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altre esigenze
Bruno ha 50 anni e vive all’interno della Comunità di Progetto Persona da più di un anno. L’impatto con il nuovo contesto di 5Square è stato per Bruno positivo e piacevole, e anche con gli altri membri della comunità dice di trovarsi bene.
Bruno è originario del Vigentino quindi conosce bene il quartiere, di cui apprezza la ricchezza di servizi di prossimità. Dopo che il papà è mancato e la mamma ha cambiato casa si è trasferito nella comunità di Via Bazzi. Prima dell’invio in comunità, racconta Bruno, usciva e si muoveva in autonomia: esperienza questa che gli piacerebbe riprendere.
In passato ha svolto corsi da elettricista, percorsi formativi specializzati nel restauro di mobili e un tirocinio presso il Bar Micrò vicino alla Biblioteca Chiesa Rossa. Accanto alla passione per attività manuali e artigianali, Bruno custodisce svariati interessi: ama uscire, passeggiare e ogni tanto fare un salto in qualche bar di Via Ripamonti. È un grande fruitore di cinema e musica. Tra i suoi attori preferiti ci sono Lino Banfi (nel commissario Logatto), Renato Pozzetto, Carlo Verdone, Paolo Villaggio, Gerry Calà, Bud Spencer e Terrence Hill. Per quanto riguarda la musica, è molto affezionato ai dispositivi analogici che conserva in cantina, come dischi, cassette e compact disc: il suo cantante preferito è Celentano.
Per Bruno il senso di comunità si esprime nello stare insieme ad altre persone: interessante e complesso l’equilibrio tra condivisione con gli altri e autonomia individuale.
Nello Spazio Living di via Antegnati 7 Bruno immagina che parteciperebbe volentieri ad eventi e laboratori centrati sulla musica e sul ballo.
Per il futuro desidera un lavoro, una casa propria e un maggiore senso di libertà.
Andrea ha 58 anni ed è un maestro elementare. Specializzato in filosofia e da sempre impegnato nel mondo del volontariato, si occupa di immigrazione, lotte e diritti attraverso il lavoro con adulti e bambini. Vive da più di vent’anni nel quartiere Stadera e circa sei anni fa, dopo diverse esperienze all’estero, rientrando a Milano ha conosciuto e collabora tutt'oggi con il collettivo che sarebbe poi diventato l’Associazione Baia del Re.
La Baia del Re nel quartiere Stadera è un’associazione che, attraverso il lavoro dei volontari, offre alla zona una vasta proposta di attività e che (a partire anche da un tesseramento annuale di 10 euro, oltre ad altre iniziative) cerca di autofinanziarsi. Tra le attività:
Durante l’anno vengono organizzate e proposte feste, uscite e attività non solo con i ragazzi ma anche con le loro famiglie e con gli istituti scolastici del quartiere, per garantire un lavoro di continuità educativa e relazionale che favorisca partecipazione, accoglienza ed inclusività. Un esempio riuscito di questo lavoro di rete con il quartiere è il rapporto ormai consolidatosi con un gruppo della comunità filippina che spesso utilizza lo spazio della sede e si è prodigato anche per la sua ristrutturazione, diventando un esempio positivo di mutuo scambio e condivisione.
Il quartiere Stadera si caratterizza come un contesto multiculturale, con numerose famiglie provenienti da Egitto, Bangladesh, Tunisia, Marocco, etc. In linea generale Andrea rintraccia tra gli abitanti grande solarità, disponibilità e gratitudine, insieme anche ad un bagaglio di ansie burocratiche spesso imperanti nelle istanze quotidiane delle famiglie.
Tra gli aspetti di fragilità identifica la mancanza di spazi aggregativi e condominiali (che consentano ai bambini del quartiere di giocare con sicurezza e spontaneità), un diffuso atteggiamento di trascuratezza e abbandono degli spazi comuni urbanistici e una parziale povertà culturale. In questo senso assume un valore ancora più significativo il tentativo dell’Associazione di coinvolgere i ragazzi e le famiglie in attività culturali e didattiche dentro e fuori dalla città perché, dice Andrea, <<uscire dal quartiere è salute>>, incentivando un’appartenenza al mondo e non solo ai propri confini personali. Alimentare quindi il senso di comunità sfidando le iniziali resistenze e timidezze, con la consapevolezza che si tratta di un processo in cui più che i luoghi, sono i tempi a fare la differenza. Già in passato la comunità di Stadera ha dimostrato vicinanza e solidarietà all’Associazione, stringendosi intorno a valori comuni e attivandosi con affetto <<come (si trattasse) di una casa da difendere>>.
Per Andrea il senso di comunità è mettersi in cerchio, disporre e disporsi nell’ottica dello scambio e della qualità relazionale. Comunità è la partecipazione attiva di tutti, è rispetto e ascolto reciproco. Costruire il senso di comunità significa scardinare i luoghi comuni e le aspettative, provando a sorprendere e a sorprendersi. Il contrario della comunità è la rigidità dei ruoli.
Sono tanti gli auspici e i desideri per il prossimo futuro: in primis che gli utenti dell’associazione (soprattutto i giovani) diventino a loro volta prosumer, fornitori cioè di servizi e risorse all’interno di un processo di reciprocità. In secondo luogo che si allarghino e si infoltiscano le fila di volontari presenti sul campo e durante le attività proposte. Ma anche che la sede si apra e si connetta sempre di più al contesto circostante. Infine, ma non per minor importanza, c’è il desiderio particolarmente sentito che l’Associazione riceva maggiore riconoscimento e sostegno da parte delle istituzioni.
Un sogno per il futuro è anche la creazione di un documento, un passaporto, che sia uguale per tutti. Un gesto che ricordi la necessità di prendersi cura della libertà.
Il signor Michele è il proprietario, insieme ad un altro socio, della ditta VA.NA.MEC. che si trova a Masio, un paese a pochissimi chilometri da Felizzano.
La ditta è nata 27 anni fa e inizialmente si occupava di realizzare macchine per la falegnameria e assemblaggio serramenti di legno. Nel corso degli anni la ditta ha subito cambiamenti per concentrarsi sull'automazione, in particolare sulla torneria e sulla fresatura meccanica di precisione, sulla carpenteria leggera e sulla saldatura a filo continuo e TIG, costruzioni meccaniche, costruzione di macchinari a controllo numerico e costruzioni di saldatura.
Attualmente lavorano i 2 soci e 5 dipendenti, diplomati e con qualifiche professionali. Il signor Michele spiega che partendo dai disegni tecnici forniti dai clienti, sono in grado di lavorare materiali grezzi per ottenere i particolari richiesti utilizzando torni e frese a controllo numerico e di sviluppare lavorazioni di carpenteria personalizzata. Hanno una buona clientela, seria, allargata anche a multinazionali. I prodotti vanno all'industria, alle automazioni e ai nastri trasportatori.
Il sig. Michele, da quando ha 16 anni, ha sempre lavorato nel campo della meccanica, inizialmente da dipendente, ad un certo punto ha pensato di fare "qualcosa di più" e ed è rimasto a lavorare in questo ramo aprendo una propria ditta insieme ad un socio. Questa attività ha dato molte soddisfazioni, soprattutto a livello personale.
Passione, voglia e tanta esperienza sono requisiti fondamentali per svolgere questo lavoro, il sig. Michele sottolinea che questo tipo di lavoro richiede sacrificio, impegno e voglia di imparare, è molto difficile trovare personale motivato e competente, che abbia le capacità e le conoscenze per poter utilizzare in maniera corretta i macchinari che sono sempre più sofisticati e precisi. Con soddisfazione ed orgoglio il sig. Michele mostra l'officina e le macchine utilizzate dagli operai specializzati, i lavori eseguiti richiedono massima precisione e vengono impiegati in vari settori.
C'è stato un periodo di rallentamento dovuto dal Covid, anche ora si risente della crisi di mercato, nonostante tutto ci sono richieste e la produzione continua. Ci sarebbe la necessità di assumere del personale ma non si trovano figure adeguate a ricoprire il ruolo richiesto, il consiglio che viene dato è quello di fare corsi professionalizzanti che preparino all'utilizzo delle macchine a controllo numerico, esiste la necessità di assumere operai che sappiano usare il tornio a controllo numerico.
Il sig. Michele si augura che i giovani si dimostrino volenterosi, interessati e motivati e abbiamo voglia di fare e crescere professionalmente.
Gabriele è innovation manager in Nexteria e si occupa quindi di tutte quelle innovazioni tecnologiche e di processo che possono essere inserite dai loro committenti nella relazione con i clienti in ambito customer care. Daria invece è psicologa del lavoro e delle organizzazioni e collabora stabilmente con l’azienda nell’ambito delle risorse umane.
Più che un’azienda, Nexteria potrebbe essere definita una “fabbrica di sinapsi”. Nasce nel 2011, un periodo difficile in ragione della crisi economica, in cui, per le aziende che si occupano di customer care, la tentazione di andare fuori dall’Italia era forte. La scommessa è stata quindi quella di aprire un’azienda basata in Italia, nello specifico a Milano, in grado di offrire ai clienti la qualità e la vicinanza come alternativa all’outsourcing a basso costo. Attualmente contano di tre sedi - a Milano, Verona e Roma- ed hanno committenti sia italiani che internazionali di diversi settori, quali quello finanziario, energetico, sanitario e dell’automotive. In questi anni l’azienda è cresciuta molto ed è stata inserita tra le aziende che crescono maggiormente in Italia e in Europa in diverse classifiche pubblicate su Financial Times e Sole24Ore, essendo riuscita a creare un modello italiano virtuoso di creazione di business congiunto, capace di creare valore anche dalla rete e dalle relazioni instaurate tra i diversi committenti.
Il poter offrire una continuità nel tempo nella relazione professionale con i clienti è uno dei valori di Nexteria, che per questo investe nelle risorse umane con dei percorsi di crescita che vanno dalla possibilità di tirocini per chi si affaccia sul mondo del lavoro alla stabilizzazione a tempo indeterminato per quanti hanno invece maggiore esperienza. E’ quindi un’azienda fatta a misura di persona, che considera il numero di nascite tra i collaboratori come un KPI – un indicatore di performance- fondamentale. Ad oggi sono sessanta i nuovi nati in azienda, dato di cui Nexteria va molto fiera perché riflette la dimensione umana dell’azienda che è interamente di proprietà di soci fondatori e non di fondi, diversamente da altre.
L’azienda si è sempre trovata nel quartiere Vigentino, anche se nel 2022 si è trasferita in una nuova sede in prossimità del complesso residenziale di 5Square. Si sono quindi stabiliti qui, apprezzando le aree verdi di cui il quartiere è ricco, trovandosi al limitare del Parco Agricolo Sud, così come il tessuto sociale tipico del piccolo paese, in cui ci si conosce ed è possibile creare delle relazioni. E’ quindi un posto che è rimasto vivibile e che si rivaluterà nei prossimi anni, con grandi investimenti dovuti alle Olimpiadi del 2026. Un quartiere nel pieno di un percorso di cambiamento in cui l’azienda vuole essere presente, inserendosi in progetti di rigenerazione urbana e continuando il lavoro già intrapreso di tessitura di relazioni con gli enti locali, quali il Municipio 5, e con le associazioni di quartiere. A tal proposito, Nexteria ha recentemente sponsorizzato la festa delle associazioni del Municipio 5 che si è tenuta in Ottobre al Parco Chiesa Rossa e che ha visto la partecipazione di moltissimi enti del terzo settore. In tale occasione l’azienda ha anche aperto le proprie porte alla cittadinanza, ospitando un evento nella sua biblioteca al pian terreno. Nexteria ha inoltre avviato una collaborazione con la Rete Lavoro del Municipio 5 oltre che con le scuole del territorio, al fine di farsi promotrice di percorsi formativi e di orientamento professionale aprendosi ancor di più al territorio.
Rispetto alle esigenze del quartiere, l’impressione è che manchino dei presidi di socialità e dei luoghi di aggregazione, problematica comune ad altri quartieri della città. E’ stato inoltre segnalato un impoverimento del tessuto delle attività commerciali e artigianali dovuto alla difficoltà di questi ultimi a sopravvivere. Rimane poi un problema maggiore di viabilità e di mobilità che rende il quartiere ancora oggi meno accessibile di altri. Trattandosi di un quartiere dalla memoria storica -essendo stato un borgo indipendente da Milano fino a cento anni fa- ma in forte espansione edilizia, l’auspicio è che non diventi un quartiere dormitorio ma che sia invece un luogo in cui si vive e si lavora, un posto ricco di servizi, dove abitanti e tessuto produttivo vivono in osmosi, un luogo ibrido dove realtà aziendali e sociali sono in costante dialogo … tematiche che sono oggi alla base della scommessa di una città come Milano che deve poter essere a misura di tutti.
Laura è la responsabile della Biblioteca Chiesa Rossa dal 2016. La biblioteca, sita all’interno del Parco di Chiesa Rossa, fa parte di un complesso monumentale, comprendente un’antica cascina del 1600, un portico con abbeveratoio utilizzato attualmente come spazio eventi ed il complesso di Santa Maria alla Fonte, una chiesa antica ora abitata dai Frati Cappuccini che durante un recente restauro ha svelato dei reperti di epoca romana. Questo sito ha versato in uno stato di degrado ed abbandono fino agli anni novanta, quando un comitato di cittadini molto attivo ha insistito fortemente con le autorità pubbliche perché questo luogo fosse restituito alla cittadinanza ed ospitasse una biblioteca, inaugurata poi nel 2004. Questa biblioteca è quindi stata fortemente voluta dai cittadini e per questo è da sempre molto partecipata, dai cittadini e dalle associazioni locali, che qui hanno la possibilità di organizzare eventi, come il Centro Comunitario Puecher che organizza presentazioni di libri ed incontri culturali.
In ragione della sua ubicazione all’interno di un parco, la Biblioteca Chiesa Rossa ha caratteristiche stagionali, per cui tra aprile e ottobre si intensificano gli eventi all’aperto, comprensivi di festival che coinvolgono tutte le aree del parco, mentre in inverno è molto attivo lo spazio centrale della biblioteca adibito agli eventi e che è fruibile in orari diurni come serali, così come nei weekend su richiesta. Tra gli eventi di maggior rilievo, Laura menziona la festa delle associazioni, la festa dello sport e la festa delle abilità, a cui partecipano artisti con diverse abilità e che sottende l’idea che tutti abbiamo dei limiti che l’arte ci permette di valorizzare. La biblioteca fa anche parte della rete QuBì, che si occupa di contrasto alla dispersione scolastica, con la quale ha organizzato delle distribuzioni di libri in periodo Covid. Infatti, grazie alle distribuzione dei pacchi alimentari, è stato possibile raggiungere delle fasce di popolazione che frequentano poco la biblioteca, aggiungendo ai pacchi alimentari dei libri nuovi per bambini a seconda delle fasce d’età. Con la Cooperativa Zero5 la biblioteca ha inoltre organizzato delle distribuzioni di libri nei cortili delle case, per poi portare le famiglie in biblioteca con le feste di QuBì che ogni volta vedono la partecipazione di circa duecento persone. Attualmente la biblioteca ha attivo un altro progetto con la rete QuBì per la valorizzazione dell’area giochi interna al parco, area che è accessibile ai bambini con disabilità. A tal proposito, la biblioteca si sta specializzando nell’area dell’inclusività, anche con dei libri specifici per bambini con diverse abilità.
Oltre all’area eventi e all’area studio, la biblioteca ha allestito al suo interno uno spazio morbido, libero e accessibile, per genitori con bambini 0-18 mesi, promuovendo anche delle letture per bambini grazie alla collaborazione con la Cooperativa La Dea. Si tratta di un’iniziativa che hanno portato anche nei consultori e nei nidi e che ha avuto un riscontro importantissimo, in quanto la maternità porta spesso con sé una grande solitudine per le mamme, che hanno bisogno di luoghi di confronto libero con altre mamme. Assieme ad alcune scuole della zona ed al Centro Comunitario Puecher, la biblioteca si è fatta promotrice del progetto della Biblioteca dei Giusti, che vorrebbe creare un presidio fisico in memoria dei giusti anche nell’area Sud di Milano, oltre al giardino dei giusti già esistente situato in Zona Otto. Hanno quindi promosso delle attività nelle scuole in cui i ragazzi hanno modo di riflettere e discutere su cosa sia giusto, producendo degli elaborati visivi e letterari. La biblioteca aveva anche allestito nei suoi spazi esterni un giardino dei giusti con dei pannelli creati da una giovane grafica che però sono stati smantellati con un atto vandalico. Negli spazi esterni come anche nell’area studio sono anche presenti dei murales, prodotti di un progetto di arte partecipata che ha coinvolto diverse fasce d’età: dai bambini, ai giovani, agli adulti, e persone con diverse abilità, tra cui dei pannelli multisensoriali in braille. Vi è anche un’insegna al neon che recita “giorno dopo giorno”, ad indicare che la cultura si costruisce giorno dopo giorno con la partecipazione di tutti. Il neon rimanda invece a quella fragilità di cui sta a tutti noi prenderci cura.
A tal proposito Laura ci piega la sua idea di biblioteca pubblica, che deve essere di tutti e per tutti: un luogo in cui ognuno possa trovare degli strumenti di conoscenza e informazione accessibili e che deve riflettere le esigenze del territorio, proponendo del materiale anche per le comunità straniere laddove presenti. In quest’ottica inclusiva della cultura, la biblioteca ha attualmente attivi quattro gruppi di lettura corrispondenti a diversi livelli. Nell’esperienza di Laura la biblioteca, in quanto presidio culturale accessibile, è in grado di cambiare la qualità del territorio, con un forte impatto di prevenzione anche di quelle malattie psicologiche che possono nascere o aggravarsi da profondi stati di solitudine. Questo in quanto la biblioteca, diversamente da altri sportelli in cui vi è una barriera all’ingresso, è un luogo aperto e di libero accesso, in cui è possibile scambiare due parole con i bibliotecari oppure leggere in autonomia, e non necessita quindi di dover arrivare con un bisogno precostituito. La biblioteca è inoltre un luogo di integrazione di famiglie straniere e con fragilità, che crea comunità e che rappresenta un presidio di sicurezza, essendo illuminata anche la notte e spesso aperta in orari serali. Laura ci racconta che per molti stranieri la tessera della biblioteca è motivo di orgoglio, in quanto per loro è un simbolo che li riconosce a pieno titolo come facenti parte di quella comunità.
Ci vorrebbe quindi una biblioteca in ogni quartiere della città e a tal proposito molte iniziative dal basso sono nate in quei quartieri dove non c’è una biblioteca, come le biblioteche condominiali dove si svolgono delle iniziative di bookcrossing e di prestito libri per cui il sistema bibliotecario fornisce delle consulenze gratuite su come organizzare i libri. Per il futuro l’auspicio è che le biblioteche riescano a mantenersi come un presidio sociale, grazie al sempre maggior coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni come parte attiva della biblioteca. Senza il contributo attivo della cittadinanza infatti, la biblioteca riuscirebbe solo a garantire un servizio base di prestito libri, motivo per cui coprogettare con i cittadini e con la rete di realtà del territorio è quanto permette alle biblioteche di mantenere quel ruolo sociale fondamentale che ancora oggi hanno.
Francesca ed Erica lavorano per la Cooperativa Zero5. Francesca è educatrice professionale di formazione ed è oggi responsabile della comunicazione e coordinatrice delle équipes operative, Erica invece è teatro terapeuta e lavora per la cooperativa come progettista e amministratrice dei progetti per adolescenti e pre-adolescenti. Al momento dell’intervista ci troviamo al “Nebula Space”, uno spazio che si trova all’interno della scuola media Toscanini e a cui la cooperativa ha ridato vita grazie al progetto Teencity. Lo spazio funge da centro contro la dispersione scolastica, con progetti per ragazzi e famiglie di accompagnamento allo studio, laboratori e percorsi con i genitori. In particolare, il centro è frequentato da un gruppo di ragazzi delle medie e un gruppo di adolescenti tra i quattordici e i vent’anni che sono accompagnati in un percorso di autonomia.
La cooperativa nasce e cresce nel Municipio 5, tra Chiesa Rossa e Gratosoglio, anche se in questi anni ha saputo tessere una rete di nuove relazioni anche nel quartiere Vigentino. A tal proposito, il Vigentino è un quartiere ricco in cui però si fatica a mettersi in rete e costruire collaborazioni di amplio respiro e strutturali. Vi è poi, come negli altri quartieri a Milano, il tema della sicurezza nelle strade legata alla questione di genere e la mancanza di spazi liberi dagli adulti, ma protetti, dove i giovani possano relazionarsi in sicurezza. Rispetto all’importanza di una riappropriazione, da parte dei ragazzi, di spazi liberi e destrutturati, in cui quindi non serve necessariamente fare o attivare qualcosa, essa risiede nel restituire ai ragazzi la capacità di immaginare partendo dai loro desideri, obiettivi e bisogni e nel dare loro la possibilità di esprimerli, muovendo con processi partecipati che partono da azioni di ascolto per realizzare ciò che loro stessi hanno immaginato. A tal proposito lo spazio condiviso di 5Square, che è amplio e protetto, potrebbe essere un luogo di iniziative per i ragazzi, con attività leggere e non di presa in carico, uno spazio di autonomia per gruppi di cittadini, tra cui i giovani, in quanto la sfida è oggi quella di accompagnarli all’autonomia e all’autogestione con l’appropriazione degli spazi in contesti e situazioni protette.
Rispetto al tema della riqualificazione delle periferie anche con iniziative culturali, si tratta di un tema molto discusso a Milano. Se infatti sono da accogliere favorevolmente iniziative volte a contrastare le marginalità e restituire ai cittadini, rendendoli fruibili, degli spazi pubblici, dall’altro la gentrificazione, con il conseguente aumento dei prezzi, sposta le popolazioni più fragili ancora più in periferia. Zero5 ha lavorato a dei progetti di riqualificazione, come quello al parco di Via Coari, che è partito da un lavoro fatto con i ragazzi che li ha portati ad identificare il parco come luogo di aggregazione ma lasciato all’incuria, da cui il desiderio di spendersi in un piccolo intervento di rigenerazione urbana alla loro portata, con la creazione di una galleria di sportivi ritratti sulle pareti dei terrapieni come riconoscimento del valore sociale dello sport. In questo, il progetto è stato in grado di restituire ai ragazzi la visione della possibilità, dando loro il potere di fare la differenza, incidendo sulla partecipazione, sul senso civico e sulla responsabilità che hanno in quanto cittadini.
Per il futuro, l’auspicio è quello di vedere costituirsi nel Vigentino una rete di associazioni che riesca ad essere incisiva, riunendosi anche attorno a momenti informali di divertimento, come delle cene sociali, per ritrovare la dimensione di convivenza e comunità. Rispetto a quest’ultima, l’immagine che ci lasciano è quella di una tavolata di cinquanta metri al parco con ragazzi e famiglie, associazioni e commercianti.
Jimmy ha ventisei anni e quando lo intervistiamo è arrivato a 5 Square da appena una settimana. Si definisce un “nomade obbligato”, perché nell’arco della sua vita ha dovuto cambiare diverse volte città: nato a Firenze, ha poi vissuto tra Prato, Milano e Poggio Rusco.
La sua grande passione sono la natura e gli animali: sua mamma dice che l’amore per gli animali è nato quando da piccolo ha fatto amicizia con un cagnolino, anche se Jimmy ricorda di essere poi stato morso da un altro cane e di come questo gli abbia causato un piccolo trauma. Lamenta che a Prato c’era più verde, anche se vicino a dove abita c’è il Parco della Vettabbia, dove è stato con la sua educatrice. Piacendogli passeggiare all’aria aperta, vorrebbe scoprire le aree verdi di cui il quartiere è ricco. A Jimmy piacciono anche i giochi di squadra, come la pallavolo, palla prigioniera e palla avvelenata. Ad esempio, questa estate in spiaggia passava volentieri il tempo a guardare i ragazzi giocare a beach volley.
Pur essendo arrivato da poco, Jimmy ha molte aspettative rispetto all’abitare collaborativo promosso nell’Housing. Il giorno dopo il suo arrivo ha partecipato ad una grande cena tra condomini e vorrebbe partecipare anche alle prossime attività. Per lui una comunità è un posto dove persone diverse hanno la possibilità di conoscersi e fare amicizia e, pensando a quale potrebbe essere il suo personale contributo alla comunità, pensa a delle attività rivolte ai bambini per incuriosirli rispetto alla natura, in quanto i bambini sono gli adulti del futuro, coloro che dovranno avere cura della natura e proteggerla. Jimmy fa comunque già educazione ambientale “a modo suo”: ogni tanto gli capita infatti di fermarsi a parlare con le persone sul bus o per strada per sensibilizzarle su temi ambientali. Il suo sogno sarebbe quello di poter viaggiare e visitare dei posti naturali. Rispetto al quartiere, gli va bene così com’è, magari vorrebbe un po’ più di allegria e, perché no, qualche cinese in più!
Jimmy racconta di aver fatto esperienza in una comunità prima del Covid, in un percorso di autonomia in cui dice di aver imparato molte cose. Tornare a vivere a casa ha però significato per lui tornare indietro, o “essere rispedito a zero”. Adesso ha la possibilità di fare un percorso più lungo, della durata di tre anni, in cui spera di poter imparare più cose e di avere il tempo di assimilarle. Sta anche seguendo un percorso di orientamento al lavoro per giovani come lui, ancora un po’ indecisi. Sta quindi “trovando un modo per iniziare a piccoli passi, a modo suo”. Spera comunque di riuscire ad avviare un percorso nell’ambito che lo appassiona, quello della natura: sa che è difficile ma ci vuole comunque provare. “La vita è una sola, non lasciamoci delusioni alle spalle”.
Michela è educatrice di professione e mamma di una bambina di dieci anni. Due anni fa circa ha fondato Milano Sospesa, assieme a Cristina e ad altri volontari. Si sono conosciuti per caso ad una raccolta beni per gli sfollati del palazzo bruciato in Via Antonini e per due mesi hanno assistito le trenta famiglie sfollate con l’allestimento di un charity shop in cui sono confluite moltissime donazioni. Si sono quindi spostati nella parrocchia di Santa Maria Liberatrice, dove hanno organizzato la distribuzione di alimenti alle famiglie e sono poi rimasti lì in quanto nel tempo sono diventati il punto di riferimento per moltissime famiglie del quartiere e non solo. Quando poi è scoppiata la guerra in Ucraina hanno organizzato moltissimi punti di raccolta e, nel Marzo 2022, sono stati i primi ad entrare in Ucraina con diciassette mezzi e sono poi diventati i capofila di diverse “odissee per la pace” in cui organizzavano dei viaggi in Ucraina assieme ad altri gruppi, cosa che continuano a fare tutt’ora.
In questi due anni la voce si è sparsa a macchia d’olio e l’associazione ha avuto moltissimo seguito sui social. Oltre a costituire un riferimento per moltissime famiglie, tra cui molte che vengono fin da fuori Milano, hanno costruito una rete con moltissime associazioni che anche si rivolgono a loro quando necessitano del materiale. Raccolgono principalmente materiale usato ma in buono stato, allungando la vita di cose che altrimenti andrebbero buttate, e raccolgono anche materiale nuovo da aziende che fanno donazioni. Ad esempio in ottobre hanno distribuito oltre duecento kit per la scuola e, dato l’aumento dei prezzi del materiale scolastico, vi era moltissima gente in coda. Li chiamano “i miracoli di Milano Sospesa”, in quanto grazie al passaparola riescono sempre a soddisfare le richieste: ad esempio, nell’ultimo appello sui social per raccogliere dei pannolini, in un’ora sono arrivate oltre venti offerte! Per una migliore organizzazione, chiedono di essere contattati prima su Facebook o Whats App, in modo da organizzare i matching tra domanda e offerta e non far venire le persone a vuoto. Quello che fanno è comunque la prova che c’è moltissima solidarietà e, a tal proposito, una comunità dovrebbe essere per loro innanzitutto solidale, accogliente e aperta.
Cristina è nata nel Vigentino e ci racconta dei suoi primi ricordi del quartiere: negli anni novanta loro ragazzi avevano la compagnia e ci si trovava davanti all’oratorio, che era un punto d’incontro. C’erano ancora dei capannoni industriali che poi sono stati convertiti o demoliti. Oggi andrebbe soprattutto migliorata la viabilità di via Ripamonti e rafforzato il servizio dei mezzi pubblici. Rispetto a 5Square, ritengono che non sia ancora molto conosciuto nelle zone limitrofe, nonostante gli ampli spazi si presterebbero a molte attività, come delle piccole feste, una portineria solidale oppure delle iniziative di raccolta e distribuzione. L’auspicio per il futuro è quello di riuscire a raggiungere ancora più persone nella loro attività e di diventare un punto di riferimento della Milano solidale.
Antonella è vicedirettrice del Teatro Pim Off e si occupa della programmazione artistica del teatro. Il Pim Off non è solo un teatro che offre spettacoli di danza e teatro, ma si potrebbe definire un incubatore dove si sviluppano progetti artistici durante tutto l’arco dell’anno. E’ infatti stato fondato da Maria Pietroleonardo con l’intento di dare una casa agli artisti, uno spazio dove poter creare e sperimentare senza la necessità di andare immediatamente in scena e negli anni ha ospitato moltissime produzioni nella loro fase iniziale. Per gli operatori del settore, disporre di un luogo per le residenze artistiche è fondamentale e Pim Off offre quindi la possibilità di usufruire di un periodo di residenza con uso della sala teatrale e della sua strumentazione, oltre ad un supporto economico, organizzativo e promozionale. Per accedere, è necessario partecipare al bando “Citofonare Pim Off” sul loro sito. Il nome del bando è stato ispirato dal fatto che il teatro si trova in una ex cartiera situata all’interno di un condominio, per cui per accedere al teatro è effettivamente necessario citofonare!
Il teatro predilige la drammaturgia contemporanea ed ospita diversi linguaggi, che vanno dalla prosa alla danza ed alle arti visive. Al suo interno ospita anche una collezione privata di opere d’arte provenienti da tutto il mondo. Il teatro aderisce inoltre ad una serie di iniziative come la “Dance Card”, volta a promuovere la danza contemporanea, ed un progetto di affido culturale promosso dall’associazione Mitades, che permette alle famiglie più svantaggiate di usufruire gratuitamente del teatro.
Il Pim Off si trova tra il quartiere residenziale di Milano Terrazze e quello più popolare di Gratosoglio, oltre ad essere a ridosso del Parco Agricolo Sud. Il quartiere Gratosoglio si è sviluppato negli anni settanta accogliendo molte famiglie dal sud Italia ed ha recentemente conosciuto un’ondata migratoria di famiglie straniere, mentre Terrazze è un quartiere sorto negli anni ottanta ed è più residenziale. Questi quartieri sono separati dalla lunghissima Via dei Missaglia, solcata dalla linea tramviaria del quindici che porta fino in centro. A mancare è una vera integrazione tra queste due comunità, queste due anime del quartiere. Loro han provato a coinvolgere le famiglie con dei progetti mirati, come quello rivolto alle centottanta nuove famiglie di Via Selvanesco 77. Hanno anche avviato dei progetti nelle scuole, con percorsi di avvicinamento allo spettacolo come quello promosso all’interno di “Milano è viva”, che ha coinvolto quindici ragazzi della zona che andranno in scena in ottobre. A tal proposito Antonella è convinta che il teatro possa avere un ruolo fondamentale in contesti complessi come quello di Gratosoglio, motivo per cui hanno organizzato delle campagne di sensibilizzazione con lo slogan “cosa me ne faccio del teatro”.
In città come Milano l’offerta culturale si concentra prevalentemente in centro, per cui diventa fondamentale mantenere dei presidi culturali nelle periferie. Per loro rimanere nel loro “off” ha rappresentato una risorsa, in quanto ha consentito di usufruire di spazi ampli pur essendo collegati al centro con i mezzi pubblici. Naturalmente la loro offerta si rivolge a tutta Milano e, essendo diventati una realtà conosciuta, attraggono persone provenienti anche dalle province. L’auspicio per il futuro è quindi quello di instaurare un legame più solido con il quartiere in cui sono situati, in quanto, trattandosi di un quartiere popolare, le persone hanno meno l’abitudine di andare a teatro. Il desiderio è quindi che chi abita in zona venga a conoscerli e partecipi maggiormente alle loro iniziative, sapendo di trovare qui uno spazio aperto che organizza anche degli aperitivi serali a prezzi popolari.
Conosciamo Angelo un venerdì mattina al mercato settimanale di Via dei Guarneri nel Vigentino quando, colte da un acquazzone, ci ripariamo sotto ad un tendone in attesa che spiova. Iniziamo così a chiacchierare con il Signor Angelo, abitante del Vigentino e frequentatore assiduo del mercato, e gli chiediamo se è disponibile a rispondere a qualche domanda sul quartiere.
Angelo abita nel Vigentino dal novantaquattro: si è trasferito qui da Brugherio dopo essersi sposato. A lavoro si occupa di impianti d’aria condizionata, per cui ci spiega che, per deformazione professionale, prima di acquistare casa verifica sempre che ci sia la predisposizione per l’impianto, in quanto non gli piace vedere le canaline esterne.
Lui abita in una strada chiusa, quindi molto tranquilla. In quartiere si è trovato benissimo: lo definisce infatti uno dei quartieri più belli di Milano, con moltissimo verde. Da quando è arrivata la Fondazione Prada il quartiere è poi migliorato moltissimo e si è molto riqualificato. Si rammarica però che il Vigentino abbia perso quella dimensione da piccolo paese che lo aveva caratterizzato in passato: ora si sente infatti maggiormente la presenza della metropoli. Per lui una comunità dovrebbe essere invece più intima, come nei piccoli paesi per l’appunto. Nel tempo libero, otre a frequentare il mercato di venerdì, gli piace vivere gli amici.
Quando gli chiediamo se sia mai stato a 5Square dove lavoriamo, risponde che si era informato per acquistare casa. Iniziative come queste, che offrono case a prezzi calmierati, sono molto importanti soprattutto per i giovani, che han poche possibilità e dovrebbero essere maggiormente aiutati.
Per il futuro si auspica che apra un supermercato che manca nel quartiere, per cui loro sono costretti a spostarsi all’inizio di via Ripamonti.
Stefano ha iniziato la sua attività da giornalista come volontario per il giornale “Milano Sud”, verso la fine degli anni novanta. Quando poi il direttore ha lasciato il giornale una decina di anni fa, lui ne ha preso la direzione, avviando una collaborazione con un altro giornale del territorio, “La Conca”. I due giornali si sono poi uniti dando vita a “Il Sud Milano”, che nasce lo scorso aprile edito dalla cooperativa di giornalisti “Free media”. Il giornale ha una edizione online ed una cartacea, stampata mensilmente in tredicimila copie e distribuita nell’area sud di Milano, coprendo un vasto territorio che va da Lorenteggio a Porta Romana.
Oltre ad essere animato dalla passione per il suo lavoro (come a noi a Stefano piace infatti raccontare storie), da giornalista è anche consapevole del ruolo importante che i giornali locali come il suo svolgono nelle zone periferiche della città, restituendo loro importanza e contribuendo così allo sviluppo di un’identità e di una appropriazione di quei luoghi da parte degli abitanti. “Il Sud Milano” dà infatti voce a quelle storie di cui difficilmente le grandi testate si occupano, oltre a dar spazio alle iniziative locali ed all’attività delle tante associazioni di quartiere. Quest’anno ad esempio, in occasione della ricorrenza dei cento anni dall’annessione dei borghi milanesi e dei centocinquanta anni dall’annessione dei Corpi Santi, il giornale sta raccontando cosa resta degli antichi borghi milanesi, affinché, attraverso la consapevolezza di un’identità, si sviluppi una maggiore attenzione e cura del territorio.
Stefano è arrivato a Gratosoglio una quindicina di anni fa e come prima impressione è rimasto colpito dalle tante case popolari, alcune delle quali un po’ trasandate. Quando poi ha conosciuto meglio il quartiere, è rimasto colpito anche dalla ricchezza della proposta associativa e dalla voglia di partecipare e di prendersi cura del territorio di una parte di abitanti, seppur minoritaria. Vi sono inoltre ampli spazi verdi, trovandosi al limitare del Parco Agricolo Sud, diversi teatri e associazione culturali presenti in zona, anche se persistono dei problemi oggettivi di cui le associazioni non possono farsi carico e che richiederebbero un maggior coinvolgimento delle istituzioni, come ad esempio la gestione delle case popolari. Come esempio della vivacità del territorio, Stefano menziona la Festa delle Associazioni che si è tenuta nel mese corrente di Ottobre al Parco di Chiesa Rossa e ha rappresentato un bel momento di partecipazione ed aggregazione. Queste iniziative e l’entusiasmo che generano sono una prova di come la qualità della vita sia anche legata alla misura in cui i cittadini vivono e si appropriano del territorio.
Per il futuro del quartiere Stefano auspica che vengano realizzati interventi di cui si parla da anni, come la riapertura del Teatro Ringhiera e del Centro Sportivo Carraro, oltre alla riqualificazione delle fabbriche dismesse e delle cascine abbandonate. Rispetto al giornale invece, il desiderio è che aumenti ancora di più la penetrazione nel territorio e la capacità di raccontarlo, coinvolgendo sempre più persone nella redazione. A questo proposito sta facendo ben sperare un laboratorio di giornalismo recentemente avviato grazie al sostegno di Fondazione Cariplo che sta coinvolgendo molte persone interessate ad impegnarsi nel racconto del territorio.
Luca Maiocchi è il responsabile dell’Associazione Alveare dal 2012. Alveare è una realtà no-profit nata dal consiglio pastorale della Parrocchia in risposta alla crisi economica di quegli anni che ha colpito soprattutto le famiglie mono reddito. I bisogni principali con cui si interfaccia l’associazione sono quindi di carattere economico ma senza ridursi ad un’azione assistenziale: l’idea diventa infatti di offrire nuove occasioni di espressione e di sostentamento per gli abitanti più in difficoltà attraverso un progetto di baratto sociale. Un discreto compenso economico in cambio della cura verso il quartiere. Alveare perché l’idea è che ciascuno con il proprio contributo possa prendersi cura della comunità a cui appartiene.
