alla fatica: emigrato dalla Puglia quando era un bambino insieme al resto della famiglia, ha dovuto lavorare duro per mantenere innanzitutto la primogenita e poi le due gemelle, arrivate un po' all'improvviso, quando la già impegnativa attività di operaio in fabbrica non bastava più.Ma per fortuna sua e della famiglia, Antonio è quel genere di uomo che sa fare un po' di tutto con le proprie mani: imbiancare, aggiustare muri e tubi, un autentico factotum. E anche un nonno felice e realizzato, che oggi può permettersi di dedicare molto del suo tempo ai nipotini, o a qualche ora in compagnia al centro d'incontro, o a dare una mano in casa ai suoi generi, mitigando in questo modo il rammarico per il tempo che passa e svuota le stanze dalla presenza dei figli.
Madre di 3 figlie, nonna di 5 nipoti, sorella di 7 fratelli: la famiglia è l'elemento che condiziona e modella l'intera vita di Francesca, con le sue gioie e i suoi dolori, con forti legami e con rapporti che il tempo cambia o cancella. Pensando a questi ultimi, Francesca si emoziona spesso mentre ne parla.Così come mentre racconta delle sue esperienze come parrucchiera e come sarta, la lacrima è piuttosto facile a scendere. Eppure, Francesca lo ripete spesso, il suo carattere è forte, rigido, battagliero: ha portato avanti le proprie ragioni, per esempio per poter entrare nella casa in cui vive ormai da molti anni, con grande costanza; ed è molto attiva nella cura dello stabile e del circondario, una cura che riguarda tanto il luogo inteso come spazio fisico, quanto quello della piccola comunità che lo abita. Uno spazio per il quale vorrebbe vedere più attenzione da parte di tutti, residenti e pubblica amministrazione, con cura delle superfici, dell'illuminazione, della raccolta rifiuti.
Lasciare casa non si fa mai a cuor leggero, ancor meno semplice è se si è molto giovani. E quando Adnan ha salutato la mamma e i fratelli, partendo dal Pakistan diretto verso una vita che sperava migliore, non era ancora maggiorenne.Dopo soli 6 anni, però, di cui una parte trascorsa all'interno di un centro di accoglienza sito in via Foligno n. 14, Adnan ha ottenuto il permesso di soggiornare in Italia, ha appreso alla perfezione una lingua, ha imparato più mestieri (per esempio, è un fornaio provetto), è diventato mediatore culturale, ha fondato un'associazione che si propone di sostenere e aiutare i connazionali in Piemonte, collabora con altri enti che si occupano di cultura, e ha aperto una ditta con cui già riesce a dare lavoro ad altre persone. Ha insomma completato un percorso d'integrazione da manuale, e si sente ormai completamente italiano. Per esserlo, gli manca solo una cosa, non da poco: la cittadinanza.Sa di essere cresciuto in fretta, di aver perso molto della sua giovinezza e di rappresentare il principale sostegno per la famiglia; ma ha trovato passioni, come la politica, e amici veri, in questa sua seconda vita.
Elen trascorre la prima metà della sua vita in una piccola realtà del Canavese, prima di approdare alla grande città per completare i suoi studi alla facoltà di architettura. Qui trova molti progetti su cui mettere a disposizione le proprie capacità: sull'area di Porta Palazzo e Borgo Dora, poi al Comitato “Parco Dora” dove lavora sulla trasformazione di una grande area urbana in spazi verdi, e in altre realtà simili.E il “verde” è il colore della sua vita: ama le piante, nel suo appartamento torinese cerca di circondarsene, e nel fine settimana scappa verso la sua casa natìa dove si dedica alla coltivazione dell'orto, che le regala frutta, verdura e soddisfazione.Da un paio d'anni è stata scelta per lavorare sul progetto beeozanam, l'hub di quartiere di via Foligno 14, dove è molto felice di aver trovato orti e prato sul tetto: cerca di trascorrerci, lavoro permettendo, più tempo possibile.
Bruna, nata e cresciuta tra gli odori della falegnameria del padre, oggi gestisce assieme al fratello Pierfranco e la sorella Angela il Mobilificio Bertinatti, attivo sul territorio rivarolese da circa cinquant’anni. Alla storica attività si è aggiunto un caratteristico punto vendita di oggettistica presso l’Angolo del Country. Dal padre, Bruna ha imparato la professionalità e l’attenzione al cliente, tanto da non definirsi solo venditrice, ma anche un po’ psicologa e consigliera. “La casa è personale” afferma “se uno si rivolge a qualcuno che fa tutto, quando entra in casa non se la sente sua”.
La scarsa pulizia delle strade, la struttura dei viali e la difficoltà di coinvolgere alcune zone commerciali all’interno degli eventi organizzati, sono alcuni degli elementi che Bruna e altri negozianti stanno portando all’attenzione dell’amministrazione comunale. “Rivarolo è cambiata, in peggio purtroppo, se prima era una perla del Canavese, adesso ha perso qualche colpo” ammette, “bisognerebbe cercare di renderla bella e pulita e i negozi sfitti al centro non ne fanno una bella vetrina”.
Il tempo libero è dedicato alle passeggiate nelle valli montane che, secondo Bruna, dovrebbero sfruttare il flusso di turisti e creare una sinergia con i comuni più a valle, ricostruendo l’identità commerciale di Rivarolo.
Andrea è il giovanissimo proprietario di un negozio di alimentari di famiglia.
L'attività è stata acquistata dalla mamma di Andrea e viene portata avanti dal padre, dalla sorella e da Andrea stesso.
Vendono all'ingrosso e al dettaglio.
Secondo Andrea, Oulx è pieno di attrattive e possibilità se sei bambino ma quando cresci... le possibilità scarseggiano, mancano locali che stanno aperti fino a tardi, eventi culturali e sociali.
Le difficoltà che incontra sul lavoro riguardano il paragone con il grandi supermercati soprattutto a livello economico, in altri periodi dell'anno (quelli meno turistici) ci sono pochi clienti perché c'è poca gente che vive e acquista ad Oulx
Quello di Andrea è un negozio di prossimità, è un impegno di tempo e risorse. E' necessario fare tanti sacrifici. E' una sfida.
Qui c'è un rapporto umano fra cliente e venditore, c'è uno scambio, una conoscenza reciproca. Non è solo vendere, diventa relazione.
Anna Paola è una Operatrice Socio-Sanitaria da 21 anni per scelta! Da 11 anni lavora per la Cooperativa P.G. Frassati scs onlus, presso la Residenza Anziani autosufficienti di Salbertrand. Nel 2019, il Galambra, così si chiama la Residenza, apre le porte alla Comunità locale. Con un progetto pilota "Gomitoloso", viene invitata la popolazione a trascorrere del tempo con gli ospiti. Questo è stato il trampolino di lancio per una serie di iniziative che hanno visto gli anziani come protagonisti. Purtroppo l'emergenza sanitaria ha interrotto gli incontri in struttura, ma questo non ha fermato la macchina che era stata messa in azione: dentro e fuori si continuava a "sferruzzare", chi leggeva il libro e chi colorava. Oggi le signore di Salbertrand e le ospiti della struttura si incontrano in un locale messo a disposizione dal Comune di Salbertrand. In queste occasioni creano piccoli oggetti, confezionano bomboniere o piccoli lavori di sartoria, a titolo completamente gratuito. Questo, ci spiega Anna Paola, è un servizio aperto a tutti che porta benefici, in primis, alle signore che se ne occupano. Un altro progetto portato avanti durante l'emergenza sanitaria è stata la messa in piedi di una mostra fotografica a tema: cartoni animati. Anche per questo progetto è stato chiesto l'aiuto delle signore del territorio che hanno risposto in maniera positiva e partecipativa, realizzando gli abiti a tema. E perché no, dopo il primo tentativo, venuto bene, non si sono fermati e hanno realizzato una mostra fotografica a tema: quadri d'autore. Gli occhi di Anna Paola brillano quando racconta del suo lavoro. I benefici si possono vedere sia sulla popolazione partecipativa sia sulle ospiti della residenza.
Cascina Torrione è un'azienda agricola situata in Frazione Argentera, nel comune di Rivarolo Canavese. Lo spazio, inizialmente acquistato dal nonno Matteo negli anni '60, è stato gradualmente trasformato dai nipoti Matteo, Maria e Manuele attraverso un attento recupero dei saperi dell'autoproduzione uniti ai mezzi moderni.
Accanto alla produzione di orticole e cereali, in parte utilizzate nell'allevamento biologico di polli e galline ovaiole, è nato un agriasilo e una fattoria didattica, gestiti con l'obiettivo di permettere un'esperienza concreta e diretta del mondo rurale e della stagionalità ai bambini dai 6 mesi agli 11 anni.
Dall'estate 2020, Cascina Torrione è anche un agriturismo, in cui i prodotti a km 0 vengono trasformati e consumati in uno spazio aperto allo scambio di suggerimenti e pratiche, dove dentro e fuori non sono più elementi scindibili, ma diventano un tutt'uno con il paesaggio circostante.
Lo sguardo al futuro è sicuramente volto al rafforzamento delle collaborazioni con le aziende agricole sul territorio, nell'ottica di offrire prodotti vari e di qualità e di incentivare una trasformazione culturale basata sull'alimentazione sana e la produzione rispettosa dei cicli naturali e della biodiversità.
Maria Teresa, Teresa, Terri... Ognuno la chiama in modo diverso. Fra poco più di un mese compie 77 anni e ha l'energia di una ragazzina. Nata, cresciuta e vissuta a Torino fino al 2001. Ha frequentato l'alta valle di Susa perché suo marito amava molto la montagna e a lei, all'inizio nemmeno piaceva. Week end dopo week end ha conosciuto la valle e ha imparato a vederne la bellezza. Hanno affittato per anni piccoli appartamenti aspettando di costruirsi una bella casa tutta loro, andare in pensione e trasferirsi in montagna per sempre. Trovano un terreno dove non c'è niente se non montagna, prato e qualche vicino più in là e iniziano a costruire la loro casa. E' a Salbertrand. Il marito di Teresa va in pensione nel 2001, la casa è quasi finita, dopo 6 mesi va in pensione anche Teresa. Purtroppo la vita crudele si mette in mezzo e il marito di Teresa viene a mancare. Lei si ritrova così a dover scegliere: stare a Torino (dove c'è suo figlio e una vita avviata e costruita) o trasferirsi e realizzare quello che era un sogno comune ma che dovrà diventare solo suo? Teresa è coraggiosa. Tantissimo. Diventa un abitante della valle, una cittadina di Salbertrand. Parte dall'inizio, va in giro, saluta le persone, si offre di fare un orlo alla gonna di una signora. Ama cucire, ricamare, tessere. Pian piano le persone vanno da lei chiedendo aiuto in queste piccole cose. Diventa una risorsa. Una parte preziosa della comunità. Molti anni fa si reca alla Residenza per Anziani autosufficienti per portare delle cose di stoffa cucite da lei e intrattenere un po' gli ospiti. Ma, per fortuna, le operatrice della struttura, capiscono subito che hanno a che fare con una donna di grande valore. Si immaginano un laboratorio integrato fra persone del territorio e anziani della struttura usando il cucito come strumento di socializzazione. Il laboratorio si struttura sempre di più. Diventa un progetto strutturato. Grazie alla collaborazione con gli Oss di borgata della cooperativa P.G. Frassati, il progetto ottiene uno spazio nella via principale del paese, con vetrina. E' occasione di socializzazione e scambio, è creatività, un modo per stare insieme, partecipano giovani, anziani, residenti della struttura, i bambini delle scuole. Si crea comunità.
Marco è nato a Torino ma la famiglia se ne è andata subito quando era molto piccolo, si è trasferito in Toscana per rimanerci fino al 2015.
Dopo una gita in alta valle di Susa ha visto un luogo, Signols, e se ne è innamorato.
Passati sei mesi era pronto a trasferirsi con la sua famiglia e ad aprire una realtà come l'asd Alvorada, un maneggio immerso nella natura.
Prima nell'esercito, poi guardia parco, e poi la vita accanto ai cavalli, nella natura.
Ama la valle. Nonostante tantissime difficoltà.
La mancanza di un squadra, di un gruppo di lavoro, la difficoltà di fare rete, di mettere in comune competenze e saperi, l'invidia che nota spesso negli altri, l'egocentrismo con cui, ognuno, si appresta a curare solo i propri interessi, l'incapacità di proporsi come territorio unico e complesso, di comunicare all'esterno, di ampliare il proprio operato e i propri orizzonti.
Nonostante tutto, Marco ama la valle. Ama i cavalli, la natura e tutto quello che può nascere grazie a passione e dedizione.
Queste i due aggettivi che lo descrivono al meglio.
Cura i cavalli, si occupa del maneggio, scrive libri che raccontano il viaggiare lento (a piedi, in bicicletta o a cavallo), identifica i sentieri, condivide le informazioni.
Marco ci crede, crede che questo territorio possa essere valorizzato, che si possa fare di più. "Volere è potere!".
Cristina si ritiene abitante della Valle, perché ci è nata, perché ci ha lavorato come operatrice socio sanitaria, per il volontariato che svolge da molti anni.
Ma soprattutto è un'abitante della valle per passione.
Conosce bene il territorio anche grazie alla sua grande passione che è la montagna.
E' soccorritrice del soccorso alpino.
Secondo Cristina i bisogni del territorio sono legati all'assistenza sanitaria domiciliare (per quel che riguarda le persone anziane e alle persone con disabilità), alla badanza, alla ricerca costante di posti letto in strutture.
Cristina si è trasferita ad Oulx per amore di quello che poi è diventato suo marito e per lavoro, la ricerca di O.S.S. in alta valle è sempre molto alta.
E' una persona molto attiva, molto partecipe di ciò che accade a livello comunale e territoriale.
Ha fatto parte di una commissione (indetta dal comune) come esperta socio sanitaria, lo scopo di tale commissione è formare e informare sui temi riguardanti salute, medicina, assistenza attraverso serate ad hoc, carte dei servizi e proposte attive e concrete.
Un'altra esigenza del territorio secondo Cristina è uno spazio aggregativo e organizzato per i ragazzi, un punto di ritrovo al chiuso e una "gestione non gestione" quindi qualcosa di libero, aperto e lasciato anche in mano agli stessi ragazzi ma anche condotto, sicuro e organizzato.
La passione principale di Cristina sono la natura, l'aria aperta, la montagna. Con il soccorso alpino porta avanti molti progetti all'interno delle scuole medie e delle scuole superiori, la formazione che offrono si muove su tutta la valle. Lo scopo è far conoscere i pericoli della montagna ma anche perché potrebbe essere un'attività futura per i ragazzi stessi.
Altra attività che conduce con il soccorso alpino è l'assistenza ai migranti che arrivano sul territorio italiano.
Cristina è molto partecipe e pronta a mettere in condivisione le sue passioni e le sue competenze.
Marco è il proprietario di "Abbà S.A.S.", un negozio che nasce nel 1964 grazie al padre e che Marco, con tempo e passione trasforma.
Il negozio resta una ferramenta storica di Oulx ma pian piano si allarga diventando un negozio sportivo di acquisto e noleggio e fornendo un servizio di grafica a fresa dura e laser e con plotter da taglio.
E' uno sportivo, amante della natura e della Valle, ritiene che una delle difficoltà di questo territorio sia il non sapersi proporsi e raccontarsi all'esterno in modo integrato. Manca un'idea di valle unica.
E' un padre e ama vivere in un paese dove le persone si conoscono da sempre, dove ci si aiuta quando se ne ha necessità e si sanno ricambiare i favori. La città gli starebbe stretta, la vita di paese invece gli piace e lo gratifica.
Anche per quanto riguarda lo sport giovanile, Marco dice che c'è molta attenzione al professionismo ma sarebbe bello che anche sport non professionistici o meno "famosi" di altri, avessero attenzione e godessero di una rete che li supporta e che aiuta i giovani ad appassionarsi.
Lei è Nikita, ha 25 anni, lavora come educatrice presso la Cooperativa Pier Giorgio Frassati, si occupa di accoglienza e integrazione.
Nikita lavora in una comunità di accoglienza per minori stranieri non accompagnati a Salbertrand.
Ama creare decorazioni con i palloncini, si occupa di baloon art.
Ha vissuto fino a poco tempo fa a San Giorio ora si è trasferita ma continua a lavorare in Valle di Susa.
Nikita ci racconta la difficoltà di immaginare e creare momenti di condivisione e socializzazione per i ragazzi minori con i quali lavora.
In valle, secondo Nikita, manca una proposta aggregativa per i giovani e un'educazione politica e civica.
Monia ha 43 anni e viene dalla Tunisia, è arrivata in Italia all'età di diciannove anni ed è qui che ha messo l'altra metà delle sue radici. In Italia si è sempre trovata molto bene, soprattutto con le persone, aiutata anche dalla sua capacità di adattamento e dal suo carattere deciso ed espansivo. Dopo aver imparato la sua terza lingua, l'italiano, e aver conseguito il diploma di terza media, si è messa in gioco frequentando dei corsi di sartoria (nonostante avesse già conseguito un diploma di sartoria in Tunisia) e di assistenza agli anziani, tutt'oggi ambito in cui cerca occupazione. Oltre al lavoro di sarta all’ingrosso e di badante ha anche svolto un periodo di servizio come collaboratrice scolastica. Madre di quattro figli e cuoca sopraffina, prepara intere cene e piatti della cucina tradizionale tunisina a richiesta, per famiglie e amici. La cucina è il suo grande amore, la pasticceria in particolare. Il suo desiderio è quello di trovare un'occupazione che le permetta di andare avanti e di dare il meglio ai suoi figli, di cui due nella sua stessa situazione: impegnati nella difficile ricerca di un lavoro. Non perde mai la speranza e, citandola, è una guerriera che difficilmente abbandona la sua arma.
Federica nasce fra le montagne cuneesi, e là insegna italiano e letteratura per tanti anni, finchè l'incontro con l'europarlamentare Rinaldo Bontempi le dà l'occasione di entrare in contatto con la Conservatoria delle Cucine Mediterranee: di questa associazione, diverso tempo, diventerà la presidentessa, ruolo che riveste tutt'ora.
Con la conservatoria realizza vari progetti legati al tema della sostenibilità, della stagionalità di frutta e verdura, della valorizzazione dei piccoli produttori agricoli, sempre con un occhio particolare ai suoi amati monti. Ama la cucina, e ama – tantissimo – Porta Palazzo: si è impegnata perchè l'immagine del grande mercato si liberasse delle negatività, e sogna di vedere quel luogo attivo e frequentato anche la sera.
Vive sul lungodora, immersa in un melting pot culturale che le piace, e spera che anche quel tratto si possa animare, ma senza stravolgersi e perdere la propria anima popolare.
Younis Tawfik, molti anni fa in visita a Parigi, vide un luogo che era incontro fra culture, e sognò di realizzarne uno nella sua città adottiva, Torino; il sogno si è realizzato. Il centro culturale “Dar al Hikma” ha superato i 35 anni di vita: nacque da studenti italiani e arabi di Torino, gli italiani curiosi della cultura araba, gli arabi desiderosi di integrarla con quella italiana.
Il dottor Tawifk, che tutt'ora ne è il presidente, insieme all'architetto Volterranni individuò nel 1999 l'edificio delle ex docce pubbliche, abbandonato da tempo; il progetto di recupero piacque all'amministrazione cittadina e alla Circoscrizione, e oggi è un autentico gioiello che brilla in un angolo di città che ne aveva particolarmente bisogno.
Da 20 anni ormai il centro culturale ospita l'hammam (bagno turco), che accoglie sia donne che uomini; un ristorante, che serve cucina araba a pranzo e a cena; un bar; una sala conferenze; una biblioteca; una saletta corsi dove viene insegnato l'italiano ad arabi (specie donne) e viceversa. E' un punto di riferimento culturale non solo per il territorio, ma per tutta la regione Piemonte.
Oggi, Younis non si ferma mai: quando non accoglie i tanti visitatori del centro culturale, scrive libri, studia, progetta...
Vanessa è una giovane gambatesana, amante della moda, dell’arte e del suo territorio. Dopo gli studi al liceo artistico, si forma nell’ambito della moda e del disegno. Per Vanessa la moda è una forma d’arte, arte che trae ispirazione dal borgo di Gambatesa,dalle sue tradizioni e dal suo castello con i magnifici affreschi a cui ha dedicato una collezione. Il forte legame con le sue radici l’ha spinta a rimanere nel piccolo paese dell’area interna del Fortore, dove spera di riprendere in mano ago e filo ed organizzare piccole sfilate, nonostante le difficoltà e l’assenza di un sistema di supporto. Dopo il blocco imposto dal covid, Vanessa si è dovuta infatti dedicare ad un altro lavoro, ma non smette di sognare di fare abiti in un posto tanto lontano dai fermenti dei grandi centri della moda internazionale: la tranquillità dei paesaggi immutati, i rumori della natura e la bellezza delle piccole cose sono ciò che Vanessa, sognatrice dai pensieri concreti, apprezza e ama.
Daniele è il giovane nipote di Emilia, la proprietaria del “Bar del Balon - I due scalini”.
Ha 22 anni, è nato e cresciuto dietro il bancone del bar della sua famiglia, dove a soli 6 anni ha imparato a fare il caffè e a stare con la gente.
Oggi Daniele vive accanto al locale che in qualche modo gli ha dato vita, insegnandogli l’arte delle relazioni umane, dell’ascoltare il cliente che entra e quasi mai chiede solo un caffè.
Vive e lavora nel borgo, da sempre e per sempre si immagina di poterne fare parte.
Vive e vede i cambiamenti che stanno attraversando i ciottoli di via Borgo Dora, desiderando che quelle stesse persone per cui nutre rispetto e affetto possano ritrovare l’armonia di un tempo, quando era possibile guardarsi in faccia e insieme decidere le sorti del “piccolo paese nella città”, così ci descrive il posto in cui è nato e vissuto.
I locali aprono, alcune, forse troppe attività artigiane chiudono, ma è tutta “questione di equilibri e dialogo” ci dice Daniele. Trovare spazi e tempi in cui il vecchio e il nuovo coabitino, si stringano la mano, tracciando le linee di un futuro che non può esimersi dall’ innovazione sostenibile.
Daniele è anche un cuoco, la cucina casalinga è la sua passione. Gli piace imparare le ricette della nonna e offrirle a quelle persone con le quali ricerca una relazione che accorci le distanze, non solo per quanto riguarda gli alimenti posati nei piatti. Studia le polpette della sua nonna, “le faccio quasi uguali, ma mi manca sempre qualcosa”, e questo lo rende unico, l’anima protesa al miglioramento continuo, senza mai voler abbandonare il passato, le sue tradizioni, i ricordi che danno alla vita il sapore intenso dell’aver vissuto con fierezza ed impegno, passione e dedizione, senza mai pensare di dover mettere un punto di fine ad una bella storia.
Daniele rappresenta un po’ lo specchio del Balon: è giovane, creativo, appassionato, aperto al futuro, ma sempre con uno sguardo nostalgico e affettuoso rivolto al passato, che è anche suo.
Emilia è una figura storica del Borgo.
Tutti la conoscono e la rispettano. E conoscono il Bar del Balon- I due scalini: il doppio nome viene dal luogo dell’appuntamento in cui si trovavano nei primi anni di attività le persone e i commercianti che frequentavano il borgo.
Emilia arriva a Torino a dieci anni dalla Calabria, con la sua famiglia. Il suo sogno è sempre stato quello di aprire un bar, decide così di aprirne uno negli anni ‘80 proprio al centro di via Borgo Dora.
Il Bar del Balon diventa la sua passione e la sua vita, là crescono i suoi figli e i suoi nipoti, che alternativamente la affiancano nel lavoro. Emilia si fa aiutare infatti dalla sua famiglia, anche dal marito quando smette di lavorare in fabbrica. Si fa aiutare, ma è sempre lei a gestire l’attività, e non solo, anche la famiglia. Affettuosamente e con un pizzico di ammirazione suo marito ci racconta che Emilia non si ferma spaventa di fronte a nessuno, pur di presidiare i suoi scalini.
Emilia è una donna forte, ma anche molto accogliente, ama moltissimo il suo lavoro, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto umano e relazionale: “ Il cliente non è un cassetto”- afferma- “è prima di tutto una persona. Peccato che alcuni colleghi ultimamente non lo tengano presente.”
Emilia conosce il borgo e i suoi abitanti uno per uno, ne ha conosciuto vicende e trasformazioni, lamenta gli ultimi cambiamenti che in qualche modo teme ne stiano snaturando l’anima di “antico mercatino delle pulci”, dove tutti si vogliono bene, discutono, ma si rispettano, si vengono in soccorso reciproco, si sostengono. Per lei “un paese dentro la città”, i cui abitanti auspica vengano ascoltati e coinvolti in eventuali trasformazioni che si decida di mettere in atto.
Il suo augurio per sé e per i suoi cari è quello di continuare in salute a vivere e lavorare nel borgo, così come da sempre fa, perchè nel borgo ha investito tutta se stessa.
Cinzia è una vera e propria artigiana, ha 50 anni, ha iniziato fin da bambina, girando l’Italia con il suo babbo tra orafi e gioiellieri. Respira così l’aria delle botteghe anche quando i bisogni di una ragazzina l’avrebbero portata a passeggiare e ritrovarsi con i suoi coetanei.
Cinzia cresce e con lei cresce la passione per i gioielli.
La sua creatività la porta a costruire bijoux recuperando e riciclando materiali come la carta, le pagine dei libri che lei stessa ritaglia a mano per creare bracciali e collane.
Da qualche anno decide di trasferirsi al balon dove oggi vive e lavora, nel suo negozio di oggetti vintage, molti dei quali di sua creazione.
Cinzia ci parla del borgo, definendolo come un piccolo “paese nella città”. Ci racconta di questo luogo magico e accogliente, dove le persone, gli abitanti e i commercianti si percepiscono come una grande famiglia. “Ci si aiuta al balon”, dice Cinzia, “ci si ritrova la mattina per iniziare la giornata di lavoro insieme. Si fa pranzo insieme con i colleghi e ci si conosce tutti.”
Il borgo sta cambiando, nuovi locali stanno aprendo, altri hanno abbassato la loro saracinesca, ma Cinzia è ottimista, ama i giovani e pensa che il borgo possa beneficiare dei ragazzi che lo attraversano e che da lei vanno, per cercare un foulard o un piccolo ninnolo vintage. Crede profondamente nell’inclusione e nella possibilità di trovare tempi e spazi in cui il “nuovo” e il “vecchio” possano coesistere, diventando l‘uno una risorsa per l'altro.
Cinzia ha due figli, uno di 22 anni e una di 7: ci parla di un borgo sicuro, capace di rispondere ai diversi bisogni dei suoi abitanti, capace di offrire spazi di crescita adeguati alle diverse stagioni della vita. “Mia figlia va a scuola al Cottolengo e si trova benissimo. Mio figlio fa volontariato al Sermig e impara cose che diversamente non avrebbe modo di scoprire. Non avrei portato i miei figli a vivere qui se non avessi pensato che il borgo fosse un luogo sicuro”.
Si emoziona Cinzia mentre ci parla dell’anima di un piccolo mondo antico che rinnovandosi non ha smesso di emanare qualcosa di magico, di cui può godere chiunque, anche solo attraversandolo.
Ivano da sempre vive e lavora nel Borgo Dora, che lo ha visto venire al mondo. Per tantissimi anni ha gestito attività di vendita e restauro mobili antichi. Ivano conosce bene la storia del suo borgo e ci racconta di due grandi trasformazioni: il progetto “The Gate” dei primi anni 2000 e quello che lui definisce “il tentativo di gentrificazione” degli ultimi anni. Quando parla di The Gate gli brillano gli occhi, perché era stata coinvolta coinvolta la popolazione, sia dei residenti che delle attività del borgo: la valenza del progetto era quella di dare voce all’intera comunità che faceva parte di un processo decisionale attivato dal basso. The Gate si proponeva di trasformare il borgo per rinnovarlo, migliorando la qualità della vita di chi lo abitava o lo viveva e di chiunque volesse frequentarlo. Quello che invece Ivano lamenta degli ultimi progetti di riqualificazione è che mancano di ascoltare e coinvolgere esigenze e opinioni di coloro che ne fanno realmente parte. Il grande timore di Ivano è che attualmente prevalgano interessi speculativi e strumentalizzazioni politiche a discapito del benessere e del rinnovamento del borgo. “Il balon lo vivi dentro!”- ci dice Ivano. E ancora: “Un tempo era un porto di mare, nel quale approdavano persone e saperi diversi, ma dalla diversità nasceva il confronto e la voglia di fare tutti del proprio meglio”. Oggi sembrerebbe quasi che ognuno segua il proprio pensiero, per sostenere il proprio interesse, anche se Ivano ci crede ancora, auspicando nuovi confini da attraversare, per riuscire ancora a parlare una lingua comprensibile a tutti. Ivano è attualmente presidente di uno dei comitati cittadini attivi nel borgo, continua la sua opera di coinvolgimento e mobilitazione di chi vive il quartiere. Lui si definisce “un perdente di successo” quando non si stanca di scrivere e sottoscrivere la sua verità sul borgo, augurandosi sempre che qualcuno, alla fine, oltre a dargli ragione, lo ascolti pigiando il bottone giusto.
Claudio è il suo nome, ma tutti lo conoscono come Jajo.
E’ un signore di 66 anni anni nato per chiacchierare con le persone, tutte, ma proprio tutte. Elettrotecnico impiantista, cresce come artigiano, costruiva piccoli oggetti in pelle e scopre all’età di 20 anni di amare non solo la storia delle persone, ma anche le cose che hanno posseduto e che possono raccontarne la vita.
Diventa così un rigattiere doc e inizia la sua professione di recupero oggetti per i quali nutre un profondo rispetto. Ci racconta che quando entra in una casa, si guarda intorno, perché gli oggetti di quella casa gli parlano di chi l'ha abitata.
Gli è capitato di trovare lettere davanti alle quali si è fermato, le ha toccate, ne ha conservato la busta perchè attratto dal francobollo, ma ci dice di non averne mai letto il contenuto, di averlo poi buttato e alla nostra ingenua domanda del perchè avesse scelto di non leggerle mai, lui risponde : “per rispetto”.
Jajo è un uomo che ha fatto del suo lavoro la sua passione, lavorando al balon per più di 30 anni; la pandemia e la pedonalizzazione della via del suo negozio l’hanno messo a dura prova. “Il borgo antico, conosciuto in tutto il mondo come mercato dell’antiquariato, si sta trasformando in un locale a cielo aperto” ci dice.
I giovani, che lui stesso ama, lo attraversano per incontrarsi, per bere un bicchiere, ma nel farlo si appoggiano sui suoi oggetti, li sfiorano, li vedono, ma non riescono più a guardarne e sentirne la storia.
Manuela è una giovane donna molto innamorata del suo attuale lavoro.
Nasce come grafico pubblicitario e fotografa. Nell’incontro con Mario decide di sposare il suo grande sogno, quello di dar vita ad un luogo altro, accogliente, capace di far sentire casa ogni suo viandante, sulle rive della Dora.
Nasce così la Locanda sul Fiume, che lei stessa definisce “la sua bambina”: piccola trattoria che si propone di curare ogni singolo dettaglio, dai prodotti locali a km.0, ad un’attenzione minuziosa nella scelta della singola terrina nella quale deporre la pietanza preparata secondo le tradizioni di famiglia.
Mario e Manuela, nonostante abbiano aperto solo un anno fa, in un momento complesso, sono già diventati un punto di ritrovo per gli abitanti del quartiere Aurora risultando una buona alternativa tranquilla, alle giornate vivaci e colorate del mercato del Balon.
Manuela mette la persona al centro della sua attività: ci racconta con piacere di come la sua “bambina” stia crescendo con gli Altri, capace di porsi al centro del via vai delle diverse anime che popolano il quartiere “colorato e colorito”, come Manuela ama definirlo.
La musica più diversa che risuona nelle serate sul fiume, è un esempio concreto del sogno e desiderio di Manuela e Mario.
I nostri locandieri ci raccontano delle buone relazioni e collaborazioni che sono riusciti a costruire anche con le altre attività del Lungo Dora e dell’intero quartiere, anche all’interno di progetti compartecipati come TONITE, auspicando una maggiore attenzione dell’intera città al decoro e alla migliore vivibilità di quelle sponde che adornano il Borgo.
Quando abbiamo chiesto a Manuela quali fossero le sue passioni lei ci ha detto semplicemente che ama il suo lavoro e la sua Lamu, un cane di tredici anni, con la quale ha condiviso una vita e ama, quando riesce, perdersi tra le fronde dei boschi. Attualmente Lamu è la vera mascotte del locale, accoglie i viandanti, mangia e dorme nella sua cuccia, sempre accanto alla sua Manuela.
Aisha ha 35 anni e viene dalla Somalia. Prima di stabilirsi a Torino ha fatto tappa in molti paesi, tra cui Norvegia e Germania. L’Italia, però, è quello in cui si trova meglio, e pensa sia un buon posto per vivere anche per i suoi tre figli. I lavori che ha svolto sono quelli di babysitting e di pulizia, sia in famiglia che in ufficio che in ospedale: le piace svolgere entrambi, ma la sua vera passione è la cucina, e nel dettaglio la gastronomia. Il suo sogno da ormai ben 13 anni è quello di aprire una sua attività, una gastronomia appunto, e ce la metterà tutta per esaudire il suo desiderio. Nel tempo libero le piace ascoltare musica, sia italiana che somala, e le sue canzoni preferite sono quelle dei suoi anni. Le piace anche studiare italiano, e vuole migliorare sempre di più anche per poter aiutare i suoi figli. Ha un rapporto positivo con il quartiere di Porta Palazzo e trova molto utile e interessante il ruolo della Portineria di Comunità.
Victoria ha 32 anni e viene dalla Nigeria. E’ arrivata in Italia 4 anni fa ed è contentissima di stare a Torino poiché al suo paese la vita non era facile e nemmeno tanto felice: qui ha trovato un popolo gentile e accogliente che l’ha subito fatta sentire a casa. In Nigeria ha lasciato quattro figli, ma spera che possano raggiungerla al più presto. Parla la lingua nigeriana, un po’ di inglese e l’italiano, che migliora sempre di più e con il quale vorrebbe acquisire sempre più padronanza. In Nigeria, come occupazione, lavorava la terra e vendeva insieme alla sua famiglia i prodotti raccolti, mentre qui in Italia ha fatto da badante e attualmente lavora come sarta e come donna delle pulizie. La sua grande passione però è la sartoria: dopo aver svolto un tirocinio di 6 mesi ha capito che questa è la sua passione. Le piace però molto anche studiare e imparare nuove cose, quindi è disponibile a frequentare dei corsi.
Antonella, nata e vissuta a Torino è una grande amante del Torino e dei suoi cani.
Si è laureata in lettere con una tesi in Storia del Cinema sui cartoni animati di Dragon Ball, della quale conserva una bellissima esperienza.
Poco dopo la laurea ha iniziato a lavorare nell’ambito cinematografico ambiente nel quale non ha riscontrato grosse opportunità, per poi approdare grazie ad un amica al C.I.E Centro d’iniziativa per l’Europa del Piemonte dove attualmente, sin dal 2001 ancora collabora attivamente.
Nonostante le grandi difficoltà Antonella non si vede da posto fisso.
Il suo cuore l’ha sempre riportata al C.I.E, un posto stimolante ed arricchente, il Centro d’iniziativa per l’Europa del Piemonte, un'associazione senza fini di lucro che lavora su integrazione europea, cittadinanza attiva, anti-razzismo e antidiscriminazione.
Per lei, grande sognatrice, per fare rete bisogna andare e comunicare con la gente, bussare alle porte e non fermarsi mai.
Trentacinque anni fa nasceva in Via Fiocchetto Spazio Blu, negozio specializzato in subacquea, a seguito della grande passione per questa attività da parte di Giancarlo.
Nel corso degli anni sono cambiate anche per loro le modalità commerciali, adeguandosi gradualmente alle nuove necessità di mercato, affiancando alla tradizionale vendita presso il negozio la vendita online che gli permette di raggiungere anche mercati esteri.
Anche Giancarlo come altri commercianti della zona lamenta il graduale degrado in cui si è lasciato nel corso di questi anni il quartiere, augurandosi che un'inversione di tendenza permetta che qualche investimento possa riqualificare la zona dando così un maggiore impulso agli esercizi commerciali presenti.
Grande l'entusiasmo che ancora oggi prova Giancarlo nei confronti della subacquea, attività sportiva nella quale si è cimentato per oltre 30 anni insegnando ad intere generazioni questo sport che al solo parlarne ancora oggi gli procura una grande emozione.
Non va dimenticato anche l’impegno nel sociale attraverso la fattiva partecipazione nella società di cui Giancarlo fa parte e attiva nel soccorso verso le persone da 150 anni.
Questo impegno va di pari passo con la passione per l’attività subacquea e l’amore verso il mare.
Questo incontro ci lascia una grande positività nei confronti della vita e del nostro futuro e come dice Giancarlo il viaggio più bello è quello che ancora si deve fare.
Quando si dice “smart working” si intende in realtà “lavoro da casa”, in quest'epoca di pandemia; per Alberto in un certo senso è sempre stato così: il suo posto di lavoro è praticamente casa sua.
Lui infatti rappresenta la terza generazione di gestori del “Bar Internazionale” di corso Regina Margherita, aperto dai suoi nonni, oggi portato avanti da sua madre e appunto da lui. E l'appartamento nel quale è venuto alla luce si trova subito sopra il locale commerciale: è stato svezzato, ha imparato a camminare ed è cresciuto letteralmente dentro al bar.
Tra i figli della famiglia Pozzato, solo lui ha scelto di portare avanti l'attività di famiglia: una vera passione, la sua, che lo porta a sperimentare cose nuove, a cercare di migliorare l'offerta del bar.
Pur passando le sue giornate in piedi, Alberto ama fare sport quando finisce il lavoro: ha giocato a calcio con buoni risultati, poi è passato a fare tai-chi scoprendo una disciplina nuova e che gli piace molto.
Inoltre è un attento osservatore del suo territorio, rispetto al quale spera di veder tornare alcuni servizi essenziali (un negozio di ferramenta, una banca...) e soprattutto il ritorno a un ruolo più centrale dell'autostazione GTT che si trova alle spalle del bar, per tornare a portare un flusso maggiore di persone a tutte le ore del giorno.
Il bar Fran, situato in uno dei quartieri storici e popolari di Torino, in cui la multietncità cittadina è particolarmente presente. Il locale conta ben 52 anni di storia, nascendo infatti nel 1969 per mano dello suocero e successivamente rilevato da Francesco nel 2005.
Col passare degli anni anche il suo esercizio ha risentito del progressivo abbandono delle attività del quartiere.
Francesco avanza quindi la proposta di convertire l’attuale terminal degli autobus ora di esclusiva pertinenza della GTT, in un più avanzato autoporto su cui far confluire anche tutti gli autobus turistici in modo da vivacizzare commercialmente la zona.
Il suo tempo libero Francesco lo trascorre tra gli impegni di famiglia ed il calcio, sport del quale è molto appassionato.
Antonietta rappresenta la seconda generazione della famiglia che ha aperto, 46 anni fa, il “Bar Internazionale” di corso Regina Margherita.
Ricorda con un po' di nostalgia quelli che definisce gli anni d'oro della propria attività, gli anni '80, quando il locale fu raddoppiato inglobando quello adiacente; ma anche se i tempi ora sono meno semplici - lei li definisce “di depressione” - fa di tutto per dare vita nuova al proprio lavoro.
Nel suo bar infatti inventa continuamente cose diverse da offrire ai propri clienti, cercando di reinventare il caffè e le creme, proponendo prodotti dolci e salati di qualità, nonostante le serrande abbassate aumentino nel quartiere.
Un quartiere cui Antonietta è legata, avendoci passato buona parte della vita anche come residente, in un locale-famiglia dove ogni tanto qualche vecchio cliente, ormai da tempo lontano, torna appositamente per farle conoscere i propri figli e raccontarle come sta andando la vita altrove.
Franco il fornaio è un gigante buono. Papà di cinque figli, che ama con ogni forza anche se a volte – dice – lo fanno arrabbiare, parla sempre col sorriso quando racconta della sua famiglia, e del suo mestiere. Un mestiere che lui invita i giovani a provare: spiega che non è la fatica terribile e massacrante che spesso viene raccontata, non più, grazie alle macchine e alle tecnologie, e vorrebbe parlare con i ragazzi per introdurli a quello che è il suo lavoro.
Fa il fornaio da sempre, ha imparato ad ammodernare la propria offerta in base al cambiamento dei gusti della clientela, grazie a intuito ed esperienza. Ha gestito in passato un altro negozio con una stella polare che lo guidava verso il suo futuro: l'Australia, la terra dove avrebbe dovuto e voluto trasferirsi tanti anni fa. Poi le cose sono andate storte, e Franco ha dovuto ripiegare su quello che è il negozio dove facciamo la sua conoscenza. Ma è un ripiego molto bello, pieno di profumi e sapori, pieno di un calore che non è solo quello che arriva dai forni.
Antonella Trivisano è solamente “la professoressa Trivisano”, o più spesso “la Trivisano”, all'interno della scuola Lagrange dove lavora da 20 anni. Un rapporto che non ha nessuna intenzione di interrompere: si stupisce ancora del grande affetto che gli ex allievi provano nei confronti della loro vecchia scuola, che non vorrebbero mai lasciare, e questa per lei è una grande soddisfazione. Sa di trovarsi in una realtà spesso difficile, dove incontra sacche di miseria e di disagio; eppure non invidia nulla ai licei, dove sa che avrebbe magari delle giornate più tranquille, ma molto meno arricchenti dal punto di vista umano.
Aurora è il territorio su cui lavora, quartiere che lei sente come parte integrante di Porta Palazzo, e ha visto cambiare positivamente la percezione generale della zona; vorrebbe solo che ci fosse un posto per i ragazzi quando escono da scuola, al pomeriggio, alla sera.
Ragazzi che lei invita a “spolpare” gli insegnanti, ad approfittare di tutto quello che la scuola può offrire loro, finchè ne hanno l'opportunità!
La gente del Bar Internazionale la definisce la “mascotte” del locale, e forse del quartiere. Tamara ride, fa finta di arrabbiarsi, ma lo accetta: il bar è un pezzo della sua famiglia, la famiglia del “centosedici”, il civico di corso Regina Margherita che per lei è un mondo. Nonno, genitori, lei e ora i nipoti: radicati sul territorio come pochi altri.
Tamara non lascerebbe mai questo angolo, che lei definisce anche geograficamente con dei confini chiari: corso Regina, corso XI Febbraio, via Fiochetto, via Gené. Ma purtroppo lo vede come una zona che sta andando in rovina, per colpa del sottopassaggio e di un certo degrado generale.
Ha studiato come orafa, e per diversi anni ha svolto quel mestiere; poi alcune disavventure anche imprenditoriali l'hanno costretta ad arrangiarsi, imparando a fare vari piccoli lavori, ad aiutare il prossimo con una serie di commissioni, di assistenza in varie forme. Ora aspetta di riuscire a ripartire.
Antonello è un riccese DOC, ragioniere programmatore, che nel difficile periodo pandemico, ha avuto la fortuna e l’opportunità di poter tornare nel suo paese d’origine grazie allo smartworking. Il lavoro agile gli ha permesso infatti di riaprire le porte della sua casa in campagna, conciliando la sua postazione lavoro e l’amore per la terra. Dopo essersi informato a fondo, Antonello ha seguito un corso di apicoltura, sviluppando questa passione che gli ha permesso di mettere su una piccola produzione apistica: nulla di troppo grande eh, tanto miele quanto basta per essere felice! Antonello non vive però da solo la sua passione rurale: è attivissimo anche all’interno della comunità di Riccia. Fa parte da diversi anni della Pro Loco, di cui è socio attivo, e del gruppo folk, la sua passione più grande, che gli ha permesso di girare e conoscere diverse nazioni in giro per il mondo (esperienza di cui è estremamente orgoglioso). Punto di forza di Antonello è soprattutto il dialetto riccese, parte della sua quotidianità, e per questo indimenticabile. Il suo amore per il dialetto riccese lo ha portato a scrivere piccoli componimenti musicali, che fa vivere grazie all’esperienza del gruppo folk: non a caso, la forza di questo gruppo risiede tutta nell’utilizzo del dialetto sia in musica sia nel parlato. Il sogno di Antonello è la speranza di tutti gli abitanti del territorio: che Riccia e tutta la zona del Fortore possano continuare a crescere ed essere maggiormente valorizzate, potenziando in primis la rete viaria ma soprattutto senza tradire la vocazione agricola del territorio.
La Cantinella Vagabonda è una chicca molisana: su un Ape Piaggio dallo stile retrò, Marco, classe 1986, ha realizzato il suo sogno, unire la buona cucina della tradizione alla sua sete inesauribile di movimento. Partito dalla natia Gambatesa, lo chef Marco D’Antonio si è formato in tutto il mondo, dal Canada alla Germania, conoscendo se stesso e mettendo in pratica le conoscenze acquisite grazie alla laurea in Scienze Turistiche. Il richiamo delle origini è stato tuttavia più forte, ed ha deciso, con consapevolezza e coraggio, di tornare nella sua terra, per non abbandonarla ed aiutarla a crescere. Facendo tesoro delle ricette della mamma e dei giorni passati a cucinare per e con amici, Marco, “chef volatile” come ama definirsi, ha creato il primo street food nomade del Molise, la Cantinella Vagabonda. La sua attività itinerante fornisce cibo di qualità a kilometro zero per i palati più esigenti: i punti di forza sono i cibi tipici della cucina molisana come il caciocavallo, il tartufo, salsicce e focacce. Innovativa la proposta del Wedding Aperitivo, un momento rinfrescante e di alta cucina per le cerimonie molisane che, come è noto, si protraggono per ore e ore. L’interruzione forzata della pandemia e delle sue limitazioni ha fermato gli spostamenti dell’Ape car della Cantinella Vagabonda, che però non demorde e pensa già al futuro. Il prossimo obiettivo di Marco e sua moglie Michela è avviare un sorta di "rivoluzione agricola", come racconta e aprire un agriturismo, con annessa coltivazione idroponica e allevamento avicolo, su un terreno che lambisce il tratturo Lucera-Castel di Sangro: come si è capito, per Marco e la sua Cantinella Vagabonda, la storia e la tradizione culinaria della sua terra non sono un optional e si augura che l'area interna del fortore possa tornare a crescere e sostenere i suoi abitanti più audaci.
Mario Iaconianni, nato a Tufara nel 1952, è la memoria storica del suo paese. Esperto conoscitore delle tradizioni e del patrimonio tufarolo, il sig. Mario è la guida per chiunque si trovi a passare per Tufara: da custode delle chiavi del castello longobardo, da cui si può ammirare una splendida vista sulle vallate circostanti, a connoisseur dei posti più caratteristici del suo comune, per lui non ci sono segreti. Mario è autore di testi sulla storia di Tufara e spera di trovare un giovane abitante di Tufara a cui tramandare il suo immenso patrimonio di conoscenze. Nonostante i suoi anni, il sig. Mario non smette di sognare un futuro migliore per Tufara, che negli ultimi sta lottando contro uno spopolamento costante e doloroso.
Gf.pubblicità è un’azienda molisana che si occupa di pubblicità, comunicazione visiva e grafica da oltre 30 anni. Titolare dell’azienda è Giuseppe Faioli, classe 1984, laureato in Scienze della Comunicazione e residente nel piccolo comune di Tufara. Giuseppe ha ereditato dal padre la GF-pubblicità, che conduce insieme alla sorella Angelica e al fratello Paolo. L’impresa nasce negli anni '80 con lo scopo di aiutare le aziende molisane a crescere, sotto il punto di vista promozionale e dei servizi. Punto di forza delle attività della Gf.pubblicità è lo studio attento e meticoloso delle identità aziendali con cui si confronta, al fine di ottenere un processo efficace di comunicazione integrata. I progetti sono realizzati da un team di giovani creativi, che centrano il loro lavoro sulle esigenze del cliente. L’impresa si trova nella zona industriale di Pietracatella, nell’area del Fortore, al confine tra Molise, Puglia e Campania, attraendo così clienti da tutte queste tre regioni.
Daniela è sarda e vive e lavora tra due città: Cagliari e Torino. E' una filosofa e si occupa di Philosophy for children con i bambini e i ragazzi e di Philosophy for community con gli adulti, una metodologia che sollecita la costruzione di uno spirito critico attraverso domande e riflessioni collettive. Lavora molto con le scuole e con gruppi informali e crede molto nel valore e nel potenziale delle relazioni.
Davide ha un progetto a Porta Palazzo che si chiama Radiobluenote record che è uno studio di registrazione sperimentale e un'etichetta discografica. La poesia lo guida nelle produzioni che sviluppano. Il nome è nato da una trasmissione radiofonica e dai podacst che realizzava, un mix di musica jazz e poesie composte istantaneamente durante la riproduzione del brano. Scrive libri e ha animato un laboratorio di poesia da cui è nata una rassegna di arte contemporanea, un vecchio garage dipinto di bianco.
Definisce lo studio come "un'infame lettura dei sogni, una vasta gamma di suoni, una camera gonfia di fumo e visioni"
Bruno ha frequentato nel suo percorso scolastico le scuole salesiane, studiando come grafico professionale e ha partecipato all’oratorio Don Bosco. Ha lavorato tutta la sua vita come tipografo per la stampa di etichette autoadesive. Da gennaio 2021 si trova in disoccupazione a causa della dislocazione dell’azienda. Bruno ha sviluppato interesse per il giardinaggio, sa fare i lavori domestici e cucinare e fare il baby-sitter; inoltre fa volontariato al Museo Diocesano. È sempre alla ricerca di nuove esperienze e conosce molto bene i quartieri Valdocco e Porta Palazzo, essendoci cresciuto, perciò si è reso disponibile per gli anziani della zona nell'accompagnare alle visite mediche o nelle commissioni quotidiane. Vorrebbe nel futuro poter viaggiare e trasferirsi in una zona montana, meno affollata e con meno traffico, e potersi rendere utile per la comunità.
Cecio gestisce la vineria sfusa Litro dal 2018, da quando i tre soci e lui hanno deciso di aprire. La volontà dei soci era quella di creare un locale basato sul flusso, in cui il vino e la birra fossero serviti esclusivamente alla spina e, per rimarcare l’idea, hanno scelto di costruirsi artigianalmente gli arredi del locale utilizzando i tubi. I vini proposti provengono principalmente da due cantine piemontesi, una che produce nelle Langhe e l’altra nel Monferrato, per dare valore alle diversità di produzione del territorio. Cecio ha studiato giurisprudenza laureandosi nel 2011 ma, provando a lavorare in ufficio, si è reso conto che non faceva per lui; ha deciso quindi di dedicarsi al lavoro di barista che è fatto di socialità e dinamismo. Il suo tempo libero lo dedica ad attività più solitarie come, passeggiate in montagna, mountainbike, corsa e la lettura; altra grande passione sono le barche a vela. La posizione all’interno della galleria Umberto rende Litro il punto di contatto tra Quadrilatero e Porta Palazzo, tenendolo anche un po’ in una bolla rispetto all’esterno. Essendo Litro pensato rievocando l’idea delle vecchie piole, e essendo il vino molto democratico qui avviene una sorta di commistione tra generazioni e classi; infatti lungo l’arco della giornata qui di incontrano pensionati che dialogano con i ragazzi più giovani che frequentano il locale nelle ore serali. Il desiderio di Cecio sarebbe che Litro piantasse radici più profonde per poi poter creare un altro Litro attraverso cui crescere anche professionalmente.
Danilo è uno dei tre soci fondatori di Cianci ristorante/piola aperto nel 2010 per il sogno dei tre amici di un locale che offrisse i piatti della tradizione povera piemontese a prezzi popolari e utilizzando prodotti freschi. L’idea era inizialmente quella di aprire un posto un po’ intimo poiché al tempo i piatti come il vitello tonnato erano considerati vecchi invece, una volta aperto, la cucina è stata molto apprezzata soprattutto dai giovani, trasformando l’idea iniziale in un posto molto frequentato. Danilo, come gli altri due soci, ha lavorato per più di vent’anni nel mondo della ristorazione dopo aver studiato all’accademia di belle arti. Negli anni hanno raggiunto tutti gli obiettivi che si erano prefissati e ora vorrebbero sdoppiarsi creando un locale sempre popolare ma un po’ diverso perché comunque il lavoro da Cianci è impegnativo. Danilo vive e lavora tra il Quadrilatero e Porta Palazzo da molto tempo e secondo lui ci sarebbe bisogno di un maggiore impegno da parte delle persone che abitano il quartiere nel prendersi cura degli spazi. Quando hanno aperto hanno creato un’associazione della Piazza IV Marzo insieme agli abitanti e agli altri commercianti per tenere curata la piazzetta e cercando di trovare un compromesso tra le diverse esigenze. Nel tempo libero a Danilo piace viaggiare, facendo anche esperienze culinarie all’estero. In più, l’animo artistico è stato messo nella scelta dell’arredamento del locale di cui hanno scelto tutti i pezzi e la grafica.
Jezabela viene dal Perù e vive in Italia da ventun anni, durante i quali è rientrata nel suo paese solo due volte. La lavanderia era presente nella galleria Umberto già da molto tempo quando l’ha rilevata nel 2017. Il lavoro viene gestito dal Jezabela con l’aiuto anche del marito. Qui svolgono lavaggio normale e a secco e alcuni lavori di sartoria e di modifica dei capi d’abbigliamento. Ha imparato a cucire a scuola in Perù dove ai bambini si insegna anche a cucire e a cucinare, e poi si è specializzata in educazione e per qualche mese, prima di venire in Italia, ha lavorato come insegnante nelle scuole elementari. Ha mantenuto la passione per i lavori manuali e tiene viva la sua creatività allestendo la vetrina creando dei fiori per poter comunicare la sua personalità anche con chi non entra nel negozio. Jezabela è venuta a Torino dalla mamma che lavorava per una vacanza ma ha trovato lavoro e si è fermata qui studiando e lavorando come OSS. Ora quasi tutta la sua famiglia vive in Europa, solo il papà è rimasto in Perù. Del suo paese le manca il cibo, le feste patronali e la musica, tradizioni peruviane che cerca di tramandare anche ai suoi figli. Jezabela si sente a casa a Porta Palazzo, conosce molto bene la zona e i suoi abitanti. Vorrebbe che le persone diventassero più attente all’ecologia per questo in lavanderia non usano più plastica e stanno cercando di eliminare anche la carta grazie anche ai clienti che possono portare la propria busta. Crede che nel quartiere ci sia bisogno di più sostegno reciproco e di senso di comunità, soprattutto per quelle persone più fragili come chi abita per strada o gli anziani soli. L’attività di lavanderia include anche lo scambio di parole con le persone che hanno voglia di scambiare due chiacchiere e che hanno bisogno di un piccolo aiuto per le faccende quotidiane.
Luigi ha aperto questa pizzeria al taglio nel 2013, utilizzando eccellenze piemontesi e puntando sulla valorizzazione prodotti, per questo usano anche farine più digeribili. Nel loro laboratorio si producono pane e pizza ma anche lievitati dolci come panettone e colomba. Taglio doveva nascere inizialmente a Londra ma, grazie al sostegno degli amici, ha aperto a Torino in Piazza IV Marzo. Negli anni hanno guadagnato diversi riconoscimenti. Fanno una grande ricerca del prodotto e della filiera di qualità e coltivano direttamente i rapporti con i produttori. Hanno selezionato delle birre di Vercelli e i vini che propongono sono in gran parte naturali e biodinamici; la loro scelta varia da champagne e moscato a diversi rossi piemontesi. Fanno rete con altre realtà collaborando con i ristoratori, ogni due mesi circa propongono un evento per presentare uno dei loro produttori oppure una serata per presentare qualche prodotto particolare. Fanno eventi beneficenza e collaborano con eventi culturali, lavorando sempre nell’ottica del sostegno reciproco. Luigi ha studiato giurisprudenza ma è sempre stato appassionato cibo. Prima di Taglio ha collaborato con slow food, salone gusto quando ancora realtà piccola, appassionandosi ancor più al mondo gastronomia. In seguito ha lavorato da Grom nella selezione delle materie prime e per lo sviluppo di nuovi punti vendita. Luigi ha la passione per il cinema per il cibo e il vino.
Iosif è arrivato in Italia nel 1995 dalla Romania. Ha svolto diverse attività per poi approdare nel campo dell’edilizia; dal 2002 ha aperto la partita iva ed ha un’impresa di ristrutturazioni ben definita e avviata. Molti altri familiari sono venuti a Torino in seguito, tra cui anche la moglie e il figlio che sono arrivati nel 1996. In Romania Iosif ha studiato nell’ambito dell’edilizia, lavorando in un’azienda che si occupava di costruzioni. Ha intrapreso anche una breve esperienza commerciale subito prima di trasferirsi in Italia. L’impresa di Iosif si occupa di ristrutturazioni di interni, l’ambito che lui preferisce è quello di piastrellista e decoratore, collabora con un idraulico, un elettricista ed altre figure professionali perché, secondo lui, ognuno deve trovare la propria passione e saper fare bene il proprio mestiere. Iosif ha iniziato a lavorare nell’ambito delle ristrutturazioni per necessità, ma è diventato una passione per lui poter vedere una casa trasformarsi grazie al suo lavoro. Il suo sogno sarebbe di imparare a suonare il pianoforte e nel futuro vorrebbe approfondire anche la conoscenza dell’inglese. Iosif ha provato a rientrare in Romania nel 2003 per aprire la sua impresa anche là ma, nonostante lui si senta rumeno e una parte dalla famiglia viva ancora lì, si è abituato a vivere a Torino e si sente in qualche modo anche un po’ italiano, per questo con la moglie hanno scelto nel 2010 di vivere stabilmente in Italia e di crescere qui i propri figli.
Marco è originario di Siena, ha studiato tedesco all’università di Bologna, svolgendo un periodo in Germania. Una volta rientrato in Italia negli anni ’70 non volendo pesare economicamente sulla famiglia si trasferisce a Milano dove inizia a lavorare in banca nell’ufficio cambi grazie alla conoscenza del tedesco. Si trasferisce negli anni ’80 a Torino da cui viene pochi anni dopo trasferito a Genova, città affascinante in cui però fatica a trovare amicizie. Tornato quindi a Torino e stufo del lavoro in banca decide di licenziarsi e di aprire una piccola bottega artigianale in cui si producono maschere e oggetti in carta oppure in legno e poi decorati in carta. Quest’esperienza dura una decina d’anni dopodiché Marco decide di reinventarsi e diventa insegnante di tedesco in una scuola media, svolgendo anche delle traduzioni. Da anni svolge attività di volontariato nel quartiere di Porta Palazzo, in cui vive e che non cambierebbe poiché, nonostante i problemi, la presenza del mercato lo rende molto vivace, pieno di colori e di spontaneità. Marco è appassionato di musica classica ed è un grande lettore sia di romanzi che di saggistica. Collabora con lo Spaccio di cultura come volontario.
Maurizio ha aperto la Gelateria Popolare nel 2007 nel quartiere di Borgo Dora. Nato a Torino ma cresciuto a Livorno, per qualche anno lavora per una grande industria dolciaria all’ufficio acquisti e produzione, dove impara a fare il gelato ma anche sviluppa una profonda conoscenza delle materie prime. Sceglie il quartiere di Porta Palazzo per l’apertura della sua attività artigianale perché non c’era una gelateria e perché il quartiere lo incuriosiva. Maurizio produce il gelato che vende grazie all’esperienza maturata nel settore utilizzando materie prime di ottima qualità. Nell’ultimo anno ha scelto di sostituire tutti gli imballaggi in plastica con materiali compostabili, e le bottigliette d’acqua sono in vetro. Lo spazio della gelateria offre anche un punto di aggregazione in cui vengono organizzati concerti ed eventi, dove Maurizio ospita artisti provenienti dal territorio nazionale ma anche internazionale. Maurizio ha la passione della musica, ascolta ogni genere musicale e cerca di ritagliarsi dei momenti per poter assistere ai concerti, inoltre fino a qualche anno fa giocava a calcetto.
Maria Aida ha iniziato a lavorare in questa attività negli anni ‘70, ha collaborato con i proprietari precedenti fino al 1987, anno in cui ha deciso di rilevare l’attività. Storicamente Bertone e Bertino si occupava di carta e imballaggi, poi Aida ha trasformato l’attività, mantenendo i prodotti precedenti ma aggiungendone di nuovi, per far fronte alle nuove richieste del mercato e, al tempo stesso, alla mancanza di alcuni dei prodotti trattati in precedenza. Ad oggi i faldoni di anni passati sono finiti ma Aida mantiene ancora viva l’anima del cartificio, di cui sono presenti ancora i mobili originali, le bilance prodotte negli anni 40. Da nuova Bertone e Bertino si possono trovare molte merci diverse dalla cartoleria, agli imballaggi, al necessario per feste, nastri, tovaglie così come Aida si occupa personalmente di fiocchetti e imballaggi di bomboniere per comunioni, battesimi. Nella ditta lavora tutta la famiglia ed essendo presenti nel quartiere da molti anni ne conoscono i cambiamenti, i mutamenti, da quando Porta Palazzo, così come il Quadrilatero, erano zone di ingrossi; ma anche le problematiche che purtroppo riserva la zona. Secondo Aida c’è necessità di un maggior ordine, anche estetico, della piazza. Aida è una persona attiva, ha sempre praticato molto sport che però ha sacrificato per dedicarsi totalmente al negozio. Adesso, quando lascerà l’attività nelle mani del figlio, vorrebbe concedersi qualche viaggio che in questi anni da imprenditrice sono stati un po’ messi in disparte.
Patrizia è la titolare del Panificio della Basilica, attività che nasce nel 2009. Il figlio ha deciso di imparare il mestiere di panettiere attraverso gli insegnamenti di alcuni esperti nel settore. La produzione ad oggi è al 99% loro ed hanno una clientela fissa che viene anche da lontano. Utilizzano prodotti locali: la farina che usano è del tipo 1 e 2 e viene da un mulino piemontese, il latte fresco da Alessandria. Per quanto riguarda mozzarella, salsa e olio di riforniscono dal Salento e dalla Campania. Patrizia ha fatto molti lavori ma il suo sogno è sempre stato quello di aprire una panetteria perché, ricorda, quando era bambina abitava al quadrilatero sopra ad una panetteria i cui profumi entravano direttamente in camera di Patrizia. Lei ha un ottimo rapporto con il quartiere essendo nata e cresciuta in zona, inoltre i genitori avevano un banco al mercato dove Patrizia ha iniziato a lavorare molto giovane dopo aver concluso la terza media. I problemi di Porta Palazzo sono vari secondo Patrizia: ci sarebbe bisogno di maggior sicurezza e di rivalutare il mercato sia rispetto alla qualità delle merci proposte sia in senso estetico, nonché mancano dei punti ristoro per la gente che si reca al mercato. La grande passione di Patrizia è il suo mestiere che svolge con dedizione, scoprendo e imparando sempre nuove ricette e preparazioni proponendo sia biscotti, pane e focaccia della tradizione, sia sfoglie, arancini e proposte sempre nuove.
La panetteria di Prudente Rocco è stata aperta dal papà di Giusi quando lei aveva otto anni. All’inizio Giusi non pensava che fosse un mestiere che potesse piacerle invece dopo che ha iniziato a lavorarci, già a partire dai quindici anni, è diventato la sua vita. Il loro punto forte è che lavorano ancora come ha insegnato il papà che lavora ancora con grande passione nel laboratorio, mentre la mamma gestisce il negozio. È un lavoro duro quello del panettiere ma non se si fa con passione, sostiene Giusi, che è sempre pronta ad adattarsi ai tempi. I prodotti sono vari dalle focacce ai panettoni, dalle colombe ai biscotti, fatti con le tecniche tradizionali. Nel Quadrilatero manca uno spazio verde, dove far giocare i bambini ma anche dove possano incontrarsi gli adolescenti. Per il resto secondo Giusi non esiste quartiere migliore. Non avendo molto tempo da dedicare allo sport Giusi si concede una passeggiata mattutina con le amiche prima di iniziare il lavoro.
Alberta ha appena aperto la tabaccheria in Piazza Palazzo di città, e qui ha scoperto un mondo nuovo, diverso, il mondo reale, la piazzetta è un piccolo paese dove tutti collaborano con tutti. Clienti e lavoratori qui attorno sono tutti persone splendide. Lei non immaginava che il mondo fosse fatto di umanità e di rapporti umani, qui ha trovato voglia di chiacchierare, di partecipare. Ha iniziato a fare book crossing, a parlare con le persone di libri, si scambiano consigli e letture e attorno alla tabaccheria si è formato un piccolo salottino; così ha scoperto che la gente ha voglia di cultura, di stimoli e vorrebbe che la piazzetta diventasse più culturale. Assieme allo spazio della tabaccheria, Alberta avrebbe a disposizione una sala ulteriore in cui, in un futuro, vorrebbe proporre delle iniziative e delle attività culturali. Il quartiere è multiculturale e c’è tutto, dalla sindaca al senzatetto qui, dice, si conosce il mondo e si sta tutti assieme. Vorrebbe più attivazione e coinvolgimento della popolazione, più attività che possano portare più umanità e aggregazione. Alberta si occupava di pubblicità e marketing, ambiente un po’ stereotipato. Ha lavorato in varie città d’Italia per poi fermarsi a Torino città d’origine. Le sue passioni sono la lettura, il corso di narrazione e lo sci da discesa, che ama anche per il freddo e la neve.
Il papà di Fulvio ha avviato la vetreria negli anni ’50 nel quartiere di Borgo Dora, trasformandola poi in galleria d’arte fino al 1987 quando si sono trasferiti nell’attuale locale che non ha spazi sufficienti per esporre le opere. All’epoca ogni quindici giorni avevano una mostra in allestimento a cui partecipavano anche personaggi importanti. Tuttora alcuni pittori lasciano da Fulvio dei quadri in vendita e alcuni giovani artisti fanno incorniciare qui le proprie opere. L’aspetto fondamentale di questo mestiere è consigliare il cliente rispetto al tipo di cornice o per specchiere, progetti docce e di efficienza energetica. Fulvio lavora come vetraio e corniciaio dai diciotto anni, svolge lavori a domicilio, e ha acquisito la manualità del mestiere stando in laboratorio e provando, perciò anche lui sarebbe interessato a tramandare questo lavoro, ospitando un apprendista che possa imparare attraverso la pratica e gli errori. Secondo Fulvio il quartiere è poco vissuto poiché la maggior parte delle persone sono di passaggio. Al balon, dice, c’è molto, a partire dal mercato, ma durante la settimana ci sono pochi negozi aperti rendendo la zona poco attrattiva.
Vittoria è una ragazza sud americana di origini peruviane e venezuelane. Frequenta la scuola Agnelli, studia operatore di servizi d’impresa. Prima studiava all'alberghiero. Due anni fa ha avuto un'esperienza lavorativa in un albergo in Inghilterra. Parla italiano, spagnolo, e un po’ di inglese. Nel suo tempo libero le piace disegnare, il disegno per lei è un modo per esprimersi, le piace ascoltare musica, e andare in palestra. Il suo hobby è l’estetica. Il suo sogno è quello di lavorare in proprio, aprendo un bar o un ristorante, oppure un negozio di abbigliamento.
Sabrina è una ragazza di 21 anni. Ha studiato cucina all’istituto professionale Beccari. Ha lavorato per circa 6 anni nelle cucine, tra quelle ha lavorato una stagione in un ristorante al mare in Puglia. Nel ambito lavorativo ha iniziato come stagista, poi lavapiatti, fino ad svolgere il ruolo del chef. La cucina è la sua passione, per il motivo che le piace creare piatti e realizzarli, e vedere che la persona che lo mangia è compiaciuta, le trasmette dell’emozione. Sabrina ha fatto tante gare di cucina vincendo alcune. Da poco è diventata mamma.
Anoir si è formato come idraulico, ha origini marocchine ma è nato e cresciuto a Torino. Ha imparato a saldare e a filettare e a costruire impianti idrici. Tuttavia, questa formazione non è stata all'altezza delle sue aspettative, è stata una formazione troppo teorica e poco pratica. Non ha in mente un mestiere preciso che gli piacerebbe fare ma ha lavorato come magazziniere e ha capito che gli piacciono i lavori pratici. E' intraprendente e ha tanta voglia di fare. In passato ha praticato lo sport, faceva box, ma poi ha dovuto smettere per motivi economici. Ma se potesse tornerebbe a fare box. Gli piace perché è uno sport che ti porta a sfidare i propri limiti e a mettersi in gioco. Gli interessa molto l'attualità e leggere.
Myriam ha 19 anni e aspira a essere una scienziata infatti ha frequentato una scuola a indirizzo chimico, biotecnologie sanitario e vorrebbe iscriversi all'Università o a biologia o a biotecnologia, o in Italia o all'estero. Ora sta cercando un lavoretto estivo prima di iniziare l'Università, o in una caffetteria perché mi piace molto dialogare con le persone o anche offrendo ripetizione di materie scientifiche. Ogni tanto le capita di aiutare gli anziani ad utilizzare le nuove tecnologie, sia il telefono che al pc. Soprattutto quelli che incontra in biblioteca dove va a studiare e a leggere. Le piace tanto leggere soprattutto romanzi fantascientifici e i gialli. Ama anche i classici come Primo Levi, che ha studiato a scuola. Le piace tanto cucinare, soprattutto pasticceria torte e biscotti. Oltre alla vocazione scientifica le piace molto l'arte: disegna e balla hip hop in un gruppo di ballo. Torino è la sua città, le piace molto perché è una città ricca di arte. E' francofona e ha vissuto sia in Francia che in Belgio ed è nata in Congo.
Moumi è una ragazza di 18 anni, di origine benenese, è al quinto anno, studia indirizzo di socio sanitario a Torino. Ha fatto uno stage in una scuola d’infanzia, con i bambini tra i 3 e anni. Le piace stare con i bambini, e fare delle attività. Le piacerebbe studiare psicologia, perchè le piace capire come funziona la psiche, come un individuo può manifestare le sue emozione, la sua intelligenza. Nel suo tempo libero le piace uscire, e leggere, soprattutto le biografie, perché sono scritti a prima persona. E' una volontaria dello Spaccio di cultura Portineria di comunità.
Mame da poco maggiorenne, e ha studiato francese per dieci anni in Senegal. Da poco è tornata a Torino per raggiungere la sua famiglia e sta proseguendo i suoi studi. Si immagina il suo futuro in Italia e le piacerebbe lavorare come stilista anche se ora sta studiando finanza e marketing. A scuola in Senegal ha imparato a cucire e quindi vorrebbe creare una sua linea di moda. Dopo la maturità infatti vorrei iscrivermi a una scuola di moda. Nel suo tempo libero le piace molto cucinare, sia cucina africana che cucina italiana.
Ana viene dalla Romania ed è in Italia da 9 anni. Ha studiato all'alberghiero e ha lavorato in sala e in cucina. Le piace molto leggere e infatti le piacerebbe fare un lavoro che implica la lettura, o in una biblioteca o in una libreria. Le piace leggere la narrativa e il fantasy perché ti apre mondi nuovi. Anche il genere distopico le piace perché racconta di dimensioni che non conosciamo. Ora studia un indirizzo turistico dove studio l'accoglienza, le lingue, l'hotellerie. E' timida quindi non sa se sarà quella la sua strada, ma comunque le piace molto. Una sua passione è il viaggio e spera che i suoi studi le permetteranno di viaggiare.
Alex è nato in Romania ma vive in Italia da moltissimi anni. Ha studiato grafica e fotografia. E' un appassionato musicista, ha avuto quattro band metal dove cantava ma ora sta cerando di costruire una band più soft. Gli piace giocare ai videogiochi e fare e seguire le dirette streaming, suo papà è un informatico da cui ha imparato molte cose. Un'altra grande passione sono i motori quindi se non dovesse riuscire a trovare lavoro nel campo della fotografia gli piacerebbe molto fare il meccanico.
Mi chiamo Salvatore Francesco, in arte Cisky. Sono un rapper e un attore. Dietro alle spalle ho avuto una vita burrascosa all’interno. Attualmente lavoro come produttore dei contenuti audio e video. Recito in un teatro. Ora penso che se avessi studiato, avrei potuto fare qualsiasi cosa, perché ogni volta che mi ci metto, le cose mi vengono bene.
Adil ha aperto questo bar/ristorante a ottobre 2019. Voleva che fosse qualcosa di nuovo, diverso, per questo ha deciso di proporre un tipo di cucina basato principalmente su frutta e verdura fresca di stagione, tipo avocado toast, centrifughe e smoothies che preparano senza latte e zuccheri. La scelta è dunque legata a un’idea di cucina sana e light. Gli avocado toast possono poi essere composti con altri ingredienti, come uova o salmone, secondo i gusti e le proposte del momento e sono adatti sia per una colazione o un brunch ma anche per un pranzo leggero. La frutta e la verdura usate sono tutte fresche, non utilizzano prodotti confezionati, cercando di ridurre al minimo gli sprechi, inoltre cercano di reperire gli ingredienti da produttori vicini, ad esempio per gli avocado cercano quelli che vengono coltivati in Sicilia. Adil è nato in Marocco ed è arrivato in Italia nel 2000 dove ha frequentato la scuola. Ha lavorato come elettricista e come idraulico per entrare poi nel mondo della ristorazione e della cucina, ambito in cui lavora dal 2012 circa. Ha fatto dei corsi di formazione qui in Italia e ha frequentato un corso a New York specifico su questo tipo di cucina. Ha lavorato anche in Kenya e in Arabia Saudita dove ha continuato a formarsi. Adil ha scelto di rientrare a Torino per aprire questa attività nel quartiere del Quadrilatero prendendo spunto da molte cucine diverse, araba, inglese, americana, italiana, sperimentando sempre gusti diversi. Questo quartiere che ospita molti universitari e turisti è, secondo Adil, molto bello e comodo avendo anche vicino il mercato di Porta Palazzo. A chi volesse intraprendere questa attività consiglia, se si hanno le idee chiare, di credere in sé stessi e di non dare ascolto agli altri perché solo provando e col tempo si può capire.
Stefano ha 37, ha studiato lettere a Torino ed in seguito teologia a Roma, di cui l’ultimo anno di specialistica svolto negli Stati Uniti all’Università di Princeton. L’inglese è la sua seconda lingua in quanto l’ha sempre studiata a scuola e, inoltre, ha preso la certificazione Toefl. Le sue passioni sono i libri, la cultura, soprattutto in ambito filosofico e religioso, la letteratura e i film. Fin da piccolo ha frequentato l’oratorio, i campi estivi prima come “ragazzo” ed in seguito come educatore. Durante l’università ha lavorato come educatore per una cooperativa nel quartiere Vallette. In seguito ha svolto lavori in ambito culturale per la Chiesa protestante e ha pubblicato quattro libri. Negli ultimi tempi sta lavorando come traduttore dall’inglese all’italiano, come babysitter e fa anche pulizie. La scrittura è per Stefano un modo per comunicare, ha scritto principalmente del rapporto tra letteratura e Bibbia per far dialogare i suoi due titoli di studio. Ora sta scrivendo un libro sull’ateismo da un punto di vista sia filosofico che scientifico. Oltre al cristianesimo Stefano ha studiato tutte le grandi religioni monoteiste, Islam ed ebraismo, ma anche ha approfondito per passione il Buddismo, soprattutto zen. Quando studiava a Torino frequentava un centro zen e tuttora cerca di portare avanti la meditazione. Il sogno di Stefano sarebbe quello di lavorare in una biblioteca o in un ufficio dove possa essere sempre a contatto con i libri e la cultura, ma anche un centro culturale dove sia presente anche il contatto con le persone. L’ambito della cultura secondo Stefano può declinarsi in tanti modi diversi mettendo anche in campo uno sguardo alle problematiche sociali; ad esempio, in USA esistono counseling religiosi dove, invece che la psicologia, si utilizzano fonti letterarie e religiose per ascoltare e aiutare le persone indipendentemente dalla loro fede.
Monica e il marito gestiscono l’attività H2O Idraulico in Piazza Albarello dal 2010. Prima avevano un’impresa più grossa che offriva servizi alle aziende mentre ora si dedicano ai privati offrendo servizi di idraulica e di elettricista, sostituzioni e riparazioni. Il marito di Monica ha iniziato molto giovane, intorno ai quindici anni, a lavorare come idraulico, costruendosi una grande esperienza e restando a Torino uno dei pochi che sappia ancora saldare lo stagno. Essendo nel settore da quarant’anni hanno maturato esperienza, conoscono bene il territorio e i suoi abitanti e si affidano al passaparola e alla fiducia che le persone ripongono in loro. Il lavoro di idraulico, spiega Monica, non è un mestiere che si impara a scuola ma è necessario fare molta pratica, provando e sbagliando. Sono entrambi appassionati di moto e quando possono si concedono qualche piccolo viaggio da motociclisti, amano la natura e gli animali.
Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà, ha un obiettivo ben preciso, fondato su una certezza. La certezza è che le persone sono portatrici non solo di bisogni ma anche di capacità e che è possibile che queste capacità siano messe a disposizione della comunità per contribuire a dare soluzione, insieme con le amministrazioni pubbliche, ai problemi di interesse generale. Questa certezza ha trovato conferma nella legge di revisione costituzionale che nel 2001 ha introdotto nella Costituzione il principio di sussidiarietà orizzontale, con questa formulazione: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (art. 118, ultimo comma). La nuova norma, riconoscendo che i cittadini sono in grado di attivarsi autonomamente nell’interesse generale e disponendo che le istituzioni debbano sostenerne gli sforzi in tal senso, conferma appunto sia che le persone hanno delle capacità, sia che possono essere disposte ad utilizzare queste capacità per risolvere non solo i propri problemi individuali, ma anche quelli che riguardano la collettività. Se questa è la certezza di fondo che ci ispira, allora è chiaro anche il nostro obiettivo: far sapere al maggior numero possibile di persone che nella nostra Costituzione c’è questa grande novità rappresentata dal principio di sussidiarietà e che questa novità può cambiare il loro modo di stare, come cittadini, in questa società.
Giovanni del Bazar Bonino è una persona accogliente, entrare nel suo negozio è come fare un salto in un modo pieno di colori, di parole e di simpatia. La storia dell’attività risale al 1938 quando la zia, sorella del nonno di Giovanni, aprì un’attività di raccolta di carta da macero, che veniva pagata, per poi recuperare e rivendere libri, riviste, cartoline, fumetti e quant’altro. Nel dopoguerra, intorno agli anni 50, l’attività familiare si trasforma in vendita di materiale per il confezionamento articoli: Carta Corda ed Imballo. In questo periodo, ricorda Giovanni, il quartiere del Quadrilatero ospitava principalmente attività all’ingrosso. Per mantenere il passo delle trasformazioni del quartiere l’attività inizia a trattare, intorno agli anni ’80 nuovi prodotti come maschere e parrucche. Nel frattempo per fare fronte alle difficoltà legate al periodo di trasformazione del quartiere Giovanni ha iniziato a partecipare a mercati sparsi su tutto il territorio piemontese per vendere quello che era rimasto della vecchia anima dell’attività, e ritrovando piccoli antichi tesori (come vecchie cartoline). Oggi l’attività tratta moltissime categorie diverse di oggetti da quelle più comuni come giocattoli e cartoleria a quelli più settoriali come i giocattoli in latta, gli articoli di giocoleria e gli articoli per il body painting. Insomma ce n’è per tutti i gusti!
ForMattArt è un' Associazione culturale di Promozione Sociale, fondata nel 2011, con l'obiettivo di promuovere attività culturali, educative, formative, finalizzate alla solidarietà sociale e a garantire il Diritto alla cultura, all’arte e ad un’educazione di qualità per le persone, a partire dai bambini e ragazzi, che vivono in situazioni di marginalità o fragilità sociale. Crediamo che attraverso l’Arte, la Cultura e la Bellezza si possa favorire la creazione di un sistema di connessioni tra realtà territoriali capaci di cooperare tra loro e di sostenere processi di coesione, promozione e trasformazione del contesto sociale, attivando percorsi culturali propositivi e trasformativi delle persone coinvolte e dei territori in cui vivono. ARTvocacy® è la storia di un incontro: il filo rosso dell'ARTE abbraccia le azioni di ADVOCACY per dar voce a chi non ce l'ha. Cuore delle progettazioni di ForMattArt, si occupa delll’avvio e potenziamento di attività ArtEducative agite dentro e fuori la scuola, sviluppate a partire da diversi linguaggi artistici, in particolare, teatro, musica e arti visive. Da diversi anni si occupa di attivare processi di advocacy per i minori e adulti in situazioni di fragilità.