Il progetto si è avviato e continua anche oggi con, ad esempio, la pulizia dei marciapiedi e delle strade del quartiere Stadera, storicamente svantaggiato e progressivamente trascurato, confessa Luca – nato e cresciuto in questa zona. Dedicarsi a queste attività di manutenzione, in un periodo di profonda crisi, è diventata per le persone un’occasione per sentirsi utili, riconosciuti e partecipi della vita comunitaria. L’ impegno civico viene inteso quindi come strumento di coesione sociale, di valorizzazione della dignità personale e della fiducia in sé stessi. Il lavoro non ha solo una finalità economica ma è un mezzo con cui riappropriarsi della propria autodeterminazione e della propria autostima.
L’arma vincente del quartiere, spiega Luca, è la tendenza a fare rete e sostenersi: se Alveare è <<l’ospedale da campo>> , altre realtà più strutturate (come SIR e L’impronta) si occupano di percorsi più articolati e integrati. La funzione di Alveare è di offrire ascolto e ospitalità, in un momento storico in cui le persone hanno bisogno di raccontarsi. Il dialogo e la cura dell’altro hanno bisogno di tempo e dedizione, racconta Luca.
Il Centro Parrocchiale è da sempre un punto di riferimento per il quartiere. Altre realtà, come il Centro Milano Donna in Via Savoia e il Consorzio SIR, sono fortemente inseriti nel contesto anche se legati soprattutto al servizio e al progetto immediato. Grazie al lavoro di rete, comunque, è possibile abbracciare tutti gli aspetti della vita della persona.
Il senso di comunità per Alveare è radicato nella sua origine religiosa pastorale; comunità è condivisione, fiducia, reciprocità, solidarietà
Per il futuro Luca si augura un radicale cambiamento di cultura trasversale nel quartiere, dove il bene comune venga prima del singolo bisogno personale. Desidera maggiore dialogo e collaborazione ma, soprattutto, che si impari a guardare alla bellezza sapendo che siamo tutti legati.
L’Istituto Comprensivo Statale Fabio Filzi si compone di tre plessi: una scuola primaria ed una scuola secondaria di primo grado nel quartiere Vigentino ed una scuola primaria nel quartiere Corvetto. Il fatto di trovarsi in due quartieri differenti non ha rappresentato un limite, ma è stata anzi occasione per i docenti di confrontarsi con realtà aventi bisogni differenti e sviluppare delle progettualità che stimolassero una maggiore unità delle due comunità scolastiche.
Un esempio è il progetto del sentiero della biodiversità, un percorso nella natura che dovrebbe unire i tre plessi dell’istituto attraverso il Parco della Vettabbia. L’idea del sentiero, come anche quella della riqualificazione del parco adiacente al plesso di Via Ravenna, è partita dai bambini e gli adulti e le istituzioni si sono poi impegnati a dar seguito ai loro desideri con la firma di un patto. Queste iniziative sono state un modo di mettere i bambini al centro, considerandoli dei cittadini attivi a tutti gli effetti.
Claudia è dirigente dell’istituto da cinque anni ed è arrivata nell’anno della pandemia. In questi anni la scuola, che aveva già avviate una serie di collaborazioni con i municipi e le associazioni, si è ulteriormente strutturata, identificando degli ambiti di progettualità aventi delle finalità precise ed intensificando le collaborazioni con le associazioni dei quartieri Corvetto e Vigentino al fine di poter offrire delle attività extrascolastiche, come corsi di sport e teatro. L’apertura della scuola al territorio, l’impegno a valorizzare il quartiere e a stimolare una cittadinanza responsabile è quindi parte integrante della mission dell’istituto.
E’ importante che la scuola rappresenti un riferimento culturale, un presidio di legalità nel quartiere, in quanto i bambini che frequentano l‘istituto devono, attraverso di loro, acquisire fiducia nelle istituzioni così come la speranza nella possibilità di miglioramento del loro contesto sociale di appartenenza. A tal proposito le periferie delle grandi città sono realtà complesse, trattandosi di quartieri in continua trasformazione, con differenze culturali e sociali tra le famiglie e bisogni formativi differenti, a cui la scuola deve saper rispondere, ad esempio, garantendo un sostegno a quei bambini che necessitano di un supporto particolare.
L’auspicio è che la scuola continui a migliorare la propria offerta formativa, grazie alla formazione continua di docenti sempre più preparati e capaci di rispondere alle trasformazioni della società, e che sia davvero inclusiva, realizzando l’articolo 3 della costituzione che conferisce alle istituzioni il compito di rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Danilo è professore associato di economia agraria all’Università degli Studi di Milano. Nato e vissuto in Vigentino, ha avuto la fortuna di crescere in un quartiere circondato dalla campagna. Ricorda infatti di quando andava con sua nonna a vedere le cascine e le tante stalle che ancora c’erano in quartiere e pensa che sia nata così la passione che l’ha poi portato a specializzarsi in economia agraria. Ha avuto quindi la fortuna di conoscere l’agricoltura a Milano, che, diversamente da quanto si pensi, è una città agricola con migliaia di ettari coltivati e moltissime aziende funzionanti ancora oggi e convertite all’agricoltura multifunzionale.
Il padre faceva il negoziante in Via Ripamonti, che allora era un’arteria commerciale vivissima e animata da sagre molto partecipate come quella del tartufo. Spesso passavano in negozio degli anziani a lamentarsi che, al momento del rinnovo della carta d’identità in comune, avevano dovuto indicare di essere nati a Milano, mentre loro erano orgogliosamente nati a Vigentino, che all’epoca faceva comune a sé. Da questa sua capacità di osservazione è nata la seconda passione di Danilo: quella dello studio della storia e del territorio. Per anni infatti Danilo ha cercato di ricostruire la storia del suo quartiere, il Vigentino, portando avanti campagne di divulgazione nelle scuole, nelle parrocchie e nei CAM, con immagini e documenti del quartiere. Quando poi recentemente è stata costituita l’associazione degli Antichi Borghi Milanesi, lui è entrato in qualità di “storico dilettante”, curando alcune iniziative per la commemorazione del centenario di quei comuni autonomi che, come il Vigentino, nel 1923 furono inglobati nel comune di Milano diventando “periferie”. Questa commemorazione vuole essere però innanzitutto un rilancio per il futuro: è dal recupero della nostra identità e dalla conoscenza della storia di un luogo che ne nasce quell’affezione che ci porterà a voler bene a quel posto e valorizzarlo in quanto patrimonio comune.
Chiediamo poi a Danilo di raccontarci qualche elemento saliente della storia del Vigentino, partendo dal suo nome. L’ipotesi più accreditata – ci spiega- è che il nome derivi da “vigenti”, ovvero da un miliare che stesse ad indicare che mancavano venti miglia romane a Pavia, che in epoca medievale era un centro ben più importante di Milano. Il fatto storico più rilevante è poi il passaggio di Federico Barbarossa la notte del tre dicembre del millecentosessantatre, che qui fu implorato dai profughi Milanesi di Porta Ticinese accolti in Vigentino in seguito alla distruzione di Milano da parte del Barbarossa, di poter tornare Milano, cosa che fu loro concessa in cambio del pagamento di una coppa piena d’oro. Rimane poi la leggenda del “Monastero fantasma” di Castellazzo, sito nell’attuale Via Campazzino e luogo di primaria cultura durante l’umanesimo, che scomparve completamente dopo essere stato depredato in seguito alla soppressione dell’ordine dei gerolamini. Dopo essere stato per secoli una zona rurale abitata da soli duemila abitanti, verso la fine dell’Ottocento nel Vigentino si sviluppa la grande industria, fino ad arrivare poi recentemente alla dismissione delle fabbriche negli anni ottanta.
Oggi il quartiere sta vivendo una fase di nuova rivalorizzazione con l’arrivo di grandi marche della moda e con il progetto del villaggio olimpico. Danilo guarda con un po’ di nostalgia alla memoria industriale del quartiere che sta scomparendo, come anche al Vigentino rurale delle stalle di quando era bambino. Del quartiere di oggi apprezza comunque il verde e la vicinanza con la campagna, facilmente raggiungibile in bicicletta. Apprezza anche la dimensione di paese della zona Fatima, con i giardini, le scuole e i negozi di quartiere che si sviluppano attorno alla parrocchia. Gli piace anche il fatto che ci si saluti ancora per strada, cosa di gran valore perché dà il senso di una comunità non ancora caduta nell’anonimato. Vorrebbe tuttavia che il territorio fosse maggiormente valorizzato, con la ristrutturazione delle cascine, lo sviluppo di piste ciclabili e la riqualificazione del Parco della Vettabbia. Se poi da un lato auspica un rafforzamento dei mezzi che colleghino il quartiere al centro, come la metropolitana, dall’altro teme che questo possa accelerare l’urbanizzazione già in corso del quartiere.
Agata è la presidente dell’Associazione Genitori Wolf Ferrari e Toscanini, nata un paio di anni fa con l’obiettivo di promuovere il diritto allo studio e rafforzare il senso comunitario nel quartiere grazie al coinvolgimento delle famiglie. L’associazione nasce dal Comitato Genitori della scuola Fabio Filzi, già molto attivo in quartiere con la compagnia dei Geniattori, una compagnia teatrale di genitori volontari, e l’organizzazione delle biciclettate di fine anno che coinvolgevano fino a mille persone.
L’associazione genitori è stata anche molto attiva nel periodo del Covid, con la creazione della Butti Card, una carta pensata per le famiglie della scuola a cui hanno aderito oltre ottanta esercenti del quartiere, offrendo sconti fino al 10%. Nel periodo pandemico, in cui gli acquisti online hanno avuto un’impennata e di grande difficoltà economica per le famiglie, la carta ha avuto il merito di rimettere in contatto gli abitanti con gli esercenti e promuovere il commercio di prossimità.
La principale delle attività dell’associazione rimane però quella di finanziare le quote di solidarietà per garantire il diritto allo studio e al divertimento per i bambini delle famiglie più fragili, ad esempio finanziando una parte delle gite scolastiche che possono essere anche molto dispendiose. Altre attività sono legate alla promozione degli orti scolastici, iniziativa del comune di Milano a cui la scuola ha aderito grazie al sostegno dei nonni di quartiere e a cui loro danno un contributo. Recentemente l’associazione ha introdotto un progetto nella scuola elementare di via Wolf Ferrari che prevede l’introduzione di un corso di lingua inglese con un/a madrelingua, finanziato per l’80% con i fondi raccolti dall’associazione.
Negli anni l’associazione ha instaurato un ottimo rapporto con la classe docente e con la comunità: i due plessi in Vigentino possono infatti contare sulla partecipazione delle mille famiglie dei ragazzi e questo rappresenta da sempre la loro forza. La massima espressione di questa partecipazione è rappresentata dalla festa di fine anno, in cui i genitori si mettono in gioco con l’organizzazione di attività e laboratori gratuiti: dai “papà para rigori” che si mettono a disposizione a parare i rigori dei bambini, al laboratorio di origami tenuto da un papà giapponese designer, al laboratorio di scienza tenuto da una mamma ricercatrice. La lotteria ha inoltre permesso di raccogliere oltre diecimila euro, distribuiti in cento premi da spendere nei commerci di quartiere come i centri estetici, le palestre, etc.
Rispetto alla comunità del Vigentino, è un quartiere che ha ancora delle logiche da paese, con una sua limitazione geografica, costituita dal Parco a Sud e dal ponte delle ferrovia a Nord, ed una sua identità che si è sviluppata molto attorno alla Chiesa della Madonna di Fatima. Molti dei genitori attuali hanno a loro volta frequentato le scuole qui: non sono infatti poche le persone che, nate e cresciute in quartiere, mettono poi su famiglia qui. Molti sono anche gli ex alunni che mantengono un legame con la scuola mettendosi a disposizione per attività di volontariato. Una qualità del quartiere sono poi i moltissimi spazi verdi ed il forte senso civico dei genitori, attenti alla cura degli spazi comuni, così come la presenza di esercenti storici che danno un’identità al quartiere. Per il futuro l’auspicio è una maggiore attenzione alla viabilità ed un rafforzamento del trasporto pubblico: visti i numerosi progetti per il quartiere e le poche vie di collegamento alla circonvallazione, il rischio è che le arterie di scorrimento diventino molto trafficate, come la via Ripamonti. Ci vorrebbe quindi una maggiore attenzione con zone a velocità 30 nei pressi delle scuole, trattandosi di un quartiere con molti bambini e famiglie.
Bianca Reina è la direttrice dei Gruppo di Volontariato Vincenziano, realtà storica del territorio che dispone attualmente di 10 centri di ascolto e di 5 centri di aggregazione giovanile. Nella sede di Via Neera sono ospitati diversi servizi:
Tra sei mesi inizierà il progetto New Varietà nel quartiere Stadera, su ispirazione di un progetto attivato a Baggio. Dal taglio interculturale e intergenerazionale con focus sulle famiglie, il progetto si rivolge agli anziani ma anche a tutte le persone in situazioni di solitudine, emarginazione e fragilità, e si avvale della collaborazione anche di altre realtà del territorio (es. Piccolo Principe e lo Scrigno).
Il Formagiovani, nato nel 2013, è un servizio del Centro Educativo coordinato da Marco Savio da ormai tre anni. Marco racconta come il servizio all’inizio si occupasse principalmente dei NEET e con il tempo si sia poi sviluppato di fatto come centro di aggregazione che accoglie ragazzi dai 10 ai 20 anni. Tra le attività proposte vi sono proposte di aiuto-compiti (all’interno del progetto Batti5 in rete con altre associazioni del territorio) ma anche iniziative di azioni individuali (come laboratori di lingua e laboratori di narrazione). Educatori, tirocinanti e volontari sono i professionisti che accompagnano l’evoluzione del lavoro.
All’interno del progetto Formagiovani, i compiti sono uno strumento simbolico, il contenitore di una domanda nascosta che può essere esplorata e accolta. Il centro è quindi un luogo aperto al territorio che offre opportunità di studio e di relazioni, all’interno di una cornice più flessibile di quella scolastica.
Oltre al sostegno scolastico il Centro Educativo di via Neera si occupa anche di promuovere gite e progetti sportivi.
Il quartiere Stadera si caratterizza per una grande eterogeneità culturale, una propensione al lavoro di rete, una divisione socio-economica tra fragilità e ricchezza.
Bianca e Marco concordano nel descrivere il senso di comunità: un girotondo tutti insieme, mettersi in cerchio e coinvolgere, accogliere tutte le persone che hanno bisogno di incontrarsi.
Per il futuro Bianca si augura che il Progetto The New Varietà possa trovare successo e accoglienza tra gli abitanti del quartiere; Marco desidera invece che il Centro diventi presto accreditato come luogo di aggregazione per ampliare il ventaglio di servizi e prospettive all’interno del territorio.
STORIA di FILLY DI MAURO
Filly è una assistente sociale e una educatrice della Cooperativa Marianella Garcia.
E’ anche una mamma e una nonna molto dedita alla famiglia, nonché mia collega da decenni.
Ama moltissimo il suo lavoro, nel corso degli anni, prima come dipendente e poi come socia della Cooperativa ha svolto il suo ruolo insieme ad una equipe di professionisti, nei diversi servizi e progetti del privato sociale rivolti ai minori e alle loro famiglie.
Filly, da sette anni svolge il ruolo di referente nel nostro centro aggregativo, Punto A Capo, ubicato a Trappeto, quartiere periferico e degradato di Catania, con un basso tasso di scolarizzazione e un alto tasso delinquenziale.
Il Centro di Aggregazione, offre ampi spazi esterni dove i ragazzi si ritrovano per socializzare e svolgere i laboratori di calcio e pallavolo e diverse sale interne, adibite ad aula studio per la prima parte del pomeriggio e poi in base alla programmazione settimanale, ai vari laboratori artistico- ricreativo, come la danza e il teatro, con l’ausilio dei maestri d’arte.
Ed è proprio nel Centro di Aggregazione, Punto a Capo, che le hanno proposto di accogliere come animatore del centro, Ahmed Salama, ospite della Comunità per minori stranieri Marianella Garcia dal 2015 e beneficiario del progetto Tempo al Tempo, per svolgere il suo tirocinio lavorativo di tre mesi, avendo lui stesso espresso durante la presa in carico e i vari colloqui con il facilitatore e in precedenza con i responsabili della comunità ,il desiderio di volersi approcciare nel modo del lavoro in strutture del privato sociale che si occupano di minori.
Nonostante gli studi presso la scuola Archè e il titolo di chef, gli anni trascorsi nei campi di Rugby, come giocatore e poi arbitro e il suo essere divenuto nel tempo una figura importante all’interno del laboratorio teatrale, affiancando quotidianamente il suo fondatore nella gestione delle prove dei più piccoli, ha subito il fascino e acquisito la consapevolezza che occuparsi dei minori e ciò che vorrà fare da grande
Dopo l’equipe integrata con i colleghi e il facilitatore del progetto, i colloqui con il beneficiario e il disbrigo farraginoso di tutta la parte burocratica, Ahmed, ha potuto finalmente iniziare a novembre 2022 il suo tirocinio-lavorativo, come Animatore del Centro di Aggregazione “Punto a Capo, che si è poi concluso nel gennaio2023.
Filly e gli operatori del Centro Punto a Capo, durante l’intervista hanno tessuto solo elogi per Ahmed, che fin da subito si è saputo porgere con gentilezza e rispetto sia nei confronti dei bambini che dei “colleghi” che lo hanno affiancato durante i tre mesi nelle varie attività che sono state svolte.
Ha saputo osservare, ascoltare e agire, pian pianino il suo ruolo è stato riconosciuto anche dai più piccoli, ha saputo dettare e mettere in pratica le regole del centro, ha organizzato e affiancato gli educatori durante i tornei sportivi e il laboratorio teatrale con molta naturalezza e professionalità.
Filly, conclude la sua intervista raccontando di quanto sia stato difficile alla fine del tirocinio il saluto tra loro, i bambini e le loro famiglie.
Anche se poi aggiunge Filly, non è stato un saluto definitivo, Ahmed per questa sua voglia di imparare e far suo questo delicatissimo lavoro, ha preso parte come volontario alle varie attività estive organizzate nei centri di aggregazione della Marianella Garcia.
Ed è grazie alla bellissima esperienza lavorativa svolta da Ahmed durante il suo tirocinio e non solo, che il nostro operare durante questi mesi ha come obiettivo il suo inserimento definitivo nella nostra realtà lavorativa, che dopo tanti anni dal suo arrivo a Catania. egli sente come CASA.
STORIA DI SERENA GIANNONE - AUTOSCUOLA UNIVERSALE
Serena è una giovane imprenditrice catanese, nasce ad Enna, ma da 40 anni vive e lavora a Catania, città che ama e nella quale oltre al lavoro, si gode la famiglia, gli amici e il suo cane, l'amore più grande.
Ha vissuto e lavorato in vari quartieri della cosiddetta “Catania Bene”, ma venti anni fa insieme ai suoi fratelli ha deciso di avviare un’ impresa familiare nel tanto bistrattato e difficile quartiere di San Giorgio.
E’ nata cosi la loro prima Scuola Guida.
I primi tempi sono stati difficilissimi, nonostante la preparazione in questo campo di entrambe le sorelle, nessuno dei clienti in quanto donne, rivolgeva loro qualunque tipo di attenzione tecnica, l'unica figura riconosciuta era Marco.
Con gli anni questo non riconoscimento, ha pesato sempre più su Serena e Alessia, cosi nel 2018 hanno sciolto la società con il fratello è avviato la loro Impresa tutta femminile, creando l’Autoscuola Universale delle sorelle Giannone.
I tempi erano finalmente più maturi, la loro scuola oggi è un importante luogo di riferimento nel settore.
I principi e i valori sui quali si basa il loro operato sono: professionalità, capacità di ascolto, di inclusione, gentilezza e attenzione verso il mondo femminile in un quartiere fino a qualche anno fa prevalentemente maschile e patriarcale.
Da qualche anno, hanno iniziato una collaborazione con la Comunità per minori stranieri, Marianella Garcia, accogliendo i ragazzi che volevano conseguire la patente, durante la loro permanenza in struttura.
Percorsi sicuramente lunghi e tortuosi, alla quale le due insegnanti hanno dedicato molto del loro tempo, ma spesso poi interrotti a causa delle difficoltà dei quiz e della lingua italiana.
Da fine aprile tra i loro iscritti c’è Salama Ahmed, ospite della comunità e beneficiario del progetto Tempo Tempo.
Per Serena, Ahmed è un ragazzo splendido, educato, volenteroso, attento anche agli altri e determinato nel raggiungimento dei suoi obiettivi.
Sicuramente anche per lui il percorso intrapreso non è semplice e nonostante la costanza nella frequenza delle lezioni e il suo esercitarsi con l’insegnante, ancora oggi non è riuscito a superare la paura di affrontare i fatidici Quiz.
Ma Serena è fiduciosa, sostiene che il buon lavoro svolto darà al più presto i suoi risultati premiando cosi i sacrifici di entrambi.
Oltre ai successi dei suoi allievi, spera che le nuove generazioni possano sempre più credere e lottare per raggiungere i loro obiettivi, i loro sogni e che la società che li vede protagonisti possa dare senza distinzione di ceto sociale e sesso le stesse opportunità di vita ad ognuno di loro.
V
Giulia è la presidente dell’Associazione Atelier Teatro; Ruggero si occupa della coordinazione artistica della compagnia. Atelier nasce nel 2008 e attualmente porta avanti due attività prevalenti:
1) l’atelier dei ragazzi: un progetto di spettacoli interattivi nelle scuole (primarie e superiori)
2) Il Festival le mille e una piazza: nato nel 2020 durante periodo Covid, si tratta di un festival di teatro popolare gratuito aperto a tutti che si svolge nei luoghi di aggregazione spontanea e, per questo motivo, si configura come profondamente radicato nell’identità e nella quotidianità dei territori.
Gli obiettivi fondanti del lavoro di Atelier teatro hanno un profilo chiaro, potente: portare in giro per la città un’offerta culturale facilmente accessibile e incentivare, rafforzare, i momenti di comunità. La relazione appassionata con il contesto territoriale emerge in maniera evidente: Atelier non dispone di una sede fissa e questo ha consentito alla compagnia di esplorare, attraversare i municipi e i quartieri che li compongono, entrando nei luoghi significativi e incontrando le persone all’aperto, senza confini. È forse per questa posizione privilegiata e speciale che Giulia e Ruggero, quando parlano di comunità e di territorio lo fanno con uno sguardo ampio, capillare, dettagliato. Con l’esperienza accumulata negli anni hanno imparato a riconoscere gli oratori e i mercati comunali come incubatori di relazioni comunitarie, ma al contempo si sono confrontati con realtà molto diverse tra di loro anche se geograficamente limitrofe. Nel Municipio 5 si respira in generale una forte propensione al lavoro di rete. Ma al suo interno ci sono sfumature spesso anche molto differenti: dai contesti privilegiati, sicuri e puliti in prossimità di parco Guareschi, alla trasformazione di luoghi in passato inaccessibili e trascurati come i Giardini di Via Boeri, dalla sofferenza attuale di quartieri come Gratosoglio (che richiederebbe maggiori risorse e che, dal punto di vista di Ruggero, sta andando incontro ad un graduale peggioramento delle condizioni generali) alla tranquillità di Chiesa Rossa e alle impressioni globalmente positive suscitate dal Vigentino.
Un elemento di fragilità nello sviluppo e nella crescita dei quartieri è, sempre secondo Ruggero, nell’imposizione artificiale di trasformazioni urbanistiche radicali che non considerano e non si integrano con il naturale evolversi dei quartieri ma che al contrario frammentano i territori. Ma anche il generale scarso investimento rivolto alle comunità delle periferie è un aspetto critico che alimenta la marginalizzazione dei più poveri e l’estraneità tra le persone. In questo senso il teatro può diventare un’occasione di incontro e familiarizzazione in cui riscoprirsi e conoscersi.
Per Giulia e Ruggero il senso di comunità si esprime in modo di guardare agli altri e al mondo: comunità significa guardare al bene comune e non agli interessi strettamente individuali. Significa coltivare l’interesse verso qualcosa che sia di tutti, predisporsi all’incontro e allo scambio (le comunità del condominio ad esempio, racconta Giulia, sono piccole esperienze di condivisione dal respiro globale). Comunità è possibile solo trattando tutti i cittadini con la stessa dignità e la stessa cura.
Problemi: scarso investimento delle comunità delle periferie, marginalizzando settori più poveri. Investimento sulla bellezza, sulla pulizia degli spazi,
Per il futuro si augurano che <<sia innanzitutto un pensiero: il futuro non di domani ma quello dopo di noi>>, che diventi un progetto a lungo termine attraverso la capacità di interrogarsi e porsi domande. Per l’Associazione desiderano continuare il progetto del teatro itinerante, così come fare cultura in un movimento di crescita e cultura integrata e generalizzata.
Il mondo, come il teatro, è fatto di tante voci e tutte devono avere il diritto e l’opportunità di esprimersi.
ENJOY è un'associazione presente sul territorio di Borgo Vittoria dal 2012, un centro di aggregazione, punto di riferimento per la comunità locale che offre molteplici attività.
Alessio, Danny, Emanuele, Simone e Giulio, un’allegra compagnia di giovani uomini, propongono teatro, soprattutto comico, con spettacoli che li portano nei teatri cittadini e non solo. Offrono corsi di formazione teatrale su vari livelli, aiuto compiti, corsi di italiano; svolgono molte attività nelle scuole del territorio e provincia; corsi teatro, musica, arte, con esperienze continuative con le medesime classi. Il loro centro si presta inoltre ad ospitare feste per ogni genere di celebrazione.
Artisti poliedrici, si propongono come animatori per feste private e pubbliche e durante la stagione estiva si occupano centri per i ragazzi che rimangono in città.
Un filone importante della loro attività è rappresentato dai progetti europei. Spesso la compagnia teatrale viene invitata presso manifestazioni festival internazionali. La loro conoscenza della progettazione europea li porta inoltre a partecipare a bandi relativi alla formazione e ad altri campi relativi alle attività artistiche.
Rachel è nigeriana ed è in Italia dal 2008, all'inizio ha vissuto per 3 anni a Bari e successivamente si è trasferita a Torino. In Nigeria ha imparato da autodidatta a suonare la chitarra e a cantare insieme al gruppo di suoi amici, con cui improvvisava esibizioni canore e musicali, e questa passione l'ha seguita fino a qui anche se attualmente è stata messa un po' da parte a causa di un incidente al braccio destro. Quando è arrivata a Torino è stata accolta dalle ragazze di un Gruppo che si occupa di accoglienza di donne straniere in difficoltà e con particolari fragilità e, grazie a questo incontro, ha conseguito il diploma di terza media e ha fatto due corsi di computer che le hanno permesso di imparare a navigare e muoversi su questi dispositivi. Rachel ha esperienza come lavapiatti e come assistente in cucina in un ristorante e il suo sogno più grande è quello di aprire un negozio di cibo africano.
Hawo è originaria della Somalia. Arriva in Italia nel 2013 approdando dapprima in Sicilia e poi trasferendosi a Torino nel 2014. La sua famiglia è molto bella e numerosa: ha 4 figli, 2 femmine e 2 maschi che frequentano l'asilo e le scuole elementari. La più grande passione di Hawo è la creazione di vestiti partendo da sue stoffe ed è proprio per questo che è interessata a un corso di sartoria che le permetta di acquisire maggiori capacità e conoscenza nell'ambito. Le esperienze lavorative di Hawo sono principalmente nel campo delle pulizie: ha lavorato per un paio di mesi in un albergo ma anche in case private e uffici ed è in questo ambito che vuole continuare a cercare lavoro. Frequenta la Portineria di Porta Palazzo da qualche anno, luogo a cui si era rivolta per poter far partecipare i suoi bimbi all'aiuto compiti settimanale.
Klisman ha 25 anni, è di origini albanesi e, arrivato in Italia, dopo aver vissuto in provincia di Padova per un breve periodo si è poi trasferito in zona Chiesa Rossa. Milano e nello specifico questo quartiere sono per lui realtà stimolanti e comode, in grado di offrire diverse opportunità a chi vi abita. << C’è una bella comunità ed è una bella zona >>, dice, ricca di servizi e senza particolari elementi da migliorare.
Klisman Studia statistica all’Università Bicocca e frequenta ormai da diversi anni l’associazione UILDM, occupandosi in particolare del tempo libero e dello sport. Pratica infatti hockey in carrozzina da 10 anni, coltivando personalmente questo interesse e cercando di condividere con i ragazzi più giovani la bellezza di questo sport, coinvolgente ed inclusivo.
Attraverso lo sport Klisman sente di aver lavorato sulla propria timidezza e alimentato la proattività verso gli altri, grazie anche alle responsabilità verso i più piccoli di cui si occupa. Anche i videogiochi e i giochi da tavolo (come monopoli e risiko) sono attività che lo interessano e lo divertono molto.
Per lui UILDM è come membrana di contatto e relazione tra realtà eterogenee presenti sul territorio.
Tra i sogni e i progetti per il futuro, Klisman vorrebbe continuare la vita associativa all’interno di UILDM per poter aiutare sempre più persone grazie all’esperienza accumulata negli anni. Crescere e diventare un punto di riferimento per le future generazioni. A loro Klisman suggerisce di non soffermarsi sulle difficoltà e sui limiti della vita ma di guardare sempre, con ottimismo, agli orizzonti di possibilità che ci circondano << darsi da fare perché tutto si può fare>>.
Il senso di comunità, osservato attraverso la lente dello sport, per Klisman trova potente espressione nella determinazione condivisa dalla collettività, nell’armonia positiva e nella solidarietà, mentre si discosta dalla competizione negativa, dall’indifferenza e dalla separazione rigida tra le persone.
Per il futuro del quartiere si aspetta un continuo sviluppo in direzioni sempre più positive.
Massimiliano è il referente pedagogico delle attività sociali di ATIR e socio dell’omonima compagnia da circa 3 anni. Max nasce come educatore e ha lavorato per molto tempo in una cooperativa sociale. Il suo percorso inizia attraverso i laboratori teatrali per giovani e adulti all’interno delle cooperative << con il teatro emergevano elementi inediti della relazione>> racconta. Il Teatro è uno strumento potente per ampliare lo sguardo introspettivo anche verso l’altro.
ATIR ha portato avanti la formazione degli educatori con gli attori della compagnia e si occupa ancora oggi di una serie di progetti rivolti al sociale, oltre e all’interno delle sue rassegne: lavoratori di teatro integrati (per persone con fragilità fisiche e psicologiche) e laboratori di gruppi misti, per anziani, adulti e realtà sociali che si avvalgono del teatro come strumento di cura. La prerogativa della compagnia è infatti la cura dell’altro e della relazione, attraverso l’incontro e la valorizzazione della diversità e della fragilità. Un punto di svolta significativo coincide con la vincita di un bando che affida ad ATIR la gestione di un teatro di ringhiera immerso tra Chiesa Rossa, Stadera e Gratosoglio, dove “la piana”, il piazzale di via Boifava 17 rappresenta un crocevia di storie, territori ed identità. << Un paesaggio lunare>> è come Max descrive il primo impatto con il piazzale trascurato di fronte alla sede, luogo che ha ospitato non solo la crescita della compagnia ma anche un movimento di rigenerazione urbana, sociale e culturale a cui in moltissimi hanno partecipato.
Per Max il quartiere è un contesto ricco di iniziative, volontari, spinte artistiche e culturali. È caratterizzato da orientamento al lavoro di rete che bene si esplica nei tavoli territoriali del Municipio 5. Il teatro si è inserito in questo tessuto, lo ha nutrito ed è diventato incubatrice di relazioni e incontri.
Nel 2017 il teatro è stato chiuso permanentemente per lavori di ristrutturazione, anche se alcuni ex uffici vengono ancora oggi adoperati per il proseguimento di alcuni laboratori. Nel lavoro della compagnia convivono sempre l’etica della relazione e dell’inclusione e l’estetica del gesto artistico. Arte non si ferma e si spende sempre per l’altro.
Per descrivere il senso di comunità Max rievoca un ricordo del passato, quando insieme ad una ragazza con disabilità – dall’energia strabordante – si prese un caffe in compagnia di una drag queen. <<Stare in ascolto, prendersi cura, senza giudizio e con responsabilità profonda>>.
Per il futuro Max spera nella riapertura della sede del teatro ma, soprattutto, in una sempre maggiore apertura verso la diversità come un elemento di ricchezza.
Roberto si definisce uno scrittore che come hobby fa l’insegnante.
La passione per la scrittura è nata alle scuole elementari dall’ascolto che ha trovato in famiglia, in quanto per essere scrittore devi avere qualcuno che ti legge in cui riporre la tua fiducia. Così, quando c’erano ospiti a casa, Robertino poteva leggere qualcosa: spesso un racconto satirico sulla famiglia, in parte inventato e in parte basato su cose reali.
Figlio di un maresciallo dei carabinieri, Roberto ha vissuto in diverse regioni d’Italia: motivo per cui, parlando bisiacco, ebolitano, napoletano e un po’ di milanese, ha un accento difficilmente identificabile … a parte quando si arrabbia, in quel caso vien fuori il dialetto napoletano. Dopo aver passato l’infanzia in Friuli e l’adolescenza in una piccola città campana, è sbarcato nella grande città di Napoli a quindici anni, dove è rimasto fino alla fine degli studi universitari. Di Napoli ha apprezzato la dimensione cittadina e la vivacità culturale, per cui Napoli può vantare ancora oggi un istituto di studi filosofici tra i più importanti d’Italia. Tuttavia, attratto dalle grande case editrici del Nord, una volta conseguita la laurea in Filosofia e Lettere Moderne, Roberto si è trasferito qualche anno sul Lago di Garda e infine a Milano.
Da quando si è trasferito a Milano, oltre ad occuparsi di sé e dei suoi romanzi e racconti, nel novantaquattro Roberto ha fondato un Salotto letterario: un cenacolo di intellettuali, poeti, narratori, filosofi e psicologi che si riuniscono due volte al mese per la presentazione di un libro, cui segue un convivio con dibattito e cena. Il Salotto si tiene nell’intimità della casa, dove Roberto ha ospitato personaggi quali Giuseppe Pontiggia, Massimo Recalcati, Giampiero Neri. L’idea di costituire un salotto è nata dalla consapevolezza che per uno scrittore non è facile farsi conoscere : devi infatti trovare uno sponsor che ti pubblicizzi, oltre ad un editore che ti pubblichi il libro. C’è quindi un sottobosco di scrittori in erba che desiderano essere letti e ascoltati, cosa sempre più difficile in una contemporaneità in crisi di ascolto, dove tutti parlano e scrivono ma pochi ascoltano quello che hanno da dire gli altri. Vi sono altri salotti letterari a Milano, come il Salotto Augusto Bianchi, ma a Milano c’è più sete di cultura che acqua da bere, per cui il Salotto Caracci negli anni si è consolidato fino a diventare una realtà conosciuta a Milano. Il Salotto ha continuato a riunirsi anche durante la pandemia con degli incontri online: se da un lato questo ha permesso a persone distanti geograficamente di partecipare – per la prima volta il Salotto ha avuto una persona collegata dal Texas!- un convivio in cui si mangia e chiacchiera davanti ad uno schermo perde la sua ragion d’essere, motivo per cui si è tornati a riunirsi in presenza appena possibile.
Rispetto al suo hobby di insegnante, Roberto ci racconta di come la scuola sia cambiata in questi anni, di come si sia burocratizzata, motivo per cui gli insegnanti di oggi sono meno sereni di quelli di una volta. Roberto ci racconta anche di un progressivo disinteresse dei ragazzi per la lettura, motivo per cui nei primi anni di insegnamento consigliava le letture, mentre oggi dà letture obbligatorie.
Rispetto al Vigentino Roberto ricorda che quando si è trasferito qui anni fa lo ha trovato un quartiere meno caotico di molti altri a Milano. Lo definisce quindi un quartiere tranquillo in cui si è sempre trovato bene, anche se a viverlo manca qualcosa: forse dei luoghi culturali e delle attività nelle zone più decentrate rispetto a Porta Romana, per cui ben vengano tutte le iniziative che facciano da carburante culturale e coagulino le persone. Rispetto alla comunità, Roberto pensa di aver dato il suo contributo con il Salotto letterario e desidererebbe poter accogliere più persone se trovasse uno spazio grande, aperto e accessibile … come questo del Living a 5Square! Per chiudere, Roberto ci regala la sua immagine di comunità: un convivio con cultura e divertimento, una festa con musica e ballo, dove si balla la mazurca tutti insieme, grandi, giovani e piccoli.
Incontriamo Gianfranco dietro al bancone del bar dell’oratorio di Santa Maria Liberatrice. Gianfranco fa il volontario in parrocchia dal 2017 ed una volta a settimana viene qui al bar a servire bibite, bevande e snack alle tante famiglie che frequentano i corsi sportivi e ai tanti anziani che qui in oratorio si ritrovano a giocare a carte.
Gianfranco è nato e cresciuto nel Vigentino, come anche sua mamma che è nata nel Comune del Vigentino, in quanto a inizio novecento il Vigentino faceva ancora comune a sé. Già suo nonno abitava in Via Ripamonti, dove teneva anche un orticello. I suoi primi ricordi del quartiere sono quindi i campi (prima c’erano molte meno case), i fossi d’acqua dove ci si faceva il bagno, perché l’acqua era pulita, e il cinema all’aperto. Il tram 24 c’era già, anche se faceva capolinea in via Noto, e in Via dell’Assunta c’era una fabbrica di vetro con attorno delle casette abitate dai dipendenti. Negli anni sessanta la fabbrica ha chiuso, le case sono state demolite e sono stati costruiti i palazzi. Con i suoi amici si ritrovavano nella piazzetta vicina alla Forza e Coraggio, dove prima c’erano tanti negozietti: il ciabattino, il salumiere, l’ortolano … e poi c’era una latteria che era il ritrovo di loro ragazzi.
Del quartiere di oggi Gianfranco apprezza soprattutto il verde: dove abita suo figlio ad esempio, hanno fatto un bel parco giochi per i bambini, per cui quando tiene lui i nipoti li porta sempre ai giardinetti a giocare. La mattina invece va al bar a bere un caffè e fare due chiacchiere con qualche amico che incontra. Altrimenti sta a casa oppure esce con sua moglie per delle commissioni. Sa che c’è in quartiere un posto per anziani che però non ha mai frequentato, mentre in parrocchia ci viene volentieri: per uscire e non stare sempre a casa sul divano o davanti al pc. Oltre a fare volontariato al bar dell’oratorio, Gianfranco dà anche una mano a preparare i pacchi per le persone che hanno bisogno.
Per Gianfranco la comunità è un posto dove regnano armonia e rispetto reciproco, un posto dove si ha cura del bene comune e si rispettano delle regole di buona convivenza. Il suo auspicio per il quartiere è che continui ad attirare i giovani e che la parrocchia continui ad essere un centro di aggregazione perché non prendano cattive strade. Vorrebbe vedere anche un maggior presidio da parte dei vigili di quartiere perché c’è esigenza di una maggiore sicurezza in seguito ad alcuni casi di scippo.
Carmelo è guida escursionistica con una passione per la fotografia e il videomaking. Di Catania, si è trasferito a Milano nel duemiladodici, dove si occupa di esplorazione metropolitana. Gianluca è architetto e guida montana, ha viaggiato il mondo a piedi e da qualche anno collabora con Carmelo, avendo creato uno studio che si occupa di esplorazioni di metropoli in sinergia con altre realtà europee. Georama è nata ufficialmente un anno fa, anche se il processo che ha portato alla sua costituzione è partito quarant’anni fa. La pandemia ha rappresentato una svolta, in quanto ha generato l’occasione per lasciare il precedente lavoro e dare concretezza ai propri progetti personali.
Georama è un laboratorio di geografia e biografia che si interroga sulla metropoli, da intendersi come un Ambiente al cui interno si intrecciano natura e relazioni, raccogliendo oggetti e storie che costituiscono la narrazione di un luogo. Quando viaggiamo infatti, andando a curiosare in altri luoghi, creiamo delle relazioni per cui lasciamo un po’ di noi e ci portiamo via un po’ di quanto abbiamo raccolto, sotto forma di oggetti souvenir oppure storie e biografie.
Georama non ha ambiti territoriali, in quanto vi sono metropoli in tutto il mondo, anche se si rivolge principalmente al limitrofo: anche Milano permette esperienze esotiche! Bisogna infatti interrogarsi sul significato di esplorare al giorno d’oggi: c’è chi esplora posti lontani, dove per arrivare deve prendere aerei, bus, treni. “E’ un po’ come prendere un libro e cominciare dal ventitreesimo capitolo. Cosa succederebbe se invece cominciassi dal primo capitolo: apro la porta di casa e inizio il mio viaggio”. E’ stato quindi interessante percorrere a piedi la strada dalla città all’aeroporto, luoghi che generalmente attraversiamo ignorandoli e che sono invece ricchi di comunità vegetali e animali, oppure andare a piedi da Milano a Genova, passando per il passo dello Spluga. E’ stata una rivelazione esplosiva camminare fino a Genova in undici tappe e poi tornare in treno in meno di mezza giornata: sperimentare con il proprio corpo che la velocità cambia lo spazio è stata una rivelazione. Interrogarsi sulle relazioni che tengono insieme una metropoli significa anche interrogarsi su da dove venga l’elettricità che alimenta il nostro frigo: oggi in pochi sanno dove sono le raffinerie che alimentano il Nord, eppure è responsabilità di noi che abitiamo in questa città interrogarci sulle relazioni che garantiscono l’apporto energetico di cui abbiamo bisogno nel quotidiano.
Altra necessità fondamentale è rallentare e per chi abita in metropoli come Milano rallentare è contro natura. Eppure proprio in queste città generarsi del tempo significa acquisire benessere : oggi si parla infatti della città dei quindici minuti, immaginando che si debba tornare ad un equilibrio tra le diverse mobilità, a piedi o con i mezzi, che ci permetta di abitare il limitrofo e spostarci in altri luoghi quando lo desideriamo. Quest’anno hanno lavorato molto con i bambini, in quanto è grazie a loro se avverrà la mutazione della metropoli: il futuro è ricchissimo di possibilità se riusciamo a trovare un equilibrio tra mondo naturale e minerale, tra la velocità imposta dalla modernità e dai suoi schemi economici e la necessità di prenderci del tempo per perderlo, per capire. Viviamo infatti in una complessità che non capiamo, in quanto la velocità fa restare in superficie. La lentezza riacquisita va quindi di pari passo con l’esplorazione della complessità, la quale lentezza diventa altrimenti un esercizio fine a se stesso: se ci limitiamo a rallentare la domenica per trasportarci in un’altra dimensione dove poter fruire della lentezza, stiamo consumando un prodotto che è l’idea stessa di natura. Invece natura è relazioni e complessità, come la complessità delle radici che si snodano sotto terra tessendo relazioni con l’ecosistema circostante.
Rispetto a 5Square, è un luogo di ricchezza incredibile in quanto frutto di uno sviluppo edilizio che ha calpestato la realtà agricola ma al contempo di borghi storici tra i più antichi d’Italia. Se chi abita qui imparerà a conoscere questo luogo e farlo proprio, allora avrà cura di quello che rimane di un presidio mondiale dell’agricoltura urbana, acquistando ad esempio frutta e verdura a kilometro zero. Questa è anche una terra di confine, da intendersi non come una demarcazione, ma come uno spazio dove le cose si uniscono trasformandosi. Una opportunità quindi dove possono nascere nuovi paradigmi dell’abitare del futuro, in cui rimangono visibili le tracce dello sviluppo precedente. Interessante è anche l’esperienza di abitare collaborativo di 5Square in un luogo come Milano, che vive di un centro in cui tutto si concentra ma che allo stesso tempo espelle verso la marginalità. Con questi interventi sociali, le marginalità, chiamate periferie, riacquistano centralità, scombussolando le dinamiche percettive di Milano, per cui se vado a 5Square sto andando in una centralità dove ci sono dinamiche di coinvolgimento comunitario a cui mi interessa partecipare. La comunità deve quindi essere policentrica, policomunitaria, con continue relazioni non solo tra gli abitanti umani ma anche tra comunità umane, animali e vegetali, costruendo un modello non più basato sulla verticalità ma sull’orizzontalità, muovendosi come fanno le radici, con una forza pacifica, curiosa, esploratrice, che ci impone di ricavarci del tempo per esplorare con gli altri il proprio territorio e incappare in altre comunità.
Un venerdì mattina facciamo una passeggiata al Mercato dei Guarneri, mercato storico del Vigentino che si tiene settimanalmente in Via dei Guarneri. Cerchiamo di parlare con diversi commercianti, per farci raccontare come è cambiato il loro lavoro negli anni e quali cambiamenti hanno visto nel quartiere.
Davide frequenta il mercato da una decina di anni e vende prodotti di gastronomia. In questi anni il mondo è cambiato: con i rincari dei prezzi ed un sostanziale appiattimento delle pensioni e degli stipendi, le persone spendono meno e con fatica, perché i soldi non bastano più. Prima di fare acquisti quindi, le persone ci pensano bene, motivo per cui il lavoro è calato un po’ a tutti nel mercato. Prima i loro migliori acquirenti erano i pensionati, ma ora anche loro spendono meno. Davide pensa che per trovare il contatto umano si debba uscire da Milano ed andare nei piccoli paesi dove vi è ancora la propensione ad aiutarsi a vicenda, mentre nelle città si fatica a salutare il proprio vicino di casa.
Poco più avanti troviamo invece una polleria. Davide frequenta il mercato da tredici anni e la sua attività è quindi storica. Lui è di fuori Milano e frequenta il quartiere solo in occasione del mercato settimanale. Dal suo punto di vista, il quartiere è come un piccolo paese all’interno di Milano, un paese nella città quindi, dove ci si conosce, le persone si salutano … un posto dove si vede che ci sono ancora dei legami comunitari. Lui frequenta diversi mercati e questo è uno dei migliori: il livello culturale è più alto degli altri mercati e i suoi clienti parlano tutti un buon italiano, per cui quando si ha a che fare con persone del genere il lavoro diventa più facile. L’auspicio per il futuro è quello di star bene e che il lavoro vada bene.
Gianfranco ha invece un banco di ortofrutta. Anche lui è di fuori Milano e frequenta il quartiere solo in occasione del mercato il venerdì mattina. Il quartiere sembra un paesino in cui ci si conosce un po’ tutti e per questo si trova bene e gli piace lavorare in questo mercato … averne di mercati così! I mercati centrali oramai sono mal frequentati- ci dice. Prima il quartiere non era una bella zona: la sera era un po’ pericoloso e si aveva maggiormente l’impressione di trovarsi in periferia. Negli anni il Vigentino si è molto riqualificato, con case nuove e belle persone. Lui frequenta il mercato fin da bambino, per cui molti clienti anziani lo hanno visto crescere, anche se purtroppo alcuni sono venuti a mancare nel tempo. Vorrebbe quindi vedere più giovani frequentare il mercato, anche se da quando si è diffuso il lavoro ibrido, ha ampliato la sua clientela grazie agli smart workers. Gianfranco vive in campagna e gli piace la quiete, per cui per lui la qualità della vita è legata al fatto di avere i propri spazi, la propria privacy, la libertà di non dover avere le tende in casa perché fuori c’è la campagna. Non apprezza quindi la vita nei condomini, dove alle volte tra vicini manca il rispetto reciproco. Per lui la comunità ideale è quindi quella in cui ognuno sta a casa propria: dovendosi alzare alle tre della mattina, la quiete e il riposo sono per lui fondamentali. L’auspicio è che ci sia benessere un po’ per tutti, da intendersi sia come benessere materiale si, ma anche come benessere mentale.
Giorgio ha sessantatre anni ed abita nel Vigentino da quando si è sposato nel 1985. Allora, dove ora c’è l’oratorio, c’erano i campi: poi la Diocesi è riuscita ad acquisire i terreni circostanti alla Chiesa ed han potuto costruire l’oratorio come lo vediamo ora, con i campi sportivi e gli appartamenti per i sacerdoti.
Giorgio è stato dapprima educatore in parrocchia, poi l’otto marzo del 2006 ha deciso di creare un’associazione sportiva assieme ad un gruppo di mamme: non a caso la data scelta è la giornata internazionale della donna. L’associazione è infatti nata da un gruppo affiatato di ragazze che si trovavano a giocare a pallavolo e dall’occasione colta dalle mamme di proporre degli allenamenti e fornire occasioni di incontro per le ragazze e i ragazzi del quartiere. Se quindi la pallavolo femminile è rimasta il cuore dell’associazione, nel tempo l’offerta sportiva si è allargata al basket e al calcio. Dal 2006 l’associazione si è ampliata, passando da sessanta a quasi quattrocento tesserati nel periodo pre-covid.
Durante i due anni di pandemia, l’associazione è venuta incontro alle difficoltà delle famiglie, proponendo una quota di iscrizione di cinquanta euro per l’intera annualità. Le attività sono state discontinue, con continui ‘stop and go’, ma le famiglie hanno apprezzato l’impegno dei volontari, che hanno proposto allenamenti online come anche corsi di pittura e cucina pur di star vicini ai ragazzi in un momento così delicato. Finite le restrizioni, la voglia di partecipare è stata grandissima, così come il desiderio di ritrovarsi e stare assieme.
Giorgio è presidente dell’associazione dal 2009 e si occupa prevalentemente della parte burocratica, che negli anni è diventata sempre più asfissiante per le piccole associazioni. Tuttavia, quando può sostituisce volentieri gli allenatori di basket costretti ad assentarsi, in quanto il sorriso dei ragazzi è quello che da sempre lo motiva ad impegnarsi per l’associazione. L’associazione può contare oggi sulla motivazione di una cinquantina di volontari in quanto nessuno, dagli allenatori agli arbitri e al segretario, percepisce uno stipendio.
L’offerta sportiva va dall’ultimo anno d’asilo, con il mini basket e i primi calci, fino agli over sessanta. Recentemente l’associazione ha infatti allargato l’offerta ad una squadra di genitori che portavano i figli qui, anche se la maggior parte dei corsi è per i giovani delle elementari e delle medie: alle superiori si fa infatti più fatica a coinvolgere i ragazzi nelle attività sportive, anche se ci sono attualmente due squadre di pallavolo per i ragazzi sopra i diciotto anni. L’auspicio è quello di far crescere umanamente e tecnicamente i ragazzi, perché raggiungano risultati sportivi come sta avvenendo e diffondere un agonismo positivo.
Per Giorgio la parrocchia Madonna di Fatima rappresenta un po’ il cuore del quartier Vigentino. La parrocchia organizza infatti momenti di convivialità, come la festa di fine anno della scuola che si teneva qui fino a due anni fa. Se pensa ad una comunità, Giorgio pensa quindi alla convivialità e ad uno spazio che include invece di buttare fuori: come si ripropone l’associazione nel suo statuto. L’auspicio è anche quello di prepararsi ad accogliere le nuove famiglie che arriveranno nel quartiere con una propensione all’ascolto e a dare una mano in caso di bisogno, con un’attenzione ai più piccoli e alle persone più fragili.
Stefania è nata e cresciuta nel Quartiere Vigentino e da due anni è Consigliera alle Pari Opportunità per il Municipio 5. Segue quindi il Centro Milano Donna avente sede presso il Municipio in Viale Tibaldi, che definisce un presidio di empowerment femminile, uno spazio a cui le donne possono rivolgersi per una consulenza psicologica o semplicemente per essere reindirizzate ai diversi servizi territoriali. Ad esempio, i diversi Sportelli Antiviolenza attivi in Municipio e gestiti dalle associazioni locali. Per quanto invece riguarda il reinserimento nel mercato del lavoro, il Municipio 5 ha attivo anche lo Sportello Rete Lavoro Cinque, che si rivolge a quanti, donne e non, abbiano difficoltà ad orientarsi nella ricerca del lavoro, rappresentando un punto di accoglienza in grado di seguire le persone e riorientarle sul territorio con l’organizzazione di diversi colloqui individuali. In quanto Consigliera alle Pari Opportunità, Stefania segue anche progetti di inclusione rispetto alle comunità LGBTQ+.
Il Municipio 5 è quindi un territorio molto ricco di iniziative volte a promuovere il lavoro in rete con i diversi servizi e associazioni del territorio. Ne è un esempio il Tavolo Territoriale, un tavolo di politiche sociali a cui afferiscono tutte le associazioni del Municipio 5 che si occupano di diverse fragilità: dalle povertà, agli anziani, ai minori, alle persone con disabilità e problemi di salute mentale, alle pari opportunità. In questo il Municipio 5 rappresenta un modello: per la ricchezza di associazioni, ma anche per la collaborazione instaurata tra associazioni e istituzioni, di cui l’efficacia del Tavolo Territoriale ne è un esempio. Nel tempo il Tavolo Territoriale si è poi suddiviso in diversi sotto-tavoli che trattano tematiche specifiche, come la salute mentale, il lavoro, i disturbi del comportamento alimentare, etc. I Tavoli rappresentano quindi un luogo dove far rete e far nascere delle nuove idee e dei nuovi progetti condivisi.
Il Vigentino è un quartiere in forte evoluzione ed espansione, anche chiamato “South Pra”, il quartiere a Sud di Fondazione Prada. Stanno nascendo infatti nuovi insediamenti, come quelli in Via Antegnati e in Via Amidani: delle concezioni di urbanistica comunitaria dove si condividono esperienze e competenze. Trattandosi però di un quartiere in espansione, bisognerà pensare a nuovi servizi: come scuole, centri di aggregazione e centri polifunzionali. Del Vigentino Stefania ha sempre apprezzato l’abbondanza degli spazi verdi e la sua vicinanza al centro, qualità che lo rendono un quartiere vivibile e perciò abitato da molte famiglie: qui infatti è meno sentito che altrove il problema del calo delle nascite. E’ anche un quartiere abitato dai tanti nonni che si occupano dei propri nipoti e si attivano anche nelle attività extrascolastiche organizzate dalle scuole dell’infanzia, elementari e medie presenti qui. E’ un quartiere quindi residenziale, abitato da lavoratori e lavoratrici, e questo spiega forse perché il Vigentino è meno ricco di associazioni di altri quartieri del Municipio 5, in quanto le associazioni nascono laddove vi sono delle fragilità con l’obiettivo di rispondere a determinati problemi. Nel Vigentino gravitano diverse associazioni legate al mondo della scuola e associazioni sportive, oltre all’oratorio della Madonna di Fatima che è molto attivo in quartiere e organizza diverse attività di doposcuola.
Chiudendo con un auspicio per il futuro, Stefania si augura che le persone si investano maggiormente per migliorare il proprio quartiere e che emerga ancora di più la cittadinanza attiva che è in noi.
Filippo Cogliandro è uno chef di Reggio Calabria che ha fatto della cucina la sua passione, mettendo al centro il lavoro ma anche la volontà di aprirsi agli altri e offrire il suo aiuto. Sarà che lo chef Cogliandro mai avrebbe pensato di lavorare tra i fornelli visto che aveva intrapreso la via del seminario e dello studio per diventare sacerdote e proprio questa vocazione verso gli altri lo ha portato ad aprire il “suo regno”. Così ecco che nel suo ristorante L’A Gourmet L’Accademia che dal 2015 è nel centro storico di Reggio Calabria trovano spazio anche i ragazzi in difficoltà: minori stranieri non accompagnati, ragazzi che arrivano dal Tribunale per i minorenni, per la Messa alla prova, e chi ha qualche disabilità.
La cucina, e il suo ristorante, diventano così luoghi dove rimettersi in gioco e imparare, perché accoglienza non vuol dire carità ma offrire a questi giovani la possibilità di crescere e formarsi. Chef Cogliandro ha, infatti, in cucina da dieci anni, due ragazzi del Gambia.
Loro – spiega Filippo Cogliandro - hanno contaminato la mia cucina con la loro cultura e così io mi sono arricchito di sapori e di saperi.
L’A Gourmet L’Accademia è sempre aperta al territorio e alle istituzioni e c'è uno scambio costante ed è diventata punto di riferimento non solo per l'attività di ristorazione, ma anche per l'impegno sociale e culturale.
Laureato in economia, Andrea ha deciso di dedicarsi al sociale fin da ragazzo, avendo lavorato per anni in progetti di cooperazione internazionale in diversi paesi dell’Africa Occidentale e dell’America Latina. In questi anni ha imparato molto dalle comunità locali con cui lavorava, in quanto l’aiuto non è mai unidirezionale ma reciproco. Quattro anni fa ha incontrato il Gruppo L’Impronta e ha deciso di cogliere la sfida di lasciare il contesto internazionale per lavorare a progetti sociali qui in Italia. Andrea si occupa attualmente di comunicazione e fundraising e progettazione sociale, lavorando nelle periferie e nell’hinterland di Milano. Quello che lo appassiona del suo lavoro attuale è l’attenzione per il tema etico che il Gruppo ha saputo portare nel mondo aziendale, coinvolgendo diverse realtà profit del territorio nelle loro progettazioni.
All’interno dell’esperienza del Gruppo L’impronta hanno preso avvio diverse imprese sociali, caratterizzate tutte dall’attenzione alla qualità dei prodotti e all’inserimento lavorativo di persone con fragilità. A breve aprirà un’attività commerciale nel complesso di Housing Sociale di 5Square, che avrà una forte connessione con la cooperativa sociale agricola Agrivis, situata a Macconago nel Parco Agricolo Sud, che si occupa di agricoltura biologica e trasformazione dei prodotti agricoli. L’idea è quindi, vista la vicinanza del complesso residenziale con l’azienda agricola, di far fare agli abitanti delle esperienze in cooperativa, la quale dispone anche di un laboratorio di trasformazione e di un’aula polifunzionale.
L’auspicio per la nuova attività commerciale è che diventi un luogo di aggregazione vero all’interno del quartiere, dove vorrebbe veder nascere un bel clima di collaborazione anche grazie alle numerose associazioni presenti. Per il futuro vorrebbe anche che il complesso residenziale di 5Square fosse meglio collegato urbanisticamente con l’area verde adiacente per una maggiore fruizione degli spazi verdi da parte degli abitanti.
Maschile Plurale nasce nel 2006 con la sottoscrizione del primo appello nazionale firmato da gruppi di uomini in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del venticinque Novembre. Si tratta del primo appello pubblico, sottoscritto da molti uomini, che prende posizione rispetto alla responsabilità maschile nel sistema patriarcale e maschilista, di cui la violenza fisica e i femminicidi sono solo la punta dell’iceberg. Per la prima volta gli uomini hanno quindi deciso di esporsi contro questa cultura diffusa, dicendo di sentirsi altro rispetto al modello di maschilità proposto.
Nel corso degli anni novanta in Italia sono nati diversi gruppi di autocoscienza maschile impegnati sul tema della violenza contro le donne. Si tratta di gruppi eterogenei tra loro, tra cui ci sono gruppi più informali, che si ritrovano per discutere di determinate tematiche, e gruppi più professionali, che lavorano con progetti finanziati, fanno attività educative nelle scuole o si occupano di uomini maltrattanti. In totale in Italia esistono attualmente una ventina di questi gruppi.
Maschile Plurale è quindi una rete di uomini appartenenti a questi diversi gruppi. Tra i suoi fondatori vi è Stefano Ciccone, che ha scritto la prefazione al libro “Maschilità smascherata” pubblicato recentemente dal gruppo milanese GNAM, Gruppo di Autocoscienza Maschile. Tra le personalità di spicco vi è anche Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista autore di diversi libri, quali “Perché il femminismo serve anche agli uomini”, “Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni”, “Non sono sessista ma…”, "No. Del rifiuto, di come si subisce e di come si agisce e del suo essere un problema essenzialmente maschile".
Negli anni Maschile Plurale ha anche sviluppato rapporti e collaborazioni con la galassia dei gruppi femministi e con femministe di rilievo come Lea Melandri. Uno o due volte l’anno l’associazione organizza delle assemblee nazionali in cui ci si confronta e si danno vita e diverse iniziative e progetti condivisi.
Prima di congedarsi, chiediamo a Marco e Michele la loro opinione sul termine “femminicidio” e sulla necessità di mantenere un termine distinto da quello generico di omicidio. A questo proposito Marco e Michele ci spiegano dell’importanza delle parole e quindi di utilizzare il termine “femminicidio” che in sé chiarisce l’esistenza di una cultura maschile violenta nei confronti delle donne e che si poggia su di un retroterra culturale di possesso nei confronti delle donne. Relazioni di potere nelle quali, se la donna cerca di sfuggire, l’uomo maschilista si sente in diritto di esercitare la sua forza fisica per impedire alla donna di esercitare la sua libertà, perché, come dicono le statistiche, la stragrande maggioranza dei femminicidi è perpetrata da compagni o ex compagni che non accettano la fine di una relazione.
Anasse è nato in Marocco ed è in Italia dal 2018. Ha sempre vissuto a Milano: prima con la famiglia a Corvetto ed ora in una comunità a 5Square, dove condivide l’appartamento con altri ragazzi.
Originario di Casablanca, torna in Marocco tutte le estati : la sua famiglia infatti è qui a Milano mentre i parenti sono rimasti in Marocco. Della sua nuova vita in comunità apprezza di poter avere un stanza tutta per sé e anche di poter partecipare a dei momenti di convivialità nello spazio condiviso Living, come mangiare e ballare … la musica italiana gli piace infatti molto. Apprezza anche l’aspetto comunitario dell’Housing, per cui si è offerto di fare la spesa per una persona anziana che non può camminare, e desidera in futuro partecipare all’iniziativa degli orti condivisi. Nel tempo libero va a giocare a calcio, frequenta il centro di riabilitazione ed il sabato gli piace andare a ballare.
Dopo che è arrivato in Italia ha frequentato la scuola per due anni ma ora non sta più studiando e gli piacerebbe invece lavorare e imparare a fare il parrucchiere: per ora ha fatto pratica in casa, ma vorrebbe lavorare in un negozio. Anasse parla Arabo e Marocchino, un pochino il Francese e l’Italiano, anche se ancora non sa leggere bene. Tra qualche anno vorrebbe comprarsi casa qui a Milano perché gli piace vivere qui.
Francesca abita nel quartiere Vigentino da trentadue anni. Prima di avere figli si occupava di ufficio stampa per aziende e organizzava congressi. Con l’arrivo dei figli ha smesso di lavorare e si è dedicata di più al suo quartiere, con diverse iniziative di volontariato. Da qualche anno ha anche ripreso l’attività lavorativa facendo la tata.
Tra le associazioni per cui Francesca fa volontariato da più tempo vi è Opera Cardinal Ferrari, che ha l’unico centro diurno a Milano per senza fissa dimora e persone fragili, con servizio docce e guardaroba. Lei si occupa di smistare i vestiti che le persone donano assieme ad altre volontarie. In seguito è stata tra le fondatrici del Comitato Vigentino per Milano, per il quale ha seguito l’iniziativa di bookcrossing, che è diventata un momento importante di aggregazione nel quartiere. Cinque anni fa ha poi deciso di costituire un gruppo informale di persone con l’obiettivo di coinvolgere più cittadini e far vivere il suo quartiere. Il gruppo si chiama VigentiAmo, un’abbreviazione di “Vigentino ti amo” che ha dato vita ad un nuovo verbo, una sorta di esortazione a prendersi cura del quartiere.
Tra le iniziative promosse da VigentiAmo in questi anni vi è il baratto di giochi per bambini di elementari e medie che si tiene al CAM Verro ogni due mesi e durante il quale i bambini possono donare dei loro giochi e prenderne degli altri. Nella scelta dei giochi viene chiesto ai genitori di non intervenire, perché i bambini fanno una scelta emotiva, senza dare un prezzo alle cose. Recentemente hanno provato uno swap party alla festa delle medie, in cui i ragazzi potevano scambiarsi dei vestiti. Hanno poi aderito all’iniziativa “Viva Vittoria,” per cui si ritrovano per lavorare ai ferri o all’uncinetto dei quadrotti che poi raccolgono e cuciono assieme per realizzare delle coperte colorate. Oltre ad essere una bellissima occasione di aggregazione, quella di ritrovarsi e sferruzzare insieme a maglia, il ricavato viene devoluto ad un’associazione che si occupa di donne maltrattate. Organizzano poi dei momenti di fitwalking, in cui camminano assieme per tenersi in forma e conoscere meglio il quartiere. Hanno anche aderito a diverse edizioni di “Puliamo il mondo”, giornate che solitamente riscuotono un grande successo, e organizzato dei workshop ai giardinetti di Via Verro con un’associazione che si occupa di aggiustare biciclette. Hanno anche creato un gruppo di lettura che però, non avendo una sede fissa e non essendoci una libreria, si ritrova a casa.
Francesca si ricorda ancora delle prime volte che è venuta nel Vigentino: lei abitava in un quartiere centrale di Milano e veniva qui a trovare una sua compagna del liceo che abitava in zona. Allora le sembrava di venire nel nulla, mentre quando poi si è trasferita qui ha apprezzato moltissimo le grandi aree verdi, dal parco del Ticinello al cammino nel verde per Chiaravalle. Quando aveva i bambini piccoli che portava a spasso in carrozzina, munita di stradario si prefiggeva ogni giorno di scoprire un nuovo pezzo di quartiere e così pian piano ha imparato a conoscerlo. E’ inoltre un quartiere con una sua storia, di cui chi è nato e cresciuto qui è molto orgoglioso. Si è anche molto espanso – trent’anni fa molte case non c’erano – e Francesca vorrebbe capire quanto sarà gentrificato in futuro con l’arrivo delle grandi aziende della moda ed i progetti per le olimpiadi. Un aspetto critico secondo Francesca è che si è continuato a costruire nel quartiere pur senza ampliare i servizi: non c’è una metropolitana ma solo il tram ventiquattro e mancano luoghi di cultura. “Siamo però pieni di supermercati … per cui di fame non moriremo, semmai moriremo di cultura” scherza Francesca. La chiusura di molti negozi che non hanno riaperto dopo il Covid pone anche dei problemi di sicurezza in un quartiere in cui non ci sono luci accese la sera. Vorrebbe quindi veder nascere centri di aggregazione, come delle biblioteche o semplicemente degli spazi dove poter bere un caffè e sferruzzare con altre persone. In alcune zone di Milano esistono delle Case delle Associazioni … qui hanno solo un CAM che però pone problemi di agibilità per cui hanno dovuto interrompere il cineforum estivo.
Per Francesca una comunità dovrebbe essere aperta a tutti e laica. Una comunità per tutti quindi: trasversale per ceto ed età, dove i bambini possano interagire con gli anziani, dove non ci siano conflitti generazionali per cui ci si lamenta che “i giovani fanno casino”, dove ci si sente a casa e dove poter fare attività assieme ad altre persone.
L’auspicio per il futuro è di continuare con questo entusiasmo, che si riesca a collaborare con altre realtà anche trovando una sede condivisa perché la mancanza di luoghi fisici rappresenta un freno per le attività.
Storia Youssef è un ragazzo nato in Egitto nella città di Sharkia. La sua famiglia è composta dalla madre, dal padre che ha problemi di salute e non lavora, 2 fratelli maggiori: Mustafà 23 anni che studia e fa il fotografo e Abdelsalam 21 anni fa l’imbianchino. Il ragazzo racconta che da piccolo ha vissuto a El Giza per un certo periodo di tempo, città in cui vivono anche i suoi parenti, poi si è spostato con la famiglia a Sharkia quando aveva 13 anni. Youssef ha frequentato la scuola dai 6 ai 12 anni, poi ha continuato con un corso di scuola superiore fino ai 16 anni, dopodiché ha avuto inizio il suo lungo viaggio prima di arrivare in Italia. Il ragazzo, con il consenso dei genitori, ha lasciato l’Egitto insieme ad altri 2 amici per arrivare in Russia dove è stato pochi giorni per poi raggiungere la Bielorussia dove è rimasto per più di 5 mesi, è stato in Germania per quasi un mese. Durante questi spostamenti non sono mancati momenti di preoccupazione in cui il ragazzo, insieme ad altri giovani, hanno dovuto passare i vari controlli delle forze di polizia e muoversi nelle fredde pianure e attraversare boschi innevati. Il 15 aprile 2023 Youssef ha raggiunto l’Italia, è arrivato a Venezia e poi raggiungere Milano dove ha soggiornato 15 giorni ed è stato condotto a Pavia in un centro di accoglienza, successivamente è stato accolto presso la struttura per minori stranieri non accompagnati “Il Galletto” di Felizzano Al. Il ragazzo dice di trovarsi bene in Italia, gli piace questo paese, si è ben inserito all’ interno della struttura collaborando e andando d’accordo sia con gli altri ragazzi sia con gli operatori. In Egitto Youssef ha avuto qualche esperienza lavorativa: è stato barbiere/parrucchiere per un breve periodo ed è stato imbianchino e decoratore per diversi mesi, il ragazzo è interessato a questo tipo di attività tanto che presso la struttura che lo sta ospitando ha tinteggiato e messo in pratica tecniche decorative da lui apprese riuscendo a creare lavori ben eseguiti e di notevole impatto visivo. Il ragazzo per il futuro si augura di trovare un lavoro, avere una casa, farsi una famiglia ed essere felice.
La storia di Ignazio e Pina inizia quando loro figlia si è ammalata di un disturbo psichiatrico all’età di diciannove anni e, assieme ad altri familiari, hanno intrapreso un percorso al fine di capire la malattia e sapere come comportarsi in modo adeguato con loro figlia, oltre ad aprire un dialogo permanente con i servizi del territorio. Così è nata l’associazione, di cui entrambi sono fondatori.
“Fare assieme” è il nome dell’associazione ma è anche un principio fondamentale per loro, ovvero la necessità di creare un intreccio tra comunità competente per esperienza, quindi i familiari e le persone prossime, e comunità competente per professione, ovvero i professionisti che erogano le cure. E’ fondamentale che queste due comunità dialoghino, in quanto negli ultimi dieci anni la famiglia è stata riconosciuta come parte integrante dei processi di cura. La persona con disturbi psichiatrici vive infatti in famiglia ed è quindi necessario lavorare con essa in un percorso di consapevolezza, che richiede costanza e assiduità. La salute mentale è infatti impegnativa anche per i familiari, che talvolta fanno fatica ad accettarla e devono in primis imparare a gestire se stessi e le proprie aspettative, perché più esternalizzano la loro frustrazione e disperazione, più il malato si percepirà come perdente. E’ infatti dimostrato che minore è l’emotività negativa espressa dai familiari e maggiore sarà la possibilità di recupero del malato. In questo il mutuo aiuto tra famiglie è un altro principio cardine dell’associazione, al fine di trasformare il dolore dei familiari in energie positive e combattere l’isolamento in cui molte famiglie si chiudono in ragione dello stigma sociale legato alla malattia. In questo l’associazione si definisce un modello di welfare generativo collaborativo, in cui le persone portatrici di problemi e sofferenze diventano protagoniste del proprio percorso di recupero del benessere.
Si rifanno alla psichiatria territoriale del Basaglia, ovvero l’idea che si possa curare la malattia mentale in spazi di libertà e non di contenzione, in quanto la contenzione porta alla regressione. Ognuno di noi è portatore di energie resilienti che ci aiutano a far fronte ai problemi e che devono essere facilitate ad emergere. Il loro è quindi un luogo che permette di far emergere le risorse resilienti delle persone e dar spazio alle passioni schiacciate dalla malattia. La psichiatria inglese degli anni settanta già spingeva a creare dei luoghi di socializzazione gestiti da familiari e utenti con degli operatori che vengono di tanto in tanto, in quanto chi ha una malattia mentale necessita di avere un piede dentro il sistema ospedaliero ed uno fuori, per ritrovare equilibrio e autostima. Altro elemento fondamentale già sperimentato da anni con successo in Trentino, Toscana ed Emilia Romagna, è quello di responsabilizzare gli utenti. Nei servizi di queste regioni lavorano infatti dei familiari e degli utenti esperti che, avendo vissuto la problematica, hanno una maggiore empatia e sanno come comportarsi. Anche l’associazione nel suo piccolo cerca di responsabilizzare alcuni utenti a cui dà anche un compenso economico quando si vincono dei progetti. In generale il loro è uno spazio amicale, in cui ci si sente in famiglia, al punto che parlano di “adozione”, ovvero l’idea che ci sia un prendersi cura collettivo degli utenti in quanto alcuni non hanno nessuno.
Il servizio pubblico infatti ha visto nel tempo un restringimento significativo delle risorse, per cui gli utenti vengono seguiti fino ai trentacinque/ quarant’anni e poi vengono abbandonati: proprio nella fascia d’età più critica in cui i loro care givers, che sono spesso i genitori, vengono meno. Nel Municipio Cinque, dove ci troviamo ad esempio, loro sono l’unica associazione che si occupa di salute mentale e si stima che ci siano circa duemila cittadini con una malattia psichiatrica cronica. C’è quindi molta ospedalizzazione e pochi servizi sul territorio: loro si occupano di seguire le persone nel tempo fuori dall’ospedale, organizzando dei momenti di convivialità, delle attività come l’arteterapia e recentemente anche un coretto. Possono offrire questi servizi grazie al lavoro dei volontari perché i progetti non assicurano la continuità delle risorse, oltre a richiedere che ci siano persone specializzate dedicate al lavoro di raccolta fondi.
Il loro auspicio è quindi quello di far sapere nel territorio che ci sono associazioni che si occupano di salute mentale e far conoscere quello che fanno, in modo da avere più volontari e poter assicurare i loro servizi gratuiti.
Elisabetta è la presidente dell’Associazione C.I.A.O. “Camminare Insieme con Amore verso Opera”, fondata da sua mamma nel 1995 assieme ad altri volontari del carcere di Opera. Sua mamma faceva infatti la volontaria all’interno del carcere e negli anni di volontariato si è resa presto conto della necessità di disporre di spazi dove i detenuti potessero recarsi durante i permessi premio, da cui l’idea di costituirsi in associazione. Dal 2000 l’associazione ha sede in una vecchia scuola concessa dalla parrocchia dei santi quattro evangelisti a loro adiacente, edificio che l’associazione è riuscita a ristrutturare ricavandone degli appartamenti. Oltre agli appartamenti nella sede principale, che accolgono mamme detenute con bambini, l’associazione dispone di altri quattro appartamenti in zona Giambellino, Porta Genova e 5Square, che ospitano mamme in condizioni di fragilità. Elisabetta spiega come il vivere in comunità sia fondamentale per il reinserimento in società di mamme ex detenute con bambini. A 5Square, un Housing Sociale in cui si sperimentano delle forme di abitare collaborativo volte alla costruzione di legami comunitari, è stato inoltre possibile inserire le mamme all’interno di un contesto di solidarietà e condivisione e l’associazione stessa si è fatta promotrice di iniziative di quartiere quali il gioco danza, laboratori di fiabe per bambini e dei momenti di convivialità come delle merende il sabato pomeriggio. Per Elisabetta una comunità si basa sull’accoglienza, che passa per il conoscersi, il condividere dei momenti assieme e l’accettarsi al di là dei percorsi passati. Comunità è anche aiuto reciproco e reciprocità, per cui anche le mamme possono essere d’aiuto portando la loro esperienza e mettendo a disposizione le loro competenze. Comunità è quindi l’immagine di un abbraccio, da intendersi anche come il sentirsi parte di qualcosa.
Elisabetta ha iniziato a lavorare per l’associazione nel 2007, occupandosi della gestione dei detenuti in permesso premio e visura alternativa che venivano accolti nelle strutture per poter trascorrere del tempo con i loro familiari. Si è poi occupata di progettazione, raccolta fondi e amministrazione e dal 2016 è presidente dell’associazione, anche se mantiene una forte operatività.
In questi anni Elisabetta ha fatto tesoro di molte storie. Molte sono le immagini di gioia delle mamme che arrivano in detenzione domiciliare e che finalmente sono libere di uscire. Molti sono anche i momenti di fatica e debolezza: momenti in cui generalmente si crea una forte solidarietà tra le mamme della comunità e ci si fa coraggio a vicenda, nonostante le diversità caratteriali e culturali. Elisabetta ricorda ancora molto nitidamente la prima mamma detenuta che lei ha seguito. Questa mamma viveva all’Icam, l’Istituto di Custodia Attenuata per Madri, una sorta di sezione distaccata di San Vittore per mamme con bambini. Aveva dodici ore di permesso e la sua bimba, che stava per compiere tre anni, non era mai uscita con la mamma. Per cui sono andate al supermercato a comprare le cicche e una pizza da mangiare in struttura: quello che per noi rappresenta la normalità, per loro rappresentava l’eccezionalità. In quel momento Elisabetta e le altre operatrici han deciso di affrontare la sfida, in primis economica, di prendere in carico le mamme con bambini. Ricorda anche di una mamma che è dovuta tornare in carcere, per cui han dovuto dire al bambino che lo avrebbero riportato in carcere perché l’appartamento di C.I.A.O. doveva essere ristrutturato. Quando è stato possibile riportare la mamma e il bambino da loro in struttura, lui ha esclamato: “Finalmente son tornato a casa”!