Sono Laura, la titolare del Convitto Cafè, un bistrot ma soprattutto una torteria, che sforniamo da ormai 22 anni. I giovani vengono spesso qui a fare merenda, e le torte vengono realizzate con nostre ricette che ci tramandiamo da anni. Per lo più torte da forno che si accompagnano bene con una bevanda calda. Io ho insegnato alla scuola materna, ma poi mi sono innamorata della cucina vegetariana e abbiamo aperto nell'85 un circolo arci dove facevamo corsi di cucina. Questo è diventato il mio mondo. Poi la mia famiglia si è allargata e la ristorazione impegna molto la sera, allora mi sono inventata il Convitto anche per ritagliarmi il tempo libero necessario. Io mi occupo un pò di tutto, si gestisco, ma mi trovate spesso in cucina a preparare le torte! Questo luogo è come se fosse il mio terzo figlio maschio. Ora potete acquistare le nostre torte anche online!
Laura fa parte della Comunità del Dono della Portineria e spesso regala le sue torte agli abitanti e alle famiglie della Portineria di Comunità
Sono Simone e sono uno dei fondatori dell'Associazione Lorenzo Furfari. Ora mi trovo all'interno dell'Arci Corvetto dove abbiamo fondato una sala prove e uno studio di registrazione rivolto a giovani ragazzi e ragazze per offrire un punto di ritrovo e un luogo dove registrare, scrivere e imparare la musica, soprattutto del mondo rap, hip-hop e trap. Qui vengono molti artisti alle prime armi, la musica è un'importantissima via di uscita, valvola di sfogo e salvezza per molti quindi noi li vogliamo accompagnare. Vengono anche tanti musicisti che si preparano ai concerti live. I legami sociali per noi sono molti importanti, lavoriamo anche con le scuole del quartiere e le associazioni, sia per farci conoscere che per valorizzare il nostro lavoro.
La storia della Cooperativa Koinè nasce nel luglio 1989, quando due socie dell’originaria cooperativa Abacus (società di ricerche di mercato e sondaggi d’opinione), decidono di conservare il patrimonio economico e professionale accumulato in dieci anni di attività e di investirlo in progetti di utilità sociale. Dal luglio 1989, parallelamente al cambio di nome, Koinè avvia un processo di trasformazione per operare nell’ambito dei servizi alla persona. Si costituisce così nel corso del tempo un nuovo corpo sociale che a maggio del 1993 modifica, in seguito alla legge 381/91 (istituzione delle cooperative sociali), la denominazione della Cooperativa in Koinè cooperativa sociale, che nel 2004 diventa anche onlus. Il gruppo promotore, fortemente motivato a lavorare in ambito cooperativo, si pone i seguenti obiettivi: Partecipare collegialmente alla gestione dell’impresa - Sviluppare nuove attività e nuovi progetti che, grazie al supporto organizzativo e finanziario, possano perseguire obiettivi di qualità e innovazione - Coniugare capacità professionali e motivazione sociale per affermare la cooperativa sul mercato dei servizi alla persona - Sviluppare le competenze professionali dei soci attraverso costanti percorsi formativi.
L’associazione culturale Plurima è un’associazione culturale che promuove la coesione sociale e la cittadinanza attiva attraverso la co-creazione e la narrazione territoriale, operando nei territori coinvolti da processi di rigenerazione urbana a base culturale. Caratterizzata da un team interdisciplinare di giovani under 35, considera la narrazione territoriale partecipata come uno strumento in grado di costruire, valorizzare e articolare immaginari del presente e del futuro, in grado di catalizzare un cambiamento positivo nei territori. L’associazione utilizza linguaggi che spaziano dall’audiovisivo al design, dal performativo al documentaristico, realizzando laboratori esplorativi e percorsi formativi per pubblici di diversa età e provenienza, con lo scopo di riscoprire i luoghi della propria quotidianità da una prospettiva inedita e di sviluppare consapevolezza sui temi dei beni comuni (materiali e immateriali), dell’intercultura e intergenerazionalità e della sostenibilità ambientale. A quasi due anni dalla costituzione (luglio 2019) l’associazione ha sviluppato e realizzato quattro progetti di supporto alla rigenerazione urbana a base culturale, in qualità di ente singolo, realizzando progetti narrazione territoriale (tra cui “Storie Liquide, Archivio partecipato di Corvetto”) e due corsi di formazione sulle competenze di storytelling digitale nel contesto del Municipio 4 (di cui fa parte il quartiere Corvetto). L'associazione ha inoltre presentato altri progetti in partenariato con focus narrazione dei territori per la città di Milano, in particolare nei Municipi 4, 5 e 8 ed è membro attivo della Rete Corvetto;
Siamo un gruppo di persone che hanno deciso volontariamente di incontrarsi per acquistare prodotti alimentari o di uso comune, da distribuire tra loro senza costi aggiuntivi, portando sulle nostre tavole cibi che rispettano l'ambiente, il lavoro e che siano salutari. Stiamo lavorando in collaborazione con altre associazioni del quartiere per fare rete e costruire delle relazioni. Noi ridistribuiamo i prodotti, a tutti i soci, senza costi aggiuntivi. Con le quote associative sosteniamo le spese amministrative e le visite ai nostri produttori. I produttori del GAS rispettano i nostri principi di base: certificati biologici oppure in conversione (perchè è un prodotto garantito dalla legislazione nazionale ed europea, che ne assicura il metodo di produzione. I prodotti che provengono da agricoltura biologica sono ottenuti senza alcuna sostanza chimica di sintesi e nel pieno rispetto dell’ambiente. Il prodotto biologico infine garantisce qualità e genuinità, prerogative indispensabili per nutrirsi in modo equilibrato, completo e sano); no intermediazione, acquisto diretto dai produttori (questo ci garantisce prezzi bassi perchè abbattiamo i costi della logistica); preferiamo piccoli produttori con i quali creare dei rapporti di scambio trasparenti basati sulla reciproca conoscenza e fiducia (questo non vuol dire che se qualcosa cambia il patto rimane in essere; non acquistiamo da produttori che applicano prezzi più alti rispetto a quelli della GDO.
L’Associazione di Promozione Sociale Fucine Vulcano nasce nell’ottobre 2013 dall’iniziativa di un gruppo di ragazzi milanesi legati da una passione decennale per la mobilità sostenibile e per l’innovazione progettuale. Le fondamenta di Fucine Vulcano poggiano sia su i percorsi di studio e lavoro dei soci, che su un progetto sperimentale da essi curato per due anni: “La Ciclofficina Digitale” fondata e gestita presso la storica Associazione Culturale Ohibò Kashba. L’esperienza maturata e l’avviamento di un costante dialogo con le istituzioni cittadine locali, in particolare con il Consiglio di Zona 4 di Milano, ha poi portato alla costituzione di Fucine Vulcano il 14 ottobre 2013. L’intento che Fucine Vulcano si propone è di partecipare attivamente e in modo consapevole alla promozione di un sistema di condivisione libera e orizzontale. Le Fucine si propongono di mettere in comune conoscenze e strumenti al fine di promuovere un uso più consapevole delle risorse, in particolare quelle che il territorio locale offre. L’attenzione è rivolta alla sensibilizzazione della collettività riguardo l’importanza sociale ed ambientale della mobilità eco-sostenibile, dell’innovazione progettuale e del riutilizzo creativo dei materiali. In quest’ottica Fucine Vulcano rappresenta un luogo di aggregazione e incontro che favorisce il confronto creativo, valorizza inventiva e sperimentazioni e connette i diversi contesti socio-culturali e artistici presenti sul territorio. Per adempiere a tali obiettivi l’Associazione opera nella forma di Open Lab: oltre a mettere a disposizione strumenti e risorse, offre infatti servizi sinergici, che si integrano reciprocamente per stimolare nuovi approcci creativi alle risorse a disposizione.
L’associazione Croce d’Oro nasce nel 1957 su iniziativa di un piccolo gruppo di volontari che grazie a una auto-tassazione acquistano e mettono a disposizione dei cittadini una ambulanza e la loro buona volontà. Deve il suo nome a Guglielmo Candiani, pittore milanese che, oltre a esserne uno dei fondatori, dedicò molta parte della sua vita alla Croce d’Oro.Ancora oggi nella nostra sede è appeso un suo quadro. Dal 1957 a oggi le cose sono radicalmente cambiate nel campo del primo soccorso, che adesso prende il nome di “Emergenza Urgenza”; dalla buona volontà si è passati alla professionalizzazione dei volontari, le ambulanze da semplici mezzi di trasposto si sono trasformate in veicoli speciali che devono rispondere a precise normative sia in termini di dotazioni sanitarie che di requisiti strutturali; l’organizzazione del soccorso è passata dal coordinamento dei mezzi di soccorso da parte della Polizia Municipale di Milano (che rispondeva al numero 7733 e che smistava le chiamate di soccorso al centralino dell’associazione che a sua volta attivava le macchine attraverso le colonnine) a un complesso sistema di rilevazione del bisogno e di attivazione dell’intervento (numero unico sul territorio nazionale 112), effettuato da personale sanitario e tecnico formato apposita-mente per questo fondamentale servizio di assistenza alla popolazione della nostra città. La Croce d’Oro ha sempre partecipato in qualità di protagonista ai cambiamenti che si sono succeduti nel corso del tempo e da parecchi anni si distingue qualitativamente e quantitativamente tra le Associazioni che effettuano il servizio di Emergenza Urgenza nella città di Milano.
Irina è russa ma la sua famiglia proviene per metà dalla Francia e metà dal Kazakistan. Ha 27 anni ed è un artista a tutto tondo: dalla danza classica, al pianoforte, dal canto lirico al folk con l'orchestra dei popoli. E' entrata in conservatorio come compositrice e cerca di unire tutte queste conoscenze attraverso delle performance. Con "Catene" ha realizzato la sua prima performance con la sua musica originale. Un tema che l'affascina è quello della morte, un tema difficile da far accettare anche al pubblico, ma le sofferenze umane sono al centro della sua riflessione artistica. Non è un elemento oscuro per lei, non è mai la fine ma è l'inizio di qualcosa di nuovo o una meta da raggiungere, per lei la morte è come una figura quasi materna. Senza spavento e senza paura.
Dal maggio 2014 la Associazione MiRaggio (grazie ad una convenzione con l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Milano) opera all’interno della Casa dell’Accoglienza Enzo Jannacci. MiRaggio è una associazione culturale con oltre 15 anni di attività, avviata come Ciclofficina sociale, che ha poi generato come “spin off” una società commerciale a pieno titolo. L’Associazione ha proseguito con attività formative presso scuole, comunità ed – in generale – contesti di fragilità sociale, in cui imparare la cura del proprio mezzo di trasporto diventa strumento di auto-promozione ed educazione a stili di vita sobri e socialmente responsabili. La Officina delle Biciclette di Casa Jannacci rappresenta una esperienza di impresa sociale innovativa e sostenibile, che offre agli ospiti della Casa una occasione di promozione sociale e nel contempo propone un servizio alla cittadinanza di “usato sicuro e legale”, che va a soddisfare la domanda di mobilità sobria, economica ed ecologica. La caratteristica principale della associazione è di fare formazione nell’ambito di una reale attività imprenditoriale, rivolta a clienti paganti: non ente assistenziale, ma impresa sociale che opera sul mercato libero. Inoltre l’Officina contribuisce anche a livello comunicativo e d’immagine a connotare diversamente, rispetto al passato la Casa dell’Accoglienza: non più dormitorio, ma struttura polivalente che si apre alla città. I corsi di formazione sono rivolti agli ospiti di Casa Jannacci e di altri Centri di Accoglienza Straordinaria in zona, minori non accompagnati in affido a comunità, adolescenti seguiti da cooperative presso centri diurni ed utenti singoli inviati dai Servizi Sociali del Comune. L’Officina offre un servizio di recupero e rimessa in strada di biciclette abbandonate (raccolte presso privati, condomini e donatori in genere) e riparazione per clienti esterni. Oltre agli utenti della Casa dell’Accoglienza e dei diversi centri per richiedenti asilo della zona, utilizzano quotidianamente i servizi dell’Officina anche cittadini della zona con limitata capacità di spesa e cittadini sensibili all’usato legale sicuro e solidale.
Il Progetto "Parrocchie e Periferia" è una sperimentazione biennale della diocesi di Milano, che prevede la presenza di quattro coppie di educatori in quattro parrocchie della periferia di Milano (Corvetto, Piazzale Cuoco, Baggio e Quart’Oggiaro) quasi a formare una diagonale che attraversa la città. Il progetto è coordinato da Caritas Ambrosiana e FOM (Fondazione Oratori Milanesi) e gestito amministrativamente dalle cooperative “Aquila e Priscilla” e “Farsi Prossimo”. Nasce dall’urgenza dei bisogni espressi e condivisi in seno al tavolo dei parroci di periferia e ha tre livelli: quello parrocchiale, quello territoriale e quello di rielaborazione culturale del progetto nella comunità di rete fra professionisti affinchè il progetto sia sostenibile, replicabile e generativo, queste le tre parole-chiave che ci stanno facendo da guida. Gli obiettivi del progetto sono attivare strategie affinchè la parrocchia possa abitare la periferia in rete con il territorio e la sperimentazione di una nuova figura dell’educatore professionale in oratorio, un operatore pastorale sul territorio che sia un educatore di rete"
Milano Bicycle Coalition è una piattaforma di contenuti e servizi dedicati alla mobilità sostenibile attiva nell’area di Milano. Milano Bicycle Coalition vuole contribuire alla diffusione di una cultura alta della bicicletta, dove il mezzo di trasporto sia usato e visto come occasione di integrazione sociale, crescita culturale ed economica, amicizia e consapevolezza. Milano Bicycle Coalition ha anche l’ambizione di contribuire alla pacificazione dei rapporti sulle strade di Milano, uscendo dalla logica delle categorie contrapposte. Milano Bicycle Coalition si propone di attivare una serie di progetti e iniziative che facciano crescere la quantità e la qualità dei ciclisti urbani, trasformando al contempo il tema della ciclabilità in una grande opportunità per la città tutta.
AbbracciaMi è il progetto per la mobilità sostenibile promosso all’interno del programma Lacittàintorno di Fondazione Cariplo che coinvolge gli abitanti nella riattivazione e risignificazione di spazi per migliorare la qualità della vita e stimolare nuove geografie cittadine. Il progetto prevede l’identificazione di una circle line ciclabile di circa 70 km che metta in collegamento il perimetro della città di Milano, incontrando e collegando 19 quartieri milanesi e oltre 20 parchi, urbani, agricoli e di cintura metropolitana. Snodo importante è Made in Corvetto, il primo punto di comunità de Lacittàintorno, inaugurato a febbraio all’interno del mercato comunale di Piazzale Ferrara, e dove si trova anche la ciclofficina gestita da Milano Bicycle Coalition.
Said e Mustapha hanno dato vita a un progetto che propone una scuola di arabo ai bambini e alle bambini che favorisce l'integrazione e la conoscenza della propria identità attraverso la lingua e la storia dell'arabo classico. Attraverso i bambini poi sono entrati in contatto anche con i genitori per coinvolgerli e trattare insieme a loro di alcuni temi fondamentali dalla violenza sulle donne, allo sradicamento, all'integrazione. Molti genitori sono anche analfabeti e quindi l'associazione si vuole prendere cura anche di loro, perché tutto fa parte dell'educazione dei bambini. L'associazione è costituita da mediatori e insegnanti volontari.
Mi chiamo Abdoulaye, ho 31 anni, vengo da Senegal e sono quasi 4 anni che sono in Italia. Mi sono trasferito perché pensavo che sarebbe stato più facile trovare un lavoro qui che non nel mio paese. Invece la situazione qui è difficile, in più a causa del Covid è diventato ancor più complesso. Vorrei trovare lavoro per aiutar la mia famiglia in Senegal. Nel mio paese io lavoravo nel negozio di mio fratello di articoli alimentari. Quando le persone qui pensano che io per via del colore della pelle, essendo straniero, sia un delinquente, questo mi ferisce molto, perché io non sono così.
Mi chiamo Baudelaire, a settembre compirò 28 anni, vengo dalla Costa D’Avorio. Sono un artigiano calzolaio e vivo in Italia dal 2007, avevo 13 anni e all’inizio per me era difficile ma poi mi sono ambientato. Io studiavo la ragioneria, ma nel pomeriggio andavo a dare una mano a mio zio che faceva il calzolaio e lavorando lì è nata la mia passione. Amo l’odore del cuoio e l’intero processo della produzione della scarpa fin dall’inizio.
Mi chiamo Natalia, sono una fotografa e abito a Milano da 12 anni. Negli ultimi due anni ho anche iniziato a fare la comica dello Stand-Up Comedy. Ho studiato allo IED facendo un corso di fotografia e poi ci sono rimasta a Milano, perché mi piace come città. Siccome ultimamente la fotografia è diventato proprio un mio mezzo di lavoro, mi mancava la parte più creativa e credo che sia proprio per questo che ho sentito la necessità di sperimentarmi anche in un altro ambito. Mi piacciono tantissime cose, sarebbe difficile sceglierne solo qualcuna, per cui potrei dire che più in generale mi piace vivere.
Mi chiamo Alessandro De Marco, sono nato, cresciuto e vivo nella zona di Corvetto, che amo tanto nei suoi pregi e anche nei suoi difetti. Ho due figli che crescono e vivono intensamente questo contesto. La mia storia è la storia dello sport, in quanto per me ha avuto un ruolo molto importante vivendo io in una zona periferica. In particolar modo gli sport dell’acqua: nuoto e pallanuoto. Avevo fatto le scuole di quartiere e all’inizio della mia carriera sportiva avevo iniziato a frequentare lo Snam di San Donato. Crescendo in questa zona era un attimo intraprendere la strada sbagliata, come alcuni dei miei amici purtroppo avevano fatto. Io, invece, grazie alla frequentazione dell’ambiente dell’Arci e dello sport ero stato aiutato ad evitare quei pericoli. Ora lavoro in un’azienda di assicurazioni e faccio parte della società sportiva di Metanopoli.
L’Associazione e la Cooperativa La Strada sono organizzazioni senza fini di lucro, che operano ogni giorno a fianco di persone in difficoltà per far fronte a problemi di scuola, famiglia, casa, lavoro, salute, povertà, solitudine, integrazione. Nei diversi centri (residenziali e diurni) e attraverso i suoi servizi e progetti, La Strada offre accoglienza, educazione, aggregazione, coesione, formazione e inserimento lavorativo, cura e aggiornamento professionale specialistico. La Strada collabora e si coordina con le istituzioni e le altre realtà del Terzo Settore per rispondere in maniera concreta, integrata ed efficace ai bisogni delle persone. Gestito da La Strada "Made in Corvetto" all'interno del Mercato coperto di Piazzale Ferrara è il primo Punto di comunità (PuntoCom) di Lacittàintorno, programma di Fondazione Cariplo che coinvolge gli abitanti dei contesti urbani fragili nella riattivazione e risignificazione degli spazi inutilizzati o in stato di degrado, per migliorare la qualità della vita e creare “nuove geografie” cittadine. In particolare, tra le attività che si sono svolte nel Corvetto nel corso del 2020, si ricordano le azioni della Cucina di Quartiere del PuntoCom – gestita da due giovani chef nati e cresciuti in zona Corvetto – che è stata un importante centro di azione. Gestito dalla Cooperativa Sociale La Strada, già attiva nel quartiere, in collaborazione con le associazioni Milano Bicycle Coalition e Terzo Paesaggio, Made in Corvetto ambisce ad affiancare un’attività di natura culturale e aggregativa alle tradizionali funzioni commerciali proprie del mercato, contribuendo a migliorare la qualità del quartiere sia dal punto di vista della sua attrattività che del benessere degli abitanti e della coesione della comunità.
Mi chiamo Ercole, ho 58 anni, sono sposato, ho tre figli e una cagnetta che fa parte ormai della famiglia. Sono nato Abruzzo, ho studiato a Roma giurisprudenza e sono venuto a Milano per fare un master e ci sono rimasto, dove lavoro da 32 anni nell'imprenditoria editoriale. Da sempre sono stato sensibile ai temi sociali, tre anni fa sono stato coinvolto in un progetto sociale di cui ero il manager, mi sono sempre occupato di consulenza alla comunicazione. Per me è stata una svolta, in quanto da allora ho istituito una piccola associazione che si chiama “Sentieri educativi e sociale” e la quale si occupa soprattutto dei temi di disagio giovanile nella zona Corvetto. Dopo pochi mesi della fondazione, però, era arrivato il lockdown e ci siamo trovati ad aiutare le fasce della popolazione più deboli. Tramite le attività svolte in quel periodo abbiamo incontrato le famiglie le quali di solito sono più difficili da intercettare. Come associazione poniamo molta attenzione all’autosostentamento nonché alla professionalità. Sono diventato una sorta di manager sociale e ho conosciuto Corvetto, i suoi problemi ma soprattutto la potenza e l'energia della periferia, il senso vitale e di comunità che si sta perdendo.
Sono Ida, sono arrivata a Milano quando avevo 2 anni e sono 84 anni che abito nella zona Corvetto. All’inizio era proprio una zona periferica con i campi e le cascine. Dopo la guerra invece, hanno iniziato a costruire i palazzi. Ad un certo punto nella zona era arrivata la droga e molti ragazzi giovani sono morti a causa di questo. Era un grandissimo dispiacere perché all’epoca ci conoscevamo tutti. Nella mia vita ho sempre lavorato fin da quando avevo 14 anni, ho cambiato molteplici lavori per poi diventare una podologa. E lavorando con gli anziani e le persone che non stavano
Mi chiamo Marta, ho 20 anni e da qualche mese sono alla ricerca di un lavoro. Ho frequentato il liceo delle scienze umane e dopo cinque anni, come la maggior parte delle persone sono andata diretta all’università. In seguito, però, mi ero resa conto che non mi trovavo bene con gli studi. Così avevo deciso di lasciare l’università e di cercare lavoro. Avevo fatto la facoltà di Storia all’università, perché mi piaceva molto. Adesso sto cercando lavoro, mi piacerebbe lavorare in una libreria, mi piace molto l’ambiente dei libri. E mi piace molto scrivere racconti di ogni tipo, principalmente fantasy e distopici. Qualche anno fa sono stata coautrice di un libro di psicologia. Sono molto affascinata dai paesi del nord Europa e un giorno mi piacerebbe trasferirmi lì, in particolar modo in Svezia. Ora sto scrivendo un mio libro, sperando di poterlo pubblicare un giorno.
Sono Nicholas, ho 20 anni, sono nato a Fiorenzuola d'Adda in provincia di Piacenza ma vivo a Milano. Ho terminato una scuola professionale in informatica, è una passione che ho fin da piccolo. So creare i siti web, ma anche so riparare e assemblare i pc e i principi della programmazione. Amo giocare ai videogames, a calcio e anche leggere. Sto cercando lavoro sia nel mio ambito, ma anche in altri campi andrebbe bene per fare esperienza, per esempio nella ristorazione come cameriere. Ho frequentato Corvetto, è un quartiere diverso da un luogo all'altro.
Io sono Diego, ho 47 anni e vengo da Rho. Mi piace, però, dire che sono ligure perché le mie radici familiari sono profondamente radicate in un paesino vicino a Porto Venere. Abito a Rho e lavoro a Milano presso l’associazione che si chiama “La nostra comunità”, la quale da quarant’anni anni lavora con le persone con fragilità, soprattutto quelle mentali. Gestiamo dei servizi alla persona, strutture educative e animative. Ci occupiamo più in generale dell’inclusione delle persone con fragilità nella comunità, promuovendo anche un cambiamento di mentalità per una società più inclusiva. Lavoriamo con tante realtà e attraverso queste collaborazioni cerchiamo di proporre delle attività che possano essere utili a tutta la cittadinanza attraverso il coinvolgimento in prima persona dei cittadini con i quali lavoriamo, cercando di trasformare il limite in un risorsa. Il rapporto con Corvetto va avanti da molti anni, ho lavorato in due scuole in passato con un'azione educativa utile ai bisogni dei ragazzi. La parola che mi viene da dire è bellezza, per le relazioni intraprese qui.
Sono Antonella, ho 42 anni, abito a due minuti dal mio luogo di lavoro che è l’Ostello Madama Hostel. La mia avventura in zona nasce 15 anni fa. In passato ho lavorato come grafica pubblicitaria fino ai 30 anni, a seguito di un periodo di crisi sono stata lasciata a casa. Allora con i miei vicini di casa e altri amici abbiamo ideato prima un’associazione culturale e dopodichè abbiamo deciso di aprire l'ostello, dopo che la proprietaria di casa ci disse che avrebbe messo in affitto uno spazio da tempo in disuso. Una volta al posto dell’ostello c’era la questura di zona, ed è per questo che abbiamo voluto chiamarlo "Madama "con riferimento alla polizia. Tutti noi siamo amanti del viaggio e volevamo creare qualcosa che riguardasse questa nostra passione. Il nostro è un Ostello con Bistrot ma aperto a molte altre attività come la musica dal vivo, il karaoke, appuntamenti culturali. Nel futuro ci aspettiamo che molti stranieri ritornino a frequentare l'ostello. Questa zona è stata una scoperta, ha un meltin pot davvero variegato, sarebbe bello ci fosse più attenzione da punto di vista della sicurezza e pulizia.
Sono nata è cresciuta a Shangai, dopo le medi mi sono trasferita a Milan o con mio papà facendo il ricongiungimento familiare con mia mamma. Ho fatto il liceo e l'università qui e faccio la mediatrice culturale in un poliambulatorio e collaboro con la Comunità di Sant'Egidio che ho conosciuto al secondo anno di liceo. Ci hanno parlato del doposcuola della pace per bambini che mi ha attirata molto. Da lì è iniziato tutto il percorso con la comunità che è preghiera, aiuto per i poveri, amicizia e pace. Corvetto è un quartiere fatto da tanti anziani e stranieri, ha alcuni problemi, ma il nostro compito è lavorare sull'integrazione e dimostrare che una convivenza pacifica tra persone è possibile ed esiste già, per esempio nella Scuola della pace bambini diversi crescono insieme. Proviamo a portare amicizia e costruire legami tra le persone.
Ciao, sono Valter, appassionato di musica da sempre la quale mi ha aiutato a tenermi lontano dagli ambienti pericolosi del quartiere dove sono cresciuto. Sono stato fortunato. Ho suonato in un gruppo storico milanese Casino Royale e poi ho iniziato a lavorare all’interno degli studi di registrazione e produzione musicale. Recentemente ho fondato l’associazione “Uno spazio per tutti”, tramite la quale cerco di aiutare i ragazzi di quartiere inserendoli all’interno di un percorso musicale. Attraverso questa esperienza i giovani sono chiamati ad esprimersi attraverso la creazione brani musicali, i quali poi possono essere prodotti all’interno di uno studio di registrazione. Corvetto è un quartiere particolare, oggi sto seguendo dei ragazzi che attraverso il rap possano costruire qualcosa di vero da un pensiero e un'esigenza personale. Siamo all'interno del progetto La Scuola dei quartieri e daremo voce ai ragazzi e poter realizzare il proprio sogno.
Sono Leonardo, sono nato a Milano, anche se avrei preferito nascere in Asia o in Africa. Ho studiato scienze politiche e avrei voluto fare il diplomatico, ma da sempre sono stato attratto dall’associazionismo. A Corvetto abbiamo creato Cat, “gatto”, in quanto ci piaceva l’idea che si potesse girare per il quartiere e curiosare in giro vedendo posti nuovi proprio come fanno questi animali. Gli amici dell'Ecuador dell'associazione Baobab abbiamo cominciato a fare il giro del mondo stando a Milano condividendo esperienze con diverse comunità. Attraverso le nostre passeggiate di quartiere, tour guidati ci piacerebbe far conoscere le associazioni e le attività presenti a Corvetto, sia ai cittadini che ci abitano sia alle persone che vengono da fuori. Facciamo parte del progetto La Scuola dei quartieri. Corvetto ci ha colpito per il nostro lavoro perchè è un ponte tra passato e futuro.
Ciao, sono Erik, sono nato qui a Milano e più precisamente in piazzale Corvetto. Sono appassionato di cucina e sono uno cuoco e chef. Durante i vari cicli scolastici sono sempre rimasto nella mia zona, però per la mia professione dovendo sempre imparare, ho girato molto l’Italia. Mi sono specializzato in cucina mediterranea e ho girato molto la Sardegna per imparare a cucinare il pesce e le verdure. A 20 anni sono tornato a Milano e ho iniziato a lavorare in un ristorante sardo, nel quale sono stato cuoco per 8 anni. Mi sono poi spostato a lavorare in Svizzera e rientrando a Milano ho ricercato le mie origini, così ho accettato la proposta di far parte del progetto Made in Corvetto perchè volevo essere utile per il mio quartiere e provare a portare cambiamento in un luogo un pò sbagliato della città. Ci troviamo nel mercato di Piazzale Ferrara e abbiamo una cucina di quartiere in una piazza dimenticata di Milano. Il Corvetto è sempre diverso, ogni giorno c'è qualcosa di nuovo e io lo amo.
Mi chiamo Marianna, ho 27 anni, vengo da Roma. Sette anni fa mi sono trasferita a Milano, perchè volevo ampliare i miei sguardi. Mi sono laureata qui in architettura. Adesso lavoro a progetti di architettura in contesti marginali, sono dottoranda e assegnista di ricerca al Politecnico di Milano e faccio parte dell’associazione Terzo paesaggio, con cui ci siamo conosciuti per seguire una prima ricerca che stavo portando avanti con un mio collega. L’associazione si occupa di portare avanti processi di rigenerazione urbana in luoghi marginali coinvolgendo le comunità del territorio. E' il luogo delle possibilità, di aprire possibilità di azione attraverso diverse discipline. Si lavora nei luoghi cercando di creare reti e connessioni tra luoghi e persone e il senso di appartenenza. Sta cercando di mettere in contatto Corvetto e Chiaravalle. Sto lavorando dentro Corvetto ad un progetto dedicato al valore dello spazio pubblico in termini culturali. Vorremmo provare ad inserire campi gioco in collaborazione con le reti che operano già su questo territorio. E' un quartiere giovanissimo. Vorremmo assemblare creativamente i diversi attori locali, i bambini e il parco. Esiste una situazione di conflitto a Corvetto ma che è anche la sua risorsa, un laboratorio per ripensarlo.
Sono Paolo e abito a Corvetto quasi da quattro anni. Vengo da un paesino di campagna e mi sono avvicinato alla città facendo l’università. Insieme alla mia ragazza cercavamo casa dove poter stare comodi in due e abbiamo scelto questo quartiere, anche se inizialmente avevo qualche dubbio a riguardo. Trasferendoci, ci eravamo trovati subito bene e durante il periodo del lockdown abbiamo scoperto moltissime attività presenti nel quartiere e devo dire che ci sta piacendo sempre di più vivere qui. Siamo vicini al Parco Agricolo Sud e a due passi dalla campagna ma è anche una zona iperservita dai mezzi. Forse manca qualche luogo di aggregazione giovanile e locali da frquentare. Sono un ingegnere biomedico ma nel tempo libero mi piace molto correre in questa palestra a cielo aperto, gioco anche un pò a basket e sono appassionato di tante cose, tra cui anche l'andamento del quartiere e di come funziona la vita associativa e culturale qui intorno.
Ciao, sono Monica, ho 24 anni, sono nata in Perù, però ho fatto le scuole qui. Mi piacciono molto i bambini e grazie all’aiuto di mia zia, la quale è diventata la mia socia, abbiamo deciso di aprire un negozio di articoli di feste e decorazioni a Corvetto. Ci occupiamo anche di allestimenti per le feste, per i compleanni. Mi piace vedere il sorriso dei bambini. Nel futuro mi piacerebbe molto che il nostro negozio fosse più conosciuto e magari che potessimo diventare più grandi.
Sono Laura Denaro, sono responsabile della Biblioteca Comunale Oglio in cui ci troviamo. Sono arrivata in questa biblioteca in modo particolare perchè venivo a studiare quando ero ancora studentessa. Poi c'è stato un bando e sono riuscita a entrare a lavorare qui. Durante il mio percorso di vita avevo passato un periodo in Cina e lì mi avevano chiesto di valutare un fondo librario del posto. In quell’occasione era nata la mia curiosità per questo ambito. Lavorandoci poi ho capito che la biblioteca non è un luogo di prestito e basta, ma è molto di più. E' ricco di strumenti per conoscere il mondo, altre culture e incontrare persone, è un luogo di socialità e formazione, per imparare ad imparare, restare curiosi e saper stare insieme agli altri. Penso ci sia un pregiudizio negativo su zone come questa, ma con i fatti e racconti come questo possiamo riuscire a far cambiare idea.
Sono Anna Pacchi, per tanti anni ho lavorato nel mondo dell'editoria del cibo, occupandomi riviste di cucina. Il mondo della cucina e del cibo ha sempre fatto parte di me: ho imparato a cucinare con mia nonna e mi è sempre piaciuto farlo. Provavo le ricette per capire se i passaggi nella lettura fossero comprensibili a tutti. Mi è sempre piaciuto la panificazione, dopo qualche corso che avevo fatto mi ero resa conto che era diventata la mia grande passione. Ho da sempre pensato che un elemento come il pane potesse diventare uno strumento di aggregazione delle persone. Con l’associazione Forno Condiviso, che fa parte della Scuola dei quartieri, cerchiamo di creare i momenti di condivisione facendo il pane, un modo per creare un discorso e relazioni intorno al processo di panificazione. Oggi andiamo nelle scuole, siamo amatori del pane, lo raccontiamo e ce lo facciamo raccontare. Trovo Corvetto un quartiere stimolante.
Mi chiamo Andrea, ho 61 anni, ho fatto liceo classico. Mio padre faceva il medico e anche io avrei dovuto fare la stessa professione, ho seguito questo questo percorso di studi per qualche anno ma poi mi sono ritirato per una crisi personale che mi ha portato a ridisegnare la mia vita. Così mi sono iscritto a scuola per burattinai al teatro Verdi di Milano e ho lavorato per qualche anno come burattinaio. All’epoca ero alla ricerca di un lavoro che mi desse soddisfazione: disegnavo, avevo fatto anche il mimo e anche un po’ di teatro. Però, in seguito, avevo optato per un lavoro più sicuro e ora faccio l’impiegato in un’azienda regionale. Però l’arte non muore dentro di noi e anche se cerchi di soffocarla, a un certo punto, riemerge. Così, dopo essermi diplomato in sassofono, ho imparato anche a suonare e costruire i flauti in bambù. Mi è sempre piaciuto fare qualcosa con le mie mani. Attualmente avendo un lavoro a tempo pieno, non faccio più gli spettacoli di burattini in modo ufficiale. Però, negli ultimi anni mi è capitato qualche volta di farli, anche per i miei nipoti. Ho scritto due nuove storie, nelle quali il protagonista è l’Arlecchino. Servirebbe una maggiore attenzione a questo tipo di arte e saper fare.
Sono Merce, sono spagnola e sono venuta qua a Milano 30 anni fa. Appena arrivata ho subito cercato qualcuno che si occupasse dell’educazione alla pace. Inizialmente sono venuta in contatto con l'associazione Pace e dintorni con cui ho imparato ad affrontare il tema della gestione dei conflitti. Ad un certo punto della mia vita ho sentito l’esigenza di creare un’associazione che si occupasse delle questioni di pace e della non violenza in modo più continuo. Così, insieme ad un gruppo di associazioni abbiamo fondato la Casa per la Pace a Milano. Adesso, l’associazione è un luogo dove si trovano le persone che vogliono investire nella pace, un crocevia e riferimento per la città. Il nostro obiettivo principale è quello di diffondere la cultura della non violenza e lo facciamo attraverso molteplici attività tra cui corsi di italiano per stranieri, corsi sulla gestione dei conflitti e la cultura non violenti. Abbiamo uno strumento formativo che si chiama Gli altri siamo noi, per tentare di aprire le persone a farsi delle domande e aprire la mente. Ci occupiamo anche di turismo responsabile, viaggi come mezzo didattico. Inoltre svolgiamo attività con il teatro dell'oppresso, che usiamo nelle scuole del quartiere di Corvetto e nei cortili delle case popolari.
Sono Betsy, vengo dall’Equador, ma sono 20 anni che vivo a Milano. Sono arrivata a 22 anni e la mia fortuna è stata aver una laurea in tecnologia informatica, la quale mi è servita per continuare gli studi qui e non perdere anni. Mi sono iscritta all’Accademia di belle arti di Milano, e mi sono laureata in scultura, passione che avevo da sempre. Dopo un po’ di tempo ho conosciuto la mia attuale socia, Tamara, e insieme abbiamo fondato l’associazione TerraCò, con la quale proponiamo dei corsi di ceramica alle persone, inserita nel progetto della Scuola dei quartieri da cui siamo accompagnati. Il nostro è anche un progetto sociale, aiutiamo le persone tramite le nostre attività a creare qualcosa con le proprie mani, utile per affrontare e superare i propri momenti di difficoltà. Siamo in contatto con molte realtà del quartiere e conoscere persone fantastiche che ci hanno supportato nello sviluppare il progetto. Il sogno è diffondere il laboratorio alla città.
Sono Alessandro Pellarin, sono nato e cresciuto a Milano, dove lavoro da sempre. Da molti anni mi occupo di attività no profit, l’esito delle quali è stata la creazione dell’associazione Artàmica, di cui sono Presidente. L'associazione si occupa di lavorare insieme ai giovani insegnando loro, attraverso percorsi con maestri artigiani come si faceva un tempo nelle botteghe, la contestualizzazione di un oggetto e la sua storia nel tempo. L’arte per me è strumento di valorizzazione delle persone. Credo che sia meglio vivere in un mondo dove tutti stiano bene e vivano nella bellezza. A Corvetto abbiamo lavorato con le arti figurative e la musica. Ciò che mi appaga è poter lasciar qualcosa che rimarrà alle persone e di aver contribuito alla storia di questa città, che è la storia del mondo.
Ciao sono Desirée, ho 25 anni, sono nata e cresciuta a Milano. Di origine, però, sono filippina e ogni volta che mi chiedono se sono italiana o filippina non mi so definire. Lavoro in un’azienda odontoiatrica all’interno della quale ho svolto vari ruoli: prima ho svolto mansioni di back office, attualmente, invece lavoro nel magazzino. Lavorativamente parlando non mi sono trovata bene in Italia e mi piacerebbe andare all’estero a lavorare, anche per imparare bene l’inglese. Poi amo tantissimo ballare, giocare a basket e anche mangiare, noto che cerco sempre la cucina italiana anche all’estero. Da molti anni vivo a Corvetto e mi trovo bene, sono abituata a viverci, essendo mamma di un bambino piccolo noto alcune difficoltà negli spostamenti con la carrozzina.
Mi chiamo Angela, ho 28 anni, sono nata in Perù nella città Lima. Ho vissuto lì tutta la mia infanzia fino ai 13 anni, poi mi sono trasferita in Argentina con i miei fratelli e mio padre per raggiungere mia madre. Lì ho vissuto l'adolescenza e terminato la scuola e ho iniziato gli studi per diventare maestra di scuola materna. Quando mi mancava un anno per finire gli studi sono tornata in Perù e ho conosciuto mio marito, con il quale eravamo compagni delle elementari. Dopo qualche mese che stavamo insieme, sono rimasta incinta e abbiamo deciso di trasferirci in Italia per dare futuro migliore al nostro bambino. Da quasi tre anni viviamo in Italia e frequento la scuola di italiano per stranieri e ho fatto piccoli corsi per diventare cantastorie di teatro. Non abbiamo ancora il permesso di soggiorno perchè l'attesa è molto lunga, ma ho fatto molto cose con mio figlio per inserirmi nel quartiere, progetti nelle biblioteche per esempio. Il mio sogno è terminare gli studi e diventare maestra. Amo giocare a pallavolo da quando sono bambina e studiare come pasticceria. Mi piacerebbe fare la babysitter al momento. Mi trovo bene a Corvetto anche se manca un pò di cura del luogo.
Mi chiamo Michele, sono nato e cresciuto a Milano, ho origini calabresi ma sono milanese a tutti gli effetti. Mi sono laureato in Scienze dell'Educazione. Sono entrato in contatto con il Circolo Terra e Libertà, realtà storica del quartiere nata nel 1946. Dapprima come volontario ma dopo mi sono reso conto che la mia formazione da educatore e l'esperienza da barman mi permetteva fare entrambe le cose in questo luogo. All’interno del circolo ci siamo noi ragazzi accomunati dagli stessi valori, tutti noi teniamo ai bisogni del quartiere e delle persone che vi abitano. Il circolo è un luogo di aggregazione e di ritrovo per le persone del quartiere, ma anche luogo degli eventi culturali, dalla presentazione di libri al cineforum, ospitiamo associazioni e realtà di Corvetto e anche del resto di Milano. Un sogno è creare un refettorio popolare per tutti.
Sono Gabriele Merola, ho 32 anni e sono responsabile delle attività di volontariato del Circolo Operaio di Porta Romana. Frequento il circolo da più di dieci anni. Di formazione sono un fisico e nella vita mi occupo di ricerca in campo scientifico, collaborando con vari centri studi. Tutto il mio tempo libero, però, lo dedico alle attività del Circolo, soprattutto durante il periodo della pandemia. Ci occupiamo con i volontari di tante attività e le abbiamo aperte a tutti i quartieri durante l'emergenza, dall'accompagnare a fare le visite mediche ad una squadra che tiene una scuola di italiano per stranieri. Sono tanti anni che opero in questa zona e ho imparato a conoscerlo, in questi ultimi mesi vi è stato un aumento delle difficoltà per le fasce più fragili.
Mi chiamo Christian e sono nato nel ’94, sono il terzo di quattro fratelli e ho un cane che si chiama Tobi. Ho avuto delle esperienze relazionali e personali pesanti durante la scuola media, però poi ne sono uscito. Ho fatto 3 anni di scuola superiore in informatica e adesso sto cercando un lavoro che mi permetta di mantenermi grazie ad un percorso di formazione che sto seguendo nel mondo della segreteria nel quale mi piacerebbe inserirmi. Ho scoperto il cinema che è la mia grande passione, leggo molto e ascolto musica. Il mio sogno sarebbe diventare scrittore, ho scritto già qualcosa. Trovo Corvetto un'ambiente sereno.
Mi chiamo Elhadji, sono senegalese, ho 45 anni. In Senegal ho moglie e bambini. Sono in Italia dal 2018. Quando ero in Senegal mi occupavo di agricoltura, facevo crescere i cereali, la frutta e mi occupavo dell'orto. Sono venuto qui per cercare lavoro, fare altre esperienze e trovare amici. Ora collaboro con l’associazione Sunugal qui a Corvetto, dove coltivo l’orto, patate, pomodori, zucchine, nel quale ho molta esperienza. Qualsiasi lavoro trovo lo faccio, perché sono un lavoratore. Amo giocare a calcio, il mio ruolo e quello dell’attaccante. Il mio sogno è aiutare gli altri.
Sono Elisabetta, ho 34 anni e mi occupo di teatro. Io, invece, sono Alessandra, ho 35 anni, sono nata e cresciuta a Milano e anche io mi occupo di teatro sociale. Insieme a Giorgia e Davide abbiamo fondato la compagnia del Teatro della Zucca. La nostra idea era di fare il teatro sociale e i laboratori da attivare anche all’interno delle scuole. Abbiamo lavorato molto in questo mondo, cercando di mantenere sempre la parte riguardante gli spettacoli e le letture teatrali. Il teatro sociale si inserisce in vari ambienti e potrebbe essere applicato a qualsiasi contesto sociale. Questo strumento, ad esempio, quando si lavora con i ragazzi diventa importante far emergere le loro storie. E' un teatro corale, all’interno del quale non c’è sempre un protagonista, ma ognuno prende il suo spazio. Ponendo l’attenzione, però, di dare attenzione alle persone che normalmente sono più silenziose. In questo modo tutti possono diventare protagonisti. Il focus principale dell’attività è quella relazionale che instaura fra le persone che ne fanno parte.
Mi chiamo Faisal, ho 18 anni, mi piace fare lavori manuali, quando uso le mani mi sento a mio agio, sono più concentrato e rilassato. Mi piacciono quasi tutti i lavori artigianali, in cui possono esprimere meglio la propria creatività. Ho fatto uno stage in una pelletteria, durante il quale facevo borse e cinture in pelle. Mi piace molto l’ambito dell’oreficeria, nel quale vorrei imparare molte cose che non conosco ancora. Mi sento bene a fare questo tipo di attività, anche perché potrei starci per ore in un laboratorio, come se giocassi, non sentendo il peso del lavoro.
Mi chiamo Ibrahim, ho 18 anni, frequento la terza superiore e faccio grafica. Mi piacciono molto le serie anime e i manga, ho una piccolo amore per la filosofia e per la cultura non accademica. Mi sono affezionato ad alcuni concetti filosofici. Ho recuperato due anni grazie ad una scuola contro l'abbandono scolastico. Il mio studio viene molto internet, per conoscere e leggere. Mi piacerebbe trovare un lavoro e diventare più autonomo.
Mi chiamo Luisa, sono nata in Porta Romana e ora abito sui Navigli. Ho un negozio di foto a Corvetto, che ha allargato un pò la sua visuale alla grafica e altri servizi. Ho iniziato a lavorare nel settore della fotografia quasi per caso a partire dal 1986, da lì non ho più smesso, anche se tornando indietro avrei fatto tutt’altro. Anche se è arricchente e mi piace stare a contatto con la gente. Avrei preferito lavorare nel sociale. Ad esempio, durante il lockdown, ho fatto la volontaria per una cooperativa sociale in un centro accoglienza per senzatetto. E ho scoperto un mondo che non conoscevo.
Mi chiamo Rossana, ho 58 anni, sono nata a Milano e ho vissuto sempre qua. Sono un'amministratore di Social Street insieme ad altre due persone. Nata dall'idea di portare nel virtuale il vicinato di casa e realizzare pratiche di quartiere collettive. Sono una delle organizzatrici del Festival artistico Di studio in studio, attraverso il quale apriamo gli studi artistici e spazi creativi a tutti. Negli anni il mio percorso mi ha portata a scoprire il mondo della fotografia e faccio la fotografa. Mio padre ci fotografava moltissimo. Amavo molto disegnare da giovane. Ho lo studio in condivisione con altri due artisti, una scultrice e fotografa, e un burattinaio. Oggi mi occupo anche di stampa e prestampa. Ospitiamo mostre e artisti, e creiamo. Tanti non sanno cosa c'è dietro una porta, e scoprono con meraviglia l'arte.
Fuori di Palazzo è un’associazione, racconta Cecilia, di vicini di casa con lo scopo di promuovere la conoscenza tra persone e sviluppare delle relazioni. L’idea nasce nel 2010 all’interno di uno stabile dove tra le famiglie presenti si erano sviluppate relazioni per superare gli ostacoli legati all’essersi trasferiti da poco in quartiere. Da questa prima esperienza si è poi estesa al di fuori dello stabile di partenza verso il vicinato, promuovendo varie forme di conoscenza ma affrontando il tema anche degli spazi pubblici, di come prendersene cura, favorendo la costruzione di un senso di fiducia tra il vicinato.
L’associazione è composta da tante persone diverse (giovani, pensionati, famiglie) ma con caratteristiche simili, come la curiosità, la vivacità, la volontà di incontrare gli altri. Per le famiglie il quartiere è più complesso da vivere per mancanza di spazi da dedicare a bambini. Anche per questo motivo hanno sperimentato uno spazio di vicinato “ArcaBalenga”, un luogo messo a disposizione del vicinato per creare socialità e relazioni e per dare la possibilità di uno spazio collettivo per diverse attività
Con l’associazione si è cercato di individuare in più palazzi possibili delle persone che si rendano disponibili per portare diverse informazioni all’interno dei palazzi, tra i vari componenti che li abitano, e di portare all’associazioni le esigenze che vengono dalle famiglie che abitano questi stabili.
Elisabetta ha la passione per il cucito e lavora da Da Capo, ha frequentato corsi di cucito sviluppando competenze e creatività. Questa passione, che ha da quando era bambina, viene anche dal fatto che la mamma possiede una macchina da cucire e la nonna era una sarta.
Da Capo è un progetto sociale che prevede la vendita di abiti usati, un modo per dare nuova vita ai vestiti reinserendoli in un circuito di distribuzione ma, al tempo stesso, è un nuovo inizio per le persone che vengono inserite lavorativamente che hanno modo di sperimentarsi all’interno del mercato del lavoro, nella vendita e accompagnamento al cliente, o anche nel lavoro manuale affiancando la sarta/modellista nel laboratorio che hanno a disposizione all’interno dello spazio. Nell’inserimento lavorativo rientrano principalmente persone che hanno una storia di fragilità, Da Capo infatti lavora in sinergia con alcune agenzie per il lavoro specializzate nell’inserimento di fragilità.
Oltre alle riparazioni, la sartoria si occupa anche di recupero tessile per quegli abiti che non possono essere venduti. Da Capo, infatti, mette in circolo abiti di seconda mano belli e che possiedono dignità. L’aspirazione del progetto è di essere un crocevia di varie persone, chi acquista abiti ma anche luogo di creatività grazie alla sartoria, l’idea sarebbe di creare anche una linea di vestiario Da Capo attraverso il recupero del tessuto degli abiti che non si possono vendere.
Da quando ha aperto nel maggio 2019 in Piazza Savoia, tra il centro e porta palazzo, a Da Capo sono entrate molte persone diverse per i più svariati motivi: chi per curiosità, chi alla ricerca di una moda sostenibile, chi per essere indirizzato verso altri servizi. Per questi motivi sono diventati un punto di riferimento per alcuni abitanti.
Il progetto Abito nasce nel 2019 con l’idea di rivoluzionare le classiche modalità di volontariato, creando un sistema di innovazione sociale. Giorgio faceva il volontario per un servizio di distribuzione indumenti dove le persone venivano per un bisogno, ricevevano il bene ma non si creava relazione né dialogo. L’idea di Abito è dunque quella di un sistema più circolare in cui le persone possano avere accesso gratuitamente al vestiario di cui hanno bisogno ma possano anche restituire mettendo a disposizione le proprie capacità nel progetto. Quello che si vuole proporre con questo progetto è di invitare le persone che ruotano intorno allo spazio di attivarsi e di far parte della comunità per rafforzarla.
Gli indumenti che non vengono smistati diventano materia prima per la sartoria, dove una sarta si inventa sempre nuovi oggetti. Altri vestiti che non vengono distribuiti vengono venduti a poco a mercatini, ad eventi di raccolta fondi, temporary shop, tutti organizzati sempre nello stesso spazio del negozio. In questo modo il progetto mira all’autosufficienza. Vorrebbero creare delle attività utilizzando la sartoria come strumento per creare comunità, facendo dei workshop di riciclo creativo degli ambiti, e creando dei momenti di sartoria condivisa.
Il quartiere avrebbe bisogno di spazi, di luoghi di incontro, sarebbe necessario investire su quegli spazi inutilizzati e non-pensati.
Riccardo è presidente di Arcigay Torino, associazione capofila del progetto Casa Arcobaleno, realtà pensata assieme ad altre ventidue associazioni come un bene comune, un luogo che possa essere partecipato da realtà differenti.
Quello che ci ha spinto a promuovere Casa Arcobaleno e il coinvolgimento delle altre associazioni sono stati i valori che si legano all’antirazzismo, all’antifascismo e all’antisessismo, la convinzione a voler migliorare il mondo in cui ci troviamo partendo da noi stessi, anche dal modo in cui decidiamo di fare rete, e, al tempo stesso, per impattare positivamente sulla città e sul territorio. L’inaugurazione è stata il 25 aprile 2015, proprio per sottolineare l’impegno nel contrastare le nuove forme di violenza e oppressione. C’è stata subito un’ottima risposta da parte del territorio e della cittadinanza: le tematiche lgbt+ non hanno respinto anzi hanno incuriosito le persone e alcuni commercianti e associazioni che abitano il quartiere hanno offerto il loro supporto.
La scelta del quartiere di Porta Palazzo, Aurora come sede di Casa Arcobaleno è stata dettata dalla volontà di spostare dal centro le tematiche lgbt+, che spesso vengono ristrette ad un centro città che presenta più servizi e il cui tessuto sociale è già abituato a ricevere determinate istanze. Porta Palazzo è un quartiere molto variegato, fatto di diverse identità che si intrecciano, che cercano spazi e modalità di comunicare il proprio punto di vista. La forza di Casa Arcobaleno risiede proprio nell’intersezione tra bisogni e avversità, perché un ostacolo da superare insieme si ridimensiona, in gruppo si ragiona meglio sull’obiettivo.
Casa Arcobaleno è un porto sicuro, che “protegge” e dà sicurezza, in cui non si viene discriminati e in cui prendere le energie per affrontare il mondo che ci circonda.
Vive a Torino da 17 anni, è sposata e ha tre figli. Grazie al passaparola, ha trovato lavoro come badante sia di giorno che di notte fino al 2012. Dopo aver ottenuto i documenti, insieme al marito si sono trasferiti e hanno avuto un bambino.
Finché Fathia lavorava come badante, il marito ha fatto un corso da saldatore grazie al quale ha trovato lavoro. Ora lei è di nuovo alla ricerca di occupazione, in Marocco ha studiato fino alla terza media, poi non è più andata a scuola per aiutare la famiglia.
Insieme a un gruppo di donne hanno creato un gruppo di sartoria, ogni giovedì si ritrovano e rimettono in sesto i vestiti, grazie ad una donazione hanno ottenuto delle macchine da cucire a disposizione per creare e rammendare, con possibilità di farlo anche a casa. Ogni tanto, mangiano assieme portando ognuna i piatti tipici dei vari paesi d’origine. Fathia ha imparato in Marocco a cucire da una signora, qui ha affinato la tecnica e il riconoscere i tessuti.
Fathia ama fare la sarta e crearsi da sé capi di abbigliamento, inoltre, nel tempo libero, cucina sia i piatti della tradizione marocchina sia quelli della tradizione italiana.
Raul è originario del Camerun, è partito dal paese nel 2008 ed è arrivato in Italia quando aveva ventidue anni. Ha vissuto prima a Firenze ed in seguito si è trasferito a Torino per conoscere un nuovo contesto. Nella città di Torino Raul abita con amici vicino a Corso Giulio Cesare, zona che apprezza molto per la presenza di compaesani anche se non proprio del Camerun ma di altri paesi dell’Africa. Nel quartiere di Porta Palazzo si sente a casa anche se all’inizio è stato difficile ambientarsi.
A Firenze ha lavorato per sei mesi come asfaltatore, mentre a Torino ha studiato ed ha preso la qualifica come saldatore, ma in questi ambiti non è riuscito a trovare lavoro in città. Ha quindi lavorato come aiuto cuoco, collaborazione terminata a causa della pandemia. Ora lavora con Mondo Convenienza, facendo carico, scarico e montaggio mobili.
In Camerun Raul ha studiato alle scuole superiori telecomunicazione, dove ha imparato la lingua francese, inglese e anche un po’ di tedesco. Nel tempo libero in Toscana giocava a rugby ma una volta trasferito a Torino non ha più giocato.
Il sogno di Raul sarebbe quello di aprire un locale tutto suo, dove proporre la cucina tipica del suo paese di origine infatti, spiega, in Camerun sono presenti molti piatti tipici differenti, alcuni che si preparano appositamente per gli ospiti, tipo il Poulet DG che è un piatto a base di platano, verdure miste e a cui si può aggiungere pollo, carne macinata o lasciare vegetariana per chi non mangia carne.
Martina è nata a Bra, si è trasferita a Torino circa dieci anni fa per completare l’ultimo anno di scuole superiori (chimico biologico). Negli anni ha lavorato in molti ambiti diversi, dalla casellante all’aiuto nella compilazione di modelli 730, in supermercati, in lavanderia e nelle pulizie. Adesso è iscritta al secondo anno di educazione professionale. Ha scelto di iniziare questo corso universitario perché le piacerebbe lavorare con bambini e adolescenti autistici. Vorrebbe, inoltre, portare avanti un progetto di ortoterapia per conciliare la sua aspirazione di educatrice con la volontà di vivere in un ambiente rurale.
Nel tempo libero guarda serie e legge ma soprattutto le piace molto camminare in montagna perché sente il bisogno di stare un po’ nella natura.
Ha collaborato con un’associazione che organizza concerti reggae, montando il palco e collegando gli strumenti e seguendo anche un po’ la parte burocratica.
Prima della pandemia cercava tramite Facebook persone che regalavano vestiti o oggettistica varia per recuperarli e donarli ad associazioni perché venissero ridistribuiti a chi ne aveva bisogno. Era una cosa che faceva già per cercare oggetti per sé, infatti Martina ha una passione per il riutilizzo e per il riciclo creativo, cercando di creare cose nuove a partire da materiali di scarto. È molto creativa, lavora molto con le mani con materiali diversi, legno, plastica.
Porta Palazzo è, secondo Martina, un quartiere che presenta delle difficoltà, ma anche molti aspetti positivi come la solidarietà tra le persone. Si potrebbero creare degli orti urbani negli spazi verdi non utilizzati.
Aziza è di origine marocchina, mamma di una bambina di un anno. Vive in Italia da ventun anni, inizialmente in un paesino al confine con San Marino dove ha lavorato fino al 2011, successivamente si è trasferita a Torino, dopo la separazione con il marito, perché qui abitano i suoi due fratelli.
A San Marino ha lavorato come aiuto cuoco e come barista, lavori che ha portato avanti anche a Torino, poi ha lavorato per sette anni con persone autistiche, occupandosi di loro. L’attività di assistenza le piace molto nonostante le difficoltà, per questo sta facendo un corso per diventare Operatore Socio-Sanitario.
Aziza ha studiato in Marocco fino alla terza media, poi ha abbandonato la scuola perché doveva aiutare i genitori. Se avesse potuto studiare avrebbe studiato come educatrice per lavorare con i bambini. La sua lingua madre è l’arabo, poi conosce un po’ di francese e l’italiano.
A San Marino giocava a calcio in una squadra in serie d, poi ha fatto anche un corso di arbitraggio e nel 2009 ha allenato la squadra under 21. Il calcio è la sua passione da quando era bambina in Marocco, dove giocava con gli altri bambini per strada, ma a Torino l’ha abbandonato anche a seguito di un problema al ginocchio. Pratica comunque molto sport, dalla palestra all’acquagym e le piace molto fare passeggiate al parco.
Efran è un ragazzo di 24 anni nato a Teheran, in Iran. Vive da due anni e mezzo in Italia dove è arrivato con l’idea di approfondire gli studi di cinema condotti in Iran. Efran non possiede un titolo di studio in quanto in Iran l’attestato viene dato solo successivamente al servizio militare che lui non ha svolto.
Qui in Italia, a causa di un errore, è stato iscritto all’università al corso di beni culturali invece che al Dams. Si è comunque reso conto presto che gli studi già condotti in Iran erano più tecnici e più avanzati rispetto a quelli proposti in Italia e per tale ragione ha scelto di abbandonare gli studi per dedicarsi al lavoro.
Efran è un operatore di ripresa, conosce le macchine che si usano molto bene, inoltre è anche videomaker. Ha approfondito molto il concetto di ingegneria del cinema e si riconosce nel ruolo di DIT (digital imaging technician) essendo un ruolo molto tecnico di gestione di molti aspetti, dal montaggio alla fotografia.
In Iran, spiega, essere un artista è complesso, non ci sono abbastanza libertà. Qui a Torino ha travato una realtà ricca, conosce molti artisti, ha portato avanti vari progetti e collaborazioni. Ora lavora come freelance, perché in questo campo si lavora principalmente a progetto.
Oltre all’ambito cinematografico, Efran si occupa di fotografia, di cui è appassionato; inoltre, da piccolo, osservando suo padre che aggiustava la macchina, ha imparato a fare qualche lavoro da meccanico, non cose troppo complesse ma sa rendersi conto del problema della macchina. In più Efran ha lavorato qualche anno nel negozio di informatica del fratello, imparando tecniche di questo settore.
Doina è arrivata in Italia dalla Romania undici anni fa, stabilendosi a Torino dove già abitava la sorella.
In Romania ha studiato come meccanica, ottenendo la qualifica di tornitore, lavoro che però ha svolto poco perché in quel periodo il paese stava vivendo un momento di trasformazione e il lavoro come operaio specializzato nelle industrie era diminuito. Per questo si è reinventata lavorando come barista. A Doina il lavoro a contatto con le persone piace molto, per questo a Torino ha lavorato come barista poi in una casa di riposo e successivamente come assistente domiciliare alla persona, lavori che apprezza per la comunicazione che si instaura con la gente e perché da essa può apprendere cose sempre nuove.
L’italiano l’ha appreso in Italia, leggendo libri e ascoltando musica, soprattutto la radio l’ha aiutata molto. In Romania aveva appreso l’inglese anche attraverso la televisione, in cui i film venivano trasmessi in lingua originale; ora per riprendere la conoscenza di questa lingua sta seguendo un corso.
Per tenersi sempre aggiornata nel suo lavoro di assistente ha letto molti libri di psicologia e ha frequentato corsi per ottenere la qualifica necessaria. Le piacerebbe anche ottenere anche il titolo di Operatore Socio-Sanitario ma fino ad ora non ne ha avuto la possibilità.
Doina nel tempo libero ama correre, camminare, leggere e ballare, inoltre le piacerebbe viaggiare un po’ anche in Italia, di cui ha sentito tanto parlare ma che, oltre a Torino, non ha mai visitato molto. Tra i suoi sogni in ambito lavorativo vorrebbe fare altri corsi per specializzarsi meglio in più le piacerebbe lavorare nelle risorse umane (sempre a contatto con la gente) e in più le piacerebbe aprire una sua attività, tipo un bar.
Angela vive a Torino da sedici anni. Si è trasferita dal cuneese per studiare all’università in cui ha frequentato il corso di lingue straniere, studiando inglese e tedesco. A seguito degli studi ha deciso di aprire la sua attività, di noleggio di cabine di fototessere per gli eventi. L’idea originariamente voleva essere quella di posizionare una cabina ai murazzi poi si è evoluta ed è cambiata divenendo il noleggio legato ai singoli eventi privati.
Dopo aver chiuso l’attività, a causa anche della volontà di dedicarsi a qualcosa di diverso, ha fatto molti lavori diversi, attraverso i quali Angela si è resa conto della propria adattabilità a diversi contesti e di saper trovare soluzioni in modo rapido ed efficace.
Ha lavorato come commessa nel negozio Freedhome, dove sono presenti prodotti provenienti da attività di detenuti. Ha iniziato anche a curarne l’e-commerce, entrando così in contatto con le diverse cooperative che portano avanti progetti in carcere. Si è occupata, inoltre, di serigrafia per la stampa di magliette e, ad oggi, è babysitter di una bimba di due anni.
Nel tempo libero Angela ama viaggiare, la lettura e, negli ultimi anni ha iniziato a suonare il violino e ha riscoperto la passione per la cura delle piante.
A Porta Palazzo Angela vive da quattro anni, ma ha sempre desiderato stabilirsi in questo quartiere per la varietà che offre, per il mercato e per le realtà differenti che si incontrano. Nel quartiere le manca il suk che era parte dell’anima del quartiere e senza il quale il mercato del Balon le sembra diverso.
Giulia arriva dalla Toscana dove ha studiato moda e costume teatrale ad Arezzo e successivamente, presso l’Accademia di Firenze, Moda e Fashion Design. Originaria della valle del Casentino, che ha una lunga tradizione tessile, ha sviluppato la passione per la moda, in particolare per l’abito come identità.
Da quando è attivata a Torino, Giulia non ha avuto alcuna difficoltà a legare con le persone, da allora la città è diventata la sua nuova casa.
Ha fatto degli stage tra cui insegnare moda e, a Calcutta, ha lavorato in un ufficio stile dove disegnava stampe per sciarpe. A Torino ha poi aperto un laboratorio dove realizzava abiti su misura che ha poi chiuso nel 2020. Durante quest’esperienza iniziata nel 2015 ha potato avanti l’idea dell’abito non solo come moda ma come espressione di sé, infatti la sua clientela era composta da persone spesso in conflitto con il proprio corpo o con difficoltà a trovare, tramite i classici canali, la taglia o il gusto più adatto a loro e spesso le clienti erano attente ad un tipo di consumo sostenibile e locale. Partecipava anche ai mercati tematici presenti sul territorio torinese (tipo Big Market al Bunker o San Salvario Emporium). Giulia si sente artigiana più che sarta, infatti ha studiato come stilista e ha una grande passione per il disegno più che per il cucito.
Lavora alla Portineria di Comunità come portinaia da qualche mese. Qui fa un po’ di tutto, dal mettere in connessione gli abitanti con i commercianti attivando dei gruppi Gasp, all’incontro con diverse realtà e al sostegno alle difficoltà presentate dai cittadini.
Porta Palazzo è uno dei quartieri di Torino che le piace di più, per i mercati, per i crocevia di persone e di culture, per la multiculturalità. In questo quartiere ha potuto assaggiare cibi diversi, dal russo al marocchino.
Nel tempo libero Giulia ama leggere, passione che la accompagna da quando era bambina, non ha un genere preferito ma si lascia trasportare dal suo stato d’animo e, da poco, ha iniziato un corso di teatro, attività che ha sempre voluto sperimentare.
Antonietta ha aperto il negozio undici anni fa insieme alla famiglia e con il sostegno di diversi importatori perché la maggioranza degli oggetti che si trovano qui arriva da mondi lontani. Quello di Antonietta è uno di quei negozi stile etnico, ma con una grande attenzione alla selezione dei prodotti che avviene attraverso lunghe ricerche. Qui si possono trovare gioielli in argento o in alluminio riciclato così come borse e vestiti ma anche mobili antichi, di fine Ottocento inizio Novecento, provenienti dalla Cina o da varie regioni dell’India, ma si possono trovare anche thè e tisane biologici.
L’attenzione per i materiali è seguita anche dalla scelta etica di collaborare con importatori che trattano prodotti liberi dallo sfruttamento minorile e femminile, inoltre alcune linee di prodotti (come vesto pazzo) sostengono anche progetti di sviluppo locale in diverse parti del mondo.
Antonietta ha aperto il suo negozio etnico dopo aver studiato come architetta e aver lavorato per anni nella grande distribuzione, come responsabile acquisti. Questo era il suo sogno nel cassetto: poter vivere in mezzo al bello, al colore e al profumo che si trovano all’interno del locale, poter donare un angolo di relax ai suoi clienti.
Container non è solo un negozio è anche un luogo di incontri, infatti nelle sale sottostanti si tengono corsi di yoga e di meditazione, si fanno presentazioni di libri e si parlano culture provenienti da tutti i mondi grazie ad eventi culturali dedicati. Questo è un luogo di scambio.
Antonietta oltre ad accogliere con un sorriso chiunque voglia entrare a contatto con tanti pezzi di mondi lontani, coltiva anche molte altre passioni come il canto, le passeggiate rinvigorenti nella natura, il nuoto, i viaggi alla scoperta di nuove città. il suo detto è o giri il mondo o vieni da noi.
Mario è proprietario di una caffetteria nata nella metà degli anni Cinquanta e che lui ha rilevato nel 2007. La scelta di questo locale non è casuale, Mario ricorda quando faceva colazione qui, ancora bambino, col padre e questo gli ha risvegliato la passione per questo lavoro, che oltre che commerciale ha, secondo Mario, anche una funzione sociale.
Per questo, e per l’esperienza stessa di Mario nel mondo del volontariato, il bar ospita spesso eventi di beneficenza per sostenere i progetti di diverse onlus, come aperitivi per il canile di Cavour, interventi e serate a sostegno di vittime di violenze domestiche.
Due anni fa a partire dalla necessità delle stesse persone che frequentavano il locale, Mario ha scelto di ampliare la caffetteria aprendo alla ristorazione e soprattutto a prodotti tipici piemontesi. La ricerca dei prodotti locali di qualità nasce dalla volontà di dare risalto a realtà locali, interagendo direttamente con i produttori.
Mario ha ospitato diversi tirocinanti, in collaborazione con alcune associazioni, nel suo locale per insegnare loro il lavoro di barista. Per questo a chi intraprende questa strada si sente di consigliare di lavorare sempre con umiltà, serietà, pazienza e sacrificio ma soprattutto che serve una grande passione perché se piace questo lavoro non annoia mai.
Vincenzo ha aperto questo bar/ristorante circa sei anni fa. Qui si cucina di tutto dal couscous al pollo alle mandorle fino a piatti della tradizione italiana, scegliendo di giorno in giorno i prodotti che il mercato di Porta Palazzo offre. La cucina è sempre ricca di novità proprio perché gli ingredienti vengono scelti freschi ogni giorno e anche perché i clienti ormai si aspettano di essere sorpresi da qualche nuovo piatto. I menù proposti seguono la stagionalità dei prodotti freschi sia a pranzo sia a cena.
Vincenzo fa questo lavoro da quando era molto giovane mentre frequentava il liceo artistico. Lavorava principalmente in orari serali prima dell’apertura di Fiore e caffè, dove serve anche le colazioni, e questo cambio gli ha permesso di scoprire nuove realtà, nuove persone e di approfondire la conoscenza del quartiere di Porta Palazzo dove, inoltre, vive da sempre. Le cose che secondo lui non funzionano bene nel quartiere sono le piccole cose cui non si presta abbastanza attenzione, servirebbe più organizzazione nelle strade e nel mercato stesso.
Del quartiere Vincenzo apprezza la multiculturalità e i colori nonché il mercato, in cui conosce bene i suoi commercianti di fiducia. Queste caratteristiche portano anche nel suo locale persone provenienti da tutto il mondo, sia abitanti ma anche turisti, francesi, svizzeri, tedeschi.
A chi dovesse intraprendere il lavoro di barista, ristoratore Vincenzo consiglia professionalità, voglia di imparare e capacità di ascolto.
Denise ha aperto questa libreria/caffetteria da quattro anni, qui si occupano prevalentemente di femminismi, genere e cultura lgbt+. L’idea è nata perché le sembrava che non esistesse un posto dedicato a queste soggettività e a questo tipo di narrazioni che fosse un luogo da vivere durante il giorno.
In questo percorso Denise si è avventurata assieme a Vincenzo, arrivando ad essere riconosciuti sia nel mondo femminista e lgbt+ sia nel quartiere del Quadrilatero. La risposta delle persone è stata molto positiva quando hanno aperto, infatti, nonostante si aspettassero un target più giovane, hanno una clientela variegata. Molti clienti sono fissi e passano del tempo qui. Infatti, la scelta di non essere solo una libreria ma anche una caffetteria era pensata esattamente per non essere un posto escludente, ma di tentare di innescare un dialogo. Lo scambio intergenerazionale si è rivelato molto proficuo, questo è diventato un luogo di conforto e confronto per i genitori di chi vive transizioni di genere e di chi mette in discussione il proprio orientamento sessuale.
Denise ha una formazione antropologica e si è occupata di studi di genere, per aprire sia lei sia Vincenzo hanno seguito corsi per l’avvio di impresa e per la caffetteria. La libreria ha raggiuto tutte le loro aspettative essendo riuscita a creare un luogo dove le persone si possano sentire a loro agio e al sicuro dialogando di qualsiasi tematica.
Nel tempo libero Denise apprezza la lettura i videogiochi e lo yoga.
In questo periodo sono nati due gruppi di lettura online: “Isterika Istorika” su fantascienza al femminile e femminista e un altro per insegnare a trasgredire con la traduttrice feminoska; inoltre hanno un podcast che si chiama Orlando.
Teresa e Bianca hanno aperto questa libreria nel Quadrilatero due anni fa circa.
La scelta delle ragazze è stata quella di aprire uno spazio che possa essere fruibile da bambini, da genitori ma anche da chiunque abbia voglia di fermarsi a prendere un caffè. Infatti la libreria, oltre ad offrire libri per bambini e ragazzi, giochi educativi e piccoli prodotti di artigianato, è anche una caffetteria, in cui si può venire per una colazione, un pranzo o un aperitivo, gustando uno spazio per tutte le età.
Teresa e Bianca hanno iniziato il loro percorso insieme seguendo un corso per tecnici di laboratori educativi, costituendo in seguito un’associazione insieme ad altri ragazzi, per poi assecondare la necessità di uno spazio che conciliasse tutte le loro passioni, dalla musica, all’educazione, al vino.
Nella libreria caffetteria si organizzano letture, laboratori per bambini e genitori. Attraverso la collaborazione con professionisti hanno organizzato laboratori per approcciare i bimbi più piccoli alla musica, laboratori di inglese dai tre ai sei anni, laboratori sensoriali per i più piccoli, ma anche degustazione vini, corsi di formazione per insegnanti. Hanno anche ospitato concerti e mostre fotografiche.
Bianca e Teresa prediligono piccole case editrici o indipendenti e hanno creato in questi mesi un catalogo online, effettuando anche consegne nelle zone limitrofe o avvalendosi di corrieri per zone più lontane.
Per poter usufruire al meglio del quartiere del Quadrilatero secondo loro ci sarebbe bisogno di più aree verdi, possibilità di passeggiare per il quartiere senza auto e spazi di aggregazione che creino occasioni per vivere il quartiere.
Simona e Giulia sono due giovani ragazze con una grande passione per il loro lavoro. Hanno scelto di aprire il loro primo salone di parrucchiere qui perché sono molto affezionate ai quartieri di Porta Palazzo e del Quadrilatero e questo le ha aiutate anche nel primo periodo di apertura perché grazie al passaparola si è ampliata e diversificata la clientela.
Prima di aprire il salone hanno fatto studi specifici da parrucchieri e hanno lavorato come colleghe in altri saloni. Nel tempo Simona e Giulia sperano di poter ampliare la loro attività introducendo anche altri settori, come il make-up e ampliando lo spazio del negozio.
A chi volesse intraprendere questo percorso consigliano passione, forza di volontà e di non arrendersi ai primi ostacoli ma di imparare sul campo e attraverso costanti corsi di aggiornamento.
È proprio attraverso questa passione che le due ragazze riescono a far sentire a casa i propri clienti.
Mohamed, originario del Marocco, si è trasferito in Italia nel 1992 per motivi di studio. Ha studiato come stilista e come sarto, per poi scegliere la via imprenditoriale e aprire la sua prima lavanderia self service a Porta Nuova.
L’attività, a gestione familiare, si è espansa e trasformata nel tempo, aprendo una nuova sede in Piazza della Repubblica e divenendo da self service a servizio di lavanderia vero e proprio. La scelta di Mohamed, e della sua famiglia, è quella di utilizzare prodotti naturali che non danneggino l’ambiente né i tessuti.
Oltre al servizio di persona la lavanderia Nachit offre anche un sito internet attraverso cui è possibile prenotare il ritiro e la consegna degli abiti.
La precisione, la conoscenza del prodotto, della clientela e del territorio sono i punti forti della lavanderia Nachit, e sono gli stessi che lui consiglia a chiunque voglia muovere i primi passi in questo tipo di impresa.
Spazio ZeroSei è un luogo di esperienze e pensieri per bambini zerosei e adulti che crescono con loro. Attività, laboratori, incontri in un luogo bello, aperto, informale, che nasce per promuovere innovazione, imparare con le mani in pasta, incuriosirsi e creare. Narrazioni, scoperte, giochi liberi e magie (al piano terra per gli ZeroTre anni), e in aggiunta 5 sensi e movimento (per i TreSei anni al primo piano): alcuni degli ingredienti dei laboratori di Spazio ZeroSei. Tempo ed esperienze condivise fra piccoli e grandi. E anche: Spazio Agli Adulti un luogo per un tempo degli adulti zerosei (senza bambini…). Per pensare, incontrarsi e incontrare, fare, condividere, scambiare, imparare.
Sono Nino Iacovella, sono abruzzese, mi sono trasferito a Corvetto nel 2004 insieme a mia moglie, prima entrambi abbiamo abitato in zone più centrali di Milano e ricche. Venire qui è stata una scelta per le comodità dei mezzi di trasporto e per l'interesse sociale che stava diventando forte. In questo territorio si trova ancora, invece, un’anima popolare, il cuore di una Milano che resiste. Sono venuto a Milano nel 1999 perché avevo un forte bisogno di uscire dal mio paese e vedere il mondo, la provincia mi soffocava. Ho una formazione tecnica-economica, nel tempo ho capito che quello non era la mia strada, avevo vissuto un grande conflitto interiore, però dopo aver iniziato il mio percorso nel mondo scolastico mi sono ritrovato. Dopo 11 anni di precariato sono finalmente diventato insegnante di ruolo. Oggi sono insegnante di sostegno in una scuola superiore. Insieme ad alcuni amici ho creato un blog di poesia e sul territorio di Corvetto insieme ad altre persone abbiamo creato un’iniziativa per portare la poesia in piazza. Ogni persona leggeva il proprio autore preferito in mezzo ad una piazza di Corvetto.
Sono Franco e sono il farmacista della Farmacia storica di via Milano, che esiste dal 1500. All’inizio era nata come farmacia speziale e dal 1711 è diventata farmacia regia. Sono 3 anni che svolgo questo lavoro portando avanti una tradizione familiare perché mia madre è farmacista da 24 anni. È un lavoro che mi piace per il legame che si va a creare con i clienti, siamo un punto di riferimento e offriamo un grande supporto soprattutto in questo momento difficile. Sia un supporto medico e i dispositivi di protezione, ma anche emotivo. La prevenzione è l’attività che più mi sta a cuore ed è molto importante. Questo è uno dei nostri compiti più importanti. Offriamo esami come la misurazione della pressione, esami della glicemia, colesterolo o elettrocardiogramma. Oggi la Farmacia, grazie alla portineria di Comunità, può anche portare le medicine a domicilio!
Sono Gianpaolo Ceni titolare con mio fratello Stefano di Ditta Ceni, una drogheria che si affaccia sul mercato di Porta Palazzo, in Piazza della Repubblica. L’azienda nasce nel 1963 ed è stata fondata da mio papà in un piccola negozio che vendeva risi, legumi e carrube per i cavalli. Ma so che il negozio esisteva già da 70, 80 anni prima dell’acquisto di mio papà vendendo carrube per i cavalli e riso vercellese.
Con il tempo ci siamo spostati e ampliati per essere in grado di aumentare la nostra offerta. Nel corso degli anni, ormai ci lavoro da 40 anni, ci sono state fasi diverse di Piazza della Repubblica, dall’avvento dei migranti del sud ai quali vendevamo peperoncino, cicerchie e altri prodotti tipici che non trovavano a Torino, all’immigrazione straniera cinese e araba prima dell’arrivo delle loro botteghe, ci siamo specializzati in spezie, the e risi orientali. Il nostro uno spaccio di paese situato in città, riuscendo a soddisfare molte persone. E anche gli italiani trovano qui le materie prime per le ricette etniche che hanno iniziato a sperimentare. Da noi non ci si stufa mai scambiando luoghi, ricette e storie di vita! Abbiamo anche un settore dedicato all’agricoltura: sementi, piantine, concime, fiori. Siamo anche stati tra i primi negli anni Settanta a interessarci di prodotti biologici, quando non erano molto conosciuti. E anche quest’anno, come dal 1986, siamo Maestri del Gusto premiati da Slow Food. Ci teniamo a mantenere vivo questo riconoscimento.
Sono Modou, sono nato nel 1969 e sono venuto in Italia quando avevo 20 anni. Il primo gennaio del 1989 sono arrivato a Milano, faceva molto freddo. Inizialmente ho fatto il "vu cumprà", e mi sono spostato tra Brescia e Milano per diverso tempo. Da lì ho cominciato a fare il panettiere per 12 anni, lavoro che facevo già in Senegal con la mia famiglia. Sono venuto a conoscenza della compagnia Maschere nere e ho cominciato a fare teatro recitando in alcuni spettacoli di Emilia Romagna Teatro, ho collaborato Emilio Dallaria, Paolo Rossi e Beppe Rosso Ho creato Sunugal, l’associazione internazionale per parlare di integrazione, o meglio interazione e cooperazione. Abbiamo creato molti progetti sia in Senegal, che in Italia. Facciamo conoscere la cultura delle diaspore tramite la musica, il teatro, racconti per bambini e la cucina. E diffondiamo la cultura italiana alle persone che si sono trasferite qui. Offriamo corsi di formazione: italiano per stranieri, ma anche formazione per aiutare le persone ad attuare i loro progetti sia in Italia, che nei loro paesi d’origine. Organizziamo anche iniziative pubbliche al Centro Internazionale di Quartiere (CIQ) e anche tramite vari interventi fatti sull’invito di diverse Università. Lavorare in rete ci permette di fare di realizzare molto, tra cui il progetto Pane migrante. L'immigrazione è sviluppo.