Elisabetta confessa che il suo lavoro non è sempre facile, eppure anche nei momenti di fatica, c’è sempre qualcosa che spinge loro operatori ad andare avanti: l’affetto e la passione per le mamme e i bambini, il senso del lavoro che stanno facendo che è quello di dare la possibilità ai bambini con mamme detenute di uscire dal carcere e vivere la normalità.
L’auspicio è di riuscire a proseguire la loro attività aumentando le proprie capacità, in quanto di case famiglia protette per mamme detenute con bambini ne esistono solo due in tutta Italia.
Tiziana è insegnante di scuola primaria da oltre quarant’anni. Di formazione scientifica, la passione per l’insegnamento l’ha spinta poi a prendere da privatista l’abilitazione magistrale, in quanto le piace il mondo dell’infanzia. Ha iniziato ad insegnare in Barona, in un contesto di famiglie che abitavano in case occupate. Poi nell’ottantatre ha iniziato a lavorare nel Vigentino: prima nella scuola di Via Antonini e poi in quella di Wolf Ferrari. Dopo qualche anno si è poi trasferita qui nel Vigentino, che definisce il suo quartiere di elezione. Qui infatti ha conosciuto così tanti bambini che sente di avere un’identità in questo posto, per il quale ha un legame emotivo e dove pensa di aver inciso, spera positivamente. Tiziana ha iniziato a lavorare molto giovane ed ha preso la laurea in Scienze Politiche con indirizzo sociologico quando già aveva avuto una figlia. Il suo lavoro continua ad appassionarla dopo tanti anni, anche se sente di dover rallentare e dedicarsi maggiormente a sé stessa: tra un po’ andrà in pensione ed ha tanti progetti.
Quello che l’appassiona del suo lavoro è l’idea di poter incidere positivamente sulla vita delle persone e di poter diventare un punto di riferimento in molte situazioni problematiche. A scuola si è occupata tre anni di lotta alla dispersione scolastica nella zona di Vaiano Valle, dove si trova un campo Rom. Ha iniziato quindi a frequentare il campo per riportare i bambini a scuola ed ha scoperto un mondo. In alcuni casi lei e le sue colleghe sono riuscite a riportare i bambini a scuola: alcuni hanno poi completato la scuola secondaria di primo grado, sono diventati cittadini italiani ed hanno trovato un lavoro. Insegnare è un lavoro di relazione sempre nuovo, in quanto gli alunni cambiano e per cui non si fanno mai le cose allo stesso modo. E’ anche un lavoro creativo: vi è infatti un margine per proporre cose nuove e metterci del proprio. In questo è un lavoro molto gratificante, anche se negli ultimi anni si è troppo burocratizzato. E’ però un lavoro che ti porti a casa, perché si prendono a cuore le storie dei bambini e, con loro, delle loro famiglie. E’ un lavoro che ti mantiene giovane, perché essere sempre in contatto con i giovani è un bel modo di tenersi al passo con i tempi.
Tiziana ha iniziato a frequentare il Vigentino dall’età di quattordici anni, quando veniva qui a giocare a basket. Il suo primo ricordo del quartiere è quindi di quando i ragazzi venivano all’uscita degli allenamenti per vedere loro ragazze nella divisa in pantaloncini corti. Allora era un quartiere popolare, con molte case popolari. I bambini crescevano all’aperto giocando nei cortili: dopo il pranzo, i ragazzi facevano i compiti nell’ora del riposino e poi scendevano a giocare, con i genitori che davano un occhio dal balcone di tanto in tanto. Negli anni in cui ha insegnato qui, Tiziana ha visto tre fasi: una prima fase di case popolari di ringhiera che avevano i bagni comuni nei ballatoi, abitate principalmente da famiglie dal Sud, con la presenza di alcune famiglie in situazioni di disagio; una seconda fase in cui è diventato un quartiere di gente semplice, che vive del proprio lavoro ; una terza fase in cui è diventata visibile la presenza di famiglie straniere di madre lingua non italiana, a cui è seguita una fase recente di bambini nati in Italia e di madrelingua italiana anche se da famiglie straniere.
Il Vigentino è un quartiere che ha tutti i servizi a portata di mano: la comodità è importante per poter dedicare il tempo libero ai propri interessi. E’ un quartiere in cui vi è un connubio tra la vivacità della città e delle iniziative culturali, che è il motivo per cui a Tiziana piace Milano, e il verde e la campagna. E’ poi un quartiere che ha una storia, abitato ancora oggi da persone che hanno dei ricordi antichi del luogo. A lei piace molto la campagna andando verso Chiaravalle e si sposta volentieri in bici. A questo proposito la Via Ripamonti è un po’ pericolosa perché stretta e molto trafficata. Le piace fare una vita di quartiere, per cui va volentieri in un bar sotto casa dove è possibile giocare a scacchi. Per le attività culturali, a parte il salotto letterario Caracci che è diventato una realtà importante nel quartiere, bisogna spostarsi in zona Barona e Corvetto, dove ci sono teatri e il Centro Internazionale di Quartiere. Anche per trovare delle biblioteche bisogna spostarsi a Corvetto oppure in Chiesa Rossa o in Viale Tibaldi. Ultimamente sta pensando di riprendere a giocare a basket nella nazionale over ciquantacinque e le piacerebbe trovare qualcuno in zona con cui fare due tiri.
Per Tiziana una comunità dovrebbe essere solidale e creativa. Un luogo dove ognuno mette in gioco le proprie competenze al servizio degli altri, in cui ha di più da di più. Un luogo anche organizzato, altrimenti il rischio è che si rimanga nell’astratto. Luogo spirituale ma anche fisico, in quanto perché le persone si incontrino e nascano dei legami è necessario ritrovarsi fisicamente.
Per il futuro l’auspicio di Tiziana è quello di poter conoscere in zona persone con interessi a lei comuni e che la comunità sappia integrare le persone nuove nel quartiere al di là della loro provenienza. Rispetto al quartiere invece, le piacerebbe ci fosse una libreria e dei luoghi di socialità e aggregazione, dove leggere, organizzare feste e incontrarsi in momenti conviviali.
Giovanni Pitrolo è presidente della cooperativa sociale “ La Casa di Miryam”: nata nel novembre del 2001 su iniziativa di un gruppo di operatori della Comunità Terapeutica "La Casa del Sole" di Reggio Calabria e di ex utenti che avevano concluso il programma di recupero, per rispondere alle esigenze di reinserimento socio-lavorativo in un contesto sociale certamente difficile per lo stato diffuso di disoccupazione. La missione de "La Casa di Miryam" è il reinserimento lavorativo degli utenti svantaggiati al fine di favorire la crescita dei rapporti sociali e lavorativi con i soggetti privati e pubblici del territorio, in modo da evitare che gli utenti stessi sperimentino una condizione di abbandono e fallimento. La Cooperativa, puntando sulle diverse professionalità e competenze acquisite nel corso degli anni, ha avviato attività di ristrutturazione, giardinaggio, manutenzione varia, vendita e assistenza di hardware e software. Dal 2010 è attiva anche la distribuzione pubblicitaria rivolta alla grande distribuzione ed altre medie e grandi imprese del territorio nazionale. Giovanni offre opportunità a chi sogna un futuro nel nostro territorio affinché ognuno si costruisca la propria strada.
Andrea si occupa di inserimento al lavoro di persone fragili ed è il responsabile della cooperativa sociale agricola Agrivis. La cooperativa esiste già da qualche anno, anche se i lavori della cascina sono stati completati meno di due anni fa, permettendo alla cooperativa di far decollare a pieno le proprie attività. Agrivis si occupa di agricoltura biologica ed ha ottenuto la certificazione BIO nel gennaio 2019. Si coltivano principalmente orticole- con oltre quaranta tipologie di verdure- ed in piccola parte frutti destinati principalmente al laboratorio di trasformazione - come fragole, lamponi e more. Nel complesso Agrivis dispone di quattro ettari di terreno di sua proprietà e mezzo ettaro di terreno in comodato d’uso, la maggior parte dei quali dedicati a coltivazione in pieno campo ed in piccola parte alla coltivazione in serre non riscaldate.
La cooperativa si trova all’interno del Parco Agricolo Sud, nel Municipio 5 di Milano. La posizione è ideale in quanto si è immersi nel verde ma il centro città dista solo una ventina di minuti. Agrivis fa parte del gruppo L’Impronta, motivo per cui tutte le sue attività hanno come missione l’inserimento al lavoro di persone fragili. Oggi l’équipe di Agrivis è coordinata da un agronomo e si compone di sei ragazzi fragili tra migranti, detenuti a fine pena e ragazzi con disabilità fisica o psichica. A questi si aggiungono al bisogno borse lavoro e tirocini per quanti vogliano imparare il mestiere nel campo o in laboratorio.
Il completamento della cascina ha permesso anche di allestire al primo piano due appartamenti in grado di accogliere dieci ragazzi in situazione di precarietà e che non potrebbero quindi accedere al mercato degli alloggi : oltre alla casa, i ragazzi ricevono assistenza nell’espletamento di pratiche burocratiche quali l’ottenimento del permesso di soggiorno e della tessera sanitaria. Ia cascina ha inoltre permesso di avviare un nuovo ramo d’impresa, con l’apertura di un laboratorio per la trasformazione dei prodotti freschi in conserve, confetture e succhi: oltre ad utilizzare i prodotti del proprio campo, che per forma e dimensioni non sono atti alla vendita, la cooperativa ha avviato un dialogo con l’ortomercato di Milano in ottica di contrasto allo spreco alimentare, in quanto si calcola che ogni giorno vengano buttate al mercato tra le nove e le dieci tonnellate di frutta e verdura.
La cooperativa dispone anche di un’aula polifunzionale dove ospitare le scuola per laboratori a tema agricolo e sostenibilità ambientale e sociale. Inoltre, il sabato la cascina è aperta a tutti quanti desiderino venire ad acquistare i prodotti freschi, offrendo anche la possibilità di raccoglierli direttamente dal campo. A breve la cooperativa aprirà anche un punto vendita all’interno dell’Housing Sociale di Via Antegnati, a pochi kilometri dalla cascina, dove L’Impronta sarà presente con un panificio pasticceria. Fondamentale per Agrivis come per tutte le attività del gruppo L’Impronta sarà il raggiungimento di una sostenibilità economica dopo una prima fase di start up. A tal proposito fondamentale è la relazione che L’Impronta ha saputo instaurare negli anni con molte aziende del territorio milanese.
La Cooperativa Sociale La Strada nasce una quarantina di anni fa per rispondere al grave problema delle tossicodipendenze di quegli anni. Inizialmente si trattava di un gruppo di giovani animati da Don Giancarlo Cereda che poi si è strutturato dando vita alla cooperativa. Nel tempo La Strada si è specializzata in alcune macroaree: quello della domiciliarità, con operatori ed educatori che si recano a domicilio da persone che necessitano di un intervento sociale ed educativo; l’area della territorialità, con servizi legati ai bisogni del territorio dove La Strada ha sede, come centri diurni e di aggregazione per i giovani, l’assistenza ai minori in situazioni di fragilità, percorsi formativi per contrastare l’abbandono scolastico, lo Sportello WeMi ed il Centro per i Servizi al Lavoro; la residenzialità, con servizi di accoglienza abitativa negli housing e con le comunità per sieropositivi; i servizi di cura a supporto di minori e adulti che presentano una sofferenza post-traumatica grazie al supporto di psicologi e psicoterapeuti.
Lia è arrivata in cooperativa nel 2005, lavorando inizialmente nel centro diurno per le comunità per sieropositivi e malati di aids di cui è diventata coordinatrice, e poi nell’area dell’accoglienza abitativa. Prima di arrivare qui, Lia aveva già fatto esperienza in comunità di mamme con bambini, comunità per persone con disagi psichici e nelle scuole, essendo lei educatrice. Quello che ha fatto sì che decidesse di restare a lavorare per La Strada è il fatto di sentire di poter fare la differenza e di poter dare effettivamente risposta alle emergenze dal punto di vista sociale. In questo, la cooperativa ha saputo cogliere l’evoluzione dei bisogni ed adattare la propria offerta di servizi. Ad esempio, anni fa il tema abitativo non rappresentava un bisogno importante, mentre oggi rappresenta una vera emergenza in città come Milano in ragione della difficoltà ad accedere ad un alloggio dignitoso e sostenibile economicamente. L’emergenza abitativa oggi non riguarda infatti solo gli anziani soli e le persone sfrattate, la prima accoglienza delle mamme che escono dalle comunità e le case rifugio per donne maltrattate, ma sempre più quanti non hanno semplicemente i mezzi per poter pagare un affitto. Anche l’area dell’orientamento al lavoro è diventata particolarmente rilevante ed ha portato la Strada ad aprire un Centro per i Servizi al Lavoro accreditato. In ogni caso, il principio che guida il lavoro della cooperativa è quello di fornire gli strumenti perché le persone possano trovare la loro strada in autonomia, con uno sguardo ed un’attenzione ai bisogni del singolo, quindi senza uniformare la risposta.
Rispetto al periodo del Covid, Lia ricorda l’impegno degli operatori nel raggiungere le persone accompagnate per accertarsi che padroneggiassero le informazioni sanitarie e nel sostenere i ragazzi e le famiglie rispetto ai nuovi bisogni emersi con la DAD, fornendo ad esempio device per il lavoro scolastico. Nel caso delle donne maltrattate poi, il periodo del Covid è stato particolarmente drammatico in ragione della coabitazione forzata e della maggiore difficoltà nei percorsi di autonomia. Con il ritorno alla ‘normalità’, la cooperativa è stata poi particolarmente attiva nel sostenere le persone a reimmettersi nel mercato del lavoro.
Rispetto al quartiere Corvetto, si tratta di un territorio ricco di associazioni e quindi vivace. Alcune di queste associazioni hanno una storia radicata nel quartiere e con queste la cooperativa ha sviluppato una relazione consolidata. L’arrivo di nuove realtà ha permesso invece di sviluppare progettualità innovative, con esperienze in cascina nelle aree verdi della Vettabbia e di Chiaravalle. In ogni caso, la tendenza crescente tra le associazioni di quartiere è quella di sviluppare collaborazioni e di lavorare in rete. Negli ultimi tempi si è vista anche una maggiore attenzione alle zone periferiche da parte del Comune, con la nascita di piste ciclabili ad esempio, anche se rimangono delle situazioni di forte disagio nei quartieri popolari.
Filippo si occupa di sicurezza e per molti anni ha lavorato nell’azienda di famiglia. Ha dovuto iniziare a lavorare quando è mancato suo papà, portando avanti allo stesso tempo gli studi. Da scienze politiche ha deciso di cambiare percorso di studi per poter disporre di strumenti giuridici e economici per lavorare in azienda ed ha concluso gli studi con un master in corporate governante. Dopo dodici anni ha poi deciso di cambiare vita, lasciando l’azienda di famiglia e iniziando a lavorare in Confcommercio.
Prima di trasferirsi qui viveva a Buccinasco, dove è presidente di una onlus che si occupa dei bisogni delle famiglie con servizi di ostetricia a domicilio, un gruppo di acquisto solidale, un Alzheimer caffè per gli anziani, e molto altro. A Buccinasco abitava in una grande casa abitata da più famiglie, per cui è abituato a condividere gli spazi e gli piace l’idea di abitare collaborativo dell’housing sociale di 5Square. Ha fatto domanda appena uscito il bando, in quanto i prezzi delle case a Milano sono abbastanza proibitivi. Con i vicini ha fatto amicizia velocemente, avendo trovato persone disponibili e cordiali. Diverse sono poi le occasioni di incontro: oltre all’iniziativa degli orti condivisi che hanno sul tetto, a cui molti condomini hanno aderito, la sua scala organizza regolarmente degli aperitivi nello spazio condiviso Living e con alcuni si ritrovano anche per delle cene a casa. Al Living si organizzano diverse attività, a cui non sempre riesce a partecipare per motivi di tempo: come il coworking, lo yoga, l’allenamento funzionale e recentemente degli incontri volti alla costituzione di una associazione di quartiere. Rispetto al Living, lo immagina come un luogo aperto anche a chi viene da fuori purché si dia priorità a chi vive a 5Square, trattandosi dell’unico spazio grande condiviso di cui dispongono i condomini per ritrovarsi. A breve il quartiere si completerà di negozi e servizi per cui inizierà ad essere vissuto anche da persone esterne.
Rispetto al Vigentino, Filippo non ha ancora avuto modo di percorrerlo a piedi, anche se gli piacerebbe farlo e conoscerlo meglio, in primis gli spazi verdi e le cascine di cui in molti gli hanno parlato. Frequenta comunque alcuni negozi, come la tintoria e il supermercato. Gli sembra comunque sia un quartiere dove si possano trovare i commerci e servizi che servono nel quotidiano anche se, da celiaco, gli piacerebbe trovare un posto che faccia prodotti per celiaci nelle vicinanze.
Per Filippo una comunità è innanzitutto condivisione, da intendersi anche come condivisione degli spazi per attività comuni, ed inclusione, sia delle diverse culture ma anche delle diverse esperienze, dalla cui condivisione possono nascere occasioni di crescita personale. Comunità è quindi un luogo per tutti: coppie, single, famiglie.
Marco è il Presidente del Comitato Vigentino per Milano, associazione nata tredici anni fa con l’obiettivo di sviluppare socialità nel quartiere, con l’organizzazione di iniziative volte a far incontrare le persone attorno a tematiche culturali e sociali.
Il Comitato organizza infatti il bookcrossing: un baratto di libri che si tiene una volta al mese presso la scuola elementare di Via Antonini. Si tratta di un’iniziativa consolidata, che in tredici anni è cresciuta diventando un appuntamento fisso per le persone del quartiere: un momento di socialità per famiglie, anziani e persone che amano leggere in generale. Ad ogni evento partecipano infatti dalle centocinquanta alle duecento persone.
Una volta al mese il Comitato organizza anche delle conferenze che si tengono al CAM Verro, unico punto di aggregazione per il quartiere oltre alle parrocchie. Nel CAM si tengono infatti diverse attività, come corsi di ginnastica dolce per anziani, bische di carte e doposcuola per ragazzi. Le conferenze posso riguardare la presentazione di libri, temi sociali come la salute pubblica, le migrazioni, le elezioni europee, oppure temi culturali come conferenze sul continente africano o sulle tradizioni popolari, essendo un membro del comitato un appassionato del tema. L’idea del Comitato è comunque quella di stimolare la partecipazione degli abitanti e una cittadinanza attiva in generale.
Marco si è trasferito nel Vigentino appena laureato, quando ha trovato il suo primo lavoro. Si è trasferito in una casa di edilizia convenzionata che quando è arrivato lui era ancora in costruzione. Tra gli abitanti è nata subito una coesione che raramente gli è capitato di vedere a Milano: il palazzo dispone infatti di una sala comune dove si tengono assemblee, feste e corsi di fotografia e ballo. Di quando si è trasferito ricorda che Via Verro era quasi in campagna e poi negli anni il quartiere si è sviluppato con la costruzione di nuovi palazzi. E’ un quartiere sicuro e tranquillo, che rimane prossimo alla campagna, anche se si è persa quella dimensione tipica di paese. A Marco piace fare delle passeggiate verso Chiesa Rossa o Chiaravalle passando per il Parco della Vettabbia, dove c’è anche una bella pista ciclabile. Nel quartiere mancano dei luoghi di socializzazione soprattutto per i giovani, che si ritrovano per lo più al bar o ai giardinetti. Gli piacerebbe che anche nel Vigentino nascesse un posto come a Chiesa Rossa, con una biblioteca o un altro spazio dove poter fare delle iniziative culturali e sociali, coinvolgendo i giovani per non abbandonarli ai giardini (il CAM è infatti molto piccolo). A tal proposito lo Spazio Living di 5Square è un posto molto interessante e l’auspicio è che si riempia di contenuti e che si sviluppi qualcosa che dia un contributo a tutto il quartiere, non solo a 5Square.
Paola è architetto ed ha lavorato per molti anni nel settore pubblicitario. E’ entrata poi in contatto con Scacco Matto nel momento in cui è stato aperto il centro diurno a San Donato. A San Donato vi è infatti un’associazione di familiari molto attiva, per cui l’associazione è partita lavorando con questo gruppo e si è poi ampliata accogliendo persone da tutta Milano. Paola è molto sensibile al settore della salute mentale in ragione della sua storia familiare, motivo per cui ha colto volentieri la sfida di aprire una sede dell’associazione nella provincia di Milano.
Jacopo invece è arrivato a Scacco Matto circa un anno fa occupandosi di lavori manuali legati alla ristrutturazione dello spazio, mentre oggi sta imparando il lavoro da copyrighter e sta lavorando in ufficio gestendo le persone e facendo promozione. “Scacco Matto non è per tutti, ma è per le persone pronte per Scacco Matto”, ci dice. Lui è arrivato qui dopo aver fatto un percorso in comunità e nel centro diurno si è subito trovato bene, in quanto ha trovato persone con cui passare la giornata, ritrovando una dimensione di normalità. La vita in comunità è stata per lui “de socializzante”, in quanto si ha a che fare con persone in terapia e con un malessere molto accentuato, per cui era difficile instaurare dei rapporti umani sani. Qui ha quindi riesercitato la sua capacità di interagire e socializzare con gli altri: “Saper instaurare dei rapporti di amicizia con le altre persone necessita infatti di tempo, dedizione e volontà. Ogni luogo ha la sua peculiarità”, ci spiega. La comunità serve a far fronte ad un momento di disturbo, il percorso ospedaliero crea un equilibrio che, una volta raggiunto, mette le persone in misura di intraprendere poi un percorso come quello con Scacco Matto, in cui si ridiventa protagonisti della propria vita, scoprendo e facendo emergere le proprie attitudini ed il proprio carattere. Chi arriva qui ha quindi superato la fase più acuta della malattia ed entra in una nuova fase di uscita dall’isolamento a cui spesso la malattia porta, e di risocializzazione.
Quando Jacopo è arrivato qui per la prima volta, gli è stato chiesto cosa gli piacesse fare. A lui piace scrivere per cui ha aiutato gli altri ragazzi a esprimere le loro esperienze e a fare teatro, scrivendo anche degli articoli. “Mentre in comunità cumulavo una piramide di piccole sconfitte, qui sto cumulando una piramide di piccole vittorie. Per le persone con un disagio mentale è importante essere riconosciute e riconoscersi in qualcosa che ha valore”. A tal proposito Paola ricorda di quando hanno partecipato ad un corteo con le associazioni di Corvetto, in cui i ragazzi e le ragazze di Scacco Matto si sono rivelati una risorsa utile: “Il passaggio da chi necessita di essere accudito a chi può invece essere un aiuto importante è stata una presa di coscienza importante anche per loro”. Tra le altre soddisfazioni vi è anche la vincita, lo scorso anno, di un concorso sul racconto di episodi autobiografici: Jacopo ha infatti una grande propensione all’ascolto per cui persone anche reticenti si sono aperte con lui raccontando la propria vita. “Raccontarsi ha rappresentato un momento importante di presa di consapevolezza rispetto al proprio passato”. Jacopo cita un paio di esempi di persone con mutismo selettivo e agorafobia che qui hanno ritrovato la loro dimensione.
Recentemente Scacco matto ha aperto un centro diurno anche in zona Corvetto, dove, grazie alla partecipazione ai patti di sussidiarietà, ha instaurato collaborazioni con altre associazioni che si occupano di fragilità. Attualmente loro si autofinanziano con le rette di iscrizione, per cui l’auspicio è quello di poter ricevere aiuti in modo da poter fornire il servizio gratuitamente.
Liliana è cresciuta in Via Macconago e ricorda di quando andava e veniva da scuola in Via Noto a piedi, tornando a casa nel pomeriggio con una fame tremenda. Ha cominciato la scuola a otto anni, perché prima c’era la guerra. Liliana aveva tre anni quando è cominciata la guerra e di quegli anni si ricorda ancora di quando c’erano i tedeschi nelle campagne. Era infatti una zona limitrofa alla campagna: suo papà faceva il mungitore e la sua famiglia lavorava i campi di grano. Dopo la quinta elementare Liliana è andata a lavorare. Ha però sempre continuato a leggere e si è fatta una cultura da sola, perché è una persona di natura curiosa e le piace imparare cose nuove. A sedici anni ha conosciuto suo marito e a ventidue anni si è sposata. Suo marito abitava nelle case popolari di Via Ghini, in un monolocale con otto persone. Da sposata si è poi trasferita a Gratosoglio per poi tornare in Vigentino, dove ha vissuto fino ad oggi.
Liliana ha lavorato per un importante importatore di vini e liquori dall’estero, per cui spedivano Cognac, Whisky e Champagne provenienti da Francia e Inghilterra in tutta Italia. Ha anche viaggiato molto per passione: le piace infatti visitare posti nuovi, vedere come vivono le persone, perché ogni paese ha le sue caratteristiche. Ha fatto quindi ben trentacinque crociere in giro per il mondo: dalla Tunisia – la sua prima vacanza all’estero, al Brasile, al Sud Africa e ai Caraibi. Ha fatto poi la commessa in un panificio del quartiere, motivo per cui ha conosciuto moltissime persone che ancora oggi la salutano se la incontrano per strada.
Di quando era giovane ricorda che c’era una fiera dove loro ragazzi andavano a divertirsi. Ricorda anche di quando sono arrivati in quartiere i primi tram … una vera rivoluzione! La vita in quartiere è cambiata: prima ci si conosceva e tra vicini ci si aiutava. Questa dimensione di paese le manca e pensa che si vada sempre più perdendo con le nuove generazioni. Ricorda anche di quando in quartiere c’era un cinema … poi ha chiuso, probabilmente perché da quando si è diffusa la TV i film si vedono anche a casa. Del quartiere le piace il verde, per cui nel tempo libero esce a fare delle passeggiate. Il suo posto di ritrovo preferito ora è l’oratorio, dove nel pomeriggio viene a giocare a carte per passare la giornata in compagnia. Prima seguiva anche un corso di ginnastica in oratorio che ora purtroppo non organizzano più. Viene però in occasione dei pranzi che alle volte organizzano … essendo rimasta sola, preferisce venire qui e stare in compagnia, per non restare tutto il giorno davanti alla tv. Si dispiace delle tante persone sole che passano le giornate in casa e vorrebbe che si facesse di più per raggiungere queste persone e farle uscire. Rispetto all’idea di comunità, rimpiange le comunità di una volta, in cui si era più uniti. Ora le sembra che le persone non si ritrovino più come una volta, a parte forse le persone di una certa età.
Djurdjia, o Giorgia, è psicologa e lavora da tre anni per la cooperativa Officina Lavoro. Quando è arrivata qui erano in otto: ora sono più che raddoppiati e la cooperativa si è allargata moltissimo. Inizialmente lavorava come operatrice sociale e si occupava di progetti per i giovani e varie fragilità psico sociali ed economiche. Prendeva quindi in carico dei giovani con varie fragilità che poi accompagnavano con dei percorsi a misura di persona della durata di uno o due anni. Questi percorsi prevedevano un sostegno psicologico, formativo e di orientamento al lavoro. Ora Giorgia è responsabile della sede di Milano e, in quanto cooperativa, ciascun socio può proporre ed avviare delle nuove progettualità: in questo vi è un forte spirito imprenditoriale che viene molto apprezzato dai soci che sono per lo più giovani under trentacinque.
Nel loro lavoro si rivolgono al Municipio cinque e non solo: fanno infatti parte di diversi tavoli territoriali, tra cui il tavolo lavoro, e di diverse reti, come la rete di Cubì Gratosoglio, che si occupa di povertà minorile. Sono quindi uno spazio aperto a tutta la cittadinanza: vocazione che si è rafforzata con l’apertura dello sportello WeMi, anche se il loro target primario rimane quello dei giovani adolescenti e adulti con diverse fragilità. Un esempio sono i laboratori per i giovani sulla motivazione, l’autostima e la gestione delle emozioni oppure il progetto “Fucina dell’io” per minori con messa alla prova dell’area penale e che loro accompagnano in percorsi di volontariato e riabilitazione. Hanno poi sei sportelli di orientamento situati in diversi comuni, in cui si occupano di accompagnamento e inserimento lavorativo, e dispongono di un appartamento dove possono ospitare temporaneamente persone in grande difficoltà.
Dal gennaio 2022 hanno aperto una Spazio WeMi nella loro sede di Via Giovanola nel Municipio Cinque, uno spazio in cui confluiscono tutte le persone che han bisogno di orientamento rispetto ai servizi del territorio oppure supporto per delle pratiche online. All’interno di questa proposta hanno lanciato un corso di cittadinanza digitale per over sessanta che è stato molto apprezzato ed ha permesso alla cooperativa di capire meglio le esigenze di questa fascia d’età ed aprire a delle nuove proposte ad hoc. Altri esempi riguardano il supporto per l’espletamento di diverse pratiche del comune, come il sostegno al reddito, il voucher zero diciotto, la richiesta di case popolari o la misura B2. Fanno anche orientamento rispetto alle associazioni ed alle attività commerciali del quartiere e ricevono molte richieste rispetto alla necessità di trovare colf e badanti, richieste che trattano riorientando al WeMi specializzato. Trattandosi di uno spazio aperto a tutta la cittadinanza, seguono quindi gli utenti nelle loro diverse esigenze: da un accompagnamento per la richiesta di soggiorno, all’iscrizione all’università, alla richiesta di dote scuola e dote sport, all’assistenza nelle traduzioni per i cittadini stranieri.
Rispetto al quartiere, Giorgia apprezza che le associazioni abbiano una forte predisposizione a fare rete e lavorare assieme, così come la presenza di spazi molto vissuti dalla cittadinanza come la Biblioteca a Chiesa Rossa e lo spazio antistante. Apprezza anche la voglia di fare dei cittadini che si fanno portatori di proposte, per cui le associazioni non sono chiamate solo a fornire assistenza ma anche a mettere a disposizione le proprie risorse per delle iniziative. L’auspicio per il futuro è che i cittadini e le associazioni del quartiere riescano a portare avanti le istanze dei giovani di cui oggi c’è grande necessità.
Pietro è originario di Matera. E’ venuto a Milano nell’ottantacinque ed ha iniziato a lavorare nel quartiere Vigentino da quando aveva venticinque anni. Una decina d’anni fa ha deciso di comprare casa qui: il quartiere è tranquillo, abitato da persone oneste.
Da qualche anno è diventato imprenditore del Bar per cui lavorava da dipendente e, con l’abolizione delle licenze dei bar prima e con il Covid poi, si è sentito poco tutelato. Durante il Covid hanno infatti ricevuto pochissimo sostegno: seicento euro al mese nonostante avessero dei dipendenti con famiglia a cui han deciso di continuare comunque a pagare lo stipendio. Ha quindi sentito sulle proprie spalle il peso della responsabilità, al punto da non riuscire a dormire la notte. Pensa quindi di abbandonare l’imprenditoria prima di arrivare alla pensione. I politici dovrebbero girare maggiormente il quartiere, per capire le difficoltà delle persone, e passare meno tempo alla scrivania. Le attività come la sua vanno infatti tutelate in quanto sono un presidio di legalità: il fatto di camminare la sera e vedere le luci accese dei locali nelle strade è una sicurezza per tutti gli abitanti del quartiere. Prima si vedevano dei poliziotti che giravano e passavano anche da lui a prendersi un caffè, mentre da qualche anno di poliziotti in giro non se ne vedono più.
Dispiace vedere che molti negozi di quartiere han chiuso in ragione della concorrenza delle grandi catene e dell’aumento degli affitti dei locali. Negli anni ottanta era diverso, si trovava facilmente lavoro. Oggi invece si convive con la precarietà, che però non permette di fare progetti o di metter su famiglia. Pietro lamenta anche una sempre minore partecipazione: qualche volta è andato a delle manifestazioni ma ha visto poche persone, diversamente da quando era giovane lui. “D’altronde anche io cosa faccio per migliorare le cose?”- si chiede. “Sono sempre stanco, sempre al lavoro”… Il suo lavoro comunque gli piace perché sta a contatto con le persone. Ogni tanto si trova però a dover gestire situazioni difficili, con persone che si ubriacano, anche se la maggior parte dei clienti sono persone cordiali per cui si trova bene.
Del quartiere Pietro apprezza il verde ed i negozi di quartiere che ancora resistono. E’ un quartiere che forse non offre molte attrattive ma è vicino al centro ed è un quartiere tranquillo. Il quartiere sta comunque cambiando, con i progetti per le olimpiadi di Milano Cortina e l’arrivo di aziende della moda come Prada e Moncler, e presto un grattacielo della A2A. Ci vorrebbe però una metropolitana, in quanto hanno solo una linea di tram. Mancano poi dei luoghi di aggregazione in quanto anche i bar la sera chiudono, per cui bisogna spostarsi verso il centro. Se pensa ad una comunità, dovrebbe essere basata sulla democrazia, sul rispetto, il confronto, il dialogo. L’auspicio per il futuro è che si continui a poter vivere bene: lui ha dei figli ed ha un po’ di pensieri... “cosa gli lasciamo”? Un lavoro precario, i debiti … bisogna quindi investire sui giovani ed offrire maggiori sicurezze, altrimenti molti ragazzi continueranno ad andare via.
Mattia è preparatore atletico professionista per il calcio e da quest’anno insegnante di educazione fisica alle superiori. Nel ‘tempo libero’ fa il personal trainer e nella palestra condivisa di 5Square si è proposto di tenere un corso gratuito di allenamento funzionale a corpo libero rivolto agli abitanti del quartiere: un’occasione per stare insieme e tenersi in forma.
Nato e cresciuto a Lodi, si ritiene fortunato ad aver trovato casa qui: il quartiere gli è infatti piaciuto subito, non solo per l’architettura ma anche per l’atmosfera che si sta creando tra gli inquilini. Ha infatti trovato delle persone aperte, con spirito di gruppo e iniziativa: questo lo ha invogliato a mettersi in gioco e proporre lui stesso delle attività. Il fatto di sapere di tornare a casa la sera e trovare delle persone piacevoli e poter contare su di una rete di amicizie per Mattia è un valore aggiunto.
Diverse sono le attività comuni a cui Mattia ha partecipato: oltre allo yoga e ai momenti conviviali, hanno organizzato momenti di pulizia del quartiere e attività di cucina. Rispetto allo spazio condiviso Living, è molto ben arredato e vi sono molte belle attività, per cui dovrebbe rimanere un posto principalmente ad utilizzo degli abitanti. Rispetto alle attività che vi vorrebbe veder nascere vi sono, oltre ai corsi di cucina, dei laboratori di chitarra e di lettura.
Per Mattia una comunità dovrebbe essere innanzitutto solidale: una solidarietà delle piccole cose, che va dal prestarsi il sale all’offrirsi per accudire il gatto o le piante. Il suo contributo alla comunità è quello di mettere a disposizione le sue conoscenze in materia di preparazione atletica e la sua simpatia.
Il Vigentino Mattia lo ha conosciuto durante il lockdown: ne apprezza il verde e le campagne che ha imparato a conoscere, gli orti condivisi, i negozietti in Val di Sole dove poter fare dei buoni aperitivi e i locali in zona Prada.
Il suo auspicio per il quartiere è quello che sia meglio collegato al centro città, magari con una metro, e che nasca una casa dell’acqua. Per la comunità invece il desiderio è che rimanga lo spirito di adesso e che con il tempo gli abitanti non si chiudano in se stessi.
Francesca è architetto, ha due figli, dedica molto tempo al lavoro ma è da sempre anche molto attiva nel suo quartiere: ha infatti fatto parte del comitato genitori ed è stata tra le fondatrici della compagnia dei geniattori. Quando alle medie suo figlio ha avuto un forte disagio sociale, ha scoperto l’associazione Hikikomori Italia Genitori e capito l’importanza di avere un’associazione di riferimento in una situazione del genere.
Il termine Hikikomori viene dal Giappone e significa restare in disparte. Le cause possono essere molte: dal bullismo, alla paura a rapportarsi con un gruppo, allo stato d’ansia derivante dall’ipersensibilità di fronte alle notizie della guerra, alla perdita di una persona cara o al trauma di una separazione dei genitori. Cause differenti ma che portano tutte all’isolamento, all’innalzamento di uno scudo di protezione da un dolore fortissimo. Marco Crepaldi è stato il primo ad approfondire questo argomento in Italia dandogli un nome, in quanto prima era classificato come depressione, ansia sociale o fobia scolastica.
L’associazione è esclusivamente su base volontaria ed è costituita da psicologi che affiancano le famiglie e i ragazzi e da molti genitori che hanno vissuto questa esperienza di isolamento con i figli, si sono avvicinati all’associazione e hanno poi deciso di fare sensibilizzazione. L’associazione non vuole essere un’alternativa all’approccio clinico, perché l’isolamento può portare a delle patologie per cui diventa necessaria una terapia farmacologica, ma si pone come un supporto alle famiglie, che diventa fondamentale in quanto rappresentano il primo anello attorno al ragazzo. Il primo lavoro da fare è quindi di consapevolezza con la famiglia perché cambi atteggiamento e riduca le aspettative. La prima reazione è infatti spesso quella di forzare: a venire a tavola, ad andare a scuola … perché non si capiscono i motivi per cui il ragazzo smette di fare quello che faceva prima. Se la famiglia riesce a creare la condizione ideale, di accettazione che il ragazzo in questo momento non può e non è obbligato a far niente, si crea il presupposto perché il ragazzo si apra e pian piano ritorni alla vita sociale. Nei ragazzi in età adolescenziale è forte il desiderio di fare felici mamma e papà, per cui se si vede nei genitori l’aspettativa rispetto a quello che loro dovrebbero essere in quel momento, il senso di colpa sarà devastante per non riuscire a farli contenti. Se invece i genitori si limitano a dire che ci sono e vogliono bene ai figli a prescindere da quello che riescono o non riescono a fare in quel momento, alleggerendo le aspettative, questo significa aiutarli ad alzarsi da soli. E’ quindi importante alleggerire il clima in casa, mostrarsi sereni, perché vedere il dolore e la delusione nei genitori, il loro mostrarsi affranti, aumenta i sensi di colpa dei ragazzi. Viviamo in una società molto prestazionale e individualista, in cui ognuno deve mostrare di essere intelligente, bravo, bello e i ragazzi più fragili non riescono ad avere questa prestanza. Forse quando eravamo giovani noi c’erano ragazzi meno bravi a cui non piaceva andare a scuola ma non era un problema, si poteva imparare un mestiere ed andare a lavorare. Non c’erano neanche i social, per cui i ragazzi di ora vedono cosa fanno gli altri anche quando loro sono chiusi in casa e quindi soffrono ancora di più a non uscire. D’altro canto però, i social sono anche uno strumento che permette ai ragazzi in isolamento di mantenere una socialità e interagire con i coetanei anche in questi periodi di chiusura.