Mi chiamo Aliou, sono senegalese e sono in Italia dal 1993. Inizialmente volevo andare in Francia e raggiungere mio fratello a Parigi e di continuare gli studi. Un mio zio, invece, mi propose di andare a Bergamo per lavorare. Sono stato una settimana a Bergamo, una a Brescia e poi sono venuto a Milano. Qui ho fatto diverse cose, ho fatto molte formazioni: serramentista, saldatore, giardinaggio. Avevo iniziato a fare il magazziniere mulettista in una ditta nella quale sono rimasto per 15 anni e nel frattempo, ho iniziato a fare rap e con alcuni amici italiani ho fondato un gruppo. Sono venuto a contatto con l'associazione Sunugal e altre che mi hanno aiutato a inserirmi.Con tre ragazzi senegalesi e una ragazza italiana abbiamo fondato il gruppo "Les ambassedeurs" e fatto due album presentati anche in Senegal. Dopo aver fatto l’operaio per molti anni ho fatto il corriere come autista. Adesso lavoro sono membro dello staff del Centro Internazionale di Quartiere, mi occupo degli eventi e sono il tecnico fonico per i concerti. Qualche anno fa ho iniziato a lavorare come mediatore culturale con i richiedenti asilo. Ho creato anche un progetto tramite il quale due volte all’anno porto dei piccoli gruppi in Senegal facendo turismo responsabile, in contatto con le realtà del paese. Durante il lockdown ho scoperto la passione per il giardinaggio: allestisco lo spazio del giardino in modo creativo riutilizzando alcuni materiali.
Mi chiamo Daniela, ho 57 anni, abito tra Corvetto e Rogoredo da vent’anni. Ho due figli, oramai grandi. Ho studiato grafica pubblicitaria e lavorato per tanti anni in un laboratorio fotografico, dopo di che ho spaziato in altri campi. Per un periodo mi sono dedicata ai figli e alla famiglia. Mi sono poi occupata del coordinamento di corsi e attività in un'associazione sportiva. Grazie a loro sono entrata in contatto con Alveare che dice sì!, dapprima come cliente, e attualmente gestisco la sede di CIQ Corvetto. L'Alveare mette in contatto e valorizza l’offerta dei produttori locali (frutta, verdura, carne, formaggi e diversi altri prodotti) con il cliente finale. E' un modo di acquisto consapevole che valorizza le piccole produzioni, non industriali. Durante il lockdown, anche in collaborazione con Dare.ngo, ci siamo resi conto delle necessità di tantissime famiglie del quartiere. Tanti clienti hanno acquistato prodotti per le persone più in difficoltà.
Sono Alberto Sanna, sono sardo, mi sono trasferito a Milano per fare l’università, la Bocconi. Attualmente lavoro in banca e mi occupo di innovazione digitale. Da tempo faccio volontariato in diverse parti del mondo. Da gennaio 2020 insieme ad altre due persone, ho fondato l’associazione Dare.ngo con base operativa nel quartiere Corvetto, in cui vivo da 7 anni. Durante il lockdown abbiamo ideato e trovato i fondi per poter sostenere le famiglie in difficoltà, alle quali per due mesi abbiamo consegnato la spesa. Abbiamo avviato dei progetti anche in Libano, Ghana e Iraq. Attualmente a Corvetto è attivo il nostro progetto di tutoraggio per bambini nella didattica a distanza. Inoltre sono in corso altri due progetti: uno volto a sviluppare le competenze digitali nei ragazzi; l'altro, itinerante nelle scuole, dedicato alle esperienze delle persone immigrate, per far scoprire ai giovani le storie delle persone e i racconti di accoglienza.
Confesercenti di Torino e Provincia è l’associazione delle imprese del commercio, del turismo, dei servizi e dell’artigianato. Svolge un ruolo di rappresentanza delle imprese nei confronti delle istituzioni (tutela sindacale) e offre loro una serie di servizi a supporto alle loro attività e consulenze di professionisti e esperti in grado di fornire consigli e informazioni. Confesercenti si rivolge a commercianti in sede fissa, titolari di bar, ristoranti ed esercizi pubblici, commercianti ambulanti, agenti e rappresentanti di commercio, mediatori, albergatori, titolari di imprese turistiche, gestori di impianti di distribuzione carburanti, edicolanti, tabaccai. Associarsi consente di avere assistenza non solo per quanto riguarda le norme amministrative o fiscali, ma anche informazioni, consulenza sul credito, sui problemi della sicurezza e su quelli relativi alla impostazione della propria offerta commerciale, sulle opportunità o le difficoltà esistenti nei diversi settori. Per affrontare tutto ciò la Confesercenti ha costituito le società che formano il proprio «sistema di servizi» a disposizione dei soci.
Anna lavora nel negozio di abiti usati Da Capo dove si occupa della vendita e partecipa al laboratorio di sartoria. E' la mia prima esperienza in questo campo. Avevo fatto un corso di makeup che era la mia passione e lo è tutt'oggi, è il mio grande sogno. Cercavo in quell'ambito ma è un pò difficile. Da Da Capo mi trovo molto bene lavorativamente ma sto anche crescendo e sto scoprendo degli altri aspetti del mio carattere, mi relaziono in modo molto più disinvolto con i clienti. Il cucito è difficile ma mi da tanta soddisfazione. Ho anche un'altra passione: l'hip hop e faccio volontariato da sei anni al Regina Margherita, con eventi e feste per fare compagnia ai ragazzi e alle ragazze che sono lì.
Chiniere è nigeriana e viene da Lagos. Ma è già dal 2000 che vive in Italia. Qua ho avuto due bambini, sono sposato con un nigeriano. Il viaggio per arrivare è stato molto lungo e sono arrivata prima a Milano e poi a Torino. Ho raggiunto mio marito che era qui già due anni prima. Ho fatto un corso di addetto alloggio e ristorazione e ho potuto fare un tirocinio. Ho poi lavorato come assistente familiare e ho preso il diploma. Mi occupo anche della mia bambina, ma il week end lavoro comunque come badante. Anche mio marito ha qualche difficoltà a lavorare perché è in proprio e ha tante spese. Mi piace camminare nel mio tempo libero, andare a fare un giro al mercato oppure a casa mettere la musica e ballare. Mi piace uscire comunque e non stare chiusa in casa tutto il giorno.
Faith ha due figli maschi e vive in Italia da 18 anni. Ho sempre lavorato, ma quando sono arrivata qua volevo studiare ma la barriere linguistica me lo ha impedito. Ho fatto tento esperienze, sono socievole, mi piace stare con le persone e lavorare in gruppo. Imparo in fretta.
Sono Iris, ho 45 anni e sono originaria di Santiago, la capitale delle isole di Capoverde. Mia mamma è emigrata in Italia negli anni Settanta, quindi sono cresciuta qui e mi considero italiana. Dopo il diploma di operatrice turistica ho iniziato a lavorare qua e là trovandomi spesso in cucina. Mi sono così appassionata. Il mio piatto preferito è la carbonara, ma mi piace molto anche il risotto: quello alla milanese mi viene molto bene! Adesso sto lavorando alla pasticceria California Bakery e mi sto specializzando in cheesecake. Sono arrivata qui grazie alla cooperativa La Strada dopo un percorso di formazione lavoro. Dopo essere diventata mamma facevo fatica a reinserirmi. Andavo avanti con borse lavoro, ma sentivo la necessità di trovare qualcosa di stabile che mi permettesse di realizzarmi. Dover rifare il curriculum, imparare ad affrontare i colloqui di lavoro facendo emergere le mie qualità mi ha fatto sentire di nuovo ragazzina. Ma io ce l’ho messa tutta. Oggi cucinare è diventato il mio lavoro e nel tempo libero mi occupo di decoupage ma soprattutto sto con mia figlia, che ha 7 anni, a cui spero un giorno di trasmettere un’altra mia grande passione: la fotografia.
Mi chiamo Domenico, ho 62 anni e faccio il calzolaio da più di trent’anni. Avevo 15 anni quando sono arrivato a Milano dalla provincia di Caserta, e prima di iniziare a riparare scarpe ho fatto tanti lavori. È stato in concomitanza con la nascita del mio primo figlio che mi sono rivolto ad una cooperativa e ho iniziato a imparare questo mestiere. Ho lavorato per alcune ditte e dopo un po’ mi sono messo in proprio, aprendo un negozio prima a Torino e poi qui a Milano. A Corvetto gli affari sono andati bene da subito e ho potuto vivere agiatamente. Qui lavoravamo in quattro: i precedenti proprietari e mia moglie. Poi la crisi ha ridotto la clientela e alla fine sono rimasto solo. La clientela più propensa a riparare le scarpe è quella ricca, il povero invece butta. Ora sono arrivato alla soglia della pensione e non mi lamento, sono ancora qua ma per poco. Ho due figli e ho cercato di spingere il più piccolo a seguire la mia professione. Purtroppo non ci sono riuscito.
Sono Carola, una delle 5 socie del coworking artigiano Lascia la scia. Il nostro è un sodalizio nato sui banchi dell’università che ci ha portato a progettare insieme il nostro futuro lavorativo. Realizzavamo i nostri progetti con le nostre mani utilizzando materiali di scarto ora ci dedichiamo alla progettazione. Prima lavoravamo soprattutto fuori Milano, poi 9 anni fa abbiamo partecipato a un bando, riuscendo ad aprire il nostro primo studio presso l’ex acciaieria Falck. Poi quattro anni fa abbiamo cercato un altro spazio da poter organizzare in autonomia, pensato per poter ospitare altri artigiani e artisti con cui collaborare. Abbiamo partecipato al progetto di riqualificazione dell’ex saponificio “Angelo Gavazzi e figli”, struttura dei primi anni del 900 che sorge nella zona industriale di Corvetto. L’area è molto grande e comprendeva, oltre alla fabbrica, le abitazioni degli operai: un vero e proprio borgo nel quartiere. Attualmente, oltre alla nostra, sono presenti altre realtà professionali, con cui talvolta collaboriamo come la scuola circense di cui abbiamo addirittura frequentato i corsi.
Lo spazio del nostro coworking è luminoso e lo abbiamo subito ristrutturato creando ampie sale. Solo di recente abbiamo realizzato alcuni ambienti più raccolti, ma sempre in condivisione, per laboratori, esposizioni, attività di formazione. Amiamo l’aspetto della contaminazione. Di recente abbiamo collaborato al progetto “La scuola dei quartieri”, e ci è piaciuto molto farci conoscere e offrire le nostre competenze per formare giovani di Corvetto.
Mi chiamo Donato, ho 62 anni, tre figli e sono originario della provincia di Bari. A Milano ci sono arrivato 50 anni fa con la mia famiglia, che voleva dare la possibilità di far studiare mio fratello maggiore in questa città. In Puglia i miei erano agricoltori e quando sono arrivati qua hanno dovuto reinventarsi. Mia mamma si è messa a guardare bambini e mio papà ha trovato impiego in un’azienda chimica, dove ha purtroppo contratto un tumore che lo ha portato via anni fa.
Io dopo aver frequentato le scuole tecniche e aver fatto il progettista meccanico per un po’, ho deciso di trasformare una mia passione in lavoro. Praticavo molti sport, soprattutto la corsa, e così a 30 anni ho deciso di acquistare la licenza per vendere articoli sportivi. Ho trovato un locale a Corvetto, una zona non centrale ma ben servita e assai popolata. Ho molti clienti in questa zona. Oggi ad esempio, i tanti stranieri che vengono da me apprezzano soprattutto le scarpe da ginnastica, scegliendo le marche e i modelli più costosi. Ma in realtà lo fanno più per seguire la moda che per praticare sport.
Mi chiamo Alessandro, sono di Milano e ho 32 anni. Mi occupo di agricoltura sociale, quella sostenibile che coinvolge i cittadini che vivono laddove la città si confonde con la campagna. Mi sono avvicinato a questa attività dopo aver trascorso alcuni mesi come volontario nel Paranà in Brasile. Lì la gente lavora la terra e si nutre dei prodotti che coltiva. Ma già da adolescente ero affascinato e frequentavo cascine e ambienti rurali in cui si facevano attività legate alla terra e alla natura. Al rientro dal Brasile, insieme ad un’associazione che opera a Chiaravalle, ho iniziato a lavorare per diffondere pratiche e attività laboratoriali di cura del territorio. Tutto ciò grazie a Fondazione Cariplo con cui abbiamo avviato un progetto per riqualificare il paesaggio rivolto a soggetti svantaggiati. Chiaravalle è un borgo di antica vocazione agricola che ho scoperto con meraviglia un giorno che stavo pedalando lungo la ciclabile che da Porta Romana scende in direzione sud-est. E il nostro progetto prevede in parallelo l’obiettivo di creare una comunità che faciliti l’inserimento dei soggetti che intraprendono percorsi occupazionali all’interno dell’azienda agricola, vuole avvicinare i cittadini all’esperienza bellissima di coltivare prodotti per sé e per il proprio territorio. Collaboriamo a stretto contatto con le associazioni di Corvetto, un quartiere molto vicino, una parte della città che si affaccia sulla campagna.
Mi chiamo Cristina, ho 16 anni, sono di Segrate e abito a Corvetto da sei mesi. Dopo le scuole medie mi sono iscritta all’alberghiero per fare sala bar, ma ho abbandonato gli studi. Adesso vivo con mia sorella maggiore che ha 33 anni, e mi occupo dei suoi figli che hanno 4 e 10 anni. Mi piace cucinare e lo faccio anche per loro. Amo molto i bambini e mi piacerebbe averne di miei e lavorare nelle scuole materne. Ma per farlo occorre studiare e io lo trovo difficile. Mi piacerebbe anche fotografare paesaggi, ma non ho una fotocamera, sennò lo farei tutti i giorni. Da piccola ho giocato come attaccante in una squadra femminile di calcio, per 5 anni. Mi trovavo bene con la squadra. Poi è mancato mio papà e ho smesso. Qui a Corvetto vivo da poco tempo, non ho ancora amici e non mi trovo tanto bene. Dove stavo prima era una zona molto più tranquilla.
Mi chiamo Thomas, ho 16 anni e sono nato a Milano dove vivo con mia mamma e uno dei miei fratelli. Quando ho finito la terza media mi sono iscritto ad una scuola di termo-idraulica, ma non ci andavo tanto volentieri. Sono pigro nello studio. Ho scelto quell’indirizzo di studi perché volevo aiutare mio papà che lavora nell’edilizia, ma poi ho interrotto e mi sono messo a fare con lui il muratore. Amo costruire, mi piacciono le moto e vorrei provare a fare il meccanico. Nel tempo libero gioco un po’ a calcio e a biliardino con i miei amici nel bar dell’oratorio di San Nicolao, vicino a dove vivo. A Corvetto vengo solo perché qui c’è la Cooperativa che mi sta aiutando a trovare un lavoro. Per ora conosco poche persone. I miei amici non vivono qui, però ci sono delle belle case, solo che alcuni ragazzi fanno gruppo, sono un po’ prepotenti, e questo non mi piace.
Mi chiamo Dina, sono nata ad Alessandria d’Egitto, ho 33 anni e nel 2013 mi sono sposata e ho raggiunto mio marito, italo-egiziano, a Milano dove viveva già da tempo. Abbiamo avuto una figlia che oggi ha 5 anni. Ed ero felice. Ma di recente mio marito ha avuto seri problemi di salute e non sta lavorando. Io vorrei aiutarlo e sto cercando un’occupazione. In Egitto ho studiato turismo e attività alberghiere all'università. E mentre studiavo davo una mano ai miei genitori che avevano un negozio da parrucchieri. Sono anche brava a togliere le sopracciglia, i peli dal viso con il filo, e a fare la ceretta alla moda araba. Adesso invece sto facendo qualche giorno di tirocinio come donna delle pulizie. Spero di trovare presto un lavoro, anche se so che è difficile. Tutto il mio tempo libero lo passo con mia figlia, e con mio marito che ha un fratello che vive qua. Frequentiamo lui e altri amici egiziani. Alcuni abitano proprio qui a Corvetto, un quartiere che mi piace. Ci vengo spesso anche con la mia bambina.
Mi chiamo Alessandro, vivo a Milano da due anni, dopo essere stato per dieci anni a Londra. Ho studiato arte pensando di diventare designer, ma dopo il diploma, nel 2007, ho deciso che il mio futuro sarebbe stato all’estero. Sono così partito per il Regno Unito. All’inizio ho fatto vari lavoretti nel settore delle produzioni cinematografiche, più che altro per imparare la lingua. Poi ho avviato la mia prima start-up che realizzava siti internet, mi sono occupato di droni e rilevamenti in 3D. E’ nata così l’idea della CVing, che riprende anche il significato di sieving, setacciare. L’ho fondata con altre tre persone e vi lavoriamo in 10. Si tratta di una piattaforma innovativa attraverso cui si vuole rendere più agevole l’incontro tra domanda e offerta di lavoro con video colloqui on demand, test e altre modalità di selezione in rete. Abbiamo avviato collaborazioni con molte multinazionali in 5 paesi europei e contiamo di espanderci in tutto il mondo, dando opportunità a sempre più persone di cercarsi e trovarsi attraverso il nostro portale. Ma pensiamo anche di offrire opportunità di guadagno laddove si riescano a proporre a terzi occasioni di lavoro e figure professionali con competenze adeguate. Perché uno dei problemi a cui noi vogliamo ovviare con una delle nostre piattaforme è quello della mancanza di informazioni sul mercato del lavoro, specie nel settore dell’I.T. e del management. Ora lavoriamo qui a Corvetto, un quartiere collocato strategicamente, vicino al centro, con strade di collegamento facilmente raggiungibili, buoni trasporti, verde. Di Corvetto – e di Milano in generale – mi piacerebbe venissero sviluppati gli aspetti multiculturali con maggiori occasioni di scambio e incontro con persone di altri paesi.
Sono Damiano e ho 43 anni. Sono per metà sardo e per metà trentino. Ho frequentato la scuola alberghiera e poi ho iniziato a fare lavori stagionali in cucina, d’estate in Sardegna e d’inverno in Trentino. Grazie al mio lavoro ho girato quasi tutta l’Italia e ho appreso molto dalle culture regionali e casalinghe. Metto passione nel mio lavoro: amo fare la pasta, acquistare la carne dal macellaio, comprare nelle botteghe o al mercato i prodotti freschi o di stagione. E se posso coltivare da me gli ortaggi sono ancora più contento! Il lavoro in un ristorante richiede dedizione, sacrificio, pazienza, ma dà anche delle gratificazioni: quando si realizza un piatto che viene apprezzato dai clienti è sempre bello. Le opportunità in questo campo sono molte, tra lo street food, la cucina vegana, la filosofia dello slow food. Purtroppo però il settore risente della crisi. Oggi al posto dei ristoratori ci sono imprenditori che pensano più al profitto che alla qualità. Negli anni in cui ho lavorato in Franciacorta ho avuto modo di vedere e vivere sulla mia pelle questo cambiamento, e non è stato piacevole.
Oggi sono cuoco nella mensa della cooperativa La Strada. Li ho conosciuti qualche anno fa quando mi hanno ritirato la patente e sono stato assegnato ai lavori socialmente utili. Qui ho incontro altri che come me si sono visti ritirare la patente e li aiuto con la mia esperienza: in passato ho sbagliato come loro. Ma dai miei errori ho imparato che siamo tutti uguali a questo mondo, che nessuno è migliore di un altro. Da 3 anni abito a Corvetto e mi trovo bene, ci sono molte associazioni che operano per migliorare questa periferia. Qui ci sarebbe bisogno di abbellire le abitazioni, come ad esempio è stato fatto a Quarto Oggiaro, quartiere che trovo bellissimo.
Mi chiamo Sara, ho 29 anni e sono nata a Casablanca dove mi sono laureata in fisica e chimica. Le mie due sorelle e i miei genitori vivono ancora in Marocco. Io volevo diventare maestra, ma dopo gli studi mi sono sposata e 5 anni fa sono venuta a Milano, dove mio marito vive già da 29 anni. Adesso ho un bambino di 3 anni che va all’asilo, e sto per riprendere la scuola di italiano per parlare meglio la vostra lingua. Parlo arabo, francese e un po’ d’inglese. Amo cucinare, soprattutto i piatti marocchini, ma anche pizza e lasagne. Mi piace guardare i tutorial di cucina. E quando ero più piccola volevo creare un mio canale youtube per condividere ricette. Adoro passeggiare, anche perché vorrei perdere un po’ di peso, ascolto musica e amo Zucchero, al cinema mi piace andare a vedere i cartoni animati, le favole a lieto fine e gli horror. Abito a Corvetto, mio marito si occupa di logistica. Ma vorrei poter contribuire anch’io al budget familiare, un’amica mi ha messo in contatto con La Strada, che spero mi aiuti, perché a casa, contando i suoi parenti, siamo 8 persone in tutto.
Ciao, sono Domenico, ho 85 anni e sono nato e cresciuto a Milano. Quand’ero giovane ho frequentato l’oratorio facendo il catechista, poi ho seguito per 6 anni la scuola di disegno serale a Santa Marta e nel 1953 sono stato assunto alle Officine Grafiche Ricordi, dove ho lavorato fino alla pensione, nel 1994. Da apprendista foto incisore sono diventato capo commessa dei lavori. Seguivo i clienti dall’ordine del prodotto alla consegna. Da quando sono in pensione mi occupo del Centro Polifunzionale di piazzale Ferrara, nel cuore di Corvetto, prima come presidente eletto dal Consiglio di zona, dove ero stato consigliere per 14 anni, e poi dal 2000 come volontario. Il mio ruolo è quello di coordinatore delle attività di tutti i volontari. All’inizio erano tanti, oggi invece sono rimasti in pochi, tutti anziani. Difficile, se non impossibile, coinvolgere i giovani. Anche se ultimamente l’età media si è abbassata grazie ad alcune donne che aiutano a riordinare gli spazi, a preparare le feste. In questo centro, che rimane aperto dalle 8 a mezzanotte, tutti i giorni tranne la domenica, si praticano anche molti passatempi: il ballo, le bocce, le carte, le gite, corsi di teatro, canto, ginnastica. C’è anche un bar, i cui utili hanno permesso molti interventi di miglioramento. Il 90% di quanto c’è oggi nel centro è stato realizzato con l’autofinanziamento.
Sono Joseph e vengo dalla Nigeria. Sono quasi quattro anni ha vivo in Italia e sono venuto qui per raggiungere mia mamma che viveva qui da sola. Per otto anni in Nigeria ho fatto il corriere e qui ho lavorato come commesso, poi in un ristorante dove facevo un pò di tutto (e ho imparato a fare la pizza!), poi ho lavorato come muratore, badante e facevo le pulizie. In Nigeria mi sono laureato in protezione ambientale, e in Italia ho imparato la lingua e frequentato la scuola. Appena arrivato in Italia era inverno e faceva davvero freddo, ci ho messo un pò ad abituarmi. Appena sceso dall'aeroporto sono andato a Porta Palazzo, un posto che mi piace molto anche se tutto è diverso, anche i trasporti. In Nigeria non ci sono i tram per esempio e non ne avevo mai visti. Ascolto tanta musica ma soprattutto mi piace giocare a calcio al parco con i miei amici.
Alfonso Quaglino, 50 anni, un bimbo piccolo e una moglie a carico, la licenza di terza media in tasca, cerca un lavoro. Per una vita è stato un muratore e un piastrellista. Poi, con la grande crisi del mercato delle costruzioni, ha perso l’occupazione. Da allora ha trovato lavoretti saltuari. È stato per 5 mesi in Francia come lavapiatti in un ristorante, ha fatto il giardiniere e per due anni ha prestato servizio volontario al Cottolengo di Torino aiutando anziani e disabili ricoverati nell’igiene personale e accompagnandoli nelle passeggiate. Alfonso ama anche leggere e suonare la chitarra perché quello è il momento in cui non pensa ai problemi ed evade dalla realtà. In passato ha giocato anche a palla canestro e ha fatto nuoto. Vorrebbe tanto poter lavorare di nuovo come piastrellista, decoratore o muratore. Ma anche un lavoro a contatto con la gente, magari da addetto alla consegna dei pacchi, all’assistenza con gli anziani, o come giardiniere, lo renderebbe l’uomo più felice del mondo.
Mamadou è nato in Sierra Leone ed è arrivato in Italia nell'agosto 2016. Sono cittadino guineano dove studiavo georgrafia, mi sono laureato nel 2013 in popolazione e sviluppo. Ho lavorato come insegnate in una scuola materna e poi ho lavorato come mediatore durante la pandemia di ebola con la Croce Rossa. Parlo francese e volevo andare in Francia ma stando in Italia ho imparato anche questa lingua e questo mi permette con il susu e il pulaar di fare il mediatore culturale per le cooperative. Con l'ebola ho perso tante persone care, e ho avuto paura per questo ho deciso di partire. Il mio primo giorno in Italia è stato molto strano, le persone che ho incontrato non parlavano francese e non riuscivamo a comunicare. Poi sono andato a scuola e ho imparato la lingua e ho iniziato a lavorare come mediatore culturale per spiegare come compilare i documenti e tradurre nell'accoglienza dei migranti. Questo lavoro nel sociale mi piace molto, ho conosciuto molte persone di culture diverse e questo mi ha arricchito molto. Allo stesso tempo, ho pensato che volevo tornare a fare l'insegnante. Ora frequento un corso serale, prima giocavo a calcio ma ora posso solo nel weekend. Nel mio tempo libero studio molto.
Maria Bahtani è una signora marocchina di 36 anni, in Italia con la sua famiglia ormai dal 2001. Con determinazione Maria ha studiato e nel 2010 è riuscita a prendere il diploma di terza media. Poi ha fatto un corso di economia domestica, un corso per assistente famigliare. Ha anche lavorato in una famiglia per quattro anni e si occupava anche di cucinare. Un lavoro che l’ha appassionata, tanto che vorrebbe diventasse la sua professione. Ama anche la pasticceria. Ora sta seguendo un corso di cucina e uno anche di cucito di terzo livello. Grazie alla sua abilità con l’ago e il filo è riuscita a confezionare dei vestiti su misura per le sue figlie.
Yahya Eldai è nato in Sudan ed è arrivato in Italia nel 2009. In Sudan è laureato in linguistica, ha lavorato come insegnante nella scuola media e anche al mercato. Parla l’Arabo, l'inglese, l'italiano e un po’ di francese. In Italia è entrato chiedendo asilo politico e inizialmente ha avuto un po' di difficoltà sia linguistiche che culturali. A Bari ha preso i documenti, è venuto a Torino per studiare linguistica e ora è iscritto alla laurea magistrale di inglese. A Bari ha lavorato in campo agricolo, poi a Torino nei ristoranti come lavapiatti e aiuto-cuoco, lavoro che ha fatto per circa quattro anni. Yahya ha lavorato anche come giardiniere e come addetto al carico/scarico. Ha frequentato un corso professionale come muratore. Nel tempo libero gli piace camminare.
Silvana è nata e cresciuta in Itala, mentre il papà è serbo e la mamma macedone. Lei non è mai stata in Serbia e, seppur i genitori le abbiano trasmesso le usanze e le festività balcane, non conosce la lingua serba e si sente più italiana. I genitori si sono trasferiti in Italia alla ricerca di un lavoro, hanno vissuto per molti anni a Napoli per poi arrivare a Torino dove hanno lavorato in ambito educativo.
Silvana ha studiato fino alla terza media poi ha iniziato a lavorare per aiutare a casa. Ha lavorato come baby-sitter, come aiuto cuoco, nelle pulizie dei condomini e all’interno di un’associazione come impiegata e segretaria dove si è occupata di organizzare i vari appuntamenti e di ascolto alle famiglie. Ha un attestato alberghiero e di pasticceria e ha preso un diploma in sicurezza sul lavoro.
Silvana ama stare in cucina perché le piace cucinare sia piatti dolci che salati e sperimentare i piatti tipici di diversi paesi e, lavorando nella cucina di una scuola, ha scoperto che le piace molto lavorare in squadra e conoscere le altre persone.
Nel tempo libero a Silvana piace ballare con i fratelli e le sorelle e fare lunghe camminate.
Gabriella Stojanovic, nata nel 1991, è d’origine balcanica: il papà serbo e la mamma macedone. Nata in Italia dove ha studiato fino la terza media, ha anche iniziato le superiori ma non ha finito la scuola perché ha messo in discussione le sue capacità dopo un confronto spiacevole con una professoressa. Successivamente Gabriella ha fatto un corso prendendo una qualifica professionale come addetto alla vendita. Ha fatto volontariato nel sociale, lavorando come segretaria e distribuendo volantini, il doposcuola con i bambini, poi ha fatto lavoro accessorio, durante il quale faceva pulizie e cucinava. Gabriella ha fatto il servizio civile al Social point con la diaconia valdese seguendo due progetti: Sprar e corridoi umanitari. Durante questo percorso accompagnava i ragazzi richiedenti asilo politico a fare o prenotare le viste mediche e a fare i documenti. Ha lavorato negli ultimi tempi come badante e anche come baby sitter. Le piacerebbe lavorare con i bambini essendo una persona paziente e socievole. Gabriella capisce il serbo ma non lo parla, nel tempo libero le piace camminare perché in quel momento si rilassa e riflette e le piace fare volontariato
Hortance, una signora Congolese di 43 anni, vive in Italia dal 2016 insieme a suo marito e ai suoi figli. Ha sempre sognato di vivere in Italia. Nel suo paese d’origine ha studiato come sarta, ha preso un diploma e si è specializzata nella creazione di abiti da sposa su misura e camicie da uomo. Parla anche francese e in Italia ha preso la terza media e ha fatto un corso professionale per fare l'assistente alla famiglia. Le piacerebbe studiare ancora come sarta, perché il suo sogno sarebbe quello di diventare stilista per questo vorrebbe frequentare un corso. Nel tempo libero Hortance ama cantare e fa parte del coro della chiesa. Fin da piccola ha imparato a fare i lavori domestici perché a casa se ne occupava lei: cucina, fa le pulizie e, soprattutto, ha imparato a stirare perfettamente perché per una sarta è molto importante.
Ciao, noi siamo di Carmagnola e siamo arrivati qui ad Ostana, 50 abitanti appena, un anno e tre mesi fa per aprirvi una panetteria. Avevamo chiesto gli spazi al sindaco, inviandogli una mail. Dovevamo partire a marzo 2018, ma siamo un anno in ritardo. La difficoltà più grossa è stata proprio questa: abbiamo dovuto aspettare. E io mi ero licenziato già nel 2017 dal mio posto di lavoro. Per andare avanti abbiamo dovuto fare piccoli lavoretti, ma adattandoci ce l'abbiamo fatta. Oggi stiamo preparando i baci di dama da confezionare e portare nei comuni limitrofi. Sforniamo anche pizze al taglio, paste di Meliga e presto inizieremo a fare i biscotti con frutta secca. Abbiamo deciso di non usare macchinari tranne un'impastatrice. Non possiamo fare grandi quantitativi, ma puntiamo sulla qualità. Usiamo farina di nocciole della Langhe, farina di Fossano. Il lievito naturale lo facciamo noi. E tutti i nostri impasti sono sottoposti a lunghe lievitazioni. La popolazione di Ostana sta crescendo e noi abbiamo pensato: se partiamo adesso è fatta.
Sono Ilaria, ho trent’anni, sono di Torino e vivo da quattro anni qui a Ostana. Ho conosciuto questo paese grazie al mio compagno che è di qua e quando vi si è trasferito io l'ho seguito e da tre anni mi occupo dell'ufficio turistico che vende anche prodotti locali. Mio padre è pugliese di origine e mia madre è di origine veneta. Prima di arrivare all'ufficio turistico ho fatto dei lavoretti: la cameriera, ho lavorato per associazioni che organizzano eventi. Il mio ragazzo ed io siamo laureati in archeologia. Abbiamo ristrutturato una casa, che aveva costruito suo nonno, e poi siamo andati a vivere lì.
Sono Giacomo e per quindici anni, anche se non consecutivi, sono stato sindaco di Ostana. Sono presidente di un'associazione no profit che promuove la cultura occitana, lingua che Dante cita che trae origine da quella che dante cita nella Divina Commedia. La nostra non è altro che una variante alpina, con differenze di paese in paese, perché la lingua muta, si adatta. La mia famiglia è nello statuto di Ostana dal 1400. I Lombardo sono una delle due famiglie che resistette alla peste descritta dal Manzoni. Il nostro è un paese che nel tempo si è spopolato. Cento anni fa avevamo più di mille residenti. Nel corso del '900 molti sono andati via. L'emigrazione tra le due guerre ha visto migrare molti paesani verso la Francia. E un altro grande esodo è stato quello degli anni Settanta, Ottanta. Molti sono andati a Torino, altri in Francia. C'è stato un momento in cui erano rimasti, stanziali, solo 5 anziani. Poi lavorando con costanza si sono ricreate le condizioni perché le persone tornassero. Oggi abbiamo una cinquantina di residenti che vivono qui tutto l'anno, compresi sei pachistani richiedenti asilo. Hanno avuto già i colloqui per ottenere il diritto di asilo e noi speriamo che glielo diano, anche perché vorrebbero fermarsi a Ostana. Abbiamo poi quattro coppie giovani sotto i trentacinque anni. C'è un'economia che ha ripreso. E' stata anche riaperta la panetteria e così dopo più di 40 anni c'è di nuovo un negozio di prossimità.
Sono Silvana, proprietaria del bistrot “My Comfort Food”. La cucina è da sempre la mia passione, ma fino al 2010 ho lavorato nel marketing per un’azienda. Infine sono riuscita a realizzare il mio sogno, aprendo un’attività nel quartiere in cui abito da oltre 20 anni. Dopo qualche esperienza nell’ambito della ristorazione, ho aperto questa attività che gestisco da sola, grazie ad un bando del Comune per la riqualificazione del quartiere nell’ottobre del 2018. Mi occupo anche di catering e di cibo d’asporto, ma mi piace l’idea che chi entra qui trovi un posto accogliente dove mangiare come se fosse casa. Io tra l’altro abito proprio qui sopra, così ho realizzato quello che una volta si definiva “casa e bottega”. Amo l’idea che questo posto sia anche un luogo di incontro, di saluti, di scambio di informazioni e di riferimento per gli abitanti della zona, anche per piccole cortesie e scambi di favore (le chiavi, i pacchi da consegnare). Ho anche allestito un angolo per il book crossing, dove si scambiano libri di cucina e le ricette. Questo è un quartiere un po’ particolare e per certi aspetti difficile. Io credo che l’integrazione possa avvenire anche attraverso il cibo. Mi diverto molto, ad esempio, nel preparare e offrire nella stessa giornata cous-cous e polenta, dando così la possibilità di trovare benessere nell’assaggiare buon cibo, fatto con prodotti di qualità e soprattutto di stagione. Indipendentemente dalle sue origini il cibo deve dare “comfort”, per questo ho chiamato così il mio locale. Oggi Corvetto ha la “possibilità” di cambiare, di rinnovarsi, perché si trova in un punto particolare: qui finisce la città e trovi importanti strade per allontanartene, ma al tempo stesso in pochi minuti sei in centro e hai vicino parchi bellissimi in cui immergerti e dimenticarti del caos cittadino.
Sono Jessica Sabino, ho 19 anni. Sono nata e cresciuta a Milano e sono figlia unica. Ho studiato per un anno cucina all’alberghiero e poi sono passata a scienze umane, ma ho abbandonato subito anche quell’indirizzo di studi. All’epoca stavo attraversando un periodo difficile: i miei genitori si stavano separando ed ero seguita da un’assistente sociale che mi ha aiutato a intraprendere un percorso di avviamento al lavoro con la cooperativa La Strada. Non amavo studiare e, anche se avevo solo 15 anni ho cercato un’occupazione e dopo poco tempo sono stata presa come cameriera in un bar e sono ancora lì con l’incarico di aiuto barista. Ho iniziato gradualmente, prima con le colazioni, poi imparando a stare alla cassa, ora aiuto anche a fare i cocktail e per questo lavoro soprattutto la sera. Mi trovo bene con i colleghi. Gli amici faccio fatica a vederli perché ho orari diversi dai loro. Ma sono contenta di lavorare la sera, al mattino così posso alzarmi tardi. Nel tempo libero mi occupo dei miei tre cani, ascolto musica, soprattutto pop coreano, e faccio l’uncinetto. Adoro fare gli amigurumi, piccoli animali all’uncinetto. Mi piacerebbe tanto visitare l’Asia.
Sono Edoardo Fonti e ho rilevato, insieme ad altri amici, questa antica tipografia e cartoleria milanese aperta a Corvetto nel 1909 da Costante Bonvini, persona geniale e lungimirante, che con un’antesignana indagine di mercato, aveva scoperto che da Porta Romana a Melegnano non esisteva una cartoleria, e così ne mette una a metà strada. Dato che la zona, pur periferica, si stava popolando di aziende, fa diventare la cartoleria anche tipografia. Ci lavora insieme alla sorella, e Bonvini1909 diventa subito un importante punto di riferimento per famiglie e fabbriche. Nel 1950 il testimone passa alla figlia Leila e al marito Luigi Cambieri. La coppia gestisce l’attività fino al 2013 ma poi è costretta a chiudere per sempre e buttare via molti arredi originari e macchinari per la stampa ancora funzionanti, anche se analogici e quindi ormai anacronistici. Un gruppo di amici con la passione per la stampa, il design e la scrittura, rileva l’attività e nel 2014, dopo i lavori di restauro, Bonvini 1909 riapre rinnovato, ma immutato negli arredi, negli spazi e nei macchinari. Cento anni di storia sono stati così conservati. Certo la clientela è cambiata. Oggi abbiamo visitatori anche dall’estero, personaggi importanti. Collaboriamo con le realtà artigiane del territorio, proponiamo laboratori per riavvicinare le persone a strumenti, tecniche e lavorazioni che rischiano di scomparire nell’epoca del digitale. Offriamo workshop di scrittura, illustrazione. Tramandare le tradizioni e conservare questo immenso patrimonio è per noi una sfida e un vanto. Nel 2018 abbiamo anche ristrutturato l’abitazione dei Bonvini, che si trova al piano di sopra, facendola diventare una galleria d’arte.
Mi chiamo Simona Grande, sono nata in Puglia 46 anni fa e nel 1995 mi sono trasferita a Milano, per cercare un’occupazione che facevo fatica a trovare nel mio paese. Appena arrivata, sulla rivista Secondamano trovai un annuncio: cercavano qualcuno che gestisse una lavanderia. Mi presentai al colloquio pur non avendo nessuna esperienza nel settore. Aprii così con mia sorella maggiore, la mia prima lavanderia. Non sapevamo nulla, ma nel contratto era inclusa una persona che ci fece formazione, e in quei 9 anni di attività frequentai corsi di perfezionamento, imparando metodologie e tecniche. Mi sono subito appassionata a questo lavoro e ho proseguito a farlo, anche dopo la chiusura di quel primo negozio. Sono stata dipendente in strutture del settore molto diverse tra di loro, continuando ad imparare sempre da chi aveva più esperienza di me, anche sul rapporto con la clientela. Dal 2018 ho rilevato questo spazio che ho rinnovato e, anche se è molto ridotto, abbiamo tanto lavoro, soprattutto quando si fa il cambio di stagione. Ho due collaboratrici, oltre a mio marito che mi dà una mano da quando è in pensione. Spero di potermi presto allargare. A Corvetto ci abito dal ‘95 e trovo che adesso sia un po’ meno sicura, soprattutto la sera. Però qui, nel bene e nel male, mi sembra di vivere in un piccolo paese, e questo fa la differenza, nella vita come nel lavoro. Conoscere tante persone,dialogare con loro, per me è importante. E qui in Corvetto ho potuto farlo.
Sono Andrea, ho 50 anni, e sono da poco il titolare di questa macelleria che per 40 anni è appartenuta a mio papà. Già a 13 anni, finite le scuole medie, andavo ad imparare il mestiere. Anche mio nonno faceva il macellaio, e io e uno dei miei fratelli stiamo mantenendo questa tradizione. Lo facciamo con passione e dedizione, la stessa che ci ha trasmesso mio padre. In passato ho avuto in formazione un ragazzo molto dotato che in pochissimo tempo aveva già imparato tutto, anche ad avere a che fare con la gente. Perché in questo mestiere è importante saper ascoltare, ma anche saper rispondere con le parole giuste. Altrimenti si perde il cliente. Già prima che i miei chiudessero questo negozio, nel 2000, avevo iniziato a girare per Milano gestendo altri punti vendita, ma tutte le volte che passavo di qua vedere le serrande abbassate mi rattristava. E così l’anno scorso ho riaperto l’attività. Ho aggiunto alla carne – che scegliamo, tagliamo e disossiamo noi - la vendita di salumi, formaggi e prodotti gastronomici. La gente è stanca della grande distribuzione. I clienti anziani quando entrano qui dentro tornano indietro con la memoria. I giovani ci hanno invece accolto con curiosità. Per alcuni, fare la spesa in un negozio, è un’esperienza nuova. Mi sono reso conto che le persone, a forza di frequentare grandi spazi commerciali, hanno persino perso l’abitudine di salutare.
Mi chiamo Soukeye, sono nata a Dakar in Senegal e ho 47 anni e ora vivo provvisoriamente a Corvetto. Sto infatti cercando una casa vicino al luogo dove lavoro, la caffetteria di un albergo qui a Milano che mi ha assunto nel 2015. Sono arrivata in Italia nell’ottobre del 2008. Lo ricordo come se fosse ieri. La prima città in cui mi sono fermata è stata Massa Carrara, poi sono stata a Termoli, in Sardegna, e ancora a Torino, a Brescia, a Saronno. Infine, nel 2010, Milano. Ho sempre amato questa città capitale della moda. Per me stare qui è il massimo! Anche se inizialmente, prima di lasciare Dakar, avevo l’idea di andare in America, ma era difficile ottenere i permessi, e così mi era stato consigliato di andare al Consolato tedesco. Così sono arrivata in Germania senza problemi e da lì mi sono subito spostata in Italia. In Africa lavoravo alla dogana, in aeroporto, ma lavorare con le stoffe è sempre stato il mio sogno. Invece in Italia ho fatto lavori ben diversi, dalla badante, alla colf, fino alla baby sitter. Comunque nel mio tempo libero mi piace un sacco andare in giro per mercati, guardare vestiti, tessuti. Acquisto, modifico in base alla mia creatività. Inventare abiti è un dono che ho da sempre. Un giorno mi piacerebbe diventare stilista e dividermi tra Italia e Senegal, dove ci sono stoffe bellissime e tante opportunità.
Sono Vanessa, ho quasi 19 anni e sono nata a Milano da genitori di origine pugliese. Sono nata e cresciuta a Corvetto, dove ho frequentato le scuole e ho gli amici. Confesso di non avere un gran bel rapporto con lo studio. Quando ero più piccola mi sarebbe piaciuto diventare massaggiatrice e così ho fatto un anno di corso da estetista ma l’ho trovato difficile e ho abbandonato. Con la cooperativa La Strada ho invece fatto un tirocinio come commessa presso un negozio di abbigliamento e ho scoperto che posso vincere la mia timidezza lavorando a contatto con il pubblico. Amo ascoltare la musica e lo sport. Ho nuotato per circa 10 anni e ho fatto hip hop per un anno. Ho smesso di nuotare per mancanza di tempo e mi piacerebbe un giorno riprendere. Sono una ragazza curiosa, amo fare cose nuove ma non ho ancora le idee chiare. Mi piacerebbe viaggiare, conoscere posti nuovi. So che non mi piacerebbe fare la cameriera. Ho un ragazzo che lavora in un bar. Il mio futuro lo immagino lontano da Corvetto: questo è un quartiere insicuro e dove ci sono molti problemi.
Mi chiamo Mattia e da poco sono diventato un librario insieme a mia moglie Francesca. Sono originario di Bari e mi sono trasferito a Milano a 18 anni, mentre mia moglie è nata e cresciuta qui a Corvetto. Per trent’anni ho lavorato come educatore in una struttura per disabili, dove anche mia moglie prestava servizio come assistente sociale. Ad un certo punto però abbiamo sentito il bisogno di cambiare e nell’ottobre del 2017 abbiamo deciso di aprire a Corvetto una libreria per bambini dal nome Punta alla Luna, cui abbiamo aggiunto un angolo di libri per ragazzi e oggi anche alcuni titoli per gli adulti. I nostri clienti sono per lo più genitori che vengono ad acquistare per i figli. La nostra è stata una scelta di vita forte, che ci ha visto lasciare il posto fisso per intraprendere questa sfida. Abbiamo anche scelto uno spazio che è a pochi metri dalla nostra abitazione: un vero e proprio atto di amore verso Corvetto, una zona complicata ma viva. La risposta del quartiere è stata positiva fin da subito, e questo ci ha dato lo stimolo a far diventare questo spazio non solo un punto commerciale ma anche un luogo d’incontro, dove si fanno letture e si incontrano autori. Sono anche già nate delle belle collaborazioni con altre realtà commerciali e associative in piazzale Corvetto, con azioni concrete che stanno rendendo più vivibile la piazza. Siamo agli inizi, molto va ancora fatto ma sembra esserci un terreno fertile che darà certamente risultati nel tempo.
Sono Donatella, dal 1992 sono titolare di questo negozio insieme a mio marito e mia figlia . Produciamo e vendiamo pane, focacce, pasticcini e prelibatezze varie. A Corvetto lavoro da 30 anni, anche se adesso vivo fuori Milano. Ci sono arrivata per amore. Mi sono sposata nell’85, quando facevo la ragioniera. Mio marito era panettiere. Ha iniziato a 12 anni. Insieme abbiamo aperto il primo panificio vicino all’Upim che abbiamo chiuso dopo la nascita di mia figlia che oggi ha 27 anni e ci aiuta con l’attività. Oggi abbiamo solo questo negozio di piazzale Gabrio Rosa, nel quartiere Mazzini, una zona che negli anni ha visto molte attività chiudere per vari motivi, tra cui la mancanza di sicurezza e di investimenti per migliorare la zona. Noi stessi adesso quando chiudiamo, ci blindiamo dentro mentre prima si lasciava che anche all’ultimo minuto arrivassero gli studenti e i ragazzini a comprarsi il pezzo di pizza dopo la scuola. La vicinanza con le scuole è la nostra salvezza. La concorrenza della grande distribuzione e dei negozi etnici è forte e qui si fa sentire molto.
Mi chiamo Lucio, sono originario della provincia di Messina e sono arrivato da solo a Milano nel lontano 1967. Avevo 15 anni e ho iniziato subito a lavorare nei bar. A 22 ho aperto un’attività tutta mia. E qui a Corvetto ho trovato quello che considero un angolo di paradiso che condivido con uno dei miei tre figli e Patrizia, la mia collaboratrice salvadoregna a cui ho insegnato tutti i segreti della cucina siciliana, tanto che oggi è diventata bravissima. Qui viene una clientela un po’ particolare: oltre ai lavoratori della zona, ci sono studenti e ancora persone che si occupano di letteratura, insegnanti d’arte, gruppi di lettura. Ogni tanto si organizzano momenti in cui si fa poesia o si disegnano fumetti a tema. Io provengo da una famiglia povera ma ho sempre avuto una passione immensa per la cultura e i libri, e per questo, qui, ce ne sono tantissimi. In qualche modo ho creato una mia clientela offrendo molto più che solo cibo e caffè. Ho anche un grande quaderno in cui i frequentatori lasciano i loro pensieri e le loro dediche. Con alcuni sudamericani ho creato una delle più grandi associazioni sportive di Milano qui in piazzale Rosa e insieme collaboriamo per migliorare la zona in cui viviamo e lavoriamo. Credo che anche la presenza del piccolo commercio aiuti a rendere più sicuro un quartiere. E la mancanza di sicurezza forse è uno dei nei di questo quartiere oggi, un po’ come in tutte le periferie. Però Corvetto si sta risvegliando, anche sul piano commerciale. Si riaprono negozi, ci sono nuove attività artistiche, studi di professionisti, molti sono i progetti di cui si sta sentendo parlare e molti gli industriali che credono nelle periferie e ci stanno investendo.
Mi chiamo Jennifer, ho 20 anni e sto facendo un tirocinio formativo come aiuto-cuoco. Sono nata a Milano, da una mamma milanese e un papà veneto. Ho una sorella più grande di me e amo nuotare. La mia passione per il disegno mi ha fatto scegliere un corso triennale di grafica e, dopo numerosi tirocini, posso dire di aver acquisito una buona conoscenza degli strumenti e delle applicazioni che si utilizzano in quell’ambito. Sono in grado di realizzare un libro e, grazie al mio interesse per il teatro, ho anche avuto modo di partecipare alla realizzazione di un video con cui ho partecipato anche al Fiuggi film festival. Dopo queste esperienze però ho messo da parte la creatività della grafica e ho voluto iniziare a sperimentare anche altro. Mi incuriosiva il mondo della ristorazione, grazie anche a mio nonno che lavorava in quel settore, e così ho intrapreso dei percorsi formativi, prima nei bar, poi nei ristoranti. Adesso sono aiuto cuoco a Nocetum. Mi piace aiutare e vedere tutti gli aspetti della cucina, anche quelli che precedono la lavorazione e la trasformazione della materia prima: la raccolta delle erbe, degli ortaggi, della frutta. Mi è venuta voglia di approfondire anche la coltivazione della materia prima. Ho una preferenza per i dolci e la pasticceria, ma sono agli inizi e c’è tanto da imparare. A Corvetto ci lavorerei sicuramente, forse potrei anche viverci perché è vicina al centro ma anche a zone della cintura, come quelle da cui provengo.
Mi chiamo Anna, sono milanese, vivo a Paderno Dugnano e da quasi 20 anni lavoro al Mercato Centrale dove vendo pesce. Ma già da prima ero impiegata presso una ditta che si occupava di commercio ittico. Quando con mio marito abbiamo deciso di aprire un’attività nostra sapevamo però ben poco di questo prodotto. Abbiamo imparato da soli e ci siamo appassionati. Agli inizi lavoravamo qui in quattro. Accanto a noi c’era un ortofrutta che aveva addirittura il banco fuori. Si lavorava molto. Nel tempo però la situazione è peggiorata. Le concessioni degli spazi hanno una durata talmente breve che non dà garanzie per il futuro e questo non consente di investire. Per questo mio marito ha aperto da qualche anno un negozio analogo per conto suo. Così io lavoro qui da sola. Per fare questo lavoro occorre innanzitutto una grande capacità di acquisto. Ci si deve alzare presto al mattino per andare a scegliere la merce migliore. Ma non basta avere il pesce fresco. Il mio punto di forza è la cura del prodotto in tutte le sue forme, dalla pulizia alla preparazione al confezionamento. Posso vantarmi di aver insegnato a mangiare il pesce a tante persone che non lo conoscevano o non lo apprezzavano. È con questi servizi in più che batto la concorrenza.
Mi chiamo Giacomo Sarasso, sono nato a Torino e cresciuto a Vercelli, dove tuttora risiedo. Ho 49 anni, sono sposato con Susanna e abbiamo un bimbo di 9 anni. Dopo aver fatto l’agente di commercio per tanti anni, seguendo le orme di mio papà, ho deciso di reinventarmi e trovare un nuovo lavoro che rispondesse alle mie nuove aspettative. Per lavoro avevo iniziato a frequentare Milano 25 anni fa, e l’ho sentita subito familiare, tanto da decidere di cercare un nuovo lavoro in questa città che considero un teatro in cui mettersi in mostra e poter uscire dall’anonimato. Ho scelto piazzale Corvetto perché mi ci sono subito identificato: io non riuscivo più ad esprimere me stesso e questa piazza, pur avendo delle potenzialità, sembrava avere il mio stesso problema. Attraverso questa mia microimpresa ho deciso di iniziare a prendermene cura, ad abitarla e a caratterizzarla, finendo così ad indentificarmi e ad essere identificato con essa attraverso il mio chiosco. Insieme ai caffè e ai panini (che ho imparato a fare seguendo corsi e facendomi aiutare da cuochi), ho iniziato a proporre fin da subito delle attività di aggregazione per le persone del quartiere, e oggi i loro interessi sono diventati anche i miei.
Ho visto delle possibilità di sviluppo qua a Corvetto e avviato collaborazioni con enti pubblici, terzo settore, associazioni, per arrivare a produrre non soltanto reddito ma anche e soprattutto valori, benessere, qualità della vita per me, per i miei clienti e per chi abita qui intorno.
Desidero che il mio panino, il mio caffè siano cibo per l’anima e la mente, e non solo per il corpo, quindi aggiungo un ingrediente speciale: lo scambio di parole, il dialogo, la chiacchiera su quanto accade nel quartiere, l’invito ad un evento, il sentirsi a casa... di Giacomo!
Sono Andrea Ferrari, e sono coordinatore del Centro Polifunzionale Ferrara per conto della Cooperativa Sociale Progetto A. Lavoro qui a Corvetto da 15 anni e ci passo la maggior parte del tempo. Ho iniziato come obiettore e poi non sono più andato via. Sono di Milano e abito in Via Padova, altra zona “calda” della città. Il Centro Polifunzionale è frequentato da alcune centinaia di persone, e offre sia la possibilità di partecipare ad attività come ballo, tornei di bocce, di carte, di frequentare il doposcuola per bambini, servizi di avere un accompagnamento per gli anziani. Collaboriamo con altre realtà del territorio e con la Cooperativa La Strada. Gli utenti sono i più disparati: anziani, quasi tutti italiani, ma anche famiglie, bambini, mamme. Ci sono gli arabi, i centroafricani, i latino-americani, le badanti dell’Est non più giovanissime. Nella bella stagione si può stare in giardino. La balera attira persone provenienti anche da altre zone della città. Come Quartiere Mazzini e la Zona 4 anche Corvetto è un po' terra di mezzo. Né centro ma nemmeno periferia a giudicare dai prezzi di certi alloggi, dei servizi e persino dei collegamenti. Siamo vicini a Rogoredo e quindi abbiamo a che fare con lo spaccio. Io amo anche scrivere e raccontare la mia Milano. Posso dire che qui, in questo quartiere assistiamo alla sua doppia narrazione: da una parte c'è quella di una città proiettata nel futuro, con i grattacieli, la moda, il “modello Milano”, e dall’altro il racconto, a volte esagerato, di situazioni di degrado, micro e macro-criminalità, modelli di integrazione falliti. Nonostante siano tanti, oggi, i progetti che si stanno realizzando per migliorare il territorio, si rischia di trascurare quella fetta di invisibili, che si rifiutano di partecipare per diffidenza, sfiducia o pigrizia. Io punterei più su progetti di formazione, specie linguistica, della componente femminile, quella su cui, all’interno delle comunità soprattutto arabofone, si riversa tutta la responsabilità della gestione della vita quotidiana. Senza sapere la lingua resteranno isolate, non integrate e poco attive. Da scrittore racconterei Corvetto con un’immagine: l’affollamento alla fermata della 95. C'è sempre una gran calca che si riversa sull’autobus già pieno dove tutto sembra sregolato e dove invece nascono atti di gentilezza come quello di un energumeno alto e nero che aiuta una nonnina a salire sul mezzo con le borse della spesa.
Mi chiamo Pasquale, ho 50 anni e da cinque sono il direttore responsabile dell’All American Diner, un ristorante, aperto nel 2015, grazie alla passione di due fiorentini per gli Stati Uniti. I miei sono nati in Puglia e mio papà è venuto qui negli anni del boom. Ricordo i suoi racconti di quello che ha passato arrivando a Milano e mi accorgo che oggi noi stiamo facendo passare le stesse pene agli extracomunitari. E tutto questo non mi piace. Ho iniziato a lavorare nel 1993 come barista, dopo aver finito le scuole medie, poi ho fatto il cuoco, ho aperto anche ristoranti, e adesso organizzo gli acquisti, recluto il personale, mi occupo dell’accoglienza della clientela all’All American Diner, 250 coperti e solo nel weekend passano circa 1000 persone, altrettante fra pranzo e cena nei giorni feriali. Cuciniamo soprattutto piatti a base di carne e abbiamo prodotti garantiti, certificati, lavorati nel modo migliore come richiesto da una clientela medio-alta ed esigente. In 5 anni gli affari sono cresciuti e noi abbiamo assunto molte persone che vivono a Corvetto, trovandoci bene. Questo nonostante che a molti imprenditori venisse sconsigliato di aprire un’attività qui a causa della poca sicurezza. Di Corvetto mi ricordo sin da piccolo: mia mamma mi portava all’Upim con il 13: per me era un vero e proprio viaggio, non c’era ancora la metro.
Mi chiamo Elio e ho appena compiuto 46 anni. Sono nato a Milano da genitori campani arrivati qua negli anni del boom economico. Ho studiato ragioneria, ma dopo qualche lavoretto saltuario sono entrato nel mondo della ristorazione, iniziando come lavapiatti, per arrivare oggi a occuparmi di organizzazione del lavoro, rapporti con la clientela e personale. Qui al Vivà di Corvetto presto servizio dal 1996 e questo mi ha permesso di conciliare, lavorando di sera, un’altra attività in un’organizzazione ambientalista. Il locale era sorto nel 1994, ma è solo uno dei numerosi ristoranti che negli anni ‘70 nacquero dall’idea di un gruppo di amici che voleva fare una ristorazione di qualità a prezzi accessibili. La gavetta l’ho fatta in un altro locale della catena in cui avevo iniziato anni prima. Questo è sicuramente un lavoro che apre la mente. Hai a che fare con le esigenze di una clientela che è molto variegata. La zona negli ultimi anni ha visto crescere le comunità straniere che qui in periferia sono sempre più numerose. Ma anche loro apprezzano la nostra pizza e la nostra cucina italiana.
Sono Fulvio Ferrari, ho 49 anni, sono nato a Corvetto, ma da quando mi sono sposato vivo a San Donato. Ho iniziato a lavorare qui a 18 anni, poi nel 2001 mio suocero ha passato a me e mia moglie la rosticceria. Agli inizi ci lavoravamo in 7, adesso invece siamo solo io e lei e questo dimostra quanto siano cambiate le cose per il commercio in questa zona. Nel quartiere molti stabili sono stati abbandonati, spesso sono mancati senso civico, rispetto ed educazione. Oggi sono soprattutto gli anziani i miei clienti. Con loro ho costruito e mantenuto negli anni un bel rapporto di fiducia, aiuto e comprensione. Qui facciamo ancora come una volta: si segna e si paga a fine mese. Per quanto riguarda il Mercato Centrale, dei 19 negozi aperti quando sono arrivato ne sono rimasti la metà. La struttura è vecchia, e ormai da vent’anni non si fanno interventi, in attesa della nuova che però non è mai stata aperta. Corvetto ha un sacco di potenzialità con i suoi parchi, il verde, i trasporti, i collegamenti. Bisogna però mettere insieme le forze, collaborare per rilanciarla come merita. Speriamo che la rigenerazione delle periferie promessa dai politici locali venga attuata al più presto.
Mi chiamo Maddalena, sono originaria di Torino, vivo a Lodi ma lavoro a Milano dove mi occupo della gestione, della progettazione e dell’organizzazione della Cooperativa Nocetum, che si occupa di inserimenti lavorativi, in particolare nella filiera agro-alimentari. Nocetum ha 30 anni di storia ed è nata dal basso. La sua sede si trova in un luogo che era degradato ma che è stato risanato da volontari e grazie alla caparbietà di Suor Ancilla, una delle fondatrici. Da 10 anni ospitiamo anche mamme con bambini che restano dai 4 ai 6 mesi negli alloggi della nostra struttura, in attesa di inserimenti lavorativi e residenziali che li rendano autonomi. Facciamo formazione a stranieri che, seppur con difficoltà linguistiche, riescono poi a mettere a frutto competenze e talenti. Nocetum si trova in una zona che è un po’ cerniera tra città e campagna. In passato l’arrivo di migranti ha creato forti conflitti. Grazie alla collaborazione tra associazioni, cooperative, scuole, parrocchie, ed enti pubblici, si sta lavorando per eliminare situazioni di degrado. Sono convinta che là dove si fa strada il bello, arretra il vandalismo e aumenta il senso di appartenenza e responsabilità.
Mi chiamo Stefano e in Corvetto lavoro e ho gli amici che frequento ancora oggi.
Nel 1998 ho rilevato l’officina che mio papà, che è mancato 3 anni fa, aveva aperto nel 1987. Fin da quando avevo 14 anni ho passato molte estati in officina, attratto dalle macchine ma anche dal suo odore. La passione per le auto mi è venuta venendo in officina da papà, ma avessi un figlio oggi non gli consiglierei di fare il meccanico. Non è più un mestiere da artigiano, ma da imprenditore, che richiede molta passione, fatica e tanta preparazione. Prima l’automobile era solo meccanica, oggi ci sono tanta tecnologia ed elettronica che richiedono investimenti continui in attrezzature e aggiornamenti, restando competitivi sul mercato. Le auto sono cambiate, i clienti sono più informati ed esigenti, e sempre meno sono i giovani che intraprendono e riescono in questa sfida. Ho soprattutto giovani stranieri che vengono in stage da me e che a volte hanno al loro paese qualche familiare che fa lo stesso lavoro.
Per quanto riguarda Corvetto io mi trovo bene, la trovo migliorata rispetto a qualche anno fa, ci sono più controlli, trasporti, bar, ed è meno evidente il degrado. Mancano però spazi di ritrovo per i giovani, anche se le loro abitudini sono cambiate, anche qui a causa della tecnologia.
Mi chiamo Elena e sono un’estetista. Quando avvicino una cliente ne studio il volto, ridandogli luce e colore con una crema o un unguento. Sono nata a Milano, a Porta Romana, ma mi sono trasferita nel quartiere di Corvetto nel 1963. È in Liguria, a Rapallo, che ho conosciuto mio marito, in una bella giornata di sole. Da questa storia d’amore è nata nostra figlia, con cui il legame è intenso e collaborativo, anche se oggi non viviamo più nella stessa città. Un po’ per caso, ho iniziato a fare questo mestiere che oggi mi dà tante soddisfazioni. Nel 1984 ho aperto il mio centro estetico nel cuore di Corvetto, considerato un quartiere malfamato ma ingiustamente. Io lo sente come casa mia, amo quest’aria popolare, il verde che spunta tra le case. Qui la mia attività è pian piano cresciuta, tanto che nel 1987 sono stata costretta ad ampliare gli spazi in cui mi trovavo. Sono sempre più appassionata di questo lavoro, non si smette mai di imparare si devono frequentare sempre nuovi corsi di aggiornamento. Così ho scoperto l’oncoestetica, e l'anima mi si è riempita di gioia. Certo di far sentire le donne più belle. Farle sentire meglio. Anche quelle malate di tumore.
Mi chiamo Donato, sono di origini pugliesi, sono sposato e ho un figlio. Sono a Milano da circa vent’anni dopo aver trascorso nove anni all’estero tra Stati Uniti, Belgio e Francia. Poi ho sentito il richiamo dell’Italia perché ho realizzato che il cuore degli italiani è unico. Mi sono sempre occupato di ristorazione fin da quando avevo 14 anni e vivevo in Puglia. Dal bar sono passato alla sala e infine alla cucina e 5 mesi fa ho realizzato il desiderio di aprire una mia attività qui a Corvetto. Mi sono subito innamorato di questo posto. Abito a Bandenere ma dopo aver visto questo locale ho fatto delle indagini di mercato per conto mio e scoperto che è una zona popolare con un’alta percentuale di residenti del Sud Italia, soprattutto di origine pugliese. Sto avendo degli ottimi riscontri, anche se all’inizio mi sentivo dire spesso “sei italiano?” perché sono l’unico della zona dove molti sono bengalesi. A mia insaputa sono stato anche recensito su Milano today per il miglior panzerotto barese di Milano! Le istituzioni qui a Corvetto sono presenti e c’è in atto una riqualificazione che mi ha spinto a provare.
Sono Besy e sono arrivato in Italia nel 1997, riuscendo a lasciare l’Albania, la mia terra di origine, dopo sette tentativi non riusciti di attraversare l’Adriatico in gommone. Mio padre era arrivato prima di me, nel 1993. Successivamente ci hanno raggiunto mio fratello, mia sorella e mia mamma. Tre anni fa ho aperto questo bar a Corvetto, dove sono cresciuto. Gioco a calcio e ho molte conoscenze e amici che mi vengono a trovare, così l’ho chiamato con il mio nome: da Besy Caffè. Per me è una sfida averlo aperto qui, in un quartiere di cui tutti parlano male e su cui tutti hanno pregiudizi sbagliati. Voglio fare un bel lavoro in una zona che spero cresca. Dopo ciò che ho visto in Albania, Corvetto mi sembra l’America. In Albania ho ancora parenti ma la mia realtà è questa, i miei amici sono qui. Sono stato molto fortunato perché giocando a calcio, nel Rogoredo, mi sono fatto conoscere, voler bene e ho costruito relazioni che mi hanno aiutato e mi aiutano ancora oggi. Vorrei che soprattutto la zona meno bella di Corvetto, dove si trova il mio bar, venga riqualificata con strade, parchetti, verde. Vorrei fosse più moderna. Vorrei che la gente stesse meglio.
Sono Luca e lavoro alla pasticceria La fonte del dolce, ancora oggi conosciuta come Pasticceria Grecchi dal nome di mio nonno Dino che la fondò pochi anni dopo la fine della guerra, spinto dal desiderio di mettersi in proprio e da mia nonna. Dopo aver aperto un secondo punto vendita, negli anni ’60 gli fu proposto di acquistare il seminterrato di uno stabile in costruzione a Corvetto. Fu così nel 1963 inaugurò questo laboratorio che inizialmente forniva soprattutto panifici e pasticcerie. Ma la gente passava, sentiva il profumo ed entrava, diventando così un punto di riferimento della zona. Per arrivarci bisogna conoscere il posto, è l’unica pasticceria di Milano che non è sulla strada.
E poi c’è mio papà, pasticcere anche lui, che aveva invece aperto a Famagosta una sua attività dal nome “La fonte del dolce”, con un socio - Antonio - formatosi dal nonno. Quando il nonno è andato in pensione li ha coinvolti nell’attività, da qui l’attuale nome.
Dal 1999 ci lavoro anche io con Massimo, il figlio di Antonio: dopo essere cresciuti nello stesso palazzo ci troviamo come i nostri genitori a lavorare insieme in pasticceria!
Non vivo a Corvetto ma noto che rispetto a 10-15 anni c’è meno delinquenza, sta diventando molto più multietnica. Sarà effetto della globalizzazione, comunque basta che ci sia coesione.
"Questo borgo ha un avvenire. Via Catania una volta era la via dove passavano i funerali, oggi come oggi ci sono i bar e i dehor. Prima era il viale del tramonto oggi è la “via lumière”.Torino e i suoi caffé, Torino e le sue pasticcerie. I gusti sono sempre uguali, anche con la tecnologia che avanza. Una volta il raffreddamento si faceva sul marmo, ora con gli abbattitori. Ma i gusti “vecchi” con i sapori di una volta, piacciono sempre. E con i suoi 60 anni di attività, si può dire che Raspino e le sue bignole sono un'istituzione.Sono nato a Torino ma mi sento govonese. Sono qui dal 1959 e le cose sono molto cambiate da allora. Qui era un borgo operaio, c’era la Ceat con quasi 3000 operai. Oggi il quartiere si è trasformato con l’Università, l’Italgas... Un volta dire Corso Regio Parco era come dire estrema periferia, oggi invece è come dire centro. Anch’io sono cambiato tanto, ero un garzone di bottega e ho ereditato l’attività dal mio datore di lavoro, scomparso prematuramente. Mi ha lasciato la pasticceria. Ho iniziato alla fine della guerra nel ‘49 e quest’anno l’attività compie 60 anni. La mia attività è nata per caso. Ho pagato 3 milioni a 100 mila lire al mese per acquistarla, il primo incasso è stato di 13 mila lire e mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Sono affezionato a tutti i prodotti di pasticceria ma quando sforno il panettone a Natale è una grande soddisfazione perché è il frutto del mio lavoro… il lievito madre… una creazione! Oggi non va di moda la bignola ma la miglior pasticceria che ci sia è sempre la bignola. Sarò vecchio, ma è così!"
Buongiorno io sono Gemma e lui Eden, siamo produttori di ortaggi e frutta biologici. Abbiamo iniziato 40 anni fa a San Giglio, vicino a Pianezza, e dal 2003 ci siamo trasferiti ad Avigliana, sopra una collina da cui si vede il lago piccolo. La nostra avventura è iniziata quasi per caso. Nella nostra cascina a San Giglio, dove abbiamo vissuto per 20 anni, siamo arrivati perché Eden faceva arredamenti e in questo luogo c'era tanto spazio per i suoi macchinari. E c'era anche un grande appezzamento di terra che io, figlia di contadini della provincia di Cuneo, avevo subito adocchiato. Eden, nato in provincia di Rovigo e trasferitosi nel '52 in Piemonte, dopo la grande alluvione, insieme alla famiglia, era figlio di falegname che con un socio aveva ricominciato da zero a Collegno. Eden in falegnameria ha iniziato a lavorare a 8 anni. Si è anche fatto male a un braccio. Poi a 17 anni è diventato analista chimico ma ha continuato a lavorare il legno. Era molto richiesto dalle famiglie bene di Torino perché bravo. Nel '72 mi ha sposato. E se all'inizio mi dedicavo ai figli, mentre lui manteneva la famiglia, quando ci siamo spostati a San Giglio, mi è venuta voglia di mettere le mani nell'orto. I miei figli avevano già 6 e 4 anni e io volevo dar loro cibi sani. Nello stesso periodo ho conosciuto l'associazione Suolo e salute che cercava di dare informazioni agli agricoltori tradizionali affinché si convertissero al biologico. Abbiamo così iniziato a produrre per noi e poi abbiamo deciso di vendere i nostri prodotti. Abbiamo acquistato un furgone della Volkswagen di seconda mano e andavamo al mercato di Alpignano. Ma non avevamo un posto fisso, fino a quando gli ambientalisti della zona non hanno deciso di raccogliere le firme per farci assegnare uno spiazzo. Allora non c'era nemmeno la legge sul biologico. Da San Giglio ci siamo dovuti spostare quando hanno deciso che lì vicino doveva passare la Tav. Allora abbiamo cercato e trovato il posto dove stiamo ora. Un luogo splendido, ancora più bello della vecchia cascina. E oggi anche mio figlio, perito agricolo, ci dà una mano.
Io sono Alì, vengo dal Pakistan e ora vivo ad Ostana dove tutte le persone sono brave, ho diversi amici e insieme giochiamo a biliardo. Vado a scuola, frequento la terza media a Saluzzo la sera, dopo aver finito di lavorare come muratore. Ho ancora tanto da imparare in questo mestiere, anche se in realtà vorrei fare il meccanico. Allo stesso tempo sto studiando l'italiano. E il prossimo obiettivo è prendere la patente. Sono arrivato qui in Piemonte con mio zio e due amici, ma loro sono andati via a Milano e Torino. Io invece ho deciso di restare. Qui mi sento a casa.
Ciao, mi chiamo Quratulain, sono pachistana e ho 26 anni. Ho abitato per quattro mesi a Torino e da due anni vivo a Ostana. Sono l'unica donna pakistana della zona, non sono sposata. Qui ho trovato lavoro in cucina. Sto imparando a diventare una cuoca. In Pakistan invece ero un’insegnante. Ho fatto questo mestiere per due anni poi sono dovuta andare via dal mio paese. In Italia sono ritornata sui banchi di scuola. Oggi frequento la terza media. Dopo, proseguirò con la scuola alberghiera. Il mio sogno è viaggiare.
Buongiorno, mi chiamo Mohamed Rashid, sono pachistano e sono arrivato in Italia nel 2017. Mia moglie e i miei due figli sono in Pakistan. Nel mio paese ero perseguitato per la mia religione e sono dovuto fuggire con mia sorella che è qui con me. Abbiamo visto tanti morti. Ma ora siamo ad Ostana dove mi occupo di agricoltura, di animali. Qui sto bene e, appena avrò il permesso, cercherò di portare la mia famiglia. Prima di venire in Europa ero elettricista. Faccio ancora qualche lavoretto in questo campo, ma ho poco tempo perché oltre al lavoro in campagna frequento la terza media. Non appena finirò seguirò un corso perché vorrei poter esercitare di nuovo il mio lavoro di elettricista. Il tempo libero è poco e lo passo guardando la tv, leggendo il giornale. Poi mi piace il calcio e il tennis. Gioco anche a pallavolo. Vicino a casa c'è un campo dove la comunità si ritrova d'estate per giocare.
Io sono Umair, sono pachistano, sono arrivato in Italia da due anni e abito da appena dodici mesi qui a Ostana. Lavoro in un ristorante. Un'occupazione del tutto diversa da quella che avevo nel mio Paese: lì vendevo automobili per la Toyota. Ho sempre lavorato in quel settore. Mentre ora ho scoperto che mi piace la cucina. Faccio il lavapiatti e l'aiuto cuoco, ma il mio sogno è diventare un cuoco e aprire un'attività tutta mia. Nel tempo libero gioco a carte con gli amici. Facciamo giochi pachistani. Qualche volte ho giocato anche con il sindaco, ma si facevano giochi italiani che sono tutta un'altra cosa.
Mi chiamo Silvia e gestisco il rifugio comunale Galaberna. Io sono della Val Varaita e a Ostana ci sono capitata per caso, perché una nostra amica cuoca stava cercando un ristorante da gestire. Sono qui dal 4 giugno 2011. Mio marito fa il fisioterapista quindi mi occupo soprattutto io di questa attività. Il rifugio comprende un bar, un ristorante e sette camere con bagno. Non abbiamo camerate. La gestione è familiare. Non rifacciamo i letti ogni giorno. Ci siamo dotati anche di un parco avventura. Io sono laureata in scienze dell'educazione e quando sono arrivata qui ero project manager. Da dieci anni mi occupavo di progetti internazionali. Questo è stato un vantaggio perché mi sono avvicinata a questa attività con un atteggiamento un po' nuovo, una flessibilità, una disponibilità al confronto diversi da chi ha sempre vissuto qui e fatto l'albergatore in questa zona ereditando la struttura dai genitori, senza andare mai altrove. Noi vediamo che ci sono turisti che sono interessati al turismo esperienzale, non cercano il lusso ma vogliono vivere il luogo, la cultura occitana, la vita dell'alpeggio. Ed è questo che noi cerchiamo di offrire.
Sono Enrico, sono di Paesana. Oggi lavoro nel settore dell'edilizia, recuperando case che non hanno meno di 150 anni di storia. Prima ero impiegato nel tessile. Quando ho perso il vecchio posto, mi sono dovuto reinventare. Mi piaceva lavorare la pietra e il legno e nel 2011 mi sono buttato nel settore delle ristrutturazioni entrando nella Valle dell'Eco, azienda nata nel 1996. Qui usiamo la calce al posto del cemento, anche se costa tre volte tanto. Cerchiamo di conservare il più possibile antichi pavimenti, travi in legno. Siamo una sorta di custodi del passato. Ciò che facciamo è copiare dal modo di lavorare utilizzato una volta usando però materiali innovativi. La calce per esempio era stata abbandonata perché nociva per l'uomo, ma quella di nuova concezione non lo è più. E la gente, se all'inizio non capiva e non voleva spendere maggiori quantità di denaro, ora inizia a comprendere e a chiamarci. Questo è un bel territorio, la gente si aiuta a vicenda e tiene alla conservazione del territorio.
Mi chiamo Marina e sono arrivata ad Ostana nel 2005. Prima, io e mio marito abitavamo a Revello, qui in provincia di Cuneo, e facevamo altri mestieri. Ma ci piaceva l'idea di una vita in montagna, così abbiamo avviato i lavori per aprire un'azienda agricola e nel 2011 siamo riusciti a realizzare il nostro sogno. Coltiviamo lavanda officinale, Genepy, stelle alpine, patate. Siamo a 1600 metri di altitudine e non possiamo piantare molte varietà di piante. Abbiamo anche degli animali come capre e Alpaca. E abbiamo creato l'agriturismo 'A nostro mizoun', che significa a casa nostra, dove ospitiamo diversi turisti soprattutto nei mesi estivi quando la montagna è più frequentata da chi la ama e da chi vuole allontanarsi dalla città. Chi viene qui d'inverno apprezza le passeggiate con le racchette sulla neve, e adora sciare. A poca distanza da qui ci sono due impianti. L'altra attività che seguiamo è quella di produrre liquori nel nostro opificio a freddo, soprattutto usando il Genepy e la lavanda. Con quest'ultima facciamo anche gli zuccherini e la diamo a un saponificio. Adesso vorremmo usare la lana degli Alpaca per fabbricare sciarpe, maglie e berretti. Abbiamo i telai e una signora che lavora i ferri.
Questa sede è stata a lungo il centro culturale e di innovazione per l'intera comunità. Alla fine della guerra, nell'euforia degli anni 50 donne e uomini si ballava il rock'n' roll. Negli anni 60, il primo televisore di Drubiaglio è stato qui. Prima da soli non si poteva far nulla, insieme si poteva fare tutto.
Io sono Angelo, autoctono di Drubiaglio. Quando ero piccolo questo paese aveva 6-700 abitanti, adesso siamo 2500 ed essendo vicina al nodo autostradale ci sono stati insediamenti di case nuove, un paese utilizzato ora come dormitorio da molti che poi lavorano in città. Ma questo territorio ha una storia importante, fatto di persone anche dure, ognuno badava per se, prima si facevano il recinto e poi la casa. Ma c'era un problema, c'erano tante famiglie numerose ma terreni agricoli piccoli, e allora le famiglie avevano bisogno di mettersi assieme. Nel 1908 nasce la prima società di mutuo soccorso e agricola con tre finalità: la prima era quella di affrontare assieme grosse spese per strutture e macchinari da utilizzare assieme, la seconda era quella di costituire un fondo per assistenza in caso di malattia o infortunio, la terza creare gruppo d'acquisto. Tutti mettevano una quota e tutti beneficiavano dei vantaggi. Con l'avvento del fascimo le cooperative era viste di malocchio, perché le cooperative, le comunità richiamano sempre un po' il comunismo, lo stare assieme in quel periodo sopratutto era visto come un atto quasi sovversivo., ma proprio in pieno fascismo viene costruita la prima sede, inaugurata nel 1938, che ancora oggi è la casa più bella di Drubiaglio. La sede viene costruita per due motivi: allargare a tutti l'utilizzo dello spaccio commerciale, e anche, ma per niente secondario dare ai soci un luogo di aggregazione per lo svago.Qualcosa che non esisteva assolutamente in questi piccoli paesi contadini, dove l'unica cosa era il lavoro. Questa sede è stata a lungo il centro culturale e di innovazione per l'intera comunità. Alla fine della guerra, nell'euforia degli anni 50 donne e uomini si ballava il rock'n' roll. Negli anni 60, il primo televisore di Drubiaglio è stato qui. Prima da soli non si poteva far nulla, insieme si poteva fare tutto. Poi con il boom economico, negli anni 60 e 70 le cose sono iniziate a cambiare, con il lavoro in fabbrica e i contratti non c'era bisogno del mutuo soccorso per gli infortuni, l'arrivo dei supermercati ha tolto spazio allo spaccio alimentare. Negli anni ottanta nessuno aveva più bisogno di niente, i soci da 330 sono diventati 90. La società ha trovato nuova linfa a partire dagli anni 2000. Oggi noi siamo eredi di questa storia, siamo una società cooperativa di consumo, permettiamo ai produttori di organizzarsi, di lavorare insieme, di avere una forza sul mercato che da soli non avrebbero.
Sono Michele e mi occupo di sicurezza informatica. Qualche anno fa sono stato coinvolto in un progetto del Politecnico di Torino per la creazione di una rete a Santo Benedetto Belbo, un'area dove c'era poca connessione. Da lì è nata l'idea di sviluppare una serie di reti in grado di rispondere all'esigenza di tutti quei territori mal collegati o per niente collegati a Internet come i comuni di montagna, di collina. Vorremmo portare la connessione in tutto il Piemonte grazie alla tecnologia radio che è la più economica e che consente di essere molto flessibili, tanto che abbiamo deciso di usarla per consentire la gestione degli impianti semaforici e dei pannelli fotovoltaici. Come sono arrivato a fare questo mestiere? Per passione. Non ho una laurea in Informatica, ma negli anni Ottanta, quando Internet nasceva passavo ore e ore al computer e leggevo di tutto. Poi pian piano ho deciso di trasformare tutto questo in un lavoro.