Si stima che in Italia ci siano centomila ragazzi in isolamento sociale volontario. Chiediamo se ci sono dei primi segnali che i genitori devono stare attenti a cogliere. Francesca ci spiega che i primi segnali possono essere un cambiamento delle abitudini per cui i ragazzi vanno a letto più tardi, trovano delle scuse per non andare alle attività sportive o alle feste, oppure anche un disagio fisico, in quanto i ragazzi possono somatizzare con mal di pancia, emicranie, vomito, dermatiti, per cui è importante saper cogliere questi messaggi e chiedere aiuto. L’associazione può essere contattata via email a info@hikikomoriitalia.it oppure chiedendo di essere inseriti nel gruppo chiuso di Facebook.
L’auspicio è che tutti conoscano questo disagio, che sappiano che è reversibile e che prima ce ne si accorge e meno si cronicizza il desiderio di isolamento. L’auspicio è anche che nessuno si senta solo e che la scuola sappia intervenire tempestivamente con le famiglie per supportare i ragazzi. A lei personalmente vivere questa esperienza ha fatto scoprire un rapporto bellissimo con i propri figli perché si impara a guardare oltre, al bene che vogliamo ai figli e a chi sono come persone. Grazie a suo figlio ha capito anche quante pressioni riceviamo dall’esterno e che potremmo gestire in modo diverso, vivendo meglio.
Maurizio è sociologo dell’infanzia e dell’adolescenza e lavora per la società cooperativa Spazio Pensiero dal 2015. Spazio Pensiero è stata fondata nel 2006 occupandosi principalmente della gestione di asili nido e scuole materne e poi ampliando anche con uno spazio clinico, uno spazio formazione ed uno spazio biblioteca. Nel 2015 è stato avviato un nuovo percorso con la collaborazione del Comune di Milano, per promuovere la partecipazione dei bambini e dei ragazzi. Maurizio è il referente di questa progettualità che ha coinvolto ottanta scuole tra primarie e secondarie di primo grado di tutti i Municipi di Milano. A questa iniziativa ne è poi seguita una seconda dal nome “Idee bambine e pensieri bambini”, sostenuta da Fondazione Cariplo all’interno del programma La Città Intorno, di cui il Comune è partner istituzionale.
L’idea soggiacente a tutte queste iniziative è quella di promuovere la partecipazione sociale dei bambini, considerati a tutti gli effetti dei cittadini con dei diritti e dei doveri. Particolarmente significativa è stata l’esperienza all’interno della scuola Fabio Filzi, dove è stato chiesto ai bambini di intervenire nel parco adiacente alla loro scuola e di immaginare una riqualificazione di questo spazio sia fisica, con il rifacimento del campo da basket e da calcio, che sociale, attraverso una nuova concezione dello spazio pubblico. Questa esperienza dimostra non soltanto la capacità dei bambini di immaginare, ma anche la concretezza delle proposte emerse. Dal percorso avviato con i bambini del Fabio Filzi è infatti nata l’idea di poter rafforzare l’unione dei tre plessi facenti parte dell’istituto e situati in due quartieri differenti tramite la scrittura di un libro in comune, di una storia condivisa, ma anche con un corridoio che potesse unire le comunità scolastiche attraverso il Parco della Vettabbia.
Nel 2019 è stata quindi avviata una progettualità che ha portato alla firma di un patto di collaborazione del sentiero della biodiversità nel maggio del 2023. Progettualità nata per l’appunto dall’idea di un sentiero che potesse unire i tre plessi scolastici attraversando il Parco. Questa progettualità ha creato delle sinergie con associazioni dei Municipi 4 e 5 come Labsus e Italia Nostra e con il Politecnico di Milano, che si occupa di creare delle oasi di biodiversità in diverse parti della città. Sono quindi state create due oasi in due sedi della scuola ed è stato studiato un percorso che unisse i due quartieri. Attorno a questa iniziativa si sono poi aggregate altre associazioni del territorio che si occupano di educazione, biodiversità, promozione della cultura, salute mentale … una varietà di attori che si è unita per dar vita ad un progetto in grado di accrescere la conoscenza del territorio ed arricchirlo di nuove iniziative.
Spazio Pensiero promuove la conoscenza del territorio partendo dai luoghi familiari ai bambini, quelli circostanti la scuola e l’abitazione, i luoghi commerciali, i giardini. In un quartiere come il Vigentino, che può vantare di molte aree verdi, vi è infatti la necessità di rendere questi spazi pienamente fruibili e nelle progettazioni con i bambini è emerso molto chiaramente il desiderio di scoprire i luoghi di prossimità. L’autonomia di scoperta dei bambini è infatti sempre più ristretta, come la loro autonomia di movimento nel quartiere. Si stima che in Italia solo il 7% dei bambini percorra in autonomia il percorso da casa a scuola, contro il 70% della Germania. L’auspicio è quindi che il progetto avviato al Parco della Vettabbia si allarghi anche ad altre zone del quartiere, come anche 5Square dove ci troviamo, in modo da far conoscere questo luogo e farne fruire non solo chi vive qui, perché diventi uno spazio aperto.
Silvia è biologa e lavora attualmente in ambito farmaceutico. Si è trasferita da Roma a Milano dopo il dottorato con il sogno di lavorare nella ricerca scientifica. E’ poi entrata in azienda e del suo lavoro le piace l’idea di contribuire a migliorare la salute dell’uomo.
Nel tempo libero si dedica al volontariato per un’associazione che si occupa di mamme in difficoltà, oltre che ai suoi interessi: i viaggi, la fotografia e la cucina. Il volontariato le ha permesso di entrare in contatto con molte storie, alcune delle quali tristi, ma anche con i sorrisi di molti bambini. Da questa esperienza ha anche imparato l’importanza di dare una seconda possibilità alle persone. Le persone sono poi al centro dei suoi interessi, in quanto le piace fotografarle cogliendole in momenti di spontaneità, così come le piace la cucina in quanto strumento di condivisione e aggregazione.
Silvia si è trasferita qui un anno fa, dopo aver vissuto dodici anni in affitto. Le piaceva l’idea del cohousing, per cui ha subito fatto domanda. Il quartiere le ha fatto fin dall’inizio una buona impressione, ne ha infatti apprezzato il verde e la quiete. Lei è stata una delle prime persone ad arrivare, per cui ha visto il quartiere popolarsi e pian piano sono arrivati i vicini. Il Vigentino ha iniziato a conoscerlo e frequentarlo per necessità, non avendo all’inizio la cucina in casa. Del quartiere apprezza i negozietti in zona Fatima, anche se vorrebbe ci fosse una libreria e un piccolo supermercato di prossimità. Rispetto a 5 Square invece, c’è molta attesa rispetto all’apertura del bar.
Rispetto alle attività organizzate nello spazio condiviso Living, Silvia ha partecipato a diverse attività: dai corsi di yoga e allenamento funzionale, alle iniziative di pulizia del quartiere, allo swappami e agli aperitivi. Essendoci la cucina, vorrebbero si organizzassero più momenti conviviali oppure semplicemente ritrovarsi per un caffè. Vorrebbe poi condividere i suoi interessi con i propri vicini, con delle iniziative di bookcrossing, delle serata di musica jazz e classica, delle serate cinema, delle uscite per fotografare la natura o semplicemente dei momenti dove scambiarsi consigli sulle piante.
Per Silvia una comunità dovrebbe essere aperta, inclusiva di ogni età, genere e cultura, basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco e soprattutto in grado di fornire una rete di sostegno e supporto reciproco. Comunità implica poi la capacità di gestire il conflitto. Per questo è importante l’ascolto e la predisposizione a conoscersi, ognuno con la propria storia, senza pregiudizio. Il suo contributo per la comunità potrebbe essere quello di rendersi disponibile per delle commissioni, come andare in farmacia, dar da mangiare ai gatti … la sua porta di casa è sempre aperta. L’auspicio è che l’entusiasmo iniziale rimanga nel tempo, che si creino dei legami più stretti tra abitanti e che si crei una comunità vera e partecipata che non si riduca ad un numero ristretto di persone.
Giuseppe, originario di Bitonto, vicino a Bari, arriva a Milano tanti anni fa. Un giorno, dopo essere entrato in pensione, è vittima di un furto nella sua abitazione dove perde beni e ricordi dal grande valore affettivo. Cerca giustizia – racconta – una qualche forme di attenzione e rispetto per il danno ricevuto. Quello che ottiene però è scetticismo, << è normale che si venga derubati>> gli viene risposto, ma lui non lo accetta <<possibile che bisogna accettare queste condizioni senza poter fare niente?>>. È a partire da questo evento che decide di fondare un comitato di cittadini insieme ad alcuni amici.
Il “Comitato Sicurezza e Vivibilità Quartiere Forlanini” nasce come forma di impegno sociale e di attenzione verso quanto accade nel quartiere <<Essere volontario nel quartiere per la sicurezza personale, patrimoniale e per la vivibilità del territorio, intervenendo su effetti che deturpano le aree circostanti, come gli atti di delinquenza>>.
Il Comitato diventa Associazione nel 2019 e vede crescere notevolmente il numero degli aderenti, tutti volontari. Tramite l’ALER aprono una sede in comitato d’uso in Via Zante 30. Oggi sono una realtà di riferimento per anziani, adulti e ragazzi per quanto riguarda la sicurezza e la vivibilità del territorio: <<Noi non risolviamo automaticamente i problemi, ma ci poniamo come interpreti nei confronti delle istituzioni e delle forze dell’ordine>>.
Giuseppe abita nel vicino quartiere Monluè, primo esperimento dell’ALER di case a riscatto: qui vennero edificati grandi assembramenti abitativi adibiti per inquilini con una buona stabilità economica. Questo stimolò l’arrivo, a Monluè e a Forlanini, di una folta popolazione medio-borghese. L’identità del quartiere affonda le radici, secondo Giuseppe, in queste caratteristiche demografiche.
<< Non siamo un quartiere malfamato. Il motto è “fermiamo il degrado” impegnandoci verso i problemi>>.
Tra i temi più urgenti c’è quello della riqualificazione del quartiere: molte realtà risentono del passare degli anni, afferma Giuseppe. Il parco giochi di Piazza Ovidio è un esempio dell’impegno civile che, insieme a Fondazione Milano, ha portato al rinnovamento dello spazio e ad un suo ripensamento per i cittadini diversamente abili. Anche Piazza Artigianato ha attraversato una fase di trasformazione: in un passato lontano si configurava come un piccolo luogo di aggregazione, traboccante di servizi e commerci immersi in un’atmosfera da piccolo paese. È stata poi abbandonata, trascurata e usata come parcheggio per molti anni. Dopo svariate segnalazioni e pressioni il comune ha dato il via alla sua riqualificazione. L’obiettivo che ancora si cerca di perseguire è la sua evoluzione da piazza del commercio a piazza del benessere. L’auspicio è che vengano valorizzate le sue aree verdi e i cittadini partecipino sinergicamente alla sua cura <<Se i cittadini partecipano e sono coinvolti nel mantenimento della bellezza, essi stessi diventano più responsabili>>.
L’associazione si impegna anche nella promozione di attività culturali volte alla sensibilizzazione e alla riscoperta dei luoghi storici a rischio di abbandono.
Il tema della sicurezza è tra le fragilità da sempre più a cuore del Comitato: per questo motivo hanno privatamente attivato alcuni gruppi di controllo del vicinato (attualmente sono 4). In diversi raggruppamenti condominiali questi gruppi raccolgono persone che si occupano di monitorare, condividere e attivare eventuali allerte. C’è sì l’attenzione alle anomalie ma, racconta Giuseppe, anche una tendenza, una crescente propensione alla socializzazione.
Nel contesto della sanità, la forte mancanza di medici di base ha spinto l’Associazione ha richiedere formalmente l’apertura di una Casa di comunità nel complesso scolastico abbandonato di via Zama, affinché i cittadini ricevano un adeguato supporto di prossimità. È questa una questione calda, che accende gli animi degli abitanti e del comitato stesso: << Sì al dialogo e alle discussioni ma anche alle manifestazioni, se necessario. Per i progetti volti alla realizzazione dei cittadini siamo disposti a lottare e invitiamo gli abitanti stessi a manifestare perché il sistema sanitario del nostro quartiere è molto deficitario e la casa di comunità rappresenta una possibile risorsa>>.
Per il futuro gli auspici di Giuseppe si delineano in maniera chiara e concreta: il “Nodo tre ponti” (al fondo di Viale Forlanini, arrivando a est dall’aeroporto per entrare in città) è un luogo geograficamente e simbolicamente significativo: le tre arcate del ponte separano nettamente il centro della città dalla periferia. Questa conformazione genera o favorisce un trattamento di semi-abbandono da parte delle istituzioni. L’associazione ha come obiettivo la riqualificazione dell’area attraverso l’aumento delle aree verdi e il miglioramento della circolazione.
L’Associazione “Comitato Sicurezza e Vivibilità Forlanini” si rivolge a tutti i membri del territorio. Raccoglie le istanze, si impegna nel dialogo con le istituzioni e persevera nella cura della comunità, ponendo attenzione alla dimensione educativa. L’auspicio di Giuseppe è che rimanga un punto di riferimento dei cittadini e venga riconosciuta maggiormente dalle istituzioni politiche. A questo proposito aggiunge << Non ci interessa l’appartenenza partitica, ma l'unità concreta e solida tra le persone>>.
Il Caffè Promenade è una presenza consolidata nel boulevard di Santa Giulia da ormai dodici anni. Quattro anni fa è passato in mano ad alcuni conoscenti di Michele che hanno poi deciso di affidargli la nuova gestione qualche mese fa. Una ripartenza fresca in un territorio giovane, un progetto che sta carburando e affinando la sua identità commerciale.
Il bar si propone principalmente come locale per le famiglie ma rimane attento e in dialogo con tutta la popolazione del quartiere. Affinché si rafforzi la visibilità e la forza commerciale, Michele ha deciso di concentrarsi sulla qualità dei servizi e dei prodotti che offre: l’accettazione dei ticket, ricchi pranzi e colazioni, centrifughe e materie prime selezionate, eventi a cadenza settimanale come occasioni di aggregazione per il quartiere: l’English club aperitivo del giovedì che sta riscuotendo un ottimo successo, le serate karaoke e di musica live con apericena il venerdì, l’animazione per i bambini della domenica.
Nel boulevard di Santa Giulia, dice Michele, mancano ancora molti servizi e un’offerta commerciale eterogenea. Un aspetto che svantaggia allo stesso modo abitanti e commercianti: <<Un ambiente così dovrebbe essere pieno di gente e di negozi>>. Palestre, spazi verdi attrezzati per lo sport, il veterinario e un'edicola sono esempi di cosa si potrebbe implementare lungo la più grande arteria commerciale del quartiere. In termini più generali, sostiene Michele, occorrerebbe valorizzare e sponsorizzare meglio il territorio, migliorare l’accessibilità al quartiere e la sua viabilità, coordinare meglio l’offerta commerciale e favorire la vicinanza tra le persone. Per i giovani in particolare mancano luoghi e opportunità, al di là dei bar e dei locali in cui bere.
Michele però è ottimista. Ritiene che con le Olimpiadi del 2026 si raggiungerà una crescita significativa di affluenza e di risorse, con un miglioramento complessivo del quartiere.
Non rivela quali progetti ha in mente per il locale ma per sé stesso, ammette, desidera ritagliarsi maggiore spazio e tempo per riposarsi e coltivare meglio le sue passioni che, oltre al chiringuito, comprendono le macchine, le moto e il ciclismo.
Opoku è un ragazzo ghanese di 19 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 9 anni fa; è stato affidato ad una Casa Accoglienza per minori dove è rimasto fino al compimento dei 18 anni. Ha avuto l’opportunità di studiare e formarsi, concludendo la licenza media. Attualmente vive da solo ed in autonomia e aspetta di iscriversi alle scuole superiori.
Negli ultimi anni si è dato da fare: ha lavorato in una pizzeria per un po' di tempo come aiuto pizzaiolo ed attualmente invece lavora in una piadineria dove il clima e sereno e si trova molto bene ed ha costruito molte relazioni nonostante il suo essere timido.
Opoku ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi ha molti sogni e passioni. Dopo aver concluso tutti gli studi sogna di lavorare in un ristorante come cuoco perchè la cucina è la sua prima passione.
Don Marco festeggia quest’anno 30 anni di vita sacerdotale, spesi soprattutto nelle periferie della città. Bicocca, Vigentino e Rogoredo dal 2009. Del quartiere lo colpisce subito la propensione a fare rete, la vitalità associativa e la capacità solidale espresse tra le persone. Storicamente questa comunità si è sempre distinta per il cooperativismo, il monitoraggio del disagio sociale e fenomeni di migrazione complessa. Anche oggi queste caratteristiche rimangono. Tessere Legami è un esempio di lavoro di rete appassionato, nella gestione e nella promozione delle iniziative.
La Parrocchia della Sacra Famiglia mette radici in un tessuto sociale di forte estrazione operaia e di “reduci combattenti”, un paese nella città. Viene costruita nei primi decenni del ‘900, in seguito alla richiesta degli abitanti di un avere un luogo di culto, ed è da subito vicina alle necessità della gente. Viene infatti allestito l’oratorio per i giovani <<essere attenti alla realtà giovanile perché se c’è del positivo nella giovinezza poi rimane, come buon sapere, anche nell’età adulta>>. Negli anni 60/70 vive una fase complessa per la riorganizzazione della comunità intorno alle novità culturali.
Il grosso cambio di marcia, per il quartiere e la Parrocchia, inizia con gli sviluppi urbanistici di cui Santa Giulia (2009-2014) è stata testimonianza. L’aumento della popolazione, l’insediamento di grandi aziende, la rete di trasporti e servizi, i progetti futuri in via di sviluppo, afferma Don Marco, stanno contribuendo all’evoluzione del territorio. L’aumento demografico di giovani e famiglie è un dato positivo che invita a ripensare le offerte del territorio. Sono in crescita le opportunità lavorative per i giovani ma anche il costo della vita. Di fronte all’intenso processo di crescita e rinnovamento del territorio, la speranza di Don Marco è che l’identità storica del quartiere riesca in qualche modo a preservarsi e a integrarsi nel processo di modernizzazione in atto. Attualmente la Parrocchia della Sacra Famiglia accoglie uno degli afflussi più grandi della città, per questo in futuro aumenterà la sinergia con la Parrocchia di Morsenchio.
Le attività della Parrocchia, oltre al culto e ai sacramenti, si concentrano in particolare intorno alla dimensione educativa verso la realtà giovanile
La realtà parrocchiale è molto attenta anche verso il disagio, con la Caritas che in loco si occupa di un centro di ascolto e con il lavoro di un gruppo di giovani volontari che segue la raccolta alimentare da distribuire ai più fragili.
Una forte tradizione teatrale e cinematografica, soprattutto in passato, ha animato e coinvolto la comunità. Di grade rilevanza anche la sinergia con le associazioni nate all’esterno della Parrocchia, tra cui la scuola di italiano per stranieri, e le molteplici attività culturali che propongono, come ad esempio incontri e conferenze di carattere teologico o rivolte a tematiche salienti. Con un gruppo della terza età vengono svolti percorsi di formazione tecnologica, in risposta alla solitudine e all’isolamento emersi soprattutto durante il periodo del Covid. In collaborazione con l’Associazione Rogoredo Musica sono promossi diversi concerti (specialmente di musica classica) a cadenza mensile in altri spazi del quartiere, come occasione per fare rete.
In generale le attività quotidiane della Parrocchia si rivolgono alle fragilità e ai bisogni dei singoli e delle famiglie << sempre con accoglienza e mai con giudizio. Un sapore, una tendenza>> dice <<che ci caratterizza: andare oltre le barriere e gli steccati e carcare sempre una strada. Accogliere anche chi fa un più fatica per regalargli uno spazio in cui senta di contare e di essere importante>>. Un punto di forza della Parrocchia è infatti il suo essere una realtà non uniforme ma una frontiera, <<una membrana osmotica attraverso cui le sostanze entrano in una dimensione di interscambio>>. Le dimensioni di contatto, dialogo e “contaminazione” sono per Don Marco presenti anche nella relazione con la questione culturale: tenere insieme le differenze e lavorare con la complessità di storie e appartenenze diverse passa necessariamente dal conoscersi, dal capire chi è l’altro e quali valori porta. La Serata Etnica della Festa Patronale celebra il riconoscimento dell’altro nei suoi usi e costumi e valorizza la sua identità. <<Tutte le storie sono diverse, le culture sono diverse, la domanda è come poter preservare la bellezza che ne deriva: solo se la diversità non è paura e pregiudizio diventa opportunità>>. E aggiunge << Quando San Paolo dice "Non esiste più ne’ greco ne’ schiavo ne’ libero’" non intende che sono tutti omologati; ma che l’identità custodita da ciascuno non è determinante per generare differenze così marcate e radicali da diventare contrapposizioni>>.
Don Marco sostiene che nel quartiere non sono presenti particolari tensioni o conflitti perché è diffusa tra le persone la propensione a lavorare insieme e a collaborare. I ragazzi che frequentano la Parrocchia sono spronati a pensare, a interrogarsi verso gli altri, il proprio vissuto interiore, il vangelo e i temi del nostro tempo.
Tra i bisogni e le fragilità più significativi, identifica la necessità di essere ascoltati e riconosciuti nel proprio essere ed esistere come singoli e realtà aggregate; l’aumento della solitudine e dell’incertezza economica; la ricerca di nuovi orientamenti di senso; la mancanza di ambienti alternativi che offrano opportunità e stimoli diversi da quelli quotidiani, che favoriscano in sostanza incontri generativi. I giovani, ad esempio, svantaggiati sul piano numerico sono portatori di idee, qualità, valori e competenze tecnologiche in continua espansione: è importante garantire loro luoghi di espressione e propriocezione, dove al posto dell’omologazione possano ritrovare sé stessi, la loro individualità, affinché possano poi nutrire la collettività. Di fronte a potenzialità, bisogni e desideri dei ragazzi – sostiene Don Marco – gli adulti dovrebbero ascoltare di più: <<Una rete è buona se crea cose positive, importante è capire cosa possiamo fare insieme>>.
Per il futuro si auspica che quanto raggiunto finora continui a crescere e che la Parrocchia prosegua ad accompagnare la comunità, preservando la sua identità e le sue caratteristiche ma sapendo anche dialogare con le esperienze umane e spirituali che, anche se differenti, la fanno vivere. Il rischio del nostro tempo dice è <<in rete con tutti, in relazione con nessuno>>. Si augura che chi lo succederà sia contento di ciò che troverà, si impegni ad arricchirlo, mantenga le buone relazioni e il desiderio di fare comunione: che, in sostanza, continui a prendersi cura della comunità.
Marco vive a Rogoredo da tutta la vita.
Dopo il diploma ha fatto esperienza in tanti settori diversi costruendosi un ricco bagaglio di competenze: muratore, montatore elettromeccanico in una fabbrica, elettricista, vicedirettore di un supermercato, cameriere, autista privato di famiglie facoltose dell’hinterland milanese, specializzato in connettività e rete wi-fi, si è occupato recentemente di eventi in ambito moda. Ed è proprio in quest’ambito che conosce il suo attuale partner lavorativo presso la Cartoleria Livebridge a Rogoredo. Grazie a un poliedrico ventaglio professionale e al forte spirito di adattamento ha guadagnato il soprannome di “camaleonte” perché <<dovunque mi metti faccio>>. Una persona flessibile e propensa a raggiungere sempre qualcosa in più. Si reputa soddisfatto e fiero di sé stesso per gli obiettivi finora conquistati. Aggiunge che sente di appartenere ad una generazione diversa, per la quale il peso e il valore di una laurea erano diversi, quasi ad esclusività dei più facoltosi. Alla sua comunità di riferimento sente di poter offrire soprattutto uno spirito empatico e orientato al problem solving. Le sue più grandi passioni sono le macchine e i motori.
Il quartiere, racconta, è cambiato molto. Prima esisteva un’unica via mentre oggi è connesso con molteplici altre realtà del territorio, come Santa Giulia e Merezzate. È consapevole della narrazione stigmatizzante legata al fenomeno di tossicodipendenza che ha interessato la zona ma aggiunge <<Sappiamo che il boschetto c’è ma la situazione è molto cambiata. A Rogoredo ci sono nato e la difenderò sempre>>.
Cita il Tondo Cafè come unico bar storico rimasto nella zona. Il quartiere si sta evolvendo e con lui l’offerta di servizi per i cittadini. Forti sono i legami comunitari tra le persone, lui conosce tutti. L’età media però è sempre più alta e la maggior parte della popolazione giovane tende a frequentare soprattutto la zona di Santa Giulia.
Rogoredo nasce sul canale Redefossi, con le prime abitazioni - le case bianche - per gli immigrati del sud costruite in amianto. Un’ombra di tristezza attraverso lo sguardo di Marco, <<per l’amianto abbiamo perso molti amici purtroppo>>.
Un tema saliente nel processo di trasformazione del quartiere è, per Marco, quello della multietnicità e della riconfigurazione del tessuto sociale e culturale. Lui si descrive come un conservatore, uno che conosce ed è legato a tutti nel quartiere. Per lui la mescolanza etnica può rappresentare un problema quando esigenze diverse generano un conflitto reciproco. Ma Rogoredo non è nuova agli intrecci culturali: verso la fine del ‘900 il flusso migratorio dal meridione ha infoltito e ridisegnato l’identità del quartiere, il quale è arrivato poi ad una integrazione complessiva che supera le differenti appartenenze. Ora, dice, <<siamo tante etnie, c’è chi va d’accordo c’è chi no>>. Fa fatica a vedere orizzonti di integrazione interculturale ma per facilitare l’incontro e il dialogo tra culture diverse indica come possibile risorsa disporre di un circolo, un luogo di aggregazione aperto a tutti. Un’alternativa anche a realtà già esistenti (es. Circolo Mondini) che sono perlopiù frequentate da gente grande o anziana, e che tendono ad avere un carattere un po’ esclusivo verso i fruitori. Marco propone l’organizzazione di eventi freschi e dinamici, come il Carnevale che si teneva in passato quando il Parroco andava a coinvolgere direttamente i ragazzi che giocavano ai giardini e li invitava a partecipare. Iniziative, insomma, che siano stimolanti, proattive e si muovano in direzione delle persone senza limitarsi ad attenderle.
Tra le risorse di cui dispone il quartiere, oltre alla calorosa genuinità dei suoi abitanti, ci sono sicuramente i progetti legati alle Olimpiadi del 2006, che potrebbero potenziare il territorio nella sua totalità anche se attualmente sembra avvenire maggiormente nel quartiere di Santa Giulia.
Tra gli elementi di fragilità su cui lavorare, di primaria importanza è l’aumento di connessioni e relazioni tra quartieri affinché si indeboliscano le discriminazioni reciproche: <<Rogoredo è bella>> ripete più volte Marco <<piena di gente genuina, di signore che parlano milanese, pugliese… di qua invece>> in riferimento a Santa Giulia, in un cui bar stiamo svolgendo l’intervista <<si è trasferita anche molta gente che stava a Rogoredo, forse per avere più tranquillità. E tra di loro ho sentito che molti tendono a discriminare la vecchia Rogoredo>>. Anche arricchire e migliorare la gamma di servizi proposti (garantendo sportelli bancari) è un elemento di necessità.
Per Marco l’idea di comunità si esprime nell’immagine di una grande famiglia in cui tutti si conoscono.
Per il futuro si auspica una maggiore sicurezza nel quartiere e che si mantenga vivo un senso di fratellanza e coesione tra la gente, indipendentemente dalle singole differenze <<Siamo qui ormai, ci siamo e dobbiamo viverci>>. Per sé stesso desidera continuare a migliorarsi, proseguire l’attività della Cartoleria e magari espanderla, potenziarla, non per i soldi – spiega – ma per dare un buon servizio alle persone.
Maria Cristina è una psicoterapeuta e si occupa di gioco d’azzardo dagli anni novanta, quando ancora se ne parlava poco. Dalla costatazione che nei SerD, i servizi per le Dipendenze patologiche, arriva meno popolazione di quanta risulti avere dipendenze da gioco d’azzardo, è nata l’idea di aprire uno Sportello in un luogo neutro come l’ospedale, un luogo di cura e un luogo di passaggio, dove le persone entrano senza avere il timore di essere visti come in un servizio per le dipendenze. Attualmente ci sono tre sportelli aperti: al San Carlo, dove ci troviamo, al Niguarda e al Fatebenefratelli. Lo sportello è aperto da Aprile, dal lunedì al venerdì, e ci si può rivolgere in persona, oppure contattarlo via email o telefono per una maggiore privacy. I colloqui individuali avvengono in una sede riservata, in seguito ai quali la persona accetta di fare un percorso per cui verrà contattata dal SerD.
Lo Sportello è rivolto a tutti e, trovandosi in un luogo di passaggio, si prefigge di raggiungere in particolare i giovani e le donne, che sono la popolazione che più difficilmente arriva ai SerD. Sono infatti in aumento le donne e i giovani che sviluppano una dipendenza dal gioco d’azzardo. Se poi spesso gli uomini arrivano accompagnati da un familiare o dalla compagna, le donne vengono spesso sole, adducendo delle giustificazioni, come una crisi in famiglia o la solitudine. Lo stigma sociale è infatti ancora oggi più forte nei confronti delle donne, che nell’immaginario comune sono coloro che salvaguardano l’economia familiare. Anche il numero dei ragazzi che gioca è elevato, tra cui il numero di minorenni in quanto, sebbene il gioco sia vietato sotto i diciotto anni, per il gioco online è facile aggirare i controlli.
In questo il lockdown ha portato ad un grande cambiamento, perché ha aumentato di molto le giocate online ed il trend è rimasto in crescita anche con la riapertura delle sale. Al momento dell’intervista non erano ancora stati pubblicati i dati per il giocato del 2022 ma si possono stimare sui centoquaranta miliardi di euro giocati, di cui oltre la metà giocati online. Purtroppo da alcuni anni i dati non vengono più divisi per provincia ma si ha solo il dato nazionale: questa suddivisione era molto utile per sapere in quali province si concentrasse il maggior numero di giocatori ed adottare delle politiche conseguenti. Per cui l’auspicio è che si ritorni ai dati suddivisi per provincia.
Chiediamo a Maria Cristina se vi sia una differenza tra i termini gioco d’azzardo e ludopatia. Maria Cristina ci spiega che il termine ludopatia indica la dipendenza da qualsiasi gioco: anche per la dipendenza da videogiochi si può quindi parlare di ludopatia. Il gioco d’azzardo invece è stato proibito negli anni trenta in quanto può portare a grandi sofferenze con il dilapidarsi dei risparmi di una vita. Vi sono però state diverse deroghe e si è poi stabilito che il gioco diventasse monopolio di stato per sottrarre i soldi all’illegalità, anche se vi è un mercato parallelo illegale immenso in cui le mafie sono ben inserite. Rispetto al gettito nelle casse dello stato, si pensa quindi che non arrivi neanche al 10% del giocato … una cifra che non serve neanche a coprire le spese dello stato per far fronte alle conseguenze, fisiche e psicologiche, di chi sviluppa una dipendenza. I dati ci dicono che dei venti milioni di Italiani circa che giocano, circa cinque milioni giocano in maniera problematica e a rischio. I servizi di assistenza sono gratuiti e garantiscono l’anonimato, anche se spesso non si è a conoscenza di questi servizi e vi ci si rivolge quando ci si è già rovinati.
Spesso la dipendenza è legata ad una vincita iniziale e viene alimentata dai nostri errori cognitivi che sono usati per farci giocare di più: ad esempio l’idea di avere “quasi vinto” se escono dei numeri contigui al nostro oppure piccole vincite che in realtà non coprono neanche il nostro giocato. A tal proposito sono state avanzate numerose proposte, come delle interruzioni del gioco che non facciano perdere oltre ad una certa cifra, dei messaggi di allerta oppure l’obbligo di giocare con la tessera sanitaria. Ad oggi queste richieste sono rimaste inascoltate. La dipendenza è trasversale alle classi sociali, anche se è dimostrato che nei periodo di crisi e di difficoltà economica, di disperazione in cui si sente di non avere niente da perdere, si gioca di più. Per i cari, i campanelli di allarme sono dei cambi di umore, un atteggiamento di chiusura e delle bugie volte a coprire delle assenze al lavoro o problemi economici.
Lo Sportello sta portando avanti un’importante campagna informativa, con presentazioni in tutti i municipi e con sessioni di formazione rivolti agli assessori e agli operatori sanitari, inclusi i CPS. Molti disturbi infatti, dalle gastriti al forte stress, fino a dei tentati suicidi, sono riconducibili alla dipendenza da gioco d’azzardo. In questi primi due mesi hanno avuto un ottimo afflusso, con persone che quotidianamente si fermano a chiedere informazioni. Maria Cristina ci lascia quindi con un messaggio di speranza, per dire che loro sono qui e non danno giudizi e che l’importante è fare il primo passo e chiedere aiuto, in quanto con l’aiuto del personale esperto si può uscirne.
Marco è laureato in economia e commercio e nella sua vita ha fatto di tutto: organizzazione di eventi, progettazione, attività nelle scuole, corsi di teatro e ripetizioni private. E’ entrato in contatto con UILDM per la prima volta a nove anni, perché i suoi vicini di pianerottolo avevano la distrofia muscolare. E’ stato prima coinvolto in alcune attività, come l’hockey in carrozzina, e poi ha fatto il servizio civile ed è rimasto. Ora Marco è il Presidente di UILDM e in quanto tale si occupa di coordinare le sessantasei sezioni, così come di tessere collaborazioni con altre associazioni e di fare advocacy presso le istituzioni. In quanto figlio unico ha sempre apprezzato stare in compagnia, motivo per cui si è sempre occupato del sociale. Nel tempo libero gli piacciono il cinema, la lettura, il canto e in generale lo stare assieme agli altri.
UILDM, l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, segue le persone con distrofia muscolare dalla diagnosi alla morte, che oggi è più lontana grazie ai progressi scientifici. Accompagnano quindi le persone nelle diverse fasi della malattia, dando informazioni su come affrontarla e sui centri e servizi di riferimento, ma si occupano anche fornire un sostegno per le piccole cose del quotidiano, per esempio gli spostamenti oppure le commissioni. A Milano c’è anche l’Agenzia per la Vita Indipendente che si occupa di accompagnare le persone con qualsiasi tipo di disabilità in percorsi di vita indipendente. Recentemente UILD ha acquisito degli appartamenti nell’housing sociale di 5Square, dove ora ospitano due studenti universitari fuori sede. In estate, grazie all’aiuto di volontari, organizzano anche delle vacanze con i ragazzi.
Un altro importante filone di attività riguarda le attività di sensibilizzazione nelle scuole, dalle elementari alle superiori. Innanzitutto si presentano e lasciano che i ragazzi facciano domande in modo di abbattere le barriere: la distrofia muscolare è infatti una malattia poco conosciuta. Poi organizzano dei giri per le strade per sensibilizzare sulle barriere architettoniche oppure diverse attività in cui i ragazzi sono portati a calarsi nei loro panni: come chiedere ai bambini di disegnare con la mano sinistra oppure far giocare ai ragazzi l’hockey in carrozzina contro di loro. Hanno poi delle collaborazioni con diverse università a Milano per formare il personale a saper accogliere una persona con disabilità. Il lavoro di sensibilizzazione che loro fanno serve a tutti, perché educa ad un mondo inclusivo di tutte le diversità, non solo le disabilità.
Marco abita a Cenni e si ritiene fortunato in quanto durante il lockdown il condominio aveva fatto una chat in cui ci si metteva a disposizione e ci si aiutava a vicenda. E’ un modo di vivere un po’ come al tempo dei suoi nonni, dove ci si conosce e ci si interessa dell’altra persona, non è quindi solo un relazionarsi da “ho finito lo zucchero”. Guarda perciò con interesse alla comunità che si sta creando a 5Square, dove si aspetta partecipazione e inclusione delle persone con distrofia ospitate nei loro appartamenti. Sarebbe anche bello che i condomini si mettessero a disposizione per delle piccole commissioni. Dal canto suo, vorrebbe invece organizzare degli incontri con i bambini oppure delle partite di hockey in carrozzina. Rispetto allo spazio comune, è un grande spazio che deve quindi essere utilizzato al massimo per guardare assieme le partite, fare delle feste, dei corsi di teatro, delle attività con i bambini, una cena etnica o semplicemente una partita di scacchi. La comunità che si sta venendo a creare dovrebbe quindi essere vivace, positiva – deve migliorare la vita delle persone e non peggiorarla- e anche comprensiva e che si pone in ascolto.
Del suo lavoro a Marco appassiona il poter aiutare le persone, in quanto rivede se stesso da piccolo. Se dovesse però formulare un auspicio sarebbe quello di scomparire, in quanto vorrebbe dire che non c’è più bisogno dell’associazione perché la società è già sufficientemente inclusiva.
Antonio è nato alle porte di Milano da genitori di origini lucane. Si è poi trasferito a Milano Sud quando le sue due sorelle si son stabilite qui con i mariti e sono nati i nipotini. Ha quindi colto l’occasione per fare domanda per un appartamento nel nuovo quartiere di 5Square in modo da poter essere più vicino alla sua famiglia. Trasferitosi a 5Square da circa un anno, non ha ancora avuto modo di esplorare a piedi il quartiere Vigentino: motivo per cui per le commissioni ricorre frequentemente agli acquisti online, anche se preferirebbe conoscere e frequentare i negozi di quartiere. Del quartier Vigentino tuttavia apprezza molto le aree verdi, elemento per lui fondamentale per una buona qualità della vita, e vorrebbe scoprire le diverse cascine dove si producono prodotti a kilometro zero. Ha anche colto una certa storicità del Vigentino e una dimensione di quartiere, in cui le persone si conoscono e si salutano, che gli piacciono : il Vigentino è quindi un quartiere con un’anima, un luogo da esplorare.
Da libraio con una vera passione per i libri, pensa che una libreria sarebbe un bel servizio per un quartiere popoloso come il Vigentino. Vorrebbe anche ci fossero degli spazi di socializzazione per persone di tutte le età, per attività diurne e serali: dei presidi gestiti dalle associazioni in grado di intercettare le persone in difficoltà, ma anche dei posti dove poter passare la serata ascoltando musica dal vivo ma che siano economicamente accessibili.