Sono Cesare Borello e sono il presidente della Pro Loco di Avigliana, siamo un associazione turistica di volontarie e volontari che vogliono bene a questo paese e siamo impegnati sopratutto in due direzioni, la prima è quella più turistica, per creare un calendario di eventi che possano attirare turisti e visitatori; l'altra è dare spazio alle manifestazioni dei cittadini. Avigliana è una cittadina suddivisa in 7 borgate e da qualche anno cerchiamo di diversificare l'offerta turistica disseminandola in diversi punti della città e non solo al centro. Le borgate sono protagoniste una volta all'anno in Luglio nel "Palio dei Borghi" che esiste da ben 38 edizioni ed è sicuramente la manifestazione più importante che ci impegna durante tutto l'anno, ogni anno vi prendono parte più di 400 comparse che in tre giorni danno vita a rievocazioni storiche della giostra che si tenne in occasione del passaggio in Avigliana di Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo, che andava in sposa a Luigi, fratello del re di Francia, nell'anno 1389. Il palio raggruppa in tenzoni varie le borgate che si sfidano tra piccole rappresentazioni teatrali, tiro con l'arco e sopratutto nella grande corsa di cavalli che si tiene alla fine delle tre giornate. Per un giorno le chiavi della città sono consegnate al Conte Rosso e le borgate negli abiti storici sfilano per il paese, e insieme tengono una grande festa accompagnata come sempre in questi casi anche dal buon cibo e da un mercatino di prodotti tradizionali. Lavorare, anzi essere volontari per la Pro Loco è un atto d'amore verso questa città e significa affrontare mille difficoltà, sopratutto burocratiche, dalla nostra parte abbiamo il sostegno dell'amministrazione locale e dei cittadini che sopratutto per il palio partecipano volentieri, da un po' di anni coinvolgiamo anche i più piccoli con il "Palio dei Masnà" il palio dei bambini che li vede coinvolti in prima persona, anche durante l'anno scolastico dove le ore di storia sono un occasione per far conoscere anche la storia del proprio paese con incontri dedicati.
Mi chiamo vinicio perugia sono un pittore incisore da vent’anni, forse da tutta la mia vita. Sono nato nelle marche a Fabriano nella città della carta e sono arrivato ad Avigliana, Ho il mio atelier nel borgo storico dal 2005, qui oltre a dipingere tengo dei corsi di pittura e di incisione. Mio padre, figlio di una famiglia di ebrei livornesi era nato al Cairo in Egitto e faceva il pittore, io sono vissuto in un ambiente dove i quadri erano una presenza costante.
Quando sono arrivato in Piemonte ero ancora un bambino e mi sono messo a lavorare molto giovane nelle fabbriche per aiutare la mia famiglia, casualmente poi ho cominciato occuparmi di disegno tecnico e da lì sono passato all'illustrazione per i libri e per la pubblicità. Ho tenuto i piedi in due staffe ma piano piano le amicizie con artisti affermati mi hanno portato a scegliere il mestiere di pittore, ed appena è stato possibile sono passato esclusivamente a questa attività. Questo momento è coinciso con la morte di mio padre, ho sentito forte il richiamo della pittura e l’ho seguito. Oggi io mi sforzo di trasmettere questo lavoro e questa passione, mi piacciono i rapporti umani e mi piace che questo atelier sia frequentato, lo faccio anche tramite la Società Operaia che ha anche la vocazione di trasmettere saperi e cultura. I miei allievi sono di tutte le età, dai bambini all’università della terza età. Io cerco di dare loro tutto quello che posso, soprattutto gli strumenti per capire il modo di vedere di un pittore. Più che insegnare a dipingere io cerco di insegnare a vedere, un pittore prima di tutto deve imparare a guardare il mondo e fidarsi degli occhi, slegarsi dalla conoscenza utilitaristica del mondo per guardare quello che c’è.
Siamo tutti come il mare, sempre in cambiamento, delle onde che diventano alte e grandi per poi perdersi e ritornare alla calma, anche la pittura subisce delle trasformazioni, nel dopoguerra fino agli anni 80 si vendevano molti quadri, una volta le immagini erano più preziose, questo bombardamento che oggi ci colpisce tramite tanti dispositivi non fa altro che spostare l’attenzione verso altre cose, il valore di un immagine è molto diminuito e concretamente vivere di pittura è più difficile, ma non bisogna credere che l’interesse per l’arte sia scemato, anzi, l’interesse per l’arte è aumentato con il tempo. Esiste, forse, meno l’interesse nel farla propria ed averla in casa, ma bisogna anche avere pazienza.
L’essere umano avrà sempre bisogno della bellezza e dell’arte, esiste un legame profondo tra pittura, poesia, letteratura, musica e l’uomo. Io sono un pittore all’antica dipingo quello che vedo e cerco di suggerire la poesia nelle piccole cose.
Oggi sono nel centro storico di Avigliana, qui ci sono artisti e artigiani, tra di noi c’è uno scambio di opinioni e di interessi, facciamo delle cose insieme e mi sembra di essere a casa, nel borgo c’è anche un po’ di interesse turistico, un turismo di qualità. E’ un piacere essere qui. Ci mancano tante piccole cose, ma stiamo percorrendo una strada giusta e ci vuole pazienza e non saprei dare un suggerimento immediato per il futuro, io dico: andiamo avanti e facciamo le cose con passione, è sopra tutto l’amore per il nostro lavoro e per quello che ci circonda che dobbiamo mettere al centro della nostra attenzione e a volte le cose belle arrivano dopo momenti brutti, bisogna avere pazienza.
Mi chiamo Fernando Sada, ho fatto l'impresario edile per 52 anni e ho bellissimi ricordi della mia vita da artigiano e costruttore. Ho la passione di raccogliere le cose del passato, quelle del mondo contadino di un tempo. Le ho raccolte con allegria e qualcuno mi ha detto che ho creato un vero e proprio museo. Ma a me questa parola non piace, dà l'idea di qualcosa di ammuffito. Invece tra i miei oggetti ci sono cose che regalano tenerezza. I primi oggetti che ho collezionato li avevo in casa, perché la mia è una famiglia di estrazione contadina. Mia madre era insegnante ed è stata medaglia d'oro. Mentre mio padre era agricoltore ed era stato all'estero, in Argentina, Sud Africa, poi era rientrato ad Avigliana ed è qui che ha continuato la sua vita. Ho anche una collezione di quasi quaranta trattori che hanno un valore importante sia per i periodi in cui sono stati costruiti che per i ricordi che portano con sé. Per esempio ho acquistato un trattore negli anni '80 nella zona dell'astigiano. E ricordo che i proprietari, una coppia di anziani, mentre lo stavamo caricando sul camion, lo accarezzavano e dicevano: "Ciao Giorgio, trattate bene Giorgio". Il distacco era sentimentale. Quel macchinario ricordava loro il figlio venuto a mancare anni prima. A volte guardo mia figlia e le chiedo cosa farai di tutto questo quando non ci sarò più? Lei risponde: Vendo tutto! ma so che scherza e che non sarà così.
“Ahhh quando c’erano i tedeschi era un disastro! Durante la seconda guerra mondiale con i miei bambini andavo nella cantina del comune che si trovava oltre la piazza, e se veniva giù una bomba eravamo già tutte sepolti. Mio marito era bilingue e poteva lavorare alla fabbrica di dinamite che era in mano ai tedeschi, ma una volta quando questi venivano in piazza per razziare il cibo in qualche negozio, mio marito si trovava sotto il portico con il bambino in braccio, è stato chiamato e portato via, lui ha posato il bambino e lo hanno arrestato, mentre lo portavano nella caserma a Borgo Vecchio a me diceva “stai tranquilla che mi ammazzano.” Giù nell’ufficio dei tedeschi stavano interrogando altri prigionieri, quando uno di questi era stato mandato via lui lo ha preso sotto braccio ed è uscito insieme a lui. E’ scappato subito a casa, ma noi lo abbiamo mandato via per paura che venissero a prendere anche tutti noi. Allora è andato a rifugiarsi nelle ferriere, lì tutti lo conoscevano e gli hanno dato da mangiare il baracchin. E’ dovuto scappare anche da lì e alla fine è tornato a casa da dove lo abbiamo mandato via di nuovo, insomma lo hanno catturato altre cinque volte ma è sempre riuscito a scappare. Poi è stato militare in Russia fino a quando non ha ricevuto un congedo per assistere al funerale di nostro figlio, da lì in poi non si è arruolato più e abbiamo fatto una vita abbastanza tranquilla, tranquilla per modo di dire, lui lavorava alla fabbrica di dinamite e non era un lavoro per niente tranquillo.
In borgo vecchio c’era il castello da andare a giocarci, il lago da andare a fare il bagno e poi niente più. la piazza era tutta come pietre e si giocavan con le birille, dietro il pozzo si metteva la giostra e per San Giovanni si faceva il ballo pubblico. Ho sempre vissuto qua, dopo la guerra, mi piaceva andare a ballare. Bisognava andare ai laghi per ballare, dove stavano le sale e gli hotel, qui in piazza ci stavano le due società che erano per i papà che andavano a giocare alle carte, ci stavano i bar e il Circolo dei Signori, dove andava solo la “noblesse” e non la povera gente, sembra impossibile ma c’era un grande distacco tra i signori e la povera gente. A ballare si andava piedi, si camminava tanto, di bicicletta ce ne era una per famiglia. Si andava a ballare alla domenica e ci portavano dietro i figli, i miei quattro bambini li mettevo una coperta sulla piazza e loro stavano a giocare, poi a mezzanotte a casa...”
Sono Luciano, responsabile di Metalfer ad Avigliana. In questa azienda ci occupiamo di metallurgia e trafilati, siamo ad Avigliana dal Febbraio del 2006 e io sono qui dal primo giorno, ci siamo subito trovati molto bene sia con i cittadini che con l'amministrazione, negli ultimi anni il nostro lavoro si è automatizzato ma l'elemeno umano rimane essenziale. Ad Avigliana abbiamo ricevuto un'ottima accoglienza, trovando al nostro arrivo tutte le risposte per le nostre necessita, crediamo che si sia è creato un equilibrio tra industria e territorio, abbiamo ad esempio fatto degli accordi con il comune per realizzare delle opere che siano utili non sono alla fabbrica ma a tutta la comunità, ad esempio ci prenderemo cura della pista ciclabile che passa da qui o abbiamo creato un parcheggio non solo per i nostri dipendenti ma anche per il pubblico. La zona industriale di Avigliana è florida, aldilà dei momenti normali di flessione, stiamo assistendo addirittura ad un ritorno di aziende in questa zona. Assumiamo giovani periti che provengono da questa zona, facciamo dei corsi interni per formare il nostro personale e collaboriamo con l'Associazione Piccole Industrie per sostenere la formazione di personale da poter poi assumere. Tra le aziende di questo territorio esiste un buon sistema di rete, stimolate dall'azione del comune, si potrebbe fare molto di più per condividere buone pratiche e per valorizzare un territorio che dalla Sagra di S. Michele al centro storico è molto più bello di quello che potrebbe credere, esiste anche una memoria industriale che andrebbe valorizzata ad esempio qui vicino c'è la vecchia polveriera e il dinamitificio che conservano la memoria storica del lavoro in val di Susa.
Io e mio fratello siamo nati e cresciuti in Valle Susa e da 15 anni siamo soci ne “Il Forno del Borgo”, un panificio biologico. Ad un certo punto della mia vita, per motivi di salute, ho iniziato ad interessarmi e ad avvicinarmi al cibo sano e biologico. Fino a quel momento avevo vissuto in città e facevo l’assicuratore, vivevo di supermercati e prodotti delle grandi marche. Mio fratello, invece aveva fatto il panettiere ma attraversava un momento di difficoltà e aveva perso il lavoro, allora abbiamo pensato di dare una svolta alle nostre vite, un ritorno al futuro: aprire insieme un forno a legna con panificazione naturale, tutto biologico, ritornando nel luogo dove eravamo cresciuti. Questa attività non si può scindere dal luogo in cui viviamo, fisicamente, ad esempio, necessitiamo di spazi per la legnaia e per le fascine, un legnaia come la nostra in città è impensabile, dal punto di vista etico invece le nostre scelte sono rivolte a consumare meno territorio possibile, accorciare la filiera corta e minimizzare l’impatto ambientale attivando economie circolari. Abbiamo legato l’approvvigionamento della legna al territorio, utilizziamo infatti fascina locale proveniente dai nostri boschi, esiste un rapporto simbiotico tra l’attività e il territorio, il bosco sostiene il forno e il forno aiuta a tenere in salute il bosco. Il nostro obiettivo è produrre cibo “vero”, non un prodotto tra gli altri prodotti, un oggetto pensato per il consumo, ad uso della grande distribuzione ma è qualcosa di organico, di vivo. Abbiamo cominciato 25 anni fa a scoprire questo mondo, biologico per noi vuol dire che nasce dalla terra, che ne rispetta la sua varietà, rifiutiamo per questo la monocoltura, i pesticidi e i diserbanti. Cerchiamo produttori che utilizzano tecniche, sempre all’avanguardia, ma naturali. Oggi lavoriamo con due mulini, che macinano a pietra, il miglior modo per macinare un cereale mantenendo intatti tutti i nutrienti, e utilizziamo integralmente tante varietà di cereali diversi.
All’inizio della nostra attività siamo stati sponsorizzati dalle amministrazioni locali, che qui sono molto sensibili all’ambiente, e pian piano ci siamo fatti conoscere, superando anche qualche diffidenza da parte di chi ci vedeva come dei visionari. Negli ultimi 25 anni questo territorio è molto cambiato, quando eravamo bambini negli anni 60-70, dopo la guerra, il territorio era per lo più abbandonato e per nulla industrializzato, per questo abbiamo avuto il privilegio di vivere la campagna, mangiavamo la polenta e bevevamo il latte delle nostre mucche, cose semplici.. giocavamo nel fienile e per i campi. Vivevamo una comunità che nelle città non esiste più, chi vive nelle metropoli crede di essere al centro di tutto ma è fuori dalla realtà. Attorno alla nostra attività oggi si sta ricreando una comunità, lavoriamo con i nostri vicini e con le loro famiglie, diventiamo amici dei nostri fornitori e con i nostri clienti esiste un rapporto stretto che supera quello tra venditore e compratore perché mette al centro alcuni valori che entrambi riconosciamo. Per questo territorio vorrei che si avviassero ancora altri progetti votati al biologico, agricolture e produzioni naturali, io sono sempre più convinto che sarebbe bello se la Val Susa diventasse la valle del biologico, una valle pulita e sana.
Sono Carla e vi racconto l'esperienza di Casa Avigliana di cui sono presidente dal 2009. Si tratta di un gruppo d'acquisto solidale (Gas) che conta oltre 200 soci e che è nato dalla volontà di persone che erano nello scoutismo e nella parrocchia. Io mi sono avvicinata a loro quanto ero sindaco di Avigliana. Avevo concesso loro una sede. A noi interessa acquistare merci di buona qualità e che non devono fare tanti chilometri per arrivare a casa nostra. Chiediamo ai nostri fornitori di raccontarci dove coltivano i loro ortaggi, dove allevano gli animali, se sono vicini alla strada oppure no. Chiediamo anche che aprano le loro aziende alle nostre visite e che garantiscano prezzi agevolati. Cerchiamo infine di sostenere l'agricoltura locale. Ad esempio, abbiamo il produttore di mele qui vicino che coltiva mele antiche. Abbiamo tre produttori di formaggi della zona. Sosteniamo un progetto che si chiama la Farina del mio sacco che ci consente di seguire due piccole aziende del pinerolese che vendono grano per tutta la filiera: dal momento della semina, fino alla mietitura e la raccolta. Non ci muoviamo solo secondo una logica di acquisto basata sulla convenienza, ma anche sulla volontà di supportare quelle piccole produzioni locali che rischiano di scomparire. Con noi è praticamente possibile rifornirsi la dispensa quasi totalmente.
Mi chiamo Filippo, sono di Avigliana, faccio l’imprenditore e anche il responsabile della protezione civile. Noi interveniamo soprattutto in supporto dei vigili durante le manifestazioni. Aiutiamo anche i poveri di Torino insieme a un’altra associazione. Siamo partiti in 15 e ora siamo in 25. Mi ha convinto mio fratello a entrare nella protezione civile. Lui si occupa di difendere il territorio dagli incendi boschivi. Come imprenditore mi occupo di sostituzione di vetri per auto, delle spazzole. Lo faccio da 25 anni, adesso ho un’officina fissa mentre prima ero sempre in giro.
La Casa dei Libri esiste dal 2005, quando sono tornata in Val Susa. Come tanti ragazzi che sentono il bisogno di vivere in città anch'io e ad certo punto sono scappata per poi tornare indietro, dopo un periodo di lavoro a Torino ho capito che mi mancavano certe cose e che si poteva provare a fare qualcosa di buono anche nel posto in cui ero cresciuta, ho fatto ritorno alle mie terre e ho aperto questa libreria. Mi sono laureata in scienze politiche e mi sono trovata a fare quasi per caso questo lavoro, dopo l’università avevo trovato un lavoro d’ufficio, ma non ero contenta, sognavo un lavoro più stimolante e mi mancava soprattutto il contatto con le persone, il professore con cui mi ero laureata sapeva che non amavo il mio lavoro e mi aveva suggerito la possibilità di lavorare alla “Città del sole” una libreria storica che si trovava in piazza Vittorio a Torino. E’ stato un caso molto fortunato, poter lavorare in una libreria storica, gestita da Silvia de Vecchi, una libraia straordinaria che amava molto questo lavoro e che mi ha insegnato tutto. Essere un libraio oggi in un paese di provincia è molto difficile ma è una grande emozione, alcuni degli aspetti di questo lavoro diventano ancora più importanti. Bisogna essere sempre aperti e disponibili alle persone che vengono a farci visita, Bisogna imparare a conoscere i lettori andando oltre alle apparenze, il rapporto che si crea è molto profondo e non si esaurisce alla soglia della libreria, facciamo parte di una comunità della quale siamo responsabili, ed è una grande soddisfazione, quando le persone entrano in libreria in cerca di un consiglio, io faccio questo lavoro ormai da vent'anni e se da una parte la grande distribuzione e le vendite online ci stanno rendendo la vita impossibile , il rapporto umano ci salva. Si diventa confessori, confidenti, consiglieri, amici, e la componente umana del nostro lavoro è indispensabile, la nostra è una famiglia di librai siamo marito e moglie e abbiamo due librerie tra Avigliana e Rivalta e amiamo il nostro lavoro anche se facciamo fatica. Nelle nostre librerie cerchiamo di organizzare eventi e di essere attivi nella vita della comunità. Ospitiamo tantissimi autori, che vengono qui a presentare i loro libri, dai più importanti a quelli locali, Nico Orengo è stato uno dei primi e ci ha lasciato un ricordo bellissimo, la libreria per me deve essere un luogo dove ci si incontra e ci si scambia delle idee, un luogo aperto di confronto. Una cosa in cui credo molto sono i laboratori per i bambini aperti a tutti e senza alcun prezzo, per dare a tutti la possibilità di avvicinarsi alla lettura, all’inizio davo per scontato che in ogni casa ci fossero dei libri, ma poi mi sono resa conto che non fosse così e per questo crediamo ancora di più che la lettura debba essere accessibile, abbiamo fatto delle scelte precise, cerchiamo di avere piccoli editori e per bambini cerchiamo di scegliere libri illustrati fuori dalla grande distribuzione, libri che siano belli. E’ bello trovare delle collaborazioni che producano qualcosa, che diano vita e idee, mi piacerebbe portare ancora di più i libri nella comunità, io penso ad esempio a quelle persone che per motivi di salute non possono venire in libreria o che non riescono più a leggere bene, alle persone sole e allora mi piacerebbe che fossero i libri ad andare da loro o ancora che artisti o musicisti si possano trovare bene a fare delle incursioni nelle librerie, perché i libri sono una strada per la libertà e devono essere per tutti, questo è quello in cui credo e che alla casa dei libri portiamo avanti.
Sono Michele, panettiere di “Brodo di giuggiole - dispensa, cucina e caffè” ci troviamo nel centro storico di Avigliana e nella nostra attività produciamo pane, succhi e marmellate, abbiamo anche un piccolo spazio per la ristorazione. Sei anni fa, con mia moglie, abbiamo deciso di dare vita a questo progetto che unisce i nostri saperi e le nostre passioni. Prima di tutto ci piace mangiare bene, ci piace conoscere e imparare cibi e posti nuovi. Alla base del nostro lavoro quindi c’è la ricerca, tutti i giorni siamo felici di scoprire cose nuove e per questo abbiamo un rapporto molto stretto con il territorio, andiamo a cercare i piccoli artigiani e i piccoli produttori che in queste valli abbondano. La mia professione nasce quasi per caso, mio padre era un restauratore e quindi nella mia famiglia esisteva una vena per così dire “artigianale”, ma il mestiere di panettiere io l’ho imparato andando a bottega da piccolo, guardando lavorare, ascoltando i consigli degli altri artigiani, piano piano ho scoperto un lavoro fantastico che da vent’anni coincide con la mia vita. Mia moglie invece è laureata in scienze gastronomiche ed ha una conoscenza approfondita del cibo, nella ricerca dei prodotti, poi, un aiuto indispensabile ci arriva anche dalla saggezza dei nostri suoceri che assieme a noi scovano prodotti e materie prime incredibili. La nostra bottega coincide con la nostra casa, e se all'inizio avevamo qualche timore sull’accoglienza che questo posto poteva riservarci a distanza di sei anni possiamo dire che siamo veramente contenti della risposta di chi ci viene a trovare. Se però dovessi esprimere un desiderio, per la mia attività vorrei far conoscere ancora di più questo luogo fantastico, il luogo in cui lavoriamo e viviamo, vorremmo che questo borgo crescesse per creare una sinergia di artigiani e saperi. Veniteci a trovare!
Io sono Alberto e lavoro per Azimut. La nostra azienda, il nostro marchio sono conosciuti e forti. Siamo una realtà importante guardata con curiosità da chi vive in Val di Susa. Facciamo barche e abbiamo anche cantieri lontani dal mare. Oggi Benetti lavora nei cantieri di Viareggio e Livorno. Azimut invece opera qui dove c'è la direzione generale del gruppo e dove c'è un cantiere che occupa circa 700 persone ad Avigliana nella produzione di imbarcazione dai 9 metri e 80 fino ai 22 metri. Oltre queste dimensioni le barche non passano nelle gallerie per arrivare a Savona dove abbiamo il cantiere per la finitura delle barche. A Livorno invece produciamo le barche dai 24 ai 40 metri che è la fascia più interessante di mercato. Benetti è leader di mercato da 18 anni in questo segmento di mercato. A Livorno produciamo anche Yacht superiori ai 100 metri in acciaio. Siamo anche a Fano. E poi all'estero in Brasile, dove occupiamo 400 persone.
Mi chiamo Marcello Drago e questo è anche il nome della mia azienda "Azienda Agricola da Marcello" perchè io sono sempre presente, dalla semina del chicco fino alla consegna del prodotto. Fin da piccolo sono stato attratto dal lavoro del contadino, infatti giocavo dempre con i trattori. Crescendo ho pensato di farne un mestiere e ho studiato diplomandomi come agrotecnico, così negli anni '90 ho iniziato a costruire giardini avviando un azienda florovivaistica, producendo piante da fiore e da siepe che sono nei giardini della valle. Nel 2002 l'azienda si è trasformata in un azienda ortiva e ci siamo specializzati su prodotti ad alto tasso di biodiversità soprattutto la cipolla bionda piatta di Drubiaglio e sui mais antichi piemontesi. Tutto è iniziato con la passione per l'orto di casa e per i metodi di coltivazione tradizionale, ho iniziato a sperimentare i grani antichi e a regalare qualche kilo di farina in giro a parenti, vicini e amici che piano piano mi hanno incoraggiato e mi hanno convinto a farlo di lavoro? Oggi la mia azienda è all'interno di un gruppo appasionato di agricoltori della valle, crediamo molto nel KM0 e nella microeconomia di questo territorio, cominciamo a farci conoscere anche perchè seguiamo i metodi dei nostri nonni, coltiviamo e selezioniamo sementi che ci sono state tramandate, varietà umili che si prestano a terreni poveri. Mais come il pignoletto rosso e giallo, ottofile, ostenga bianco, ogni varietà ha un suo gusto e una sua ricetta, magari rendono un po' meno dal punto di vista produttivo ma dal punto di vista nutritivo non hanno paragoni. con gli altri coltivatori ci siamo riuniti nell'"Associazione antichi mais piemontesi" e ci scambiamo opinioni, tecniche di coltivazione, sementi, siamo molto legati tra di noi e agli altri artigiani, sopratutto ai mugnai che ci macinano le farine in pureza e rigorosamente a pietra. I nostri prodotti arrivano a qualche rivenditore e ristorante, ma sopratutto nei rifugi di montagna e nelle fiere. Tra agricoltori ci scambiamo anche aiuto diretto, nei momenti di massimo impegno ci aiutiamo l'un l'altro attraverso lo scambio di manodopera seguendo i ritmi della natura e delle coltivazioni che richiedono momenti di pausa e sforzi improvvisi. Crediamo in questo territorio e nella sua salvaguardia, l'agricoltura tradizionale può essere determinante nella tutela del paesaggio e della natura avremmo solo bisogno di meno burocrazia e più sostengno di chi legifera.
Mi chiamo Renzo e sono presidente dell'associazione Famija ëd Drubiaij che è nata circa 40 anni fa. Siamo vicini ad Avigliana e Almese. Quando siamo nati era più facile fare comunità. E l'associazione era un modo per fare qualcosa insieme, tra famiglie. Negli anni la sua natura si è modificata. All'inizio si realizzavano carri allegorici per il Carnevale. Poi si è realizzato un giornale locale. Abbiamo anche avuto un'attività teatrale che oggi è sospesa. E' rimasto invece sempre inalterato l'interesse per l'organizzazione della festa patronale. Ora cerchiamo di vederci una volta al mese. E tutti hanno diritto alla parola e in quella parola sono considerati. Cerchiamo sempre di trovare un modo condiviso per interpretare le cose. Come diceva il nostro precedente presidente in piemontese, il nostro motto quando ci sono delle divergenze è: 'Pensiamoci bene sopra'.
Mi chiamo Mara e vivo ad Avigliana da quando ho 5 anni, ho sempre disegnato. Da 4 anni ho aperto uno studio nel centro in avigliana e mi occupo di xilografia giapponese, che è l'amore della mia vita (dopo mio marito). Non ho avuto un percorso artistico "normale", ma ho sempre disegnato con grande frustrazione di mia madre che voleva studiassi di più, e dopo il diploma e un abbozzo di carriera universitaria ho iniziato a lavorare in Fiat a Torino, un lavoro d'ufficio senza grande soddisfazione. Tuttavia ho continuato a seguire la mia passione, facendo dei corsi via via più impegnativi, ad un certo punto sono approdata all'incisione e alla stampa che mi hanno affascinato moltissimo perchè hano sempre qualcosa di imprevedibile. Sette anni fa ho deciso di fare una follia e di lasciare il mio lavoro per provare veramente a seguire il mio sogno. Mi ero già innamorata di questa particolare tecnica di stampa in giappone, li ho appreso anche il suo aspetto semplice ed ecologico, con questo tipo di stampa si utilizzano infatti solo colori ad acqua e la matrice (il supporto che si usa per stampare) si ottiene intagliando il legno. Per intagliare un singolo blocco ci posso mettere da una settimana a qualche mese, ma questa dedizione è molto "zen" si cerca la perfezione nella ripetitività del gesto, come insegna la cultura giapponese. Quando sono stata in Giappone ho potuto ammirare dal vivo le tecniche e le mostre dei maestri. Questa esperienza mi ha sicuramente segnato molto e quando sono tornata in italia ho deciso di cambiare vita, ho iniziato a studiare e a cercare qualcuno da cui apprendere questo lavoro, sembrerà un po' strano ma il mio primo maestro di stampa giappone l'ho trovato ad Edimburgo si chiama Paul Furneaux che mia consegnato i primi rudimenti della disciplina. Tornata in italia ho iniziato a dedicarmici anima e corpo, comprando i primi strumenti e adattando le tecniche alle mie risorse, la vera svolta è stata la partecipazione ad un bando del governo giapponese che ho vinto, ricevendo una borsa di studio che mi ha permesso di partecipare assieme ad artisti da tutto il mondo ad una full immersion di 40 giorni tra Tokio e il monte Fuji, un' esperienza incredibile. Parte della mia anima rimane legata al giappone ma da 3 anni sono tornata definitivamente ad Avigliana dove ho aperto questo atelier, anche se per lavoro continuo a viaggiare molto, qui posso lavorare, tenere corsi ed esporre, non mi sono fatta pubblicità e lascio che le persone mi scoprano, sorprendendosi di trovare questa piccola insolita stamperia giapponese in val di susa. I miei allievi sono quasi tutti da fuori, molto spesso dal centro italia o dall'estero, gli studenti vengo qui per imparare e passare qualche giorno in questo splendido borgo al quale sono estremamente affezionata, un posto magico che ha delle potenzialità incredibili.
Ho scoperto Avigliana nel 1982 per una mostra di ceramica ed ho trovato un luogo che mi è piaciuto moltissimo, sia per i suoi paesaggi e la sua natura, ma anche per le bellezze storiche architettoniche che ho trovato. Quando sono arrivato pareva non essersene accorto nessuno che Avigliana è un posto bellissimo.
Appena c’è stata la possibilità di mettere su una bottega l’ho fatto subito, io arrivavo da Urbino dove avevo studiato pittura all’Accademia, ma non mi piaceva l’ambiente degli “artisti”, un mondo pieno di invidie e di rivalità, io volevo un lavoro semplice. L’immagine che mi ha dato una specie di illuminazione, sembrerà sciocco, l’ho vista in una pubblicità: era l’immagine di un uomo che beveva dell’acqua da una ciotola di ceramica, un’immagine semplice, un gesto anche banale ma che mi ha fatto venire voglia di semplificare la mia vita. Essere un artigiano per me è un’esigenza tutta personale, il mio linguaggio è quello delle mani, io mi esprimo creando degli oggetti che possono essere utili se servono alla vita di tutti i giorni o meno utili se sono opere artistiche, creare per me è un’esigenza e ne ho fatto il mio lavoro, ma è chiaro che mi sento fuori luogo in un mondo che corre.
Ma non sono il solo, da 35 anni la mia bottega è aperta ad Avigliana e ogni giorno attira curiosi che vogliono vedere la mia fornace all’opera e che sono affascinati dal mio lavoro, per questo da anni tengo anche dei corsi di ceramica.
I miei allievi sono appassionati e vogliono apprendere come creare qualcosa con le proprie mani, alcuni lo fanno per imparare un mestiere, molti per avere un momento creativo nella propria vita, magari per staccare da un lavoro ripetitivo e per non passare dallo schermo del pc a quello del televisore.
Questa era diventata una valle industriale e creare uno spazio per la cultura materiale quì è stato importante. Adesso sto andando in pensione, ma non andrò a vedere i lavori in corso. Sto creando un’associazione, assieme ai miei allievi più entusiasti, per continuare il mio lavoro e tramandare questo mestiere, ne faranno parte giovani e meno giovani che credono sia importante continuare la storia della mia bottega e portarla nel futuro.
Moussa è nato in Costa d’Avorio a Yamoussoukro capitale politica. Abita ad Avigliana da quasi sei mesi, dove sta studiando l’italiano. Quando era al suo paese, faceva il meccanico di autobus, il giardiniere e aggiustava le biciclette, ha imparato a casa dello zio meccanico e dai genitori che sono giardinieri. Gli piace anche cucinare, soprattutto piatti tipici della Costa d’Avorio.
Mi chiamo Haly e sono nato in Mali nella regione di Kayes, vicino al Senegal. Vivo ad Avigliana da quasi 2 anni, da quando sono arrivato ho iniziato subito a studiare a casa parlavo il bambara e la nostra lingua coloniale il francese ma ora mi piace molto anche l'italiano, la settimana scorsa con la mia classe abbiamo fatto gli esami scritti di terza media e ora mi aspettano gli orali, è andata bene e sono fiducioso. Nel frattempo sto frequentando un corso polivalente che dura due mesi per imparare un lavoro nella ristorazione, sto imparando tante cose e molto diverse, ma tra tutte penso proprio che mi piacerebbe diventare un cuoco o un aiuto cuoco. In Mali, oltre ad andare a scuola, con la mia famiglia facevo anche il contadino, ma ora mi piacerebbe fare questo lavoro e in futuro spero di trovare delle possibilità, per adesso però sono concentrato sulla scuola che impegna molto, gli esami sono importanti! Nel tempo libero gioco a pallavolo con altri amici italiani e stranieri qui ad Avigliana, questa città mi piace molto, mi accolto bene e mi manca solo di trovare un lavoro.
Sono originario del Mali, il mio nome è tipico della mia regione, il Kayes, che si trova vicino al Senegal. Lì si parlano molte lingue e io le parlo un po’ di tutte, parlo in cinque o sei lingue, ma a scuola mi hanno insegnato solo il francese che è la lingua ufficiale del Mali. La scuola l’ho lasciata presto per iniziare a lavorare, i miei genitori sono dei contadini e io ho fatto vari lavori. La mia storia con l’Italia inizia quando ho lavorato per un progetto della Recosol, la Rete dei Comuni Solidali. Grazie a questo progetto nel 2010/11 sono arrivato in Italia per potenziare la lingua e poi sono tornato in Mali per fare la guida turistica, facevo l’interprete e il cuoco per i turisiti italiani e francesi, per sei mesi ho lavorato nel mio villaggio e poi in giro per tutta l’Africa. Nella mia prima esperienza ad Avigliana ho imparato anche a cucire, frequentando la scuola S.Carlo di sartoria, ora disegno e creo zaini di tessuto, sto cercando uno stile che a metà tra l’Africa e l’Italia, taglio e cucio e tessuti e faccio anche le scarpe. La sartoria è la mia grande passione appena ho un’ora libera vado a vedere i sarti lavorare nelle loro botteghe, anche senza fare nulla, li osservo per imparare. Fosse per me lavorerei anche la notte. Quando ho l’ispirazione vado subito dietro la macchina da cucire a creare. Il mio sogno è poter avere un mio negozio e la mia firma, ho già creato un segno: una “F” stilizzata che rappresenta l’iniziale del mio soprannome “Filippe”.
Credo che manchi la capacità di dialogare tra di noi, i piacerebbe che cercassimo di capirci di più a vicenda, vorrei avere la possibilità di chiacchierare con le persone, raccontarmi, spiegare i motivi per cui sono arrivato qui. Oggi vado nelle scuole per raccontare la mia storia, per far conoscere il mio percorso personale e spero che possa servire per capirne molte di storie come la mia. Oggi mi trovo molto bene ad Avigliana, qui stiamo mettendo su un gruppo musicale, abbiamo già percussioni e qualche cantante ma siamo alla ricerca di musicisti e ballerini, fatevi avanti!
Ciao, io sono Mohamed e arrivo dalla Costa D’Avorio. Dopo il diploma, ho lavorato come autista di camion per due anni. E' un lavoro che mi piacerebbe poter fare anche qui in Italia. Parlo diverse lingue africane e il francese. E sto aiutando altri ragazzi a studiare questa lingua. Ho una forte passione per la musica, canto con un piccolo gruppo di amici e suono il pianoforte che ho imparato in Costa d'Avorio. Io non ne posseggo uno qui, ma grazie a un italiano, Angelo, che ne ha uno a casa sua, di tanto in tanto mi posso esercitare. Adesso sto studiando l'italiano e spero di poter migliorare.
Ciao, io sono Donald, sono originario del Camerun e vivo a Sant’Ambrogio in Val di Susa. Nel mio paese ho frequentato una scuola di falegnameria. Amo molto lavorare il legno e vorrei poter praticare ancora. Leggo e scrivo correntemente il francese, oltre alla lingua locale della mia città. Sono anche un ballerino di hiphop e nel mio tempo libero mi alleno con un gruppo di altri ballerini.
Sauro nelle Marche, ma all’età di 13 anni si è trasferito con la famiglia ad Avigliana. Dopo aver conseguito la laurea in filosofia, intraprende la professione di venditore, ma la filosofia, la psicologia e l’antropologia rimangono tra le sue più grandi passioni.
Mi chiamo Rosalba, ma gli amici mi chiamano Alba. Oggi sono ad Avigliana ma sono nata e cresciuta sul mare in Calabria a Caulonia, mi sono trasferita ad Avigliana che ero molto giovane e alla fine ho passato molto più tempo qui tra le montagne che al mare. Mio padre in quegli anni, non ricordo bene, ma mi pare lavorasse nelle autostrade e quando ha trovato lavoro qui tutta la famiglia lo ha seguito. Quando sono arrivata in piemonte all'inizio ho proseguito gli studi, prima il liceo artistico e poi Storia dell'Arte all'università. Ho iniziato a lavorare già durante l'Università a Torino facendo la commessa per un azienda che in diversi punti vendita trattava un po' di tutto dall'abbigliamento, ai mobili. La cosa che mi piaceva di più era il contatto con le persone, avere a che fare con il pubblico e con l'umanità in generale, sono una persona solare e per me è fondamentale avere la possibilità di essere a contatto con gli altri. Da li sono passata a occuparmi del dietro le quinte, avviando un percorso come responsabile del punto vendita e poi in amministrazione, anche con responsabilità di contabile facendo dei corsi esterni per specializzarmi. Nel tempo libero mi piace tantissimo leggere, adoro il cinema e ci vado spesso, mi piace cucinare per me e per gli altri. "Da grande" mi piacerebbe tornare ad avere a che fare con quello che ho studiato, trovare un impiego che magari riesca a riunire quello che ho studiato con quello che ho imparato.
Ho vissuto ad Avigliana per la maggior parte della mia vita, come mia madre, lei è veramente piemontese e lavora in un grissinificio qui in valle. Mio padre invece è un tranviere di origini calabresi. Il mio primo lavoro è stato proprio con mia madre nella produzione dei grissini, poi mi sono spostata nella ristorazione e per un periodo ho lavorato nei pub e nei bar. Al momento sto completando i miei studi di ragioneria ma nel frattempo mi sono avvicinata al settore sanitario, infatti lavoro al 118 nell'emergenza. Ho scoperto una vera e propria passione per la "cura", non solo del paziente che in quel momento sta male, ma per tutta la comunità che gli sta attorno, la sua famiglia i suoi amici, portare a termine il proprio servizio e aiutare gli altri è una cosa bellissima di questo lavoro. Il mio sogno, ultimamente, è proprio questo poter gestire un posto dove prendersi cura delle persone in particolare degli anziani e delle persone sole. Io cerco di metterci tutta me stessa in qualunque cosa faccio, cerco di metterci sopratutto gentilezza e dolcezza, due cose che purtroppo oggi mancano sempre di più.
Genny nasce a rivoli da genitori di Reggio Calabria. Entrambi si occupavano di cucito e pelletteria, producendo scarpe, borse e interni auto. Dopo aver appreso anche lei questa professione si rende conto non essere la sua strada, decidendo così di frequentare un corso di formazione per diventare parrucchiera ed estetista. Ha svolto diversi lavori, tra cui la pasticciera e la dipendente presso una ditta, ma il suo sogno rimane il poter lavorare come parrucchiera.
Franco è nato e cresciuto ad Avigliana, da padre di origine sarda e madre di origine piemontese. Oggi vive ancora in questo territorio ed a lungo si è occupato di credito bancario, avendo il ruolo di procuratore per diverse banche immobiliari. Tra i suoi interessi principali vi è il viaggiare e scoprire nuovi luoghi.
Daniele è nato a Torino, suo padre era di Avigliana, città dove ha deciso di trasferirsi. Sua madre era un’impegnata e il padre un medico, che gli ha trasmesso la passione par la disciplina, infatti, nonostante la laurea in lettere, ha fatto a lungo l’informare medico. Gli eventi hanno portato Daniele a dover ridimensionare la sua vita e le sue prospettive lavorative. Ora sta pensando di candidarsi come formatore, professione che fin da giovane avrebbe voluto intraprendere.