La passione per i libri Antonio ce l’ha da quando era giovane e gli piaceva leggere le storie di persone, mosso da una naturale curiosità e anche da un desiderio di evasione dal presente. Lo appassionano poi la musica tradizionale, le feste popolari e i riti del Centro e Sud Italia e lui stesso suona i tamburi a cornice e vorrebbe imparare a suonare la zampogna. Alla domanda su come vorrebbe utilizzare lo spazio condiviso di 5square, il Living, Antonio risponde che vorrebbe vederlo colmo di libri che gli abitanti possano prendere in prestito e animato da corsi di danze popolari o altre attività, in ogni caso un luogo aperto, accessibile e dove poter venire a passare del tempo e fare due chiacchiere.
La sua idea di comunità è di un posto inclusivo, aperto e unito nonostante le diversità, così come solidale e che non lascia le persone sole, perché c’è molta solitudine in tutte le fasce d’età. Antonio è rappresentante di scala ed ha avuto modo di incontrare i suoi condomini: molti si trovano qui in ragione del canone calmierato vista la situazione di emergenza abitativa a Milano. Il desiderio però è che si realizzi a pieno quella dimensione sociale, anche se investirsi per la propria comunità richiede sacrifici di tempo. Per sé invece l’auspicio è di continuare quella evoluzione personale interiore che porti ai cambiamenti auspicati.
Federica lavora al Gestore Sociale di 5Square e segue anche lo Sportello di Spazio Aperto Servizi, uno sportello di orientamento ai servizi del territorio. Di formazione amministrativa, ha iniziato a lavorare qui a 5Square da circa un anno in quanto le interessa il settore dell’abitare.
Lo Sportello ha visto in questi mesi una maggiore utenza da parte degli abitanti di 5Square in ragione della prossimità fisica, ma i suoi servizi si rivolgono anche a quanti abitano nei quartieri limitrofi. Lo Sportello offre principalmente assistenza nell’espletamento di pratiche burocratiche, per esempio i diversi bandi e bonus della Regione Lombardia. L’idea è poi quella di adeguare l’offerta ai bisogni, allargando ad esempio a servizi di orientamento alla ricerca del lavoro.
Del suo lavoro a Federica piace l’ambiente familiare ed il rapporto di vicinanza con gli abitanti degli housing, per cui chi si rivolge al Gestore per questioni amministrative si ritrova poi a chiedere assistenza anche su altri livelli. Sta quindi scoprendo l’aspetto legato alla gestione della community all’interno dell’housing che nel condominio dove abita lei a Milano non esiste. Quello che si sperimenta qui è quindi un modello da replicare, in cui gli abitanti si fanno promotori di iniziative, come le attività sportive di yoga, zumba, allenamento funzionale e hip hop che si tengono in palestra, oppure gli aperitivi, lo spazio compiti e altre iniziative che si tengono nello spazio comune Living.
In questo luogo prima vi erano solo edifici abbandonati da decenni: si è trattato quindi di un notevole progetto di riqualificazione e di edilizia responsabile, per cui al posto di demolire si è voluto ristrutturare gli edifici esistenti. Il progetto deve ancora essere completato con la ristrutturazione degli edifici mancanti, l’ampliamento del verde, l’installazione di locker e di una casa dell’acqua. La recente deviazione della linea trentaquattro ha permesso una migliore connessione urbanistica tra 5Square ed il quartiere Vigentino. E’ quindi un quartiere in evoluzione, in cui presto apriranno degli spazi commerciali, come una panetteria, un bar, una cartolibreria, e dei servizi, come un asilo nido ed una scuola materna ed uno studio dentistico … oltre ai servizi già attivi come il poliambulatorio ed il consultorio.
L’auspicio è quindi che i lavori finiscano presto restituendo agli abitanti un quartiere bello e vivibile. Per la comunità invece il desiderio è che ancora più persone partecipino alle attività, nonostante tra gli abitanti vi sia già una buona partecipazione e voglia di mettersi in gioco.
Tessere Legami è una rete territoriale che unisce i quartieri di Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate. Nasce dal desiderio di costruire un calendario condiviso tra associazioni al fine di coordinarsi nell’organizzazione di eventi e far nascere possibili collaborazioni. La rete si riunisce regolarmente online, lo strumento informatico rendendo la partecipazione più semplice. Inizialmente si trattava di uno scambio di informazioni sulle attività proposte, poi la rete ha iniziato ad invitare associazioni esterne con progetti attivi sul territorio così come personalità di rilievo, quali l’assessore alla cultura del Municipio quattro. La rete è quindi a tutti gli effetti un luogo virtuale per coordinarsi e favorire la nascita di progettualità condivise.
Rispetto alla vivacità del tessuto associativo, in particolar modo a Rogoredo, Alberto spiega che la componente sociale ed associativa è stata storicamente sempre molto attiva. I lavoratori della Redaelli si erano infatti già costituiti all’epoca in un gruppo d’acquisto, così come gli abitanti di Rogoredo. Dall’unione negli anni sessanta di queste due cooperative assieme ad altre nasce l’embrione di COOP Lombardia. Gli stessi lavoratori della Redaelli si mettono assieme e negli anni trenta nasce la Cooperativa Edificatrice di Rogoredo, che ha costruito molti degli alloggi degli abitanti del quartiere, oggi divenuta Delta Ecopolis. Da un movimento cooperativo nasce anche il Circolo ARCI Mondini e diverse associazioni nazionali sono presenti a Rogoredo, come A.N.P.I., Auser, Caritas. Molte sono anche le associazioni di quartiere, come il Centro Icare, nato da un gruppo di genitori che si sono organizzati per attivare attività di doposcuola per i bambini.
La vivacità del quartiere si spiega in parte con il legame con il quartiere di molte persone nate e cresciute qui, da cui il desiderio di investirsi per migliorare il luogo dove si vive. Molte sono però le persone che sono arrivate in età adulta e qui han messo radici, integrandosi nella comunità. Il quartiere ha quindi saputo accogliere i nuovi arrivati, anche se la partecipazione oggi è minore che negli anni passati, così come minore è la voglia di investirsi in prima persona nell’organizzazione di attività.
La nascita di Merezzate ha collegato urbanisticamente i tre quartieri che rimangono però ancora oggi divisi. Le scuole e la parrocchia hanno anche contribuito allo spostamento delle persone da un quartiere all’altro. Le associazioni potrebbero poi dare un ulteriore contributo con progettualità condivise. Un esempio di attività che unisce i tre quartieri è la Strarogoredo, una manifestazione sportiva curata da quasi tutte le realtà locali, non necessariamente sportive, che per un giorno unisce Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate. L’auspicio per il futuro è che si riesca davvero a costruire un quartiere unico e che il progetto del quartiere Santa Giulia sia realizzato pienamente in una logica includente, con la riqualificazione delle aree ancora dismesse.
Damian ha 29 anni, è originario dell’Ecuador ed è arrivato in Italia quasi 16 anni fa. È nato con Spina bifida e Meningocele, patologia che colpisce la parte neuronale della schiena e che lo ha portato nel corso degli anni a svolgere una serie di interventi, l’ultimo dei quali lo ha compromesso sulla sedia a rotelle.
Inizia così il racconto di Damian, con voce squillante e sguardo sereno. Si ritiene fortunato, spiega subito. L’esperienza della sedia a rotelle è stata un’opportunità che gli ha consentito di scoprire altri mondi e conoscere ad esempio diverse discipline sportive a cui si è appassionato.
Si è sempre sentito libero, anche se nel suo paese di origine <<bellissimo, che consiglio a tutti di visitare>> aggiunge, ha spesso incontrato diverse barriere architettoniche e psico-culturali che hanno alimentato in lui il desiderio di trasferirsi e raggiungere la mamma che già viveva in Italia, << una mentalità diversa è già un grandissimo cambiamento>>.
Arrivato in Italia il processo di integrazione è stato impegnativo, segnato anche da esperienze di bullismo all’interno delle mura scolastiche. Vive nel quartiere di Chiesa Rossa ormai da 15 anni, dopo un primo periodo vissuto vicino ai Navigli. Si dice soddisfatto e profondamente affezionato a questa zona in cui, spiega, << sembra di essere fuori città invece sei ancora a Milano ma con un sacco di verde>>. Si descrive come una persona che ha bisogno di rimanere costantemente attivo e in movimento, << in casa non ci so stare>> dice; al di là dei numerosi spazi verdi e dei servizi di prima necessità presenti nel quartiere, secondo Damian mancherebbero però alcuni servizi e luoghi dedicati allo sport.
La sua famiglia gli è sempre stata accanto, esortandolo a fare qualsiasi cosa, senza esitazioni e senza timori: <<dalla vita in su non ho problemi, posso fare quello che voglio>>. Forse anche per questo il ventaglio di interessi e passion di Damian è particolarmente ricco: dalle uscite con gli amici, all’andare a ballare, dalla pasticceria allo sport. Di quest’ultimo si è dedicato principalmente al basket in carrozzina, alla pallanuoto, al rugby, al tennis, all’hockey e recentemente anche al sollevamento pesi (di cui è stato 5 volte campione italiano).
Lo sport per Damian è espressione di costanza e impegno; è uno spazio di condivisione gruppale ma anche di cura e valorizzazione individuale.
Pensando a quale contributo potrebbe offrire alla sua comunità, Damian sottolinea il suo animo intraprendente e stacanovista. Da quando è piccolo coltiva l’amore per la cucina e la pasticceria, passioni che durante gli anni delle superiori viene esortato ad abbandonare << perché le cucine non erano pensate e fornite per una persona in carrozzina>>. In assenza di strumenti e risorse Damian ha avuto la pazienza e la perseveranza di specializzarsi in una disciplina economica lontana dai suoi interessi e di coltivare contemporaneamente la passione per la cucina tra le mura di casa. Il suo sogno è aprire un giorno un ristorante e una pasticceria, offrendo alle persone con disabilità le risorse e gli strumenti con cui perseguire il loro sogno di lavorare in cucina. Il dolce con cui si descriverebbe è una torta al cioccolato con mousse e bignè di crema e cioccolato
Per il futuro si augura di poter aiutare sempre più persone che come lui stanno vivendo una situazione di disabilità; essere per loro un punto di riferimento, continuando a condividere l’entusiasmo, la passione e la motivazione a realizzare i propri sogni in piena libertà.
Mohamed è arrivato a Torino a dicembre 2022 ancora minorenne da una città a sud del Marocco. I suoi genitori in Marocco hanno due negozi di parrucchieri, uno per donne e uno per uomini ma Mohamed dopo gli studi scientifici delle scuole superiori è arrivato in Italia per cercare lavoro e allargare le sue opportunità ed esperienze. Adesso sta seguendo un corso di italiano per stranieri il pomeriggio mentre durante la mattina si incontra con gli amici per giocare a calcio o ascoltare della musica insieme dal rap all hip-hop. Torino gli piace moltissimo e con i suoi amici frequenta molto la città nei suoi spazi all'aperto per una partita a calcio e per ascoltare la musica insieme.L'idea di poter lavorare in un bar e diventare un master dei cappuccini lo alletta particolarmente, Mohamed è un grande amante del caffè e diventare un barman specializzato è qualcosa che lo renderebbe molto felice.
Amine è arrivato a Torino in cerca di un'opportunità per il suo futuro. Il suo viaggio comincia all'età di 19 anni quando decide di lasciare Casablanca per andare in Ucraina a studiare medicina. Ha iniziato con studiare la lingua ucraina, requisito fondamentale per accedere al corso universitario di medicina ma il suo percorso si è dovuto interrompere a causa dell'inizio della guerra nel 2022. Costretto ad andare via è riuscito a scappare dalla guerra arrivando così a Torino sempre però con il suo grande sogno nel cassetto : diventare medico. Sogno nato da una promessa fatta alla mamma e dal suo grande amore nel voler aiutare gli altri e salvare vite, missione che ogni dottore ha dentro di sé. Gli piacerebbe poter continuare gli studi universitari in Italia o in Francia per diventare così un chirurgo.Ad oggi Amine ha intrapreso un nuovo percorso nell'ambito del bar e della ristorazione e vorrebbe farlo diventare un lavoro che lo accompagna nel suo percorso di studi, un modo per essere totalmente autonomo ed indipendente.
"Sono una ragazza molto sorridente e molto felice sin da piccola, con la mia famiglia e con i miei amici"Rut inizia così la conversazione durante il nostro incontro, sin dal primo momento si capisce quanta energia, solarità e dolcezza emani. Una giovanissima ragazza peruviana dagli occhi scintillanti e pieni di voglia di vivere. In Italia si sente felice e tranquilla con la possibilità davanti a sé di poter scegliere cosa fare e seguire i suoi sogni. A Torino vive con il fratello gemello Abraham arrivato con lei da Lima e la mamma già residente a Torino da qualche anno, mentre i suoi fratelli si trovano ancora in Perù. Il suo sogno nel cassetto è quello di poter studiare per diventare infermiera, aiutare il prossimo e prendersi cura di chi ha bisogno è parte fondamentale della sua persona e desidererebbe moltissimo riuscire a realizzarlo.
Originario del Perù, Fernando José è in Italia da due anni ed è arrivato a Torino per raggiungere la mamma già residente in Italia da 13 anni.Appassionato di freestyle ascoltava diversi MC di rap e all'età di 11 anni andava ad ascoltare freestyle nelle piazze della sua città natale in Perù. Tra i suoi guru del rap ci sono Eminem 50 cent ma anche rapper originari del Sud America che gli danno grande fonte d'ispirazione e motivazione per coltivare la sua passione. Fernando José oltre essere appassionato di freestyle e quindi improvvisare rime con amici nei pomeriggi, scrive i testi delle sua canzoni che trattano temi sociali ma anche delle piccole cose della quotidianità che vive. Gli piacerebbe lavorare in un bar con musica dal vivo e legato alla cultura musicale dove poter socializzare e creare connessioni.
Eduard ha 18 anni ed è originario del Perù. E' arrivato in Italia all'età di sei anni per questioni sanitarie e dall'ora vive a Collegno vicino a Torino insieme alla sua famiglia. Il prossimo anno finirà gli studi superiori all'istituto tecnico industriale Ettore Majorana di Grugliasco con indirizzo elettronica automazione, gli piacerebbe avere un periodo di pausa dagli studi finito le superiori per lavorare nel campo della bar e della ristorazione per poi proseguire all'università gli studi in robotica. Grande amante della musica dal rock inglese alla classica al rock spagnolo anni '80, Eduard ha sempre la musica con sé mentre cammina cucina ed esce con gli amici, cuffie nelle orecchie o con cassa mentre è con gli amici. Da poco si è appassionato al ballo ed insieme a sua cugina sta iniziando a fare pratica di balli caraibici come la salsa e la bachata.
La dolcezza di Denis la si percepisce al primo sguardo. Giovanissimo arrivato a Torino da pochi mesi, Denis nato e cresciuto a Tirana in Albania è arrivato a Torino con l'intenzione ed il sogno di realizzarsi.Denis è il più giovane di quattro fratelli, due lavorano come elettricisti in inghilterra mentre sua sorella al momento si trova in Svizzera a studiare ingegneria. Il sogno nel cassetto di Denis è quello di fare il barbiere, in Albania ha lavorato in un negozio di barbieri e qui a Torino sta seguendo il corso triennale per parrucchieri presso la cooperativa Piazza dei Mestieri. Vorrebbe molto presto potersi ricongiungere con la mamma, al momento ancora a Tirana e perché no magari un giorno ritornare in Albania, terra che conserva strettamente nel suo cuore.
Abraham è un giovanissimo ragazzo di 19 anni arrivato in Italia da poco più di un anno con dei grandi desideri. Il primo era quello di stare vicino a sua mamma, in Italia per lavoro già da qualche anno e il secondo (ma non ultimo) quello di poter conoscere tutta la cultura italiana con i suoi luoghi e tradizioni. Si definisce un ragazzo timido ma molto curioso e grande amante della lingua Italiana, Abraham è rimasto molto colpito da Torino e dalla gentilezza delle persone, vorrebbe un giorno aprire un negozio gastronomia per cucinare prodotti tipici peruviani ma anche prodotti della cucina italiana per far conoscere ed incontrare le diverse culture. Il ritmo scorre nelle sue vene e ci racconta sorridendo che un suo grande sogno è quello di scrivere e cantare, un sogno che anche se lontano sente particolarmente vivo dentro di sé.
Yassine è un giovane ragazzo di 20 anni. E' arrivato a Torino nel 2005 dal Marocco insieme a sua mamma per raggiungere il papà che lavorava in un officina come meccanico. All'apparenza molto timido, Yassine ha molto da raccontare dalle passioni ai viaggi ai piccoli grandi sogni nel cassetto come quello di giocare a calcio. Simpatizzante per la squadra del Napoli, ci racconta che ha esordito in serie D nel ruolo di attaccante di destra ma per una serie di vicissitudini ha deciso di abbandonare. Ha svolto diversi lavori dall'aiuto cuoco in un ristorante giapponese all'operaio per Amazon. A Yassine non dispiacerebbe avere nuovamente la possibilità di esplorare il modo della cucina e ristorazione per specializzarsi in un lavoro che lo renda indipendente ed appagato.
Michele ha 23 anni e ha già una nutrita esperienza nel campo della ristorazione e del bar e anche come fattorino. La sua voglia di lavorare e conoscere nuove persone, per lui un aspetto molto importante, lo hanno portato ad appassionarsi a diversi ambiti lavorativi e a cimentarsi in occasioni diverse. Proviene da una scuola alberghiera che gli ha permesso di imparare tutto ciò che fino a oggi conosce di questo campo. Michele ci racconta quanto la famiglia, l'amore e la condivisione siano dei valori e degli aspetti della vita per lui molto importanti e a cui non potrebbe mai rinunciare tanto da, nonostante la sua giovane età, voler formare una famiglia con il suo compagno. Ama il campo artistico e performativo e sogna di poterci lavorare. Nel 2018 è iniziata la sua passione per le esibizioni e il mondo Drag Queen.
Intraprendenza e motivazione sono le due caratteristiche che spiccano al primo incontro con Martina, che ha 25 anni ed è torinese. Le piace precisare che è nata di venerdì 17 e ha un gatto nero. E' studentessa di scienze geologiche all'Università di Torino ed è sempre in cerca di cose da fare, tanto che ha sempre lavorato durante gli studi per sconfiggere la routine quotidiana. Si definisce un "terremoto" per la sua costante ricerca di attività che non la facciano stare ferma. Il suo obiettivo è quello di poter lavorare nel campo climatico e meterologico in Italia dopo il conseguimento della laurea. Ha il desiderio di avvicinarsi al mondo lavorativo della ristorazione proprio per la sua indole attiva e sempre in movimento. Chi si ferma è perduto è il suo motto.
Kozdo significa "maschio nato di lunedì" e come da tradizione dell'Africa Occidentale, è il nome che viene dato ai neo-nati maschi di lunedì. Kozdo Guillame è il nome completo di questo ragazzo di 29 anni, che gli amici chiamano Guy per facilità e praticità. Guy sta pensando di accorciare il suo nome ma non sa ancora come e con quale si identifica. Arrivato a Firenze nel 2016, ha raggiunto i suoi genitori già residenti da qualche anno e si è iscritto a un corso universitario di Firenze in letteratura e lingue straniere applicate. Per mantenersi ha lavorato nel campo della ristorazione e del cocktail bar affinando sempre di più le sue conoscenze fino all'arrivo a Torino per il conseguimento di un'esperienza lavorativa. La sua voglia di conoscere e sperimentare lo hanno portato a iscriversi a un corso online di programmazione software, lavoro che può permettergli di lavorare da qualsiasi luogo integrato eventualmente ad altro.
Claudia ha 19 anni, è nata a Torino ma ha origini venete. E' un'appassionata danzatrice e in passato ha gareggiato agonisticamente in competizioni caraibiche, oggi pratica l'hip-hop stile che ritiene più nelle sue corde e che la rappresenta totalmente nella sua espressività. Presa dallo studio e dai molti impegni, Claudia aveva momentaneamente scelto di sospendere questo sport a malincuore. Da quasi sei mesi ha ripreso a praticarlo con l'intenzione di non abbandonarlo più, per il benessere che le crea e per il sentimento che le genera. Il suo obiettivo, a oggi, è quello di entrare subito nel mondo del lavoro e di non continuare gli studi: ma mai dire mai. Da quando si è diplomata Claudia ha avuto la possibilità di sperimentare diversi lavori fino a capire che quello che più le interessa è nel campo della caffetteria e della ristorazione.
Lucas ha quasi 21 anni, è argentino e ha una grande passione per la caffetteria e la creazione di cocktail. A Cordoba aveva già lavorato nel campo della ristorazione come barman e a Torino ha ripreso questa passione come mezzo di sostentamento economico. Uno dei suoi desideri è quello di poter studiare il settore moda e più precisamente diventare stilista. Tutto il sapere acquisito fino a oggi nel campo della creazione di propri capi d'abbigliamento gli è stato tramandato dalla nonna, grande appassionata di cucito. Felice però di intraprendere questa nuova esperienza, Lucas è coraggiosamente pronto a conoscere la realtà lavorativa italiana senza dimenticarsi della sua yerba mate.
Candela viene dall'Argentina ed è in Italia da pochi mesi. Definisce il suo arrivo in Italia, e quello del resto della sua famiglia, come un ritorno perché i suoi tris nonni erano originari delle Marche e della Calabria. Candela è contenta di vivere a Torino e la definisce una città tranquilla ma nello stesso tempo attiva in tutti i suoi servizi, la considera una città multiculturale con persone che arrivano da tutto il mondo e che hanno voglia di creare legami. Candela ha studiato disegno in Argentina ed è parte integrante della sua quotidianità svolgendolo anche come lavoro su commissione, il suo stile è tra il comico e il cartone. Un'altra sua grande passione è il caffè, motivo per cui è salita a bordo del progetto di tripla AAA. Figlia d'arte, mamma scrittrice e papà attore, Candela è una giovane artista talentuosa, con tanta energia e voglia di mettersi in gioco.
Anthonia è originaria della Nigeria e ha 30 anni. Arriva in Italia nel 2016 e prima di approdare a Torino ha vissuto ad Ancona, luogo che le è piaciuto molto. Trasferitasi a Torino, ha lavorato per un periodo da Eataly a Monticello d'Alba ma non avendo trovato una dimora stabile vicino al luogo di lavoro ha deciso di concludere l'esperienza per cercare una nuova opportunità. In Nigeria ha studiato prendendo una facoltà legata all'ambiente e alla sanità, non le dispiacerebbe trovare lavoro in questo campo anche qui in Italia. Uno dei suoi grandi sogni è quello di viaggiare e conoscere nuove culture e paesi, tra cui Olanda e Belgio. Non appena ne avrà la possibilità, sarà la prima cosa che toglierà dalla lista dei desideri insieme alla ri-unione con la sua mamma.
Elena gestisce la Caffetteria Isabella da 35 anni, nome che deve al Ponte Isabella situato nei pressi di Corso Dante a Torino, tributo alla Principessa Isabella di Baviera. Casa e bottega, questa è la definizione perfetta per il suo locale che vede l'appartamento di Elena situato al piano superiore. Il bar apre alle 5 del mattino ed Elena, con l'amore e la costanza che la contraddistingue, è pronta ad accogliere i primi clienti. Elena si definisce una persona comprensiva e dinamica con i clienti ma anche con i suoi quattro collaboratori, una in cucina, un barista e due ragazze in sala che la aiutano nell'orario di punta del pranzo. Il quartiere dove sorge la caffetteria è principalmente fatto di uffici e abitazioni, la speranza di Elena è che presto lo smart working diminuisca per avere una maggiore affluenza come prima della pandemia. Alla Caffetteria Isabella si possono gustare bontà e specialità dalla prima colazione fino alla merenda. Il mantra di Elena è quello di avere un sorriso e un saluto per tutti, in modo che il cliente esca dal locale allegro e pronto ad affrontare una lunga giornata.
Davide è il direttore di Cascina Fossata, un luogo unico nel suo genere che ha l'obiettivo di essere un punto di incontro di qualità che intercetta i bisogni della comunità. Inaugurato nel 2019, il posto è nato dalla riqualificazione di una cascina abbandonata. Oltre a essere una residenza collettiva temporanea e un hotel è anche un ristorante, un luogo in cui vengono organizzati eventi musicali e per bambini. Una particolarità che possiamo trovare a Cascina Fossata è il giardino e l'orto urbano, messo a disposizione in comodato d'uso a chi lo richiede tramite la compilazione di un form online, un ottimo modo per sostenere la produzione alimentare biologica e apportare così valore alla comunità. Per essere parte dello staff di Cascina Fossata è senza dubbio importante condividere i suoi valori comunitari e la capacità di instaurare un rapporto con una clientela eterogenea. Il cliente deve sentirsi accolto e a casa anche in mezzo alla moltitudine di persone e attività organizzate.
Stefania è direttore responsabile del mensile Quattro (dal nome del municipio in cui operano) e presidente dell’omonima associazione che si occupa di promuoverne la pubblicazione. Quattro nasce nel 1997 dal desiderio condiviso di un gruppo di amici di creare un progetto culturale. L’iniziativa prende forma senza un obiettivo da subito definito: <<Andiamo avanti finché abbiamo le risorse e le forze per farlo>> era il motto iniziale. Dopo più di vent’anni l’associazione continua a crescere occupandosi di aree sempre più ampie e articolate.
Quattro si definisce un giornale di informazione e cultura di qualità e propone aggiornamenti mensili di ampio respiro: ricostruzioni storico-urbanistiche del quartiere, mappature e approfondimenti dettagliati dei luoghi significativi e la valorizzazione delle realtà sportive e culturali presenti nel territorio.
Per territorio si intende una zona molto ampia che coinvolge il Municipio 4 nella sua totalità. In questo senso il Dialogo con Stefania genera uno sguardo pluralistico, capace di abbracciare contemporaneamente molteplici storie. Ci avviciniamo così a Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate passando attraverso un sistema capillare di relazioni e interconnessioni identitarie - vive, vicine e dinamiche.
I materiali d’archivio e le indagini sul territorio sono strumenti preziosi per la narrazione del contesto.
La Rubrica sulle fabbriche della zona, ad esempio, è partita dall’esperienza della LESA (Laboratori Elettrotecnici Società Anonima; azienda all’avanguardia anche a livello internazionale nel settore dei giradischi e dei piccoli elettrodomestici) per arrivare ad un così alto numero di testimonianze che sono state in seguito raccolte nel libro “Storie Industriali”. Il libro sulla città dell’annonaria, centrato sulla realtà dei mercati (di Marinai d’Italia, dei polli, dell’Ex Macello, etc) accosta alla ricerca storica d’archivio anche le interviste di chi ci ha lavorato. Anche la zona a sud dello Scalo Romana, per molto tempo abbandonata e ora di nuovo in trasformazione, è oggetto di un’attenta ricostruzione storica.
Il Municipio 4 è un territorio ampio e popoloso, ricco di associazionismo e proposte culturali. Se nei primi anni 2000 la città mostrava un generale appiattimento, con EXPO si è attivato un processo di rinnovamento importante grazie anche ai progetti delle Fondazioni presenti sul territorio. Iniziative di cittadinanza attiva e cura dell’ambiente sono diventate sempre più centrali nel lavoro delle associazioni.
Del Municipio 4 Stefania identifica le seguenti peculiarità identitarie:
Dal punto di vista di Stefania, il quartiere di Rogoredo, la vecchia Rogoredo soprattutto, si configura come una realtà coesa che tende però a chiudersi al proprio interno. Nata accanto alle fabbriche Redaelli e Montecatini ha una popolazione – specialmente la più anziana – che continua a percepirsi appartenente ad una dimensione di piccolo paese. Con la dismissione delle vecchie fabbriche si sono liberate enormi aree attualmente in fase di rinnovamento. Queste trasformazioni urbanistiche hanno determinato un consistente cambio di utenza che, soprattutto oggi, tematizza e mette l’accento su tematiche di integrazione e settorializzazione tra quartieri.
La zona di Santa Giulia, moderna e di recente costruzione, presenta molte aree verdi, un grande boulevard e i buoni presupposti per diventare un polo di scambi e socialità.
Merezzate è un quartiere nuovissimo destinato a raddoppiarsi con il futuro insediamento residenziale nelle aree circostanti.
<< Se ora questi tre luoghi appaiono geograficamente come blocchi separati >> profetizza Stefania << con l’aumentare dell’espansione e dei collegamenti ci sarà sempre maggiore continuità e diventeranno insieme una grande città>>
Tra i bisogni emergenti del territorio vi sono il desiderio di mantenere vive la collaborazione e la partecipazione nella cura dei territori, così come l’urgenza di seguire e comprendere i futuri sviluppi trasformativi della città.
Per Stefania il senso di comunità è un sentimento di appartenenza che alimenta l’attenzione, la disponibilità, la solidarietà, la collaborazione e il prendersi cura tra persone.
Per il futuro l’auspicio dell’associazione è di proseguire nella stessa direzione. Desiderano aprire un nuovo sito web rinnovato e che la produzione editoriale continui la pubblicazione di temi specifici sul territorio e la sua storia locale.
Massimo Lucchini ha un’impresa di idraulica a Felizzano dal 2001, è subentrato il figlio recentemente diplomato, inserito nell’azienda come collaboratore famigliare. L’uomo ha iniziato a lavorare nel 1983, non ha terminato gli studi superiori, all’epoca c’era la possibilità di andare a lavorare molto giovani, di fronte a casa sua c’era una ditta idraulica ed è stato subito assunto. Da sempre la sua passione è stata quella del lavoro manuale e si sente predisposto a farlo, gli piace “lavorare e fare” direttamente con le mani. Solitamente i servizi di cui si occupa sono: l’installazione di impianti di riscaldamento, impianti idrici, sanitari, pannelli solari, la sostituzione/manutenzione delle caldaie e tutto ciò che concerne la parte idraulica. Gli interventi maggiormente richiesti dai clienti riguardano all’oggi in particolare la sostituzione delle caldaie, il rifacimento degli impianti idrici e di riscaldamento negli interventi di ristrutturazione di abitazioni, a seguito degli incentivi del Bonus 110. I lavori giornalieri vanno programmati ma possono variare molto, così spiega Massimo, le giornate possono essere molto impegnative, talvolta caratterizzate da imprevisti ed emergenze anche oltre l’orario stabilito, come ad esempio chiamate serali per problemi legati ad impianti di riscaldamento nel periodo invernale. Massimo cerca di garantire ai clienti un servizio efficiente, serio, professionale assicurando disponibilità negli interventi. Ultimamente sta lavorando molto nella zona dell’astigiano. Come consiglio riferisce di controllare e apportare la giusta manutenzione agli impianti di riscaldamento domestici, in modo da garantire un impatto ambientale molto basso. Svolgere questo tipo di mestiere implica fare molti sacrifici, bisogna essere sempre reperibili e disponibili telefonicamente e avere un continuo contatto con i clienti che chiamano per segnalare le proprie problematiche ed esigenze, con molte richieste di interventi. Tra le difficoltà maggiori incontrate si riscontrano soprattutto crearsi una clientela e rapportarsi con il cliente, essere onesto e saper fare bene il proprio lavoro. Per svolgere questa professione è necessaria una grande passione ed un certo interesse per la materia, dare spazio alla parte manuale e avere il tempo necessario da dedicare per “fare bene” il proprio lavoro. Viene consigliato ai giovani di provare a cimentarsi in questa professione, a patto che ci sia naturalmente voglia e impegno ad imparare. Massimo dichiara di essere soddisfatto e contento del proprio lavoro in cui investe giornalmente costanza, tenacia e responsabilità. Ammette di non avere particolari desideri, se non l’auspicio di poter aiutare qualcuno che ha bisogno.
Randy è il caposala del lounge bar Carpe Diem, uno dei locali più famosi e commercialmente affermati della Promenade di Santa Giulia.
Vive in Italia da sedici anni ma arriva da lontano. È originario della Jamaica, << un paradiso>> dice <<tanto verde, aria fresca, gente sorridente. Le persone non sono molto ricche, ma sono solidali, sorridenti. C’è sempre la musica>>. Per lui l’Italia offre senz’altro molte opportunità lavorative ma non sempre una qualità della vita altrettanto soddisfacente. Randy è nato in un piccolo paese di una zona turistica a ovest del paese <<13 km di spiaggia bianca, acqua sempre tiepida>>. Insieme ad una grande bellezza, però, nel suo paese ha osservato anche una fragilità economica che lo ha spinto a cercare strade alternative, più promettenti. La sua compagna è italiana e insieme hanno due figli, di sedici e tredici anni.
La strada che lo conduce al Carpe Diem è ricca di esperienze e sperimentazioni. Quando era più giovane, in Jamaica, ha iniziato a studiare giurisprudenza all’università. Ha lasciato gli studi per aiutare economicamente la famiglia, composta da dieci figli. Negli anni ’80 il padre di Randy, falegname di professione, portava ancora addosso i segni e gli effetti della schiavitù. Conduceva una vita faticosa, racconta, e affiancarlo nelle sue mansioni lo ha spinto a cercare un’emancipazione dalla precarietà che aveva conosciuto. Frequenta una scuola alberghiera perché la cucina è sempre stata una sua grande passione. Quando poi in Jamaica ha avuto l’opportunità di lavorare in un bar, ha capito – con entusiasmo - che avrebbe voluto trasformarla in un’attività redditizia.
A ventisei anni parte e si trasferisce in Italia. Lavora come cuoco, svolge per tre anni un apprendistato all’interno di una gelateria-caffetteria e inizia come barman nei turni serali presso il Carpe Diem. Adesso è il direttore di sala del locale.
I precedenti proprietari del bar hanno aperto l’attività nel 2009 quando <<qui intorno non c’era niente, era tutto un grande cantiere>>, racconta Randy.
Consolida un’esperienze e relazioni positive. Il lounge bar è specializzato in aperitivi e la maggior parte dell’attività si svolge nelle ore serali. È un’ambiente sicura, spiega Randy, << dove le famiglie possono venire, lasciare i bambini mentre fanno un giro o organizzare le feste di compleanno per i ragazzi>>.
Da quando è arrivato il quartiere si è trasformato molto e rapidamente, grazie soprattutto all’insediamento delle grandi aziende. Non tutti gli interventi però, secondo lui, sono stati dei miglioramenti. Come ad esempio l’eccessiva cementificazione del territorio che, da amante del verde, considera limitante per una gradevole fruizione degli spazi, << preferisco vedere alberi che palazzi>>.
Per Randy il senso di comunità è accoglienza, ospitalità, apertura e disponibilità verso gli altri. <<In Jamaica è tutto un ‘buongiorno’, un salutarsi. La gente è più povera ma anche più inclusiva, qua se non conosci una persona non ci parli. Sai cos’è… le persone qui tendono a mettere tanti scudi davanti, forse per proteggersi. A casa mia non è così. Quando sono in Jamaica mi sento più libero, di esprimermi e tutto>>. Ipotizza che ciò derivi e sia legato alla predisposizione delle persone verso uno stile di vita più semplice, genuino, orientato alla condivisione dei piccoli momenti di felicità.
Per Randy un modo di sollecitare la socialità può passare dai momenti di festa. Utile sarebbe predisporre maggiori luoghi di aggregazione affinché svago e leggerezza vengano vissuti anche al di fuori della dimensione famigliare <<bambini che giocano insieme, le mamme che si conoscono>>.
Oltre al tempo speso con la sua famiglia, la sua vita è primariamente incentrata sul lavoro e lo studio. Per questo in futuro vorrebbe ritagliarsi maggiore spazio di libertà e spensieratezza. Vorrebbe tornare in Jamaica un giorno, comprare una barca per andare a pescare. Restituire alla comunità di origine un aiuto concreto, costruendo opportunità lavorative per le persone meno fortunate <<così che non debbano cercare per mangiare e per pagare>>.
Per Randy è estremamente importante coltivare uno sguardo multiculturale aperto al mondo e alle sue differenze: <<Vedere cosa c’è altrove per capire cosa sia davvero importante. Molte persone invece, vivono e basta, senza sapere perché>>.
Nel cuore di Amine, un giovane dal carattere riservato, risiedevano sogni audaci destinati a spiccare il volo. La sua più grande ambizione è diventare un medico chirurgo, un'aspirazione che illumina le sue giornate e lo spinge a immergersi nello studio con tenacia. Il desiderio di indipendenza è altrettanto forte, poiché vorrebbe costruire il suo futuro con le proprie mani e la sua mente. Nonostante la timidezza, Amine trova gioia nell'essere circondato dai suoi amici, ama viaggiare e nelle sue esperienze, nonostante la giovanissima età, ha potuto conoscere. La storia di Amine è un mix affascinante di coraggio, ambizione, e gentilezza. La sua dedizione ed il costante impegno lo rendono un individuo straordinario, destinato a realizzare i suoi sogni e a lasciare un segno positivo nella vita di coloro che incrociano la sua strada.
Monica, Lauretta e Maurizio sono tra i primi abitanti della Rogoredo “vecchia” che ho il piacere di conoscere. Ci mettiamo in contatto tramite la pagina FB “Rogoredo siamo noi!” che raccoglie quotidianamente e in maniera informale, notizie, annunci e materiali d’archivio del quartiere. Presso i giardini di via Rogoredo (sede simbolica scelta dall’associazione, attiva soprattutto nelle strade e tra la gente), in un freddo pomeriggio di marzo, avviene così un incontro prezioso e illuminante da cui si svilupperanno tanti altri scambi, contatti e racconti.
"Rogoredo siamo noi! ALPOSTOGIUSTO" è un’associazione informale che nasce da un gruppo di volontari e abitanti del quartiere intorno al 2016, in seguito all’emergenza sociale sanitaria di tossicodipendenza in via Sant’Arianna (alias, il boschetto della droga), con l’obiettivo di sensibilizzare gli abitanti e la città circa la situazione in atto. Per richiamare l’attenzione delle istituzioni i volontari si impegnano in manifestazioni e iniziative locali, con il sostegno poi anche del Municipio. Musica, mercatini, streetfood, momenti di festa come “La primavera dei giardini” e “La sera delle lanterne”, iniziano così ad animare i luoghi del quartiere, invitando le persone a ritrovarsi in strada e nei giardini. Queste ultime, raccontano, furono due giornate di grande successo, un momento di luce durante un periodo buio: <<Qui la festa e di là la morte>> sospira Monica indicando lo spazio oltre il cavalcavia. Contrastare il dolore con uno spirito gioioso, affamato di vita. È stata questa una delle prime risposte della comunità.
Passato il picco emergenziale della tossicodipendenza i volontari dell’associazione si dicono “più rilassati” ma comunque attivi nel mantenere un presidio sensibile e continuo. Il problema della droga aveva destato grande preoccupazione, affermano, e ieri come oggi è sull’informazione e la prevenzione che è importante lavorare, soprattutto attraverso i canali scolastici educativi. Non solo verso le dipendenze ma per tutte le fragilità che possono interessare i giovani, come il bullismo, che i volontari evidenziano come una questione sempre più presente ed incisiva.
Rogoredo è molto più della narrazione circoscritta e stigmatizzante spesso perpetrata dai media. È un luogo vivo e pulsante che non ha bisogno di condizioni problematiche affinché si mantengano vive la partecipazione e la vicinanza tra i suoi abitanti.
Il quartiere, racconta Lauretta, nasce sulle vecchie fabbriche-acciaierie Montecatini e Redaelli e si fonda su una rete di famiglie operaie e di impiegati. Lei fino a 9 anni ha vissuto in una casa di ringhiera, il Rebuscin. In estate, ricorda nostalgicamente, si radunavano tutti insieme in cortile, le mamme ai lavatoi con i panni e i bambini poco più in là a giocare. Per Maurizio Rogoredo è un quartiere-paese e citando Iannacci spiega che è una realtà fatta di persone che vivono in maniera simbiotica ogni situazione. Aggiunge che in passato erano molti di più gli spazi adibiti all’aggregazione e allo svago, come le sale da ballo del Sud Est e il cinema Atlantico (prima ancora conosciuto come il Socula, dal rumore degli zoccoli a contatto con il pavimento) preso d’assalto nei fine settimana. Questo spirito associativo, dicono, è rimasto impregnato nell’aria: pur non disponendo di molte risorse o luoghi di aggregazione, i giovani riescono a portare avanti quella socialità semplice e spontanea tra le panchine dei parchi.
Orgoglio e commozione trapelano anche dalle parole di Monica. Lei arriva a Rogoredo dopo aver vissuto nelle vicine zone del Corvetto. Per lei il quartiere, la vecchia Rogoredo specialmente, è unica nel suo genere. È una piccola realtà, tutti si conoscono <<la gente mormora. Tutti sanno tutto di tutti>>. La disponibilità delle persone, le chiacchere sull’uscio dei negozi, gli anziani che si ritrovano ogni giorno al bar per il caffè o il bianchino in compagnia. Per loro, custodi di un sapere straordinario, in occasione di un Natale hanno allestito un albero con le vecchie fotografie d’archivio fornite dalla Società Sportiva Rogoredo84: emozionante, raccontano, è stato vedere gli abitanti più longevi avvicinarsi e riconoscersi in quelle immagini del passato. Ritengono che sarebbe bello dare spazio nelle scuole ad alcuni cittadini affinché tramandino la memoria storica e le tradizioni del quartiere, per preservarle e fornire modelli positivi di riferimento.
L’aspetto più significativo della comunità su cui ALPOSTOGIUSTO desidera porre l’accento è il carattere solidaristico e inclusivo dei suoi membri: durante la pandemia, ad esempio, tutti si sono uniti in supporto di chi si trovava in maggiore in difficoltà. Ciascuno, con le proprie possibilità, ha offerto quanto poteva in termini di tempo, risorse alimentari, aiuti economici e calore umano: <<Rogoredo si è sentita in dovere di aiutare chi in quel momento non aveva niente, nemmeno un tetto>>.
Per il futuro, sono tanti gli auspici: un potenziamento dei luoghi di aggregazione e delle possibilità di espressione per i giovani. Fornire un maggiore sostegno agli anziani. Costruire una reale integrazione del Palazzetto dello Sport e della nuova sede del Conservatorio (specializzata in musica jazz, elettronica e popolare) nel tessuto urbano, affinché si rafforzi un dialogo per e nel territorio. Il superamento delle settorializzazioni intra-territoriali (Rogoredo, Santa Giulia, Merezzate) riconoscendo e valorizzando la comune appartenenza storica e identitaria. Preservare il senso di comunità e uno stile di vita a misura d’uomo. L’educazione delle nuove generazioni alla cura delle tradizioni e dell’ambiente. Un maggiore supporto ai commercianti della zona.
Servizi come la Stazione ferroviaria, i centri sportivi e la presenza attiva della Parrocchia sono altri elementi di forza importanti per la comunità.
Arianna e Ikram stanno passeggiando tra le strade di Merezzate quando entrano incuriosite dentro lo spazio living dove condivideranno la loro storia. Sono due carissime amiche, conosciutesi qualche anno prima in università. Due anime affini e al contempo complementari, traboccanti di allegra simpatia.
Ikram, nata e vissuta in Marocco fino ai 3 anni, attualmente vive in zona Affori. È qui a Merezzate perché, con l’aiuto di Arianna, sta cercando di individuare dei bambini che possano entrare a far parte di un campione sperimentale con cui testare un App che sta sviluppando. Hanno studiato entrambe Informatica o, come ci tengono a precisare, Computer Science. Il progetto di tesi è centrato sullo sviluppo un applicazione web che aiuti le persone a mettersi in contatto tra di loro, avendo come target specifico gli anziani e i bambini. La recente esperienza del Covid ha infatti avuto un impatto drammaticamente disgregante sulle relazioni affettive familiari, impedendo per lunghi periodi a nonni e nipoti di trascorrere del tempo insieme. Questo progetto si prefigge, attraverso il potenziamento di scambi e contatti virtuali, di rafforzare dimensioni psicologiche quali l’umore e le reti sociali nei soggetti più sensibili, aumentando la percezione di vicinanza con gli altri significativi e contrastando al contempo gli effetti negativi della solitudine, che possono sfociare anche in forme depressive più o meno gravi.
Arianna vive invece vicino a San Martino, a Rogoredo, dove trascorre gran parte della sua quotidianità sin dall’infanzia. Fa parte della realtà oratoriale del quartiere, svolgendo attività di educatrice con i ragazzi delle medie e delle superiori. Frequenta la magistrale di Informatica con specializzazione in Intelligenza Artificiale e Machine Learning e, racconta, si avvicina a questo campo perché è da sempre attratta dalle materie scientifiche.
Ikram e Arianna condividono diversi interessi ma primo fra tutti c’è forse l’amore per il cibo e la cucina. Un cibo buono, di qualità, senza limiti geografici di provenienza. Insieme hanno anche frequentato alcuni Corsi gratuiti offerti dal Comune di Milano (presenti in tutti i Municipi) che considerano una bellissima opportunità sul territorio perché consentono a tutti di sperimentare liberamente e in maniera accessibile una gamma vasta di servizi.
Ikram si descrive come una persona timida e discreta, oggi più per scelta e propensione caratteriale, ma che in passato -soprattutto da bambina – ha dovuto affrontare esperienze dolorose legato al bullismo. Pone l’accento, con risoluto trasporto, sulla necessità - spesso disattesa da alcuni decenti e adulti – di proteggere i più piccoli in situazioni di fragilità e ingiustizia. Anche Arianna si descrive, soprattutto da bambina, come una persona timida e riservata. Frequentare l’oratorio l’ha aiutata a diventare più espansiva, allargare la sua rete relazionale e conoscere persone preziose. In oratorio, dove è animatrice, le piacerebbe trasmettere ai più giovani quel senso di attenzione, cura e dolcezza che faccia sentire meno soli. Entrambe sono animate da grande passione verso il contrasto all’isolamento, la tutela dell’infanzia e la responsabilizzazione in età adulta verso se stessi e il contesto.
Tra gli elementi di ricchezza del quartiere, Arianna identifica l’oratorio come punto di aggregazione per la comunità, anche se un cambio generazionale di mentalità e il post-Covid ne hanno diminuito la partecipazione. Anche la Strarogoredo e le feste di quartiere sono occasioni positive a cui partecipare. È importante, secondo lei, mantenere un approccio aperto e disponibile verso le iniziative del territorio e tra i suoi auspici c’è la rinascita dell’oratorio e della sua centralità per le persone.
Ikram è portatrice di una duplice appartenenza, quella marocchina e quella italiana, ed entrambe occupano uno spazio profondo e speciale da un punto di vista identitario. Il mantenimento delle tradizioni di origine viene portato avanti attraverso le festività significative, così come mediante il cibo e la cucina; strumenti però anche di integrazione e vicinanza con la cultura italiana: <<non so chi sia più italiano, se un italiano o mia mamma>> la quale, racconta Ikram ridendo, a volte dichiara intensamente <<voglio proprio preparare una buona pasta fresca con i pomodorini>>. Come spesso accade ai ragazzi di seconda generazione, elaborare la doppia appartenenza è un processo complesso e in continuo sviluppo: Ikram si definisce fortunata :<<ci sono due persone in me, quella italiana e quella marocchina. Tante persone hanno questa esperienza, chi invece no non sa cosa significa. Andare a vedere un paese come turista non è come viverlo o avere lì delle origini. (Avere una duplice appartenenza) è bello, perché ti senti unica>>.
Arianna immagina il senso di comunità come tante persone sorridenti insieme, una mano tesa pronta ad aiutare. Per Ikram le mani sono due e si battono il cinque, come nella pubblicità dei biscotti Ringo. Comunità è essenzialmente solidarietà. Per il futuro Arianna si augura che le nuove generazioni abbiano a disposizione ambienti accoglienti e stimolanti come è stato per lei l’oratorio (non un luogo esclusivo per i soli credenti, dice, ma una comunità che aiuti nella crescita e nell’introspezione) e per se stessa, di raggiungere presto l’autonomia economica e professionale che desidera. Anche Ikram spera di veder crescere vivibilità e iniziative di aggregazione. In generale credono nell’importanza di alimentare le occasioni di confronto e di garantire attività gratuite accessibili a tutti.
Nello Spazio Living di via Colorni 14 immaginano una vasta gamma di attività che si potrebbero organizzare o a cui parteciperebbero volentieri, come ad esempio: co-studying, co-working, serate e giochi di società, momenti culinari, ritrovo per gli anziani, tavoli tematici e una base per la radio dei giovani di quartiere.
Iryna è una ragazza energica, dalla voce squillante e lo sguardo intenso. Stacanovista, dolce, brillante. Ci siamo incontrate molte volte prima di girare ufficialmente la nostra intervista. Ogni volta, arrivando alla soglia del suo negozio, la trovavo indaffaratissima, sommersa di piumoni, camice e cappotti. <<Questa è la situazione qui>> commentava da dietro il bancone, con un sorriso stanco ma felice. Sembrava difficile concordare un appuntamento, trovare un lasso di tempo in cui parlare senza che entrasse qualche cliente a ritirare o portare qualche ordine. Alle sue spalle, lungo tutto il perimetro e le pareti del piccolo negozio in Via Monte Palombino 8, un’inquantificabile mole di lavoro si rinnovava via via ogni giorno che la incontravo, mantenendo intatta solamente la sua, davvero ingente, quantità. Da subito Iryna mi spiega che sembra tutto un caos questo ammasso di vestiti e coperte, ma in realtà c’è un ordine precisissimo per ogni cosa, un sistema capillare di organizzazione che le consente di muoversi e lavorare con grande efficienza. Ed in effetti, tra le prime sfumature che emergono di Iryna c’è proprio la sua dedizione al lavoro, un’indole organizzata ed efficiente, la capacità e in un certo senso il bisogno di occuparsi di tante cose, di restare sempre in movimento, di dare sfogo alla sua poliedrica creatività.
La Lavanderia Stireria H20 apre in un momento particolare, <<buffo>> dice lei, poco prima del covid e del periodo di chiusure che avrebbero interessato le attività commerciali nel paese. Nonostante le difficoltà, Iryna si dice soddisfatta di come si è evoluta la situazione e di poter seguire un’attività che le piace e la rende felice. Già durante i nostri brevi incontri nei mesi precedenti era affiorato un passato ricchissimo di esperienze. Iryna nasce infatti come pianista e per tredici anni della sua vita si dedica alla musica. In seguito si specializzerà come parrucchiera e aprirà un suo negozio. Lavorerà anche nel mondo dell’interpretariato grazie alle sue competenze linguistiche (nasce in Repubblica Ceca e vive poi in Ucraina fino alla maggiore età). A 19 anni parte per l’Italia e da subito si cimenta professionalmente perché, dice lei, <<stare ferma non mi piace>>. Un giorno, insieme al marito, decide di avviare l’attività della lavanderia e stireria che, in seguito alla chiusura di una sartoria di quartiere, si è poi specializzata anche in riparazioni e ricami.
Rogoredo le piace molto, la definisce “una famiglia gigantesca” nelle accezioni positive che questa immagine può evocare. Lo definisce un ambiente cordiale, sicuro, dove si lavora bene, caratterizzato da una buona sintonia tra le persone. Una peculiarità del quartiere e delle sue trasformazioni, per Iryna, è nel suo continuo ricambio dinamico di persone e attività commerciali. Non rintraccia aspetti di particolare fragilità che necessitino di miglioramenti, anzi si dice soddisfatta dei servizi e delle risorse che offre.
Passa un’abitante, la saluta, lei ricambia, mi guarda <<Qui è così, mi salutano tutti, io conosco tutti>>.
La familiarità costruita negli anni non si riflette sono nelle relazioni informali ma anche nel suo lavoro: ricorda e riconosce perfettamente i volti e i nomi di tutti i suoi clienti. Ma c’è anche un aspetto più profondo e meno performante: le contromarche numerate, mi spiega, servono a distinguere le cose, ma le persone non sono numeri sono persone. Ed è così che la meticolosità di Iryna diventa innanzitutto espressione di cura verso gli altri. È in questo atteggiamento serio e affettuoso che rintraccia l’origine di un’esperienza reciprocamente positiva con il quartiere e i suoi membri.
Per Iryna il senso di comunità corrisponde all’unità tra le persone, allo scambio di idee, all’aiuto reciproco, alla comprensione e alla tolleranza.
<<Senza sogni non si vive. Bisogna essere sognatrici e sognatori>> sospira guardando fuori dalla vetrata del negozio, anche se decide di non condividere quelli che si porta dentro, forse per scaramanzia o semplicemente per discrezione.
Per il futuro, augura a tutti di trascorrere delle buone vacanze, di stare bene, di fare scorta di energia per affrontare la frenesia della quotidianità e, in generale, una buona vita.
Annamaria, classe '42, nasce a Rogoredo nelle famose case dei ferrovieri oltre il cavalcavia, vicino a quello che oggi è tristemente noto come "bosco" della droga. Ricorda quegli alloggi come case bellissime, avanguardiste per l'epoca perché dotate di servizi igienici. La sera in cui è nata la città era squarciata dai bombardamenti: ottant'anni dopo, aggiunge con tristezza, ancora c'è la guerra e ancora nascono bambini nei rifugi. Ed è dall'immagine di un rifugio che inizia il racconto nostalgico di Annamaria, dei santini appesi ai muri durante la guerra e rinvenuti intatti durante le recenti ristrutturazioni.
Annamaria inizia come stenodattilografa in un'azienda privata e prosegue poi nelle ferrovie dello Stato tramite uno dei primi concorsi come capostazione, dopo che venne rimosso il divieto di accesso alle donne imposto durante il fascismo. Nonostante il cambio formale, le donne non erano comunque accettate all'interno degli impianti e venivano quindi mandate all'Ufficio Informazioni della Stazione Centrale. Tre donne, nessun computer moderno, folle lunghissime e una grande mole di lavoro.
Svolge volontariato in ospedale per molti anni tramite A.V.O. Quando entra in pensione, si occupa dei nipoti e affronta alcuni problemi di salute. Si mantiene in forma con un po' di attività fisica settimanale, frequenta il coro della chiesa ed è membro attivo del Centro di Ascolto della Caritas Parrocchiale.
Si definisce una persona fortunata, autonoma, propensa ad aiutare il prossimo, sempre desiderosa di ascoltare e scambiare due parole con chi incontra. Dopo la pandemia, spiega, c'è molta gente sola che ha paura. Sottolinea le fragilità familiari intorno a lei, specialmente delle mamme, verso le quali mostra una particolare sensibilità.
Essere una comunità, per Annamaria, è cambiato molto negli anni. Ricorda lo stare insieme di una volta, giocare all’aperto, i gelati, la condivisione di un’anguria, le “castagnate”, i festival dell’Unità e dell’Avanti, le commedie in oratorio. Attraverso i concerti in chiesa si cerca di rianimare il quartiere, ma secondo Annamaria con la Pandemia qualcosa si è spezzato.
Tocca il tema della sicurezza <<il periodo in cui andavi avanti e indietro da sola (per le strade) non c’è più>>, prende in considerazione il tema della multiculturalità ed evidenzia i principali mutamenti del quartiere. Tra tutti, è soprattutto la sempre più esigua frequentazione dei luoghi di aggregazione da parte degli italiani a rattristarla, la maggior parte sono stranieri. Secondo Annamaria, possibili problemi di integrazione interculturale si verificano laddove si protraggono limitazioni e svantaggi a carico delle donne, che ostacolano innanzitutto una piena partecipazione alle attività della comunità. In generale osserva una bassa partecipazione delle famiglie straniere agli eventi promossi in quartiere. Allo stesso modo però, riconosce una certa resistenza degli “autoctoni” a ricercare l’integrazione: tipica dei “rogoredesi”, secondo Annamaria, è un po' la difficoltà ad aprirsi alle novità e ai cambiamenti (prima con le migrazioni dal sud Italia, oggi con le migrazioni internazionali).
Una maggiore integrazione, a partire dall’infanzia, attraverso il gioco e tra le famiglie, è il primo desiderio che Annamaria auspica per il futuro. Ma anche un ritorno alla convivialità e all’aggregazione spontanea e gioiosa tra le persone, attraverso la musica e il cibo. Tante sono le iniziative e le risorse del territorio (capitanate ad esempio dalla realtà del Circolo Mondini), poca, talvolta, è però la partecipazione delle persone.
Per descrivere il vivere insieme del quartiere in cui è cresciuta e cosa sia per lei il senso di comunità, Annamaria sceglie un’immagine semplice, i ciliegi in fiore nel vialetto sotto casa sua. Quasi a voler sintetizzare la complessità di trasformazioni e significati di cui è stata ed è testimone, aggiunge:<<io ti dico la verità: tante volte alla sera, ad una certa ora d’estate, mi metto qua seduta da sola. C’è un volo di rondini, di su di giù, che squittiscono, che è uno spettacolo eccezionale. Poi ci sono gli aerei che vanno a Linate che sono il richiamo alla realtà>>.
Il nome "20138 Open Barre" nasce da uno “svarione”, una divagazione creativa in sostanza. Termine efficacemente evocativo di un’intuizione spontanea, fortemente radicata nell’appartenenza familiare del proprio contesto, e allo stesso tempo semplice, riconoscibile, come il CAP del quartiere, 20138. Un numero che raccoglie dentro un’intera comunità, senza distinzioni, e che vuole diventare simbolo di valorizzazione e di riscatto.
Si tratta di un progetto musicale che vuole provare a dare spazio e voce a chi non ne ha o non può permetterselo. Il progetto nasce da passeggiate in solitaria piene di riflessioni e di idee, si sviluppa attraverso strumenti basici come il telefono, insieme a conoscenze pregresse e a nuovi incontri per strada. I contenuti vengono pubblicati il venerdì e si accompagnano anche di materiale fotografico raccolto tra le strade del quartiere.
La musica è il cuore pulsante, non solo del progetto, ma delle passioni che animano Minu. È una passione, racconta, che lo rende felice e lo lega a chi, come lui, coltiva questo amore. Vi si avvicina dopo l’infanzia, in particolare con I Club Dogo e brani come “Killer Game” di Salmo, Madman e Gemitaiz, catturato dalle immagini del video. Con il tempo cresce in lui la connessione, il legame, con i testi e le parole dei brani che incontra: sentimento questo che continuerà ad aumentare ininterrotto, portandolo ad approfondire quanto più possibile tutto il materiale che incontra. La narrazione criminale insita in alcune sfumature del genere rap non è qualcosa che Minu apprezzi particolarmente; tra i nuovi artisti più popolari fa fatica a individuare qualcuno capace di raccontare storie interessanti e autentiche. L’ambiente musicale giovanile contemporaneo, secondo Minu, è caratterizzato sempre di più da uno spostamento verso il virtuale e le logiche economiche. Resistono tuttavia alcune iniziative di aggregazione e condivisione spontanee, simbolo di un fare musica collettivo e primariamente appassionato (il freestyle al muretto del Duomo, il barrios in Barona, i concerti, etc).
Anche a Rogoredo si possono incontrare situazioni simili: nascono, magari per caso, alle panchine di un parco. Ci si trova, si sta insieme, poi qualcuno tira fuori il telefono e mette su una base. Il potenziale c'è, scorre e accumuna molti ragazzi della zona. Sarebbe utile potenziare alcuni luoghi per favorire questi incontri ma la mancanza di fondi, commenta Minu, può essere un ostacolo. In questo senso "20138 Open Barre" si configura come una risorsa per la comunità: il progetto, infatti, comprende l'idea di un contest che offra sì visibilità, ma anche un punto di riferimento concreto, un luogo di ritrovo per gli artisti, uno studio di registrazione ben equipaggiato a cui accedere indipendentemente dal budget di partenza.
Minu nasce in Romania, vive per alcuni anni in un'altra zona di Milano e arriva a Rogoredo circa 15 anni fa. Con affetto mi dice che sono tante, per lui, le qualità del quartiere: piccolo, accogliente, pieno di zone verdi, dove la maggior parte delle persone è disponibile e socievole. "20138 Open Barre" vorrebbe valorizzare, attraverso la musica e gli artisti, proprio quelle dimensioni positive che nei contesti più periferici subiscono gli effetti delle settorializzazioni e delle stereotipizzazioni superficiali.
Comunità significa fare del bene con e per la gente, mi dice Minu. La musica diventa uno strumento prezioso. Ma anche i campi da Basket e i parchi diventano possibilità di incontro in cui fare festa e stare insieme. << Qui si tende spesso a stare insieme>>.
Non identifica particolari aspetti da migliorare nella zona, si tratta di un contesto piccolo senza troppi problemi, dove si respira sicurezza e vivibilità.
Per il futuro gli orizzonti del progetto hanno un retrogusto internazionale: Parigi potrebbe essere una possibile destinazione, ma anche rimanendo in quartiere l’auspicio è di collaborare con sempre più persone diverse, provenienti da tutte le parti della città e del mondo.
“Tutto il mondo è quartiere” di Ensi è per Minu una canzone molto bella, cruda, capace di raccontare il senso di comunità. Il messaggio, per Minu, è che basta poco, un pretesto qualsiasi, per condividere qualcosa di se stessi, parlare, fare amicizia, socializzare e sentirsi parte di un insieme più grande, al di là delle singole e reciproche differenze
Andrea ha 21 anni, è nato in Calabria e nella prima infanzia si trasferisce con la famiglia a Milano, nel quartiere di Città Studi. È andato da poco a vivere da solo in zona Pioltello.
Principalmente si occupa di video e grafica, ma lavora anche nell’attività dei genitori presso la Cartoleria Live Brige in via Monte Cengio 6. Esperienza questa che attraverso il contatto con il pubblico lo sta aiutando molto ad affinare le sue competenze socio-relazionali.
È un appassionato di sport, soprattutto di calcio, motori e di gokart; momenti che rappresentano per lui una piacevole valvola di sfogo. Anche la cucina è un’attività che coltiva con grande interesse: si dice aperto all’esplorazione delle proposte etniche di tutto il mondo, mentre ai fornelli si dedica alla sperimentazione di ricette e sapori principalmente mediterranei.
Rogoredo è per Andrea un punto di riferimento primariamente lavorativo: non lo vive come abitante ma lo conosce attraverso le mura della Cartoleria. Diversamente dall’atmosfera talvolta svuotata e dispersiva di alcune periferie o dalla frenesia e l’impersonalità del centro città – con un ricambio continuo di persone e la difficoltà a creare relazioni - in questo quartiere, dice, si respira un particolarissimo clima di paese in cui tutti si conoscono, dove facilmente si riesce a entrare nell’ambiente perché si viene coinvolti spontaneamente dalla comunità. Ed è proprio lo spirito aggregativo, il forte senso di comunità (che definisce come tranquillità e rispetto tra le persone) una delle caratteristiche che Andrea immagina nel descrivere la sua “città ideale”, insieme ad una ricca prossimità di servizi. Disporre di maggiori risorse sul territorio e migliorare le realtà urbanistiche e umane più “degradate”, sono per Andrea, i due maggiori elementi che richiedono cura e potenziamento all’interno del quartiere.
La vivace vivibilità, il calore, la coesione e la solidarietà tra le persone sono elementi che ha sperimentato sulla propria pelle durante un viaggio in Romania dove, in futuro, gli piacerebbe fare ritorno. Anche se con un bacino di servizi ancora in via di sviluppo, l’atmosfera da piccolo paese e i costi della vita più accessibili la rendono una realtà attraente dove immagina di poter aprire un giorno un suo studio pubblicitario.
Pensando alle nuove generazioni e a quali azioni possano incidere sul loro benessere, Andrea si sofferma sull’impatto positivo delle aree verdi come luoghi di ritrovo: un parco spazioso, tavoli all’aperto, un clima ideale per ritrovarsi, studiare o semplicemente rilassarsi.
“4Gatti” non è un’associazione, ma una compagnia teatrale che nel ‘99 inizia con i primi laboratori nelle scuole di teatro e si costituisce formalmente nel 2001. Un giorno, i quattro membri originari del gruppo seduti ad un tavolo scelgono di chiamarsi così come si sentivano “4Gatti”. In seguito due dei componenti prenderanno altre strade, tra cui Elisabetta che ha poi aperto la scuola di musica “Ottavanota”.
Momò e GB nascono come Clown e infatti si conoscono ad un corso di giocoleria e clownerie. Tra i due partner è stato <<amore a prima vista>> dice Momò, come due gocce in perfetta sintonia. L’essenza di 4Gatti è il lavoro con i bambini, la cura dei dettagli, la passione e l’autenticità che riescono a comunicare ai loro spettatori. Un amore che si esprime anche attraverso la realizzazione manuale dei costumi di scena e delle animazioni.
Nei quartieri Rogoredo e Taliedo avviano diversi laboratori teatrali nelle scuole. Dal 2014 mettono in piedi una rassegna teatrale di quartiere “Areoplanini di carta” dedicata alle famiglie, che si svolge ogni anno da ottobre a febbraio. La chiamano così perché a fine di ogni spettacolo costruiscono dei piccoli areoplanini insieme ai bambini, e, soprattutto perché il quartiere di Rogoredo nasce intorno all’Acciaieria Redaelli e vicino al il primo campo volo italiano della famiglia Caproni. Queste due realtà, racconta Momò, hanno fatto molto per il quartiere potenziandolo di scuole, presidi medici e cooperative. L’ingegnere Caproni, in particolare, si appassionò alla costruzione della Scuola Materna Caproni la cui peculiarità, osservata dall’alto, è la struttura a forma di biplano con corpo centrale, ali e coda. << È bellissimo perché vai in una scuola in cui ti insegnano a volare. Abbiamo voluto omaggiarlo nella rassegna>> spiegano.
Molte le collaborazioni con artisti di fama internazionale, come i Tre Chef legati al Cirque du Soleil, Vico Faggi, i Fratelli Caproni. Cura dell’autenticità e della tradizione, insieme al coinvolgimento appassionato della comunità sono due dei pilastri principali della compagnia. Anche se gli spettacoli didattici sono i più richiesti dagli insegnati, aggiungono, loro preferiscono dare spazio alla rappresentazione di temi quali il sogno, la vita, il gioco, l’amicizia, la condivisione di storie e il sapersi divertire. <<A volte ci dicono quanta poesia nei vostri spettacoli!>>
Moltissime le iniziative e i progetti attivati nel quartiere attraverso un lavoro di rete: animazioni, la partecipazione ad eventi come “Verde Festival” e in reti informali come “Tessere Legami”, l’ideazione di cacce al tesoro come “Prova a prendermi” per legare le associazioni agli spazi del quartiere attraverso l’uso del gioco, incentivare la cura del bene collettivo e l’esplorazione del territorio. Durante le riaperture post covid, grazie al sostegno del Parroco Don Marco Eusebio, hanno pensato di realizzare tre eventi all’aperto. 1) Insieme ad altri colleghi, tra cui una compagnia specializzata nei “Viaggi di Giovannino”, hanno permesso alle persone di assistere, partecipare e interagire lungo un percorso espositivo intorno agli spazi esterni dell’oratorio. 2) Con la compagnia e associazione culturale “La Corte della Carta” hanno poi organizzato dei laboratori centrati sulla produzione della carta con tecniche medievali. 3) Infine la “Biblioteca viventi degli artisti” realizzata in primavera dove le famiglie tramite QR Code potevano visionare alcune opere famose, assistere a diverse esibizioni e dialogare poi con il performer. Dopo il Covid e il clima restrittivo imperante, spiega GB, questo evento è stato un incontro commovente non solo per il pubblico ma anche per gli artisti. Alcuni spettatori <<alla fine sono usciti piangendo>>. Chi si è esibito ha potuto spiegare poi cosa significa prendersi cura di un luogo, cosa lo spinge ad attivare la cultura per quel quartiere e perché ha scelto di intraprendere questo tipo di carriera.
Per rispondere a questi quesiti, GB racconta che il suo percorso inizia nell’oratorio del quartiere Taliedo e, dopo una formazione accademica in Ingegneria, decide di seguire il suo cuore e lavorare con e per i bambini. Per lui la cultura è ricchezza indispensabile per poter andare avanti nella vita. La cura del dettaglio che mettono nel loro lavoro, aggiunge, è metafora della cura che hanno verso l’altro. Momo non trova subito le parole per descrivere la ragione che l’hanno avvicinata a questa professione poi ricorda di quando andò a teatro con la scuola a vedere “l’Arlecchino servitore dei due padroni” e di come rimase toccata dal coinvolgimento provato in quel momento; l’idea di poter portare la gente in mondi altri, la percezione che grazie alla leggerezza e al gioco si riesca davvero a stare bene <<Quando ridiamo siamo tutti uguali […] il sorriso è universale e per questo tutti lo capiscono>>. In occasione di “Milano è viva”, bando e progetto culturale dedicato alle periferie di Milano (a cui hanno partecipato importanti compagnie teatrali come ATIR), hanno riproposto un’altra Biblioteca vivente degli artisti più ampia in 4 luoghi significativi del quartiere (scuola media di Merezzate, scuola primaria di Rogoredo, Circolo Arci Mondini) collegati a loro volta ad altri posti storici della zona. Evento questo che aveva come obiettivo anche quello di favorire l’incontro e l’integrazione tra i quartieri della città.
Il desiderio è, infatti, che il quartiere di Rogoredo venga conosciuto nella sua ricchezza di attività, associazioni e collaborazioni. La risposta degli abitanti locali è sempre molto sentita perché lo spirito aggregativo comunitario è molto forte in questa realtà meneghina. Minore è generalmente la partecipazione degli altri quartieri e delle persone proveniente da fuori.
Rispetto agli auspici per il futuro, il primo pensiero va alla compagnia e alla rassegna teatrale che desiderano far (ri)partire dopo un periodo di assestamento, per restituire alle famiglie la possibilità di divertirsi con leggerezza e a loro stessi, la valorizzazione e la dignità verso il lavoro che svolgono. Poi si rivolgono alle aziende come Sky affinché siano più attive e attente verso il quartiere, senza limitarsi allo sfruttamento delle risorse ma si impegnino concretamente (come fecero la Redaelli e l’ingegner Caproni) per una rinascita e una crescita del territorio, a partire dai servizi. Sperano che l’organizzazione delle Olimpiadi invernali coinvolga innanzitutto la comunità e i suoi membri. Si augurano maggiore visibilità e dialogo intorno al quartiere, ma anche che si mantengano vivi un forte senso di appartenenza e una grande voglia di giocare.
“Passo dopo passo insieme” è un’associazione di volontariato che si occupa di accompagnamento educativo attraverso lo studio. Nasce formalmente il 12 Aprile del 2003 a Sesto San Giovanni ma affonda le radici già nel 1999, mentre Michele era impegnato nel Servizio Civile di un doposcuola presso la parrocchia. All’inizio del percorso quest’attività viveva molto una situazione di sudditanza verso la scuola. In un primo step, con il nome “Amici del dopo”, l’Associazione configura le sue caratteristiche: 1) esperienza aperta a tutti, 2) rivolta agli studenti della scuola media e 3) propensa ad affidare l’esperienza a qualcuno che vi si dedichi professionalmente, non solo per volontariato. Nel giro di poco tempo il progetto si evolve e grazie all’incontro con uno psicologo psicoterapeuta che operava nelle carceri, viene affinato il metodo “Studiare bene senza avere voglia” che vuole sfidare l’alibi del non fare: l’orientamento del metodo, in sostanza, non è verso la prevenzione della devianza e si distacca dalla concezione medica dell’educazione per rivolgersi alla promozione del benessere. Un altro elemento peculiare dell’approccio è l’apertura verso tutti indistintamente, facendo sì che le origini e le narrazioni familiari, qualunque esse siano, non diventino stigmatizzanti o castranti per l’evoluzione dei ragazzi. Gli elementi cardine su cui si fonda il lavoro dell’associazione sono:
L’Associazione si evolve poi in “Meglio dopo insieme”, e grazie ad uno sviluppo capillare sul territorio nel 2015 arriva anche a Rogoredo. L'obiettivo rimane quello di accompagnare i ragazzi e le famiglie, con qualità e cura, in un processo di crescita educativa. Vengono aperti anche degli Sportelli di supporto per utenti e volontari. L’associazione si impegna infatti a valorizzare il lavoro svolto dal terzo settore e il ruolo degli operatori: per garantire il tempo e le competenze necessarie all’efficacia del progetto, si cerca di sostenere e tutelare soprattutto le persone che vi si dedicano affinché siano motivate e gratificate.
Il quartiere, spiega Michele, si è da subito caratterizzato per l'altissima presenza di stranieri. Elemento questo che – soprattutto all’inizio – trovava espressione in una marcata separatezza inter-etnica nella partecipazione all’associazione. Pregiudizio da un lato e tendenza all’autoghettizzazione dall’altro.
I ragazzi che ha incontrato lungo il suo percorso hanno manifestato primariamente il bisogno di essere ascoltati e accompagnati. Oltre alla gentilezza e al senso civico però, sottolinea Michele, occorre anche contrastare le deriva dell’individualismo e dell’egocentrismo del nostro tempo. <<Insegnare che le cose belle vanno mantenute>>. Combattere la logica del “tutto è concesso” e ravvivare nei ragazzi la consapevolezza che siamo sempre tutti connessi. Lavorare in gruppo e in grandi spazi comuni è in questo senso una strategia mirata a ridurre la conflittualità e a incentivare la collaborazione.
Il territorio ha bisogno di iniziative locali con un respiro mondiale, sostiene Michele. È importante aiutare i ragazzi ad uscire dalla comfort zone con un atteggiamento di ascolto, rendendoli protagonisti, ripartendo dalle piccole esperienze, alimentando la sinergia tra persone e servizi, impegnandosi nell’alfabetizzazione tecnologica delle nuove generazioni e mostrarsi loro coerenti e affidabili.
La comunità è per Michele un’idea tridimensionale che si poggia su: proattività, riflessività e incontro con l’altro.
Per il futuro si auspica di restare vigile e avere il coraggio di ascoltare i punti di vista esterni, senza perdersi nell’autoreferenzialità e mantenendo sempre viva la voglia di migliorarsi.
Il nome “anima e corpo” evoca la filosofia degli antichi Greci, per i quali entrambe queste dimensioni erano fondamentali per l’essere umano ed intrinsecamente connesse: allenare il corpo ha benefici sull’anima, così come allenare l’anima ha benefici sul corpo. Il nome riprende inoltre quello di un’associazione storica del territorio e poi chiusa, riprendendone in qualche modo la tradizione ed il legame con il quartiere.
Caterina, tra le fondatrici dell’associazione sportiva dilettantistica “anima e corpo”, si è occupata per diversi anni di marketing e vendite ed ora insegna economia e commercio. Si è avvicinata allo sport dopo un incidente che le ha procurato un trauma alla caviglia e per il quale, dopo l’operazione, si è reso necessario un percorso di recupero. L’allenamento ha cambiato la sua vita, facendole realizzare che allenarsi non fa solo bene al fisico ma rende anche le persone più felici.
La possibilità di aprire una palestra a Merezzate si è presentata quando, uscendo dalla Lidl, ha visto l’apertura di una nuova pasticceria. Caterina si è quindi informata se ci fosse la possibilità di spazi commerciali, ha poi presentato un progetto ed oggi ci troviamo a pochi giorni dall’apertura della palestra. La palestra si ripropone di colmare un vuoto nei quartieri di Rogoredo – Santa Giulia – Merezzate - Ungheria, ovvero la mancanza di un posto dove potersi allenare in sicurezza.
La palestra offrirà una sala pesi con macchinari di ultima generazione attenti all’ambiente, in quanto l’energia sarà prodotta dalle persone stesse senza necessità di fonti di energia altre, una sala campus dedicata a corsi musicali, cardio, gag, pilates, yoga ed approfondimenti legati ad una corretta alimentazione ed una sala cross per allenamenti di impatto maggiore volti a sviluppare forza e resistenza. Ci saranno anche dei gruppi di mutuo aiuto in quanto la comunità è innanzitutto aiuto reciproco.
Ci saranno abbonamenti diversi dedicati a donne, over sessantacinque e teenager, con attività e fasce orarie mirate. L’auspicio è quello di poter attrarre i giovani ed offrire un’alternativa sana, di allenamento e di sfogo, al fine di prevenire devianze e dipendenze che talvolta interessano i giovani.
Il desiderio è quindi che l’attività prenda piede nel quartiere e diventi più di una palestra, un luogo dove condividere esperienze di vita sana e momenti di felicità. A tal proposito l’associazione ha partecipato alla giornata sportiva del quartiere, animando gli attrezzi con lezioni di trazione, gag e allenamento funzionale ed ha avuto una buona risposta dagli abitanti. Il quartiere offre molti spazi verdi pedonali per cui nel periodo primaverile ed estivo l’idea è di poter organizzare degli allenamento all’aria aperta.