Io vengo dall’ultimo paese della Val di Susa o dal primo dipende da dove la si guarda. Sono nata in belgio da genitori di origine siciliana, li ho vissuto per due anni e poi ci siamo trasferiti a Caselette anche se il Belgio per me rimane un richiamo alle origini e mi mette sempre grande allegria tornarci. I miei genitori sono sempre stati operai finché un bel giorno mio papà ha deciso di mettersi in proprio facendo il manutentore sui carriponte, questa piccola attività col tempo è diventata un'azienda a conduzione familiare nella quale sono entrata anche io come segretaria. Ho avuto questa grande opportunità che mi ha permesso di passare dalla scuola al lavoro ma ho dovuto imparare tutto da sola , la scuola mi ha aiutato ma lì era tutto teoria, i contratti e la contabilità ho imparato a gestirli facendo, imparando dai miei errori e da tutte le persone che ho avuto accanto, la mia prima esperienza lavorativa è stata in ambiente tutto sommato familiare e nel corso degli anni sono passata in altre aziende o con altri professionisti, li ho imparato anche a relazionarmi a livello professionale con colleghi e clienti e mi è piaciuto molto. Il mio lavoro, i numeri per me sono stati prima di tutto un dovere, essendo madre di tre figli ho una grande responsabilità. Nella vita ho due grandi passioni: una è il field walking, la camminata veloce, quando posso sparisco per due tre ore a marciare lungo strade e sentieri, è un momento indispensabile di sfogo e di rilassamento nella natura. Con i miei figli passo invece passo i fine settimana sui campi da calcio, loro giocano tutti in delle squadre, e col tempo questa è diventata anche una mia passione, ho anche dato una mano alla loro associazione sportiva e sono una mamma tifosa che li segue ogni domenica, è un bel momento di festa, grazie agli allenamenti e alle partite ho conosciuto tante persone e tanti amici . Un’altra mia grande passione è la fotografia, tutte le volte che entro nel centro storico di Avigliana me ne innamoro, amo fotografare i dettagli, gli scorci e i paesaggi, mi piacerebbe moltissimo viaggiare, conoscere, scoprire e fotografare luoghi, persone e culture, se potessi vorrei lavorare nel mondo del turismo e far diventare tutto questo il mio lavoro.
Mi chiamo Bouchra e sono in Italia dal 2002, sono arrivata dal Marocco con mio marito e mio figlio che all’epoca aveva 1 anno e otto mesi, siamo subito arrivati a Torino ma presto ci siamo spostati a S.Ambrogio dove abbiamo vissuto per 12 anni. Oggi sono mamma di tre figli, il maggiore oggi ha 18 anni. Parlo il marocchino, l’arabo, il francese e ora sto studiando l’italiano. I miei genitori vivono vicino a Casablanca, dove mio padre lavorava come vigile urbano mentre mia madre era casalinga, aveva molto da fare con 6 figlie femmine e due maschi. Da piccola sono andata a scuola ma ho imparato anche molte cose dalla mia famiglia, ho imparato a cucinare da mia madre e ho fatto un corso di cucito, durante le vacanze con le mie sorelle andavo a bottega in sartoria, lì ho imparato a cucire.
Quando ho finito di studiare mi sono subito sposata, anche perché le scuole professionali erano lontane dal mio paese e per una donna non era semplice proseguire gli studi, allora mi sono sposata e ho fatto da subito la mamma. Per un periodo ho provato a lavorare in un ristorante, ho cominciato come lavapiatti, ma quando un giorno c’è stato bisogno di dare una mano in cucina hanno capito che ero molto brava e ho continuato a cucinare, ma la vita del ristorante non si adattava alla famiglia, tornavo tardi la sera e poi ho dovuto lasciare.
Qui in Italia, ora che i bambini sono cresciuti ho ripreso a studiare, ho fatto un corso di assistenza agli anziani, questo corso mi ha aiutato moltissimo e ora sono che sono una mamma di tre figli mi ha dato la possibilità di aiutare la mia famiglia.
Oggi imparo l’italiano anche grazie ai miei figli che vanno a scuola e agli amici che ho trovato qui in Italia, sono contenta di aver fatto amicizie di tutti i tipi, bambini e adulti, altre mamme come me e gli anziani che assisto, da tutti ho imparato molto.
Mahamadu è una ragazzo gambiano che è cresciuto aiutando i suoi genitore nei lavori nei cambi. Ama cucinare e ha lavorato come agricoltore e commesso in un negozio di abbigliamento.
Yussif è un ragazzo togolese che ha studiato lingue nel suo paese d’origine. In Italia ha già preso la licenza di scuola media inferiore e ama giocare calcio, un gioco che gli ricorda quando era un studente nel suo paese. Ha svolto diversi lavori nella ristorazione e come muratore, ma gli interessa conoscere ed imparare.
Come lo era per mio nonno la mia è "casa e bottega" per la felicità di mia moglie che deve subire lo sporco e i rumori... mio figlio mi chiama "uomo polvere" per i trucioli che mi porto sempre dietro, ma d'altra parte non si può creare qualcosa di veramente artigianale senza sporcarsi le mani.
Sono Alberto, abito a Buttigliera e sono un falegname e un restauratore, da oltre 15 anni faccio questo lavoro. Sono originario di Brescia ma sono cresciuto tra la Puglia e il Lazio, sono in valle da quattro anni. Il mestiere di falegname l'ho iniziato per curiosità vedendo mio zio che costruiva con il legno e mio nonno che restaurava vecchi mobili, quella curiosità è diventata una passione e un hobby e alla fine un lavoro vero e proprio. Mi sono spostato in valle per migliorare la qualità della mia vita, qui tutto è "ad personam" ad iniziare dalla qualità dell'aria e dalla possibilità di far giocare i miei figli per strada, c'è un senso di comunità che mi mancava e che qui ho ritrovato. Oggi realizzo sopratutto mobilio per uso domestico e commerciale. Come lo era per mio nonno la mia è "casa e bottega" per la felicità di mia moglie che deve subire lo sporco e i rumori... mio figlio mi chiama "uomo polvere" per i trucioli che mi porto sempre dietro, ma d'altra parte non si può creare qualcosa di veramente artigianale senza sporcarsi le mani. Mi piacerebbe che qualcuno dei miei tre figli, se dovesse scoccare anche in lui la scintilla della passione, seguisse le mie orme. Il mio lavoro è anche il mio hobby preferito, lo faccio per passione, i piace costruire, mi piace realizzare cose utili. Vorrei riuscire a rimanere nella mia dimensione di piccola bottega, in questo modo riesco a seguire tutti i miei clienti personalmente, dedicargli attenzione e cura, anche se sta diventando difficile fare tutto da solo, per questo mi piacerebbe trovare qualcuno che possa lavorare con me, anche insegnandogli da zero il mestiere.
Magassa è un giovane ragazzo Maliano che da un anno vive a Sant'Antonino di Susa. È riuscito a far avverare uno dei suoi sogni in questa città, che gli ha dato la possibilità di frequentare una scuola per imparare la professione di cameriere e cuoco. La sua grande passione infatti è la cucina e spera di riuscire a trovare un giorno un lavoro nell'ambito della ristorazione. Magasse è un ragazzo giovane e volenteroso che si trova bene nella comunità di Sant'Antonino e che nel tempo libero gioca a calcio con i suoi amici.
Babadi viene dalla Guinea Conakry e vive a Sant’Antonino di Susa da due anni. Ha studiato francese ma la sua lingua madre è il bambara. È un fabbro ma gli piacerebbe anche lavorare come cameriere o nella ristorazione. Gioca a calcio per passione con la sua squadra a Susa.
Khan vive a Bardonecchia da un anno, è arrivato dal Pakistan dopo aver vissuto negli Emirati Arabi e in Germania. È stato insegnate di inglese e matematica e direttore della scuola in cui lavorava. È un appassionato d’informatica.
Jehan è un uomo pakistano che vive a Bardonecchia da un anno. Parla molte lingue tra cui l’arabo, il tedesco e l’urdu perché ha viaggiato molto e vissuto in molti paesi diversi. Nel suo paese si occupava di turismo ma ha anche insegnato a scuola l’inglese.
I gestori del Centro Culturale Dar al Hikma, che in arabo significa Casa della Sapienza, raccontano come il centro nasca in corrispondenza della crescente domanda di servizi culturali e sociali per conoscere la cultura araba a Torino da parte di tutta la cittadinanza. Nel Centro vengono offerti diversi servizi, dalla ristorazione al benessere.
Gioacchino è nato in Sicilia e racconta di come per arrivare al successo sia necessario un lavoro costante nel tempo. Ha fondato la Cremeria Torre il 15 dicembre del ’72 e quando ha aperto la sua attività la zona non godeva di una buona reputazione, per questo voleva tornare in corso Massimo dove aveva avuto un altro bar. Oggi non si puo’ pensare corso Regio Parco senza Torre, che è diventata un'istituzione nella zona.
Kumar è nato a Punjab in India, ma ha vissuto in Francia a Parigi prima di arrivare in Italia. Ha un’esperienza di 22 anni nel settore, maturata ai più alti livelli in tre diversi continenti (Asia,America ed Europa), unita ad un’intensa passione per le tradizioni indiane e in particolare della sua regione d’origine (Punjab)e il desiderio di trasmetterle: la fusione di questi due 'ingredienti’ hanno portato a proporre in Italia, nel cuore di Torino, un ristorante indiano.
Romina è una valsusina doc. Nonostante la sua giovane età ha già molta esperienza nel settore della ristorazione e lavora spesso nei catering per feste e matrimoni. È un’appassionata di equitazione e il suo sogno sarebbe aprire un bar o un ristorante tutto suo, nel suo paese natale, Sant’Antonino di Susa.
Sara è un’appassionata di lingue straniere, di canto e le piacciono molto i bambini. Vive tra la Val Susa e Settimo Torinese, le piacerebbe un giorno lavorare in un’agenzia di viaggi per portare le persone in giro per il mondo e fare ogni giorno nuove scoperte.
Leila è una donna di origine marocchina, mamma di due bambine di 4 e 5 anni, sposata con un uomo della Costa D’Avorio. Vive in Italia dal 2007 ma ha vissuto anche in Francia. Le piace molto cucinare, ha lavorato come cuoca, e conosce sia la cucina italiana che africana. Il suo sogno è dare più stabilità alla sua famiglia.
Ousmane vive a Rivalta da qualche mese ma è in Italia da due anni. Parla molto bene il francese e sta frequentando le scuole superiori ad indirizzo meccanico. Ha iniziato a lavorare da piccolo come magazziniere in Guinea per aiutare la sua famiglia. È un ragazzo aperto alle nuove esperienze e volenteroso. Gli piacerebbe giocare a calcio ma ora vuole investire il suo tempo in qualcosa che possa aiutarlo nel futuro e impegnarsi.
Sono Roberto ho 53 anni, sono nato a Torino ma i miei genitori sono pugliesi. Oggi sono un socio del gruppo De Gusto. In tutto siamo tre e abbiamo tre negozi. Ho iniziato lavorando al bancone ma ormai il mio lavoro è quello dell'imprenditore. La nostra società si occupa di prodotti da forno. Facciamo croissant, torte per i compleanni, ma anche prodotti salati. Il croissant è però ciò che ci dà più soddisfazione. Ci occupiamo anche di ristorazione. Abbiamo Degusto Brescia in quartiere Aurora. Non avevamo mai lavorato in questo quartiere popolare e ci ha dato molte soddisfazioni. Non abbiamo mai conosciuto crisi. Il nostro laboratorio, dove sforniamo i prodotti, è fatto di persone con la loro esperienza che ci hanno aiutato a crescere e a migliorare nella produzione e conservazione. Ai ragazzi del nostro laboratorio facciamo frequentare i corsi di formazione nelle aziende che ci vendono le materie prime. Le tecniche di lavorazione evolvono e bisogna sempre essere aggiornati e al passo coi tempi.
Endurance è un ragazzo nigeriano che vive a Susa da due anni e gioca a calcio nella squadra di Bussoleno. Gli piace molto vivere in valle e ha lavorato come cuoco in Nigeria e in Italia ed è il mestiere che gli piacerebbe fare nella sua vita.
Ervis è un ragazzo albanese che vive in Italia da più di dieci anni. Sta studiando presso un istituto commerciale per ottenere il diploma che ha interrotto per motivi economici e ha dovuto iniziare a lavorare come aiuto cuoco o cameriere nei ristoranti. Gli piace molto giocare a calcio e imparare sempre cose nuove perché, dice, solo con lo studio è possibile migliorare la propria condizione ed essere più forti.
Adama vive ad Avigliana da due anni dove lavora come barista. Gli piace molto la città in cui vive, poiché ha iniziato a costruirsi la sua vita e le sue relazioni. Nel suo tempo libero gioca a calcio ed è appassionato di arti marziali, in particolare il karate.
Abdirahman è un giovane ragazzo somalo che vive a Susa. Sta cercando di capire che professione intraprendere, ma ha già esperienza come meccanico e magazziniere. È curioso e desideroso di imparare cose nuove, ama molto il luogo in cui vive anche se gli piace venire spesso a Torino per vivere la grande città.
Davide, nato a Torino, ma d'origine siciliana, gestisce insieme al fratello un bar ristorante nato dalla riqualifica dell’ex Wamar, un vacchio biscottificio. È alla ricerca di personale qualificato, con capacità coordinative e di estrazione multiculturale per rispondere alle esigenze dei clienti della zona Aurora.
Angelo è il proprietario del Lounge Café, attività che ha aperto 11 anni fa e che ha vissuto tutti i cambiamenti del quartiere Aurora, dagli anni del Mercato dei fiori nel 2004 alla crisi, fino ad oggi. Ha sempre creduto nel rinnovamento e nel potenziale del quartiere. Ha trasmesso a sua volta questa passione a suo figlio che collabora ancora oggi con lui. Il Lounge Café è un punto di riferimento per tanti clienti affezionati della zona e per i nuovi clienti che trovano un clima accogliente e un posto dove scambiare quattro chiacchere.
EDIT nasce a Novembre del 2017 e il loro motto è “A taste fot sharing” nell’idea che oltre a occuparsi di food and beverage fosse necessario aggiungere le innovazioni derivanti dell’economia condivisa. Così nasce il birrificio in affitto, nel quale ogni produttore di birra può affittare i macchinari altamente professionali per produrre il proprio prodotto, in un’ottica di condivisione. Nell’area dell’ex Incet, in una stessa struttura si possono trovare una pasticceria, una caffetteria, un cocktail bar, un ristorante stellato e un accogliente ristorante per pranzi di lavoro con cucine a vista, un birrificio e un pub. Un luogo in cui mangiare e vivere bene, in buon compagnia.
Rossano è il responsabile organizzativo SPES, che è una cooperativa sociale. Etiko è una caffetteria/bistrot legata a SPES, che ospita ragazzi italiani e stranieri che devono imparare un mestiere e che vengono formati in delle scuole specializzate. SPES Etiko è anche un punto di incontro per la comunità e per le attività periferiche.
Giuseppe proviene da una famiglia di pasticceri, che gli hanno trasmesso l’amore per questa professione. Ha preso in mano le redini della storica pasticceria di famiglia, trasformandola anche in caffetteria e rispondendo così alle nuove esigente di Aurora, quartiere a lui molto caro.
Amerigo è nato e cresciuto a Torino nel quartiere Aurora dove i suoi genitori sono arrivati negli anni 70 dalla Sardegna. Gestisce la trattoria di famiglia insieme alla mamma e la sorella,e ci racconta di come ha visto e vissuto il cambiamento del quartiere fin da bambino, quando andava a scuola con bambini provenienti da varie regioni d’Italia. La Trattoria è sempre stata un punto di riferimento per il vecchio mercato dei Fiori, uno dei più grandi d’Europa, è questo comportava per i suoi genitori un orario di lavoro insolito, che li portava ad aprire il locale alle due di notte per servire la colazione e alle nove il pranzo, dovendo stare dietro il rimo del mercato.
Antonio è un barista che nel 2012 decide di rilevare un’attività e di trasformarla in un bar. Con impegno e costanza quest’ultimo diventa in un punto di riferimento per il quartiere, offrendo ai residenti uno spazio molto rifornito ed accessibile a tutti. Antonio accoglie molti giovani ragazzi, italiani e straniere, per offrire loro la possibilità di imparare un mestiere, trasmettendo loro la sua passione. Spesa di poter espandere la sua attività e di poterla lasciare in eredità ad uno di questi giovani.
Originaria della Romania, Laura viva Torino con il marito da circa12 anni. L’amore e l’attaccamento per il quartiere Aurora li porta a voler essere parte attiva della sua riqualificazione. Decidono cosi di rispondere ad un bando comunale e presentare una proposta la realizzazione di un nuovo locale. Dopo aver vinto il bando prendono in mano il locale e lo trasformarlo in un pub, decisi a puntare a una popolazione giovane e dinamica che possa con il tempo rianimare il quartiere, che ancora troppo spesso viene ritenuto un quartiere malfamato. Il desiderio di Laura e di suo marito è quello di creare un punto di aggregazione, di riferimento in primis per i giovani del quartiere, ma anche per i giovani provenienti da altre zona della città. È fondamentale per loro fare tesoro dell’interculturalità presente sul territorio, per poterlo trasformare in interazione e in nuovo fermento.
Nato in Calabria nel retro del bar di famiglia, Rocco inizia a muoversi in questo ambiente, imparando presto dal nonno e dal padre il mestiere. Da 25 anni manda avanti il Caffè Mercato con sua moglie Maria, in Piazza della Repubblica a Torino. Negli anni ha avuto anche modo di trasmettere la passione per questa professione ad altri giovani, alcuni dei quali sono riusciti anche ad aprire una propria attività.
Giselle è nata in Brasile da una famiglia di immigrati italiani. Dopo un Master in Management e Marketing per l’arte frequentato a Londra, decide di trasferirsi definitivamente a Torino. Qui prende vita l’impresa “Per Grazia Ricevuta” ed il ristorante ad essa legata “Amen”, che è famiglia, un spazio in divenire. Al mattino è una caffetteria, a pranzo un ristorante e alla sera si trasforma in uno spazio che ospita concerti, mostre d’arte, degustazioni ed eventi privati. La loro speranza è quella di riuscire a coinvolgere sempre di più la comunità del quartiere al fine di creare attività ed eventi usufruibili per tutti.
Zhenzhen gestisce, insieme alla madre e alla sorella, un bar in via Urbino. È nata in Cina, ma si è trasferita in Italia all’età di 8 anni, prima a Savona e ora a Torino. È alla ricerca di personale qualificato per la sua attività: di qualcuno che sia in grado di gestire la caffetteria, di preparare i cocktail e che abbia buone competenze comunicative e relazionali perché, secondo Zhenzhen la cosa migliore di questo lavoro è proprio il rapporto con il pubblico e la possibilità di confrontare diverse visioni del mondo.
Andrea è tra i gestori l’Arteficio centro artistico e culturale nel centro di Torino e del turin eye ovvero “la mongolfiera di Borgo Dora”. Ci racconta come questi progetti siano nati con la finalità di gestire lo spazio come contenitore di iniziative rivolte a un pubblico trasversale, tentando di promuovere la socialità e mettendo a confronto differenti punti di vista. È convinto che partire dalla storia e dalla cultura del quartiere sia necessario e che permetta di costruire ponti tra persone anche molto diverse fra loro.
Fabio è nato a Torino e ha origini pugliesi, gestisce da quattro anni, con la sua famiglia, un bar nella zona Aurora. Arriva da una precedente esperienza nello stesso settore, e sta tentando di costruire un’attività che possa essere considerata un punto di riferimento per il quartiere. Ha recentemente introdotto un angolo vineria, una postazione per le freccette e una ricevitoria sisal. Sarebbe felice di poter tramandare il proprio mestiere, insegnandolo a chi vorrebbe introdursi in questo mondo.
Wiem è una giovane ragazza tunisina, che vive a Torino da circa sei mesi. È arrivata da sola in Italia per frequentare la facoltà di Scienze Internazionali, con la speranza di poter diventare un giorno una giornalista di cronaca politica. Le piace leggere, ascoltare la musica ed imparare nuove lingue, infatti ha già una buona conoscenza dell’arabo, del francese, dell’inglese, dello spagnolo e infine dell’italiano, quest’ultima imparata da autodidatta. È proprio la passione per l’italiano che l’ha spinta a scegliere l’Italia.
Panda è una giovanissima ragazza senegalese arrivata in Italia nel 2014. In Senegal ha ottenuto una laurea in lingue e letteratura straniera, che a Torino non le è stato convalidata. Proprio per questo motivo ha deciso di iscriversi nuovamente all’università per poter arricchire il suo bagaglio al fine di raggiungere uno dei suoi obiettivi, diventare guida turistica.
Da ormai cinque anni, Miriam, giovane donna congolese, vive a Torino con suo figlio. Al suo arrivo in Italia ho frequentato la scuola per imparare l’italiano e si è dedicata a tempo pieno alla cara di suo figlio. In Congo faceva l’estetista, ma si dedicava ance alla sua passione per la cucina. Ora che suo figlio è cresciuto le piacerebbe riprendere a lavorare.
Arrivato 11 anni fa a Torino, Frank, giovane peruviano, si è ricongiunto con la sua famiglia, che era arrivata qualche anno prima in Italia. Nel suo percorso ha svolto diversi lavori di tipo assistenziali, ma anche come tutto fare. In Italia ha avuto modo di riprendere in mano la sua passione per la lettura e per la scrittura, cimentandosi nella poesia.
Joana è arrivata a Torino dalla Nigeria tredici anni fa. In Italia si è sposata ed ha avuto due figli. Ha lavorato come badante e donne delle pulizie, ma è aperta anche a nuove prospettive lavorative. Tra le sue passioni c’è il canto gospel, che la aiuta ad affrontare le difficoltà.
Deborah è una donna nigeriana che vive a Torino da dieci anni con i suoi due figli. Ha svolto un corso di preparazione alla professione di oss ed alcuni corsi di cucina, professione che ha perfezionato facendo esperienza in alcuni ristoranti come aiuto cuoca. Tra le sue passione ci sono il canto e i bambini, infatti le piacerebbe poter lavorare in futuro come insegnante della prima infanzia.
Francesco è un ragazzo torinese propenso allo sport ed a fare sempre nuove esperienze. Vorrebbe fare il vigile del fuoco e per raggiungere il suo obiettivo ha svolto per un periodo il servizio militare, ha conseguito il brevetto per diventare bagnino, il brevetto per il paracadutismo e il brevetto per l’addestramento dei cani.
Federico è un giovane ragazzo italiano amante dello sport. Fin da piccolo prende lezioni di tennis, trasformando con il tempo questa passione in un lavoro. Segue un corso da insegnante e dopo aver conseguito il brevetto diventa istruttore di tennis. È interessato a fare nuove esperienze lavorative.
Faiz Alam è un giovane ragazzo pakistano che vive a Torino da tre anni e che frequenta la triennale in Ingegneria meccanica al Politecnico di Torino. Nel tempo libero gioca a cricket e coltiva la sua grande passione per la cucina aiutando il padre nel suo ristorante. Un suo desiderio è quello di fare più esperienze possibili ed arricchire il suo bagaglio di conoscenze.
Faith è una donna nigeriana trasferitasi in Italia quindici anni fa. A Torino si è costruita una famiglia ed ha avuto tre bambini. Ha avuto diverse esperienze lavorative negli alberghi, nei ristoranti, come badante e cooperatrice domestica. Spera di trovare presto stabilità e tranquillità per la sua famiglia.
Adama è una giovane ragazza di origine senegalese nata e cresciuta a Torino. Spinta da un interessa nei confronti delle realtà a lei vicine decide di frequentare il corso di laurea in Scienze internazionali della cooperazione e dello sviluppo. È molto attiva nelle iniziative promosse dal territorio e nel tempo libero fa la baby sitter.
Ciao sono Adriano e questo è il mio laboratorio. Ci troviamo a Colleretto, in Valle Sacra. Qui diamo consigli alle aziende su ciò che si può o non si può fare. Ci arrivano infatti schizzi di divani, sedie con imbottiture varie e noi diamo indicazioni. In fondo io sono un artigiano. Il mio sembrava un lavoro destinato a sparire e invece la tappezzeria ormai si fa qui in Italia. Artisva nasce grazie alla mia esperienza trentennale come responsabile di produzione, montaggio e prototipazione di Gufram, specializzate in sedute per cinema e teatro. Con me lavorano le mie due figlie. E anche se il nostro paese è lontano da Torino, qui stiamo bene. Abbiamo tutto. Abbiamo solo un problema di viabilità. I camion hanno difficoltà a raggiungere la mia azienda, ma ora il Comune interverrà per risolvere il problema.
Rustam è di origine russa. Ha una grande passione per la pesca, attività che pratica da quando era bambino. In Russia lavorava come guardia del corpo. Attualmente sta studiando e a breve inizierà un tirocinio in una fabbrica. È un allenatore di lotta greco-romana e gli piacerebbe avere la possibilità di insegnarla.
Medina è di origine cecena. Nel suo paese ha proseguito i suoi studi fino alla laurea, come ingegnere tecnologico. Ha poi lavorato come impiegata in un ufficio per sette anni. Parla il ceceno, il russo, l’italiano e l’inglese. Attualmente sta seguendo un corso di italiano per migliorare la sua padronanza linguistica.
Andranik è armeno e abita a Colleretto Castelnuovo da 13 mesi. In Armenia era un autista di pullman e un meccanico, successivamente ha vissuto per 10 anni in Belgio, lavorando in una fabbrica. Attualmente sta frequentando la scuola d’italiano e sta studiando per prendere la patente. Parla l’armeno, il russo e l’olandese fluentemente.
Marita è un’ex insegnante della Valle Sacra con una forte memoria storica. I suoi genitori erano molto conosciuti nel territorio per via delle loro attività imprenditoriali. Essi infatti possedevano un bar, uno spaccio che ancora oggi fornisce la comunità, ed alcuni immobili che lei ha trasformato in trattoria e che affitta ai turisti che visitano Valle Sacra.
L'Impresa Edile di Piercarlo è specializzata da anni nell'edilizia e in scavi e demolizioni di ogni tipo. Si occupa sia di progettazione sia di costruzione edile, costruzioni residenziali, manutenzione edifici civili, rifacimento tetti, rifacimento facciate e posa di pavimenti
Nicoletta e Sergio ci raccontano del loro progetto che - oltre alla creazione di un impresa economica- ha anche dietro un impatto sociale. Il progetto ha l’obiettivo di praticare e promuovere un approccio etico nei confronti della natura e della persona, offrendo una serie di servizi e opportunità alla clientela. All’interno dell’impresa lavoreranno persone appartenenti alle fasce deboli, a seguito di un percorso formativo e di sviluppo di competenze in un’ottica di inserimento lavorativo in sede o nelle strutture in rete. Alcuni degli obiettivi principali sono la costruzione di un sapere multidisciplinare per i lavoratori in collaborazione con altre realtà della zona in modo tale che le persone possano svolgere varie tipologie di lavori e trovare un’occupazione.
Una delle socie del Caseificio Valle Sacra ci racconta i motivi per i quali ci si è “buttati” nella riapertura della Società dopo circa sei anni dalla chiusura della ex cooperativa Sociale Valle Sacra . Ci dice che si è trattato di una scelta dettata dal legame con il territorio (dato che alcuni dei soci sono nati proprio a Borgiallo), ma anche una scelta etica per via della qualità del cibo.
La produzione si basa su una rigida selezione degli allevatori: qualità, tipo di mangime usato, tipo di allevamento. Tutto ciò è necessario e imprescindibile per continuare a garantire un’elevata qualità di produzione. Inoltre, c’è un continuo scambio con gli allevatori per far sì che mantengano le stalle aperte perché - ci dice la signora - il latte prodotto nella zona è qualitativamente molto valido. Questo è il motivo per il quale hanno creato quest’indotto.
Daniela ci racconta di come è nata la Cascina Amaltea: il sogno di avere un allevamento di capre in Valle Sacra che, però, si è dovuto confrontare con le normative e la burocrazia.
È vero che, oggi, nella cascina non ci sono capre, ma c’è davvero molto altro… un esempio di come si possa fare la differenza a partire dall’amore per la terra. Daniela,una signora dalle infinite risorse immateriali, ci trasporta – con amore- in Valle Sacra.
Sono davvero molte le attività che vengo promosse dall’azienda per avvicinare le persone a un tipo di vita più sostenibile partendo della risorse presenti sul territorio. Un esempio è la festa della lavande dove i partecipanti vengono coinvolti in diversi modi dal taglio della lavande, alle passeggiate sensoriali, per concludere con un pic nic in mezzo al giardino.
Daniela racconta anche che l’azienda – per sostenersi economicamente- ha attivato progetti di coltivazione di piccoli frutti (mirtilli, lamponi, more, ribes, uva spina e nocciole… ) e di trasformazione in succhi di frutta e confetture nel piccolo laboratorio dell’azienda.
Flavio, amministratore della Nuova Teknocam, ci racconta di come nel 1992 sia nata l’azienda come studio di progettazione CAD e generazione di processi CAM in campo Automotive. Negli anni si sono dovuti sempre di più specializzarsi nel settore come nelle attività di simulazione e virtual try-out per lo stampaggio lamiera, fornendo ai clienti un supporto costante e dedicato utilizzando PAM-STAMP come software di calcolo. Oggi, ci dice il signor Demarie, sono l’unica azienda in Europa in grado di simulare tutto il processo di fabbricazione compreso gli effetti causati dalle saldature di qualsiasi tipologia e dal processo di graffatura ( table_top o roller hemming). La Nuova Teknocam è sicuramente un’eccellenza di imprenditorialità che ha voluto rimanere nella Valle Sacra per contribuire alla sua crescita.
Seyndou viene dalla Costa D’avorio, oggi vive a Cuorgnè con la sua fidanzata. Nel suo pese d’origine faceva il magazziniere in una fabbrica di prodotti cosmetici, oggi fa l’operaio e si occupa di stampaggio. Nel suo tempo libero gioca a calcio nella squadra Valorco nel ruolo di attaccante.
Peculiar è originaria della Nigeria, oggi risiede a Borgiallo e vive con il suo bambino Michele. Ci racconta di aver studiato scienze sociali e di aver lavorato per molto tempo come sarta per abiti femminili. Lavoro che le piacerebbe moltissimo ricominciare a fare. Ha una forte passione per la lettura e ama spendere il suo tempo libero leggendo. È brava a cucinare specialità nigeriane ed italiane.
Doumbia viene della Costa D’Avorio, attualmente risiede a Cuorgnè. Nel suo paese d’origine lavorava come meccanico, oggi invece lavora a come operaio a Borgiallo e si occupa di stampaggio. Ci racconta che nel suo tempo libero ama giocare a calcio e ha una grande passione per la musica, in particolare per il canto. Doumbia è poliglotta, parla francese, dioula e italiano.
Collins è di origine nigeriana e attualmente risiede a Borgiallo. Ci racconta del suo desiderio di lavorare nell’edilizia, sta frequentando un corso professionale.
Nel tempo libero cerca coetanei con cui giocare a calcio.
Il signor Gianni racconta di come sia importante la collaborazione delle comunità per la riuscita del progetto "Segheria Valle Sacra e della Cooperativa Valli Unite del Canavese”. Si tratta di un consorzio che persegue l’obiettivo di creare un sistema integrato per l'utilizzo del legno del territorio, creando reddito e posti di lavoro. È stato importante il sostegno della Comunità montana che con ha permesso un coinvolgimento dei paesi della montagna canavesana e ha fatto scoprire le nuove strade per lo sviluppo economico. Inoltre, con il lavoro che viene svolto della Segheria si sta lavorando nella direzione della valorizzazione della filiera del legno, dal bosco fino alla vendita del prodotto finito, passando per gli operatori forestali.
Giuseppe, proprietario della My Living Arredamenti insieme al figlio Giorgio, ci racconta come nel suo lavoro sia fondamentale il passaparola all’interno della comunità… motivazione che li hanno portati a scegliere Rivarolo Canavese come sede. Il lavoro principale dell’’azienda consiste nel cercare di lavorare con una clientela che cerca un servizio fatto ad hoc, affidandosi alle capacità ed esperienza messe in campo da oltre 40 anni di lavoro nel territorio, con una clientela attiva. Il signor Nocentini auspica un maggiore sviluppo volto al ripopolamento della valle in quanto questo, dice, porterebbe più vantaggi tutto il territorio sia da un punto di vista sociale che economico.
Federico, Presidente Proloco Borgiallo, ma originario di Chiesanuova ci racconta la sua esperienza al interno della Proloco e le attività promosse per far conoscere la realtà del territorio anche a chi non è della zona. Federico, che ha appena conseguito una laurea in scienze motorie,ci dice che la scelta di non allontanarsi da Valle Sacra è stata importante, anche perché qui non ha le stesse possibilità di sfruttare a pieno il suo titolo di studio. I momenti principali che coinvolgono la Proloco consistono in due feste principali. La prima è la festa di San Carlo con i suoi priori e il mercatino che si estende lungo tutta la strada e che collega la Valle Sacra. Qui, protagonisti indiscussi sono le eccellenze dell’artigianato locale. La seconda è la festa di Ferragosto. Sono cinque giorni di festa incentrati sulla musica (dal liscio al rock) e sulla gastronomia con cucina tipica. Da due anni si organizza anche un raduno di trattori che fanno il giro della Valle in modo da far conoscere tutte le realtà presenti con varie tappe per poi concludere il tour a Borgiallo.
Gianfranco, ex politico nato a Borgiallo ci racconta di come stia cercando di riprendere la vecchia azienda agricola di famiglia, per sfruttare quelli che erano le tradizione economiche e di coltivazione del territorio. L’obiettivo che si è posto è quello di capire se vecchi frutteti di mele - che un tempo sostenevamo economicamente la sua famiglia e che nel tempo sono stati abbandonati - oggi possono rappresentare un investimento economico per la Valle Sacra.
Elvis è proprietario della pasticceria “Antica Pasticceria Pan Belmonte “, è nativo di Borgiallo. Ci racconta la sua esperienza di giovane imprenditore e di come sia riuscito - partendo dalla tradizione - a riportare in auge due ricette apparentemente semplice, ma dimenticate della memoria della comunità. Secondo Elvis il territorio ha bisogno di un processo di valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale già presenti e un maggiore impegno degli enti pubblici nel settore turistico.
La dottoressa Rosaria, farmacista di Borgiallo, racconta di come sia arrivata in Valle sacra nel 2013 e di come sia riuscita a diventare un punto di riferimento per l’intera comunità. Romana di adozione ma di origine pugliese, ci racconta che per lei quest’esperienza è una nuova avventura come quando da ragazza si è trasferita a Roma per studiare. La sua figura ,oltre a quello di farmacista dal paese, è divenuta di riferimento anche del punto di vista sociale dato la sua esperienza e formazione. Le mansioni da lei svolte, infatti, non si fermano alla sola vendita dei farmaci. La Dottoressa esprime il desiderio di riuscire a contribuire alla valorizzazione del territorio, anche del punto di vista delle erbe officinali date le varietà di piante presenti nei boschi.
Ibrahima ci racconto di come abbia imparato a costruire i mattoni da un amico in Senegal. Parla quattro lingue: francese, wolof, madinga e italiano. Ora Ibrahim ha imparato a fare il giardiniere grazie a un corso di formazione.
Ysaac è un signore proveniente dal Congo. Nel suo paese ha appreso l'arte della falegnameria, che gli venne trasmessa da suo padre quando era ancora molto giovane. Ora si è trasferito a Chiesa Nuova e frequenta la scuola per imparare l'italiano e al contempo una scuola per affinare le sue conoscenze sulla falegnameria, che spera diventi la sua professione anche in Italia. Nel tempo libero ama fare giardinaggio e giocare a calcio.
Mareta è originaria della Cecenia, pese in cui si è laureata in tecnologie alimentari. Parla il ceceno, il russo, l’inglese e l’italiano. È in Italia dal 2013 e vive a Chiesanuova dove ha fatto,inizialmente, un tirocinio in un’azienda agricola e, inseguito, ha lavorato in un laboratorio metalmeccanico. Nel suo tempo libero ama molto leggere.
Khamzat, ex dirigente ceceno, ci racconta di come si sia adattato lavorando come operaio metalmeccanico nonostante una laurea in economia e una seconda in giurisprudenza conseguite a San Pietroburgo. Khamzat parla correttamente russo, ceceno, un po’ di inglese e italiano.
Kateryna ci racconta della sua esperienza di insegnante in Ucraina – il suo paese di origine- dove si è laureata in filologia. Ora Kateryna fa la mamma dei suoi tre bambini e lavora saltuariamente come cameriera e aiuto cuoca in Chiesanuova. Vorrebbe insegnare anche qui in Valle Sacra ai bambini piccoli dato che parla ucraino, russo, inglese e italiano.
Gioca ci racconta cosa significa essere un ragazzo giovane che vive in Italia da quando ha 12anni Valle Sacra: non ha più voluto lasciarla tantoché si è spostato da Chiesanuova a Borgiallo. Giora vive con la mamma, ex ingegnere. Le loro origini sono armene. Ora, Giora, lavora come operaio metalmeccanico. Ha studiato, però, in un istituto alberghiero, grazie al quale ha svolto vari lavori nel settore della ristorazione come il cameriere e il pizzaiolo. Un giorno vorrebbe aprire un’attività… una pizzeria o un ristorante qui in Italia, perché dice di stare bene qui e di non pensare di andare altrove e di ricominciare nuovamente.
Luzolo Ngimbi Esther, nata in Congo e residente a Chiesanuova, ci racconta della sua esperienza di infermiera e di come abbia trovato una comunità grazie alla fede religiosa. Ora Esther sta frequentando un corso per Operatore Socio-Sanitario (OSS) perché vuole riprendere a fare un lavoro che le permetta di aiutare le persone. Esther è poliglotta. Parla e scrive correttamente francese, lingala italiano e un po’ di inglese.
Veronica, proprietaria dell’Agriforneria insieme al marito, ci racconta di come siano arrivati alla creazione del laboratorio di panificazione. Veronica -che ha una formazione di restauratrice - ha deciso di seguire un stile di vita meno frenetico decidendo di abbandonare la città (Torino) e un lavoro sicuro e ben retribuito, per intraprendere una nuova attività agricola certificata BIO, acquistando un “rudere” a Chiesanuova (TO). Inizialmente avevano puntato sul agricolo, riprendendo la coltivazione dei frutteti tipica della Valle Sacra, ma scommettendo anche sul settore Bio. A causa, però, di alcuni eventi particolarmente sfortunatI (grandinate, venti impetuosi, fauna selvatica, lungaggini burocratiche) sono giunti alla creazione del laboratorio di panificazione partendo dal lievito madre di famiglia. "E’ nostra convinzione che il pane debba ritornare ad essere quell’alimento semplice e naturale come un tempo, escludendo totalmente l'utilizzo di miglioratori, additivi e lievito di birra."
Il signor Paolo, gestore del Bar Pizzeria e Trattoria di Chiesanuova, ci racconta di come ci si senta a svolgere molti ruoli all’interno del paese. La sua attività gli è stata data in gestione dall’amministrazione comunale. Tra le tante cose di cui si occupa il signor Paolo c’è anche l’apertura dell’ambulatorio medico e la gestione del negozio di alimentari. Da dicembre 2003 sono stati apportati molti miglioramenti come la creazione della zona pizzeria e il dehor.
Samuel è originario dell’Armenia e vive in Italia da 7 mesi. La sua grande passione è lo sport e pratica da molti anni karatè e kick boxing anche a livello professionale. Gli piacerebbe insegnare in una palestra sul territorio. Ha fatto molti differenti lavori nel suo paese d’origine dal muratore all’imbianchino. Gli piacerebbe lavorare come meccanico. Parla lingue fluentemente l’armeno e il russo, un po’ di tedesco e sta imparando l’ italiano.
Hassan lavora per il centro sprar di Chiesanuova da 7 anni, come mediatore. Ci racconta di vivere in Italia dal 2008 e di essere originario dell’Iran. Dopo gli studi e un’esperienza militare ha lavorato per un breve periodo in fabbrica, per poi trasferirsi in Giappone, luogo in cui ha vissuto 10 anni facendo i lavori più disparati, dalla ristorazione al lavoro in fabbrica. Parla molte lingue differenti: Italiano, persiano, inglese, spagnolo e giapponese
Gordana è originaria di Belgrado e vive in Italia dall’86, esattamente a casale Monferrato. Lavora negli sprar di Colleretto Castelnuovo e di Chiesa nuova dal 2005. Si è occupata della formazione degli operatori e attualmente lavora come mediatrice culturale. Ci racconta di essersi laureata in chimica, e di aver poi cambiato strada. Gordana è poliglotta parla inglese, francese, bosniaco, croato, serbo, russo ed italiano. Ha una fortissima passione per la lettura.
Goar è armena e vive dal 2012 a Colleretto con il marito e la figlia. Ha studiato giurisprudenza a Mosca e ha lavorato in uno studio legale in Armenia. Attualmente insegna inglese nella scuola del paese e armeno il sabato pomeriggio, le piacerebbe moltissimo creare una doposcuola unendo i bambini di età e nazionalità diverse creando un ambiente sicuro e stimolante. Vorrebbe anche continuare la sua formazione universitaria. Goar è poliglotta e parla perfettamente armeno, inglese, russo e italiano.
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