Per Caterina una qualità del quartiere è sicuramente quella di essere multietnico e, siccome la passione per il cibo accomuna tutti, vorrebbe ci fossero occasioni di scambi culinari tra cucine dei diversi paesi, oltre a degli approfondimenti di cucina salutare e naturale e, perché no, magari una gelateria.
Omar ha 22 anni e gestisce un’attività di barberie a Rogoredo, in via Monte Cengio 13. Ci arriva attraverso un percorso non immediato e lineare. Studia meccanica al liceo e dopo il diploma inizia a lavorare nel settore elettro-meccanico ma si accorge presto di non sentirsi appagato e appassionato come vorrebbe. Per un periodo torna a lavorare nell’attività di famiglia, una pizzeria del quartiere. Si descrive come una persona flessibile, con spirito di adattamento e la voglia di sperimentare, fare nuove esperienze. È per questa ragione che decide di buttarsi e realizzare un sogno.
Sei mesi fa apre il suo negozio di parrucchiere - barbiere per uomo, un servizio peraltro assente all’interno del quartiere. Questa passione nasce spontaneamente, quando a casa o al parco osservava i suoi amici tagliarsi i capelli e ne rimase affascinato. Si sta specializzando, con l’esperienza e all’accademia a cui si è iscritto, nello stile americano, caratterizzato da tagli grezzi e nello stile barber francese, con tagli lunghi, codini, sfumature dettagliate e punti luce di precisione. La base di riferimento è sempre lo stile italiano perché << il barbiere italiano è sempre stato simbolo in tutto il mondo di classicità e dettagli>>. Vorrebbe integrare nel suo approccio anche lo stile arabo << Mio papà ha origine marocchine>> spiega, amalgamando così non solo tendenze culturali e internazionali variegate ma valorizzando anche quel bagaglio identitario di duplice appartenenza che lo caratterizza. Mamma italiana e papà marocchino: << Ne ho sempre approfittato, ho cercato di prendere le parti più belle da entrambi i miei genitori >> e aggiunge << Mi ha aiutato molto questa diversità famigliare >>.
Omar racconta di essere profondamente legato al quartiere di Rogoredo, ma di aver sempre vissuto e girato anche nel resto della città costruendosi così, con solarità e socievolezza, una grande rete di amicizie e conoscenze. Intorno a lui percepisce e apprezza il processo di sviluppo ed espansione territoriale affermando << non è più un piccolo paese di periferia>>.
Crede nell’importanza di valorizzare il territorio e di condividere il bello che può offrire: <<Rogoredo ha tutte le caratteristiche per essere un ottimo posto, conosciuto a Milano e famoso a livello regionale. Anche per questo non ho voluto spostarmi >>. Grande, dotato di servizi, trasporti, una rete di commercianti appassionati e aziende importanti come Sky. Secondo Omar occorre migliorare il livello di cura e attenzione verso il quartiere, favorendone uno sviluppo coeso e collettivo: <<Pensavo che Rogoredo vecchia tendesse a nascondersi, invece vedo che man mano si tira su le maniche e ce la sta facendo >> afferma. << Ammiro molto la gente di qui, è davvero forte >>.
Come esempio di dialogo tra tradizione e innovazione, passato e futuro, cita il progetto musicale “20138 Open Barre” di Minu, il quale attraverso l’incontro tra attori diversi del territorio e i loro talenti, si propone di valorizzare l’identità del quartiere e delle periferie in generale.
Per Omar la comunità è un’opportunità di condivisione e di svago; un luogo dove rilassarsi, trovare qualcuno che sappia ascoltare e accogliere la storia degli altri. E sono proprie le storie a riecheggiare ogni giorno tra le mura del suo negozio, soprattutto quelle degli anziani – le memorie storiche del quartiere. Attraverso i loro ricordi può camminare tra le strade del passato, brulicanti di latterie, fruttivendoli e operai delle vecchie acciaierie Redaelli e Montecatini. Le storie tramandano le esperienze di chi vive dietro l’angolo o di chi proviene dall’altra parte del mondo, per migrare o fuggire dalla guerra. << Questa cosa mi affascina molta. È importante il rispetto, comportarsi bene e tutto… ma la vita è anche accumulare. Penso che ciascuno sia portatore di un bagaglio e che sia importante saper attingere dalla ricchezza di ogni persona >>.
Per il futuro della barberia si auspica l’ampliamento del locale o l’apertura anche di altre sedi. Per sé stesso desidera affinare le sue competenze, frequentare nuovi corsi e ritagliarsi maggiore spazio personale per riprendere passioni come l’agonismo sportivo.
Le sonorità brulicanti di sottofondo, che a tratti sovrastano il parlato, sembrano quasi simboleggiare le vivaci intensità - interiori e generazionali - di cui Rebecca si rende testimone.
Rebecca ha 21 anni e vive a Rogoredo dal periodo della prima adolescenza. Quando è arrivata conosceva del luogo perlopiù gli aspetti negativi che la narrativa comune tendeva ad accentuare. All’epoca era appena uscita da una fase difficile della sua vita e, racconta, ha subito incontrato tanti ragazzi della sua età che l’hanno fatta sentire accolta e accettata << L’anno che mi sono trasferita è stato forse il più bello della mia vita>> dice. A Rogoredo ha scoperto una realtà bellissima, sicura << mi trovavo benissimo a qualsiasi orario del giorno e della notte >>, piena di persone gentili, sincere, disponibili e solidali << che ti stanno vicino soprattutto se sei nuovo, per integrarti>>
Le sue passioni più grandi hanno a che fare con il mondo dell’arte, che è per lei uno spazio quasi terapeutico oltre che di svago.
Pratica il ballo dagli anni dell’infanzia, quando giocava con le amiche ed insegnava loro i passi di danza. Lo definisce <<la forma più bella che uno ha per esprimersi>>, per la sua duplice capacità di creare da un lato un contatto con le emozioni negative e dall’altro un modo con cui liberarsene. << Anche se sono triste>> dice << quando mi metto a ballare, attraverso i movimenti riesco a buttare fuori l’energia negativa e a ricaricarmi di un’energia buona>>. Sin da piccola pratica ogni tipo di genere di danza, dal classico al contemporaneo.
Anche il disegno rappresenta per Rebecca una forma di liberazione catartica attraverso cui tradurre le emozioni in immagini.
Ama scrivere, soprattutto le poesie.
Si definisce una persona selettiva, gelosa verso le sue passioni, motivo per cui farebbe fatica a mettersi in mostra, a condividere ed esibire i suoi talenti, che preferisce vivere in maniera privata.
I luoghi di riferimento per i ragazzi della sua età si concentrano principalmente intorno al Parco Trapezio, le panchine dei giardini e la Promenade di Santa Giulia. Il suo luogo del cuore è però il Parco delle Rose: ci va spesso con un’amica nelle belle giornate di sole, con un telo, le carte e gli incensi. <<È un posto dove rilassarsi, buttare giù i pensieri, entrare in contatto con la natura. È proprio risanante>>. Nel quartiere, secondo Rebecca, mancano però degli spazi pensati per i ragazzi e le attività artistico-culturali. Le nuove generazioni fanno fatica a lasciarsi andare, a vivere il momento presente in maniera autentica: tutto è quasi sempre mediato da un telefono e orientato ad uno scopo. << Servirebbe uno spazio per stimolare il lato creativo nei ragazzi e far sì che possano esprimere le loro passioni >>. In passato si era parlato di aprire uno spazio di questo tipo per favorire << l’incontro e la creazione di legami profondi tra i ragazzi >>.
Attraverso l’arte i giovani intorno a lei, dice Rebecca, esprimono sia il loro mondo interiore sia la consapevolezza di ciò che li circonda. Molti nel quartiere scrivono, cantano e producono musica. E nel farlo esprimono anche un pensiero collettivo, <<tutti vediamo tutto>>.
Per il futuro si auspica che il quartiere possa giovare di una meritata rivalutazione e valorizzazione. Da un punto di vista personale, Rebecca ha come grande sogno quello di andare a vivere in Spagna. Uscire dai confini ha un sapore sconfinato, lei desidera viaggiare. << Prendere un van o una casa mobile e girare il mondo. Andare, fermarmi quattro-cinque mesi in un posto, guidare di nuovo e spostarmi ancora >>.
È grande l’amore verso le culture e le lingue del mondo. Nonostante non abbia frequentato un liceo linguistico, parla svariate lingue straniere.
Per Rebecca relazionarsi con la diversità è un’esperienza che aiuta a crescere, a sviluppare idee e rapporti e, fondamentalmente, a stare bene. È un antidoto alla chiusura e alla rigidità delle abitudini.
Alle giovani generazioni augura di sviluppare una progressiva apertura mentale e di emanciparsi dalle logiche soffocanti del lavoro, <<capire che la vita è anche altro>>.
Per lei comunità è quel senso di fratellanza che unisce tutti in una grande famiglia.
Mirella è la parrucchiera del Centro Commerciale da ormai 18 anni, da quando ha trasferito la sua attività qui da Tarantasca, dove aveva lavorato per 20 anni.
In questo quartiere ha anche vissuto fino a 5 anni fa, quando si è sposata e si è spostata poco lontano da quartiere. San Paolo le è sempre piaciuto per la tranquillità, per il verde, per il fatto che sia una piccola realtà dove ci si conosce tutti. Questo quartiere è appagante per i servizi e per il verde e perché è a misura di tutti: gli anziani si sentono anche a loro agio perché tutti si conoscono.
Mirella ha 60 anni e 3 figli, il suo ultimo figlio è cresciuto in negozio perché abitava molto vicino al negozio.
Una delle sue passioni è camminare in montagna, infatti il mercoledì, il suo giorno libero, scappa in montagna per andare a farsi una passeggiata.
Le piacciono molto gli animali: ha due cani, un pastore del Briate e un maremmano, e dei canarini che passano il tempo con lei in negozio.
Le piacciono molto le relazioni con le sue clienti, soprattutto il venerdì mattina che è la giornata abitudinaria delle signore anziane: tra loro si è creato un rapporto di confidenza, sanno tutto di lei e lei di loro.
In generale la sua clientela è molto varia: c’è anche gente nuova che arriva e gente fissa, i clienti cambiano anche in funzione della giornata e della fascia oraria.
Lavorando da ben 18 anni di negozio nel centro commerciale ha visto tutti i cambiamenti della zona: negozi diversi, posti chiusi,.. Il centro commerciale all’inizio era orribile, molto anni ‘70, poi pian piano, anche grazie alla sua insistenza, insieme lo hanno reso migliore cambiando il pavimento, le insegne,.. Le piace anche l’attuale supermercato perché lo trova “a misura di famiglia”: i negozianti si fermano, ti parlano, ti chiedono,...
Per il futuro, quando andrà in pensione, vorrebbe lasciare il negozio alla sua dipendente perché le dispiacerebbe abbandonare le sue clienti che l’hanno sempre seguita in tutti i suoi spostamenti.
Il MerCu è un mercato contadino di produttori locali che si tiene a San Paolo tutti i mercoledì dalle 15:30 alle 18:30. Qui si trovano formaggi, frutta e verdura, pane e trasformati ed è possibile interfacciarsi direttamente con chi li produce per conoscere la filiera nella sua interezza: da dove arriva, come è coltivato, come viene trasformato,... Qui si possono trovare le eccellenze del territorio: la carota di San Rocco, il porro di Cervere.
Il mercato è un ritrovo di tipo familiare che coinvolge soprattutto gli abitanti del quartiere. L’affluenza è altalenante, ma questo è normale perchè segue le stagionalità.
Mario abita a Cerialdo ed è il presidente del Centro Anziani San Paolo di Cuneo. È arrivato qui perché aveva degli amici, conosciuti in quanto vicini di piazzola al campeggio, che avevano invitato lui e sua moglie ad andare a ballare al centro la domenica. Mario non è un grande ballerino e per farlo ballare bisogna insistere parecchio: balla il tango, poca mazurka e il valzer con due bicchieri di barbera, il resto è tabù! Però sua moglie è una ballerina nata, ama danzare e così Mario si è deciso ad andare al centro, poi con la moglie si sono tesserati e infine sono entrati nel direttivo.
Il Centro Anziani di San Paolo è aperto tutti i giorni dalle 14:30 alle 19, grazie al supporto dei volontari: in settimana si può giocare a carte, il venerdì sera cenare insieme e la domenica si balla. Per accedere al centro è necessario fare una tessera che serve per la copertura assicurativa; questa tessera è gratuita per chi ha più di 80 anni, mentre tra i 50 e gli 80 anni è a pagamento. il costo vaia a seconda delle attività e del luogo di residenza: 20 euro per chi viene a giocare a carte, 30 per chi vuole ballare, 40 per chi abita fuori dal Comune di Cuneo.
La domenica con i balli ha da sempre una grande affluenza: un tempo venivano 70 persone, oggi sono 45. Purtroppo il Covid ha cambiato molto le abitudini e aumentato le paure di stare con gli altri, Mario però pensa che il ritrovarsi con la musica abbia un forte potere benefico, rilassa e rende felici e invita tutti a venire a provare.
Anche la pizzata del venerdì sera è molto partecipata perché si apprezza la bellezza di mangiare in compagnia e ritrovarsi: al centro sono iscritte molte vedove che altrimenti mangerebbero sole in casa. Per partecipare è sufficiente dare le adesioni e la quota entro il giovedì sera.
Il Centro si trova in un locale comunale e pertanto gli spazi possono essere richiesti anche per altre attività. Per richiedere gli spazi è sufficiente fare richiesta in Comune e verificare la disponibilità.
Mario ha il volontariato nel suo DNA: infatti prima di essere volontario qui è stato presidente della bocciofila di Cerialdo e guardia ecologica per la provincia. Questo secondo ruolo lo ha svolto, insieme con i suoi amici, per 35 anni sognando di salvare il mondo da un punto di vista ecologico.
Fabrizio ha 58 anni ed fa parte dell’araba fenice edizione, una casa editrice che esiste da più di 30 anni e che è nata a Cuneo nel 1991 da un’intuizione di suo padre che ha deciso di ripubblicare libri importanti dimenticati e da qui il nome di araba fenice, animale che rinasce dalle sue ceneri.
Dopo i primi anni a Cuneo, si sono trasferiti a Boves in un bell’ufficio con magazzino e giardino: in quell’epoca erano lui, suo fratello, suo padre, sua madre e una nuova segretaria in arrivo.
Nel 2020 hanno nuovamente traslocato, tornando a Cuneo, nel quartiere San Paolo, perché avevano bisogno di ritrovare il contatto con le persone, dato che a Boves erano in un posto molto isolato. Hanno utilizzato quello che era lo spazio di una vecchia macelleria, chiusa da diversi anni. Quando hanno aperto La stampa ha fatto un bel passaggio dal nome del negozio precedente “ Sapore della carne” a “sapore della carta”, un passaggio che racchiude molto del loro essere. Il loro modo di vedere il libro è lontano dal digitale. Leggere è come andare in bicicletta, non ci vai perché vai più veloce o più economico, ma perché è bello, fai un’esperienza, fai una strada nuova, percepisci suoni e rumori di cui il tuo corpo ha bisogno. Leggere allo stesso modo permette alle persone di fare un’esperienza, permette di ricordarsi aspetti specifici. Loro vedono la loro presenza fisica su un territorio come connessa a fare libri “fisici” che raccontano quel contesto, questo è il loro valore specifico. Per il quartiere loro si impegnano anche a organizzare eventi culturali sia estivi che invernali con autori non solo loro.
Nei loro 30 anni di vita come casa editrice, hanno cambiato spesso perché “Una casa editrice è un essere vivente, pubblicando libri e incontrando persone ti rendi conto anche che le idee che avevi all’inizio non sono più valide”. Con il tempo hanno lavorato ad esempio per togliere al termine “locale” quella lettura riduttiva, e diffondere i libri anche al di fuori del loro contesto di origine. Sicuramente in questo le piattaforme di vendita online li hanno aiutati molto.
Un altro canale di vendita che privilegiano molto è quello delle bancarelle ai mercatini durante le fiere, in cui sua madre tuttora è ancora molto attiva. Sono presenti in tantissime fiere: la fiera del marrone di Cuneo, la fiera della zucca di Piozzo, la Fiera della robiola di Roccaverano, la fiera del tartufo di Alba, la fiera dell’olio a Imperia, i mercatini a tema di Celle ligure, le fiere dell’antiquariato, della lumaca, del cioccolato e del bio a Cherasco,la Fiera del Libro... Qui c’è sempre un pubblico che ama viaggiare e conoscere le specifiche del territorio e conoscere i loro libri e in più si adatta alla loro idea di libro come esperienza fisica, cartacea: il libro è un oggetto fisico che dà ai lettori il piacere di un’esperienza fisica che vale la pena di essere ricordata anche rispetto al contesto in cui lo si è letto.
Un’altra parte consistente del loro lavoro è la selezione di manoscritti da pubblicare. Ricevono continuamente materiale, grazie al passaparola tra amici e autori e grazie ad internet; ci sono volte che arrivano 30/40 manoscritti in un mese, in parte vengono esclusi perché non sono compatibili con le linee di catalogo, a volte perché i numeri sono troppo alti rispetto alle loro possibilità e devono fare una selezione in base alle priorità. In questa parte del loro lavoro, una cosa che Fabrizio trova bella è il contatto umano: “fare libri è andare a toccare la vita delle persone in modo molto intimo”. Una volta che tu scrivi un libro tu non sei più privato, ti consegni agli altri, quello che dici rimane e finisce nelle biblioteche.
Laura si vede come una maestra di quartiere, ormai è in pensione da un anno, ma ha lavorato qui fin dal 1992, vivendo tutti cambiamenti della scuola e del quartiere.
Quando si è sposata cercava un luogo per vivere che fosse verde e le ricordasse un paese e così è arrivata a San Paolo. All’inizio lavorava fuori, poi, quando sono nati i figli ha scelto di avvicinarsi e così è diventata la maestra della scuola di quartiere. Tanti le dicevano che era una follia lavorare dove viveva e lei stessa aveva le sue paure, poi ha imparato a mettere i giusti limiti con i genitori e, nonostante certamente sia faticoso, pensa anche che sia bellissimo poter vedere i tuoi alunni al di fuori del contesto scolastico.
Quando ha iniziato a lavorare qui la scuola era piccola e molto tradizionale, poi pian piano è cresciuta e ha aumentato i servizi extrascolastici anche sulla base delle nuove esigenze dei genitori. Per arrivare a questo, scuola e genitori hanno collaborato nel richiedere al Comune i servizi e spiegarne l’importanza.
Nel 2008 la scuola ha anche ottenuto l’intitolazione a Lidia Rolfi, donna, insegnante e partigiana; a partire da quell’anno si festeggia celebrando la scuola e la donna a cui è intitolata e raccontando ai bambini la sua storia.
Grazie anche al fatto che il gruppo insegnanti era abbastanza stabile, si sono create relazioni tra le maestre e insieme si sono unite per modificare il modo di insegnare e trasformare il loro plesso in una scuola senza zaino. Questo cambiamento ha richiesto una partecipazione notevole anche da parte dei genitori perché ha modificato molto la strutturazione della scuola. I genitori sono venuti a dare una mano a montare i mobili dell’ikea e predisporre la scuola per accogliere gli alunni a settembre.
La scuola accoglie principalmente famiglie del quartiere, ma anche persone che arrivano da altre zone e che cercano una scuola diversa e immersa nel verde.
Il fatto di essere una scuola di quartiere ha permesso e facilitano le relazioni con altre realtà attive sul territorio: centro MIstral, la casa di riposo del viale degli angeli, la fondazione Peano, … Queste collaborazioni permettono alla scuola di entrare dentro la rete sociale e di supportare i genitori nel conoscere e vivere il quartiere.
Per Laura insegnare è un’esperienza che ti lascia tantissimo: vedere crescere i bambini e poi vederli tornare come genitori, vedere i cambiamenti sociali all’interno delle classi.
Anna Maria è nata a Cuneo nel 1962 e gestisce la merceria da ormai 20 anni, dopo averla rilevata dalla precedente proprietaria. Ha iniziato questo lavoro un po’ per caso: ha rilevato questa merceria da una sua amica che aveva lavanderia e merceria nel centro commerciale, che andando in pensione le ha chiesto aiuto per fare la svendita totale, visto che in quel momento era disoccupata.
Nel ritrovarsi a dare una mano AnnaMaria si è resa conto che questo lavoro le piaceva e le veniva naturale, anche se il lavoro che faceva prima era totalmente differente: gestiva il bar interno dell’Alpitour a San Rocco.
Così, nel 2003, ha deciso di rilevare facendosi insegnare il mestiere dalla precedente gestrice. Dopo i 6 mesi di svendita ovviamente all’inizio è stato difficile perché tutti avevano i capi necessari e non doveva acquistare in merceria, così ha pensato di introdurre anche capi di abbigliamento e man mano ha aumentato e differenziato sempre di più l’offerta.
Oltre alla vendita Anna Maria ha anche il servizio di sartoria e, in inverno, la maglieria.
All’interno del quartiere si è sempre trovata bene; nel tempo ha creato un buon rapporto di fiducia con la clientela; il fatto di essere della zona e di sapere il piemontese l'hanno sicuramente agevolata nell’inserirsi.
Sa che lavorerà ancora per diversi anni prima della pensione, ma le piacerebbe che una volta prossima alla pensione trovasse qualcuno come lei disposto a rilevare l’attività.
La nuova scuola dell’infanzia Fillia è stata inaugurata nel 2021 e ora si trova nel cuore del quartiere San Paolo. Ha ha 4 sezioni (albicocche, mirtilli, lamponi e mele), ognuna con una referente: Stefania, Annalisa, Chiara e Rosy.
Avendo inaugurato questo nuovo edificio durante la pandemia è stato difficile fare eventi e collaborare con realtà esterne, ma quest’anno hanno iniziato ad avviare alcune prime collaborazioni con la biblioteca, con il Comitato di quartiere,...
Il loro desiderio è quello di far crescere sempre di più le relazioni con le realtà esterne.
La giornata tipo a scuola inizia alle 7:30 con il preingresso, poi l’accoglienza in sezione dove, dopo un primo momento di gioco libero, si fa un momento collettivo in cui si vedono il calendario e le presenze e si aspetta la seconda insegnante per iniziare le attività didattiche o in gruppo o divisi per età. Dopo questo momento, è prevista l’uscita sia prima che dopo pranzo. Per chi resta al pomeriggio è previsto un momento di gioco libero e poi per i più piccoli e i mezzani il riposino, mentre per i grandi laboratori per prepararsi all’ingresso in primaria. Alle 15:45 finisce l’attività pomeridiana.
La scuola è fatta di bambini innanzitutto, per questo le insegnanti ci tengono a mettere al centro tutti i bambini. Le sezioni sono miste per età e includono con i bambini con disabilità accompagnati dall’insegnante di sostegno e sempre presenti durante tutte le attività.
La loro metodologia si basa molto sull’utilizzo dei laboratori e sul collaborative learning, insegnando ai bambini a collaborare, a lasciare spazio nel realizzare l’attività. Attraverso attività pratiche e artistiche, realizzate nell’atelier della scuola, includono tutti i campi di esperienza.
Nell’ottica del lavoro collaborativo lavorano con la primaria; per esempio sulle nuove steam, sulla robotica, coding..
Inoltre parte del loro lavoro è indirizzato anche alla scoperta del quartiere in cui vivono, attraverso piccole passeggiate e momenti esplorativi.
Arianna e Francesca sono due maestre della Scuola Lidia Rolfi, scuola nata nel 1978 in un quartiere che all’epoca aveva pochi palazzi e cresciuta nel tempo fino ad ospitare 10 classi, 2 per anno, e circa 200 alunni, oltre che 25 insegnanti e 4 collaboratori scolastici.
L’intitolazione a Lidia Rolfi è avvenuta nel 1997, su decisione delle maestre: l’idea è stata quella di ricordare ai bambini i valori di libertà e l’importanza diritti attraverso una donna forte che è stata sia maestra che partigiana.
La scuola segue il metodo “senza zaino”: tutto il materiale per imparare è a scuola, in caselline dedicate ai bambini. Il metodo si basa su tre principi:
Dopo gli anni del Covid, la scuola si è riaperta al territorio: collaborazioni con Parco Fluviale, Comune, Biblioteca, Fondazione Peano, …
Un’altra peculiarità di questa scuola è il bellissimo giardino che usano moltissimo nel tempo scuola, ma che attraverso il parco giochi è vissuto anche oltre gli orari scolastici.
L’obiettivo della scuola per il futuro è diventare sempre più una comunità in cui grandi e piccoli fanno la loro parte per il bene di tutti.
La storia di Brunella si collega profondamente con quella della cooperativa Emmanuele. Frequentando il corso da assistente sociale ha incontrato persone con cui condivideva il sogno di spendersi sul territorio e così, nel 1985, è nata la cooperativa. La prima iniziativa realizzata è stata la Comunità Educativa Residenziale per accogliere adolescenti con disagi sociali, esperienza ancora oggi in essere.
Brunella è partita come un’operatrice, poi si è occupata di aspetti cooperativi e organizzativi, per spostarsi infine in ambito amministrativo-funzionale, diventando la direttrice della cooperativa. Oggi si prende cura dei soci per farli sentire a casa e spendersi al meglio. Questo le permette di vedere il significato e il senso valoriale del suo lavoro, alleggerendo così la parte burocratica.
La cooperativa è attiva principalmente in quattro ambiti:
L’attuale sede è nel quartiere San Paolo, dove la cooperativa ha avviato un’attività di sviluppo del quartiere: l’essere sul territorio permette di scambiare e costruire relazioni. Questo quartiere è molto vivo e ricco di persone che hanno voglia di spendersi per la comunità.
La cooperativa è capofila del progetto Cuneo Futuro Prossimo, perché crede molto nel creare relazioni, fare rete: non si può fare molto da soli quando si affrontano temi di tipo sociale.
Il suo augurio è che la Cooperativa possa sempre aprirsi a quello che succede attorno nel riconoscimento reciproco e che le molte realtà attive possano condividere i progetti evitando di creare fratture.
Davide abita in quartiere dal 1994 e dal 2003 fa parte dell’ASD OratorioSanPaoloCuneo, nata nel 1996 da un’idea di Valentina e Franco, che opera in tutto il quartiere in collaborazione con la parrocchia organizzando squadre di calcio, pallavolo e tennis tavolo.
Davide ha deciso di entrare a far parte dell’ASD perché ha sempre amato lo sport e ha allenato squadre di pallavolo e, quando suo figlio ha iniziato a frequentare la parrocchia, vista la mancanza di una squadra di pallavolo, ha deciso di dare il suo contributo per crearne una.
L’associazione nel tempo è cresciuta, oggi sono più di 200 tesserati tra adulti e bambini e allenano 7 squadre da calcio dagli under 8 fino alle squadre adulti, 3 squadre di pallavolo di adulti, 1 squadra di tennis tavolo, che ha vinto il campionato provinciale e ha partecipato al nazionale.
Inoltre un’attività che facevano, ma che hanno dovuto interrompere a causa della pandemia e che vorrebbero riprendere a fare, è quella della motoria con i bambini dai 3 ai 6 anni.
Gli allenatori sono tutti volontari e alcuni di loro hanno anche il patentino; ognuno di loro impegna 1 o 2 momenti nella settimana per l’associazione.
Per l’ASD i risultati sul campo non sono la loro priorità, l’obiettivo è quello di far giocare tutti e aiutare anche chi non riesce a pagare la quota di iscrizione permettendo a tutti di partecipare.
In estate non hanno attività, ma usano questo periodo per organizzare il programma dell’anno successivo che poi comunicano attraverso i social (Facebook e Instagram) e con l’affissione di locandine in quartiere.
L’associazione da qualche anno ha anche la gestione dei campi da calcio e da beach volley, che affitta sia a squadre che ad amatori. La vita serale che popola questi campi ha rianimato il quartiere ed è bellissimo vedere tutti questi giovani che si ritrovano la sera.
Simone è nato e cresciuto a Cuneo, nel quartiere, è collaboratore amministrativo in ASL CN1, a Saluzzo; è laureato in Comunicazione pubblica e politica in magistrale e in triennale in Scienze dell’amministrazione e consulenza del lavoro.
A Simone piace lasciare il segno e vedere i frutti di quello che fa, per questo si è impegnato nel Comitato. Se pensa al murales della scuola, ad esempio, vede come un’opera “economica” riesca a cambiare il volto di quartiere; allo stesso modo crede che le persone possano fare la differenza con poco. e questo è quello che fa come presidente del Comitato di Quartiere Cuneo San Paolo, comitato che si occupa di raccogliere istanze e riportarle al Comune e di attivare iniziative per il quartiere.
Il Comitato si ritrova ufficialmente una volta al mese per definire le linee di indirizzo dell’attività da svolgere. Inoltre, almeno una volta all’anno viene organizzata un’assemblea aperta a tutti e, oltre a questo, si stanno cercando di organizzare giornate con esperti e rappresentanti dell’amministrazione su temi cari ai cittadini .
Il Comitato collabora con altre realtà per reperire fondi e attivare progettualità ed è sempre interessato a raccogliere nuove proposte. Inoltre fa da tramite tra amministrazione e cittadini, compito non sempre facile.
Raccoglie problematiche e idee in diversi modi: sul sito, attraverso i canali social, attraverso mail o numero di telefono o ancora attraverso la buca delle lettere..
Tra le tante iniziative realizzate si possono citare: il palio dei quartieri, il mercato contadino, il campo da beach volley, il murales della scuola.
San Paolo è un quartiere periferico, vissuto principalmente la sera, dopo il lavoro; Questo fa sì che sia complesso far vivere il quartiere tutto l’anno tutti i giorni. Sicuramente è reso vivo dalle due scuole e dalla forte presenza di verde. Il comitato si sta impegnando per attivare patti di collaborazione tra Comune e cittadini per mantenerlo.
Don Dario ha 37 anni, è prete da 11 anni e parroco della Parrocchia di San Paolo da 4.
È appassionato di montagna e sport all’aperto; non gli piace stare seduto sulla poltrona o sul divano.
Dopo la maturità, come tutti a quell’età, si sentiva disorientato ed era indeciso su cosa fare da grande: tra le tante idee, c’erano quella di fare l’insegnante di filosofia e storia, che sono due sue passioni, e quella di fare il prete. Così ha deciso di provare a fare il prete e, con l’esperienza del Seminario Maggiore a Fossano e con i tirocini, ha capito che era felice.
Nel 2012 è stato mandato a Boves, dove è rimasto per 8 anni. Nel 2019 è stato trasferito a San Paolo. Subito non ha preso molto bene la notizia perché i cambiamenti sono difficili da affrontare anche per i parroci: la paura della novità, l’incognito del posto in cui si va,...
A distanza di tempo, dopo il disorientamento iniziale e nella consapevolezza che i trasferimenti fanno parte della vita di un parroco, è molto contento e qui si sente a casa.
Appena arrivato si occupava solo delle attività connesse ai ragazzi, ma ora, come unico parroco, si occupa di tutto. Il suo inizio è stato difficile: ha dovuto farsi conoscere dai giovani e lavorare con loro in piena pandemia. Tuttavia Don Dario non si arrende e le cose le porta avanti lo stesso perché pensa che sia sempre meglio poco che niente.
Quello che cerca di fare qui è lavorare per preparare il terreno al fatto che non è detto che ci sarà sempre lui, ma potrà sempre rimanere una parrocchia: tutta la comunità è utile per farla funzionare e nessuno è indispensabile. In questo quartiere c’è la voglia di lavorare insieme salvaguardando l’identità di ognuno e collaborare ognuno con le sue qualità, visioni e competenze per la vita del quartiere in armonia tra le diversità.
Continuare a conoscersi e lavorare assieme tra diverse realtà aiuta a innescare meccanismi virtuosi ed è fondamentale perchè siamo una società che ha bisogno di tanti punti di riferimento: il campanile non basta perché non vale per tutti e non ci sarebbe spazio per altri.
La parrocchia è ricca di servizi (doposcuola, oratorio, estate ragazzi, caritas, servizi per famiglie), che sono aperti a tutti a prescindere dal proprio credo, perché chi deve essere accolto è la persona.
Andrea a San Paolo ci è nato, qui è conosciuto come Orix. Alle superiori ha studiato come elettricista all’ITIS, professione che potrebbe forse essere un campo per il suo futuro. Ora frequenta scienze motorie a Cuneo. Gioca a Calcio da quando aveva tre anni, è arrivato a giocare in promozione con il Busca. Ha pensato di farne la sua carriera, ma poi si è rotto il crociato: così ha pensato di cambiare i suoi progetti e provare ad insegnare sport. Al momento è un allenatore volontario al San Paolo alla città sportiva, una bella esperienza di crescita che gli sta insegnando a relazionarsi con le persone e soprattutto con i bambini.
Il tempo libero lo trascorre con gli amici, ascoltando tantissima musica e praticando molto sport.
Studiando a Cuneo, riesce a gestire bene la sua giornata, andando a lezione al mattino, studiando al pomeriggio e poi uscendo la sera nel quartiere. Il tempo che preferisce durante la giornata è il tardo pomeriggio perché è rilassante e non ci sono tante persone in giro.
Ama il suo quartiere per la tranquillità, il silenzio e perché ha tutti i servizi necessari; sogna di continuare a viverci fino alla pensione, quando con i suoi amici di ora, si immagina di vivere una seconda gioventù.
I fulcri principali del quartiere sono la parrocchia per i giovani e la zona del Centro e dei giardinetti per i bambini, perché sono vicini alla scuola. Lui ama anche il “ragno”, dove si sente a casa e trascorre la maggior parte del suo tempo libero.
Il quartiere ha dei bei momenti di Comunità come le cene in parrocchia dove si incontrano tante persone di età differenti e i giovani hanno l’occasione per farsi vedere e conoscere dagli adulti.
A San Paolo c’è anche stato un evento molto bello di festa per la Comunità, ovvero il Palio dei quartieri: i tornei si tenevano nella struttura sportiva di San Paolo, dalla scuola c’erano i concerti e si dava da mangiare. Ogni anno il Palio cambia quartiere per animare tutta la città, ma lui spera che torni presto a San Paolo.
Eleonora ha 26 anni e vive nel quartiere da quando è nata. Lei e suo marito hanno scelto di rimanere nel quartiere, dove sono cresciuti e si sono conosciuti, a 15 anni.
Si sente molto legata alla Parrocchia, dove ha conosciuto la maggior parte dei suoi amici e suo marito e dove ha potuto praticare tanto il canto che è una delle sue più grandi passioni. Inoltre ha fatto il liceo musicale e studiato canto in una scuola privata. Oltre a questo ha studiato pianoforte e imparato in autonomia a suonare la chitarra.
Altra sua grande passione è il cucito, in particolar modo le piace creare abbigliamento e accessori per bambini. Recentemente sta imparando anche a fare a maglia e all'uncinetto e a ricamare.
Infine le piace molto la fotografia che coltiva a livello amatoriale portando con sé la macchina fotografica alle feste degli amici.
Attualmente Eleonora studia scienze dell’educazione per lavorare con i bambini da 0 a 3 anni.
Sente un forte desiderio di partecipare alla vita del quartiere, infatti fa anche parte del gruppo di volontari della biblioteca e ha sempre fatto animazione in parrocchia. Inoltre da un’anno a questa parte lei e suo marito si sono impegnati per ricreare in parrocchia un gruppo famiglie, che può diventare un gruppo di sostegno e supporto tra genitori.
Ora aspetta un bambino/a ed è felicissima che possa vivere i primi anni in questo quartiere. Eleonora ne vede tutti i pregi come futura mamma: ci sono sia la scuola dell’infanzia che le elementari, è ricco di spazi verdi e posti per fare passeggiate, ha tanti parchi giochi.
Una cosa che spera di portare avanti nel quartiere è l’accoglienza verso tutti. Quand’era piccola ha faticato ad entrare in una comunità non avendo il terreno preparato dai suoi genitori, quindi spera che il quartiere possa essere accogliente e che non muoia su se stesso con le persone che invecchiano, senza ricambio generazionale.
Marco ha 23 anni, è nato a Cuneo, nel quartiere San Paolo: il quartiere, la città e il Comune sono casa sua. Qui ha imparato a fare i primi passi nelle relazioni e nello sport e qui è andato a scuola fino al terzo anno di università. Ha studiato al liceo scientifico e poi si è iscritto a Giurisprudenza, perché le materie umanistiche gli sono affini e perché, fin dalle medie, sogna di diventare avvocato. Ora frequenta la magistrale a Torino, dove sta anche vivendo. Sebbene gli manchino alcune cose della vita in quartiere, come il venerdì dei giovanissimi o il dedicare tempo all’estate ragazzi, pensa anche che sia importante cambiare città, scoprire un ambiente diverso perché porta a crescere e imparare ad autogestirsi. Una cosa che comunque è riuscito a mantenere è l’andare a messa al sabato pomeriggio al San Paolo, dove ormai è conosciuto da tutti come il lettore della prima e della seconda lettura.
Gli piace mettersi a servizio degli altri, in famiglia, in parrocchia, nel quartiere e in senso politico e gli fa piacere quando le sue qualità nel farlo sono riconosciute e apprezzate. In Parrocchia, oltre a giocare come portiere nella squadra, ha fatto il chierichetto, ha frequentato l’Estate ragazzi e i campeggi sia come animato che come animatore, esperienza che gli ha insegnato la bellezza del creare relazioni e di prendersi la responsabilità.
Due sue grandi hobby sono la scrittura e la lettura che ha messo insieme scrivendo un libro che si intitola Bella Italia e che racchiude la sua visione autobiografica e politica costituzionale apartitica. La politica per lui è competenza, conoscenza, comunità, ma anche analisi dei problemi umani. Nel sottotitolo recita per far rinascere un amor di patria puro, concreto e democratico. Se dovesse rileggere queste tre parole in qualcosa che vede nel suo quartiere potrebbe farlo ad esempio nella parrocchia: programmare l’estate ragazzi al meglio sfruttando la competenza di ognuno in ogni singola parte. La purezza deve esserci nel rapporto tra animatori che deve essere bello e trasparente; la concretezza nel progettare le attività e la democrazia nel lasciare spazio di espressione a tutti gli animatori, creando una discussione proficua senza rapporti di forza. Capire che tutto ciò che si può fare è volto agli altri e che le nostre azioni ricadono su tre livelli (su noi stessi, sugli altri e sul contesto in cui agiamo) questa, per lui, è politica